Circolare ai diplomatici sardi del 1859

Circolare di Cavour ai Rappresentanti del Governo presso le Corti Estere

Torino, 14 Giugno 1859.
SIGNORE!
La conoscenza che voi avete dei principii che hanno sempre diretta la politica del governo di S. M., come anche le frequenti communicazioni ch ‘ ebbi cura di fare alla Legazione in questi ultimi tempi, hanno dovuto mettervi in situazione di apprezzare e far apprezzare gli avvenimenti politici, che testé si compirono in Lombardia. Egli è nondimeno utile di darsi conto oggidi dell’origine e delle cause di questo fallo, e di precisare cosi più neltamente ancora le intenzioni e gli atti del Governo del Re.
Dal momento in cui la quistione italiana, negata dagli uni, impicciolila dagli altri, prese il primo posto fra le preoccupa zioni dell’Europa, il Gabinetto di S. M., colla franchezza che gli è abituale, fece conoscere l’estrema difficoltà della situazione.
A questo scopo, nel memorandum del 1 marzo scorso, indi rizzato al Governo Inglese, e che fu in seguito publicato dalla stampa, io mi sono studiato di esporre i risultati della domi nazione austriaca in Italia, risultati che non hanno analogia nella storia moderna.
Ho dimostrato che l’antipatia e l’odio universale contro il Governo Austriaco provenivano da prima dal sistema di governo che era imposto ai Lombardo -Veneti, in seguito e sopratutto dal sentimento di nazionalità offeso dalla dominazione straniera. Il progresso dei lumi, la diffusione dell’istruzione, che l’Austria non poteva interamente impedire, aveano rese più sensibili quelle popolazioni alla loro triste sorte, quella di essere governate da un popolo, col quale esse non hanno alcuna commu nanza nè di razza, nė di costumi, nè di lingua.
Gli Austriaci, dopo un mezzo secolo di dominazione, non erano ancora stabiliti in quelle provincie: vi erano accampati.
Questo stato di cose non si presentava come un fatto transito torio di cui si potesse prevedere il termine più o meno vicino ma s’aggravava ogni giorno e non faceva che peggiorare. Noi dicevamo che una tale condizione non era contraria ai trattati, ma ch’era contraria ai grandi principii di equità e di giustizia su cui riposa l’ordine sociale. Se non si giunge a condurre l’Austria a modificare i trattati esistenti, aggiungevamo noi, non si riuscirà ad una sola soluzione definitiva e vitale, e bisognerà contentarsi di palliativi più o meno efficaci. Nondimeno, nella speranza di migliorare momentaneamente una situazione tanto grave, noi ci siamo affrettati, sulla dimanda che ci era stata fatta, d’indicare gli espedienti che ci sembravano i meglio adatti per ottenere i risultati che si desideravano.
Disgraziatamente l’ Austria si mostro più che mai contraria ad ogni conciliazione; essa era decisa a mantenere per mezzo della forza quella preponderanza che aveva acquistata sugli Stati riconosciuti indipendenti dai trattati. Essa raddoppiava le mi nacce ed accelerava i formidabili preparativi militari diretti con tro il Piemonte che era la sola barriera opposta alla sua do minazione esclusiva in Italia.
I piccoli Stati che avevano legata la loro sorte a quella del l’Austria, e che erano allo stesso titolo incorsi nell’animaversione dei loro sudditi, non potevano mostrarsi meglio compresi dei loro doveri verso i loro popoli. Serie ed inevitabili complica zioni sembravano imminenti.
Il riposo dell’Europa trovavasi cosi in pericolo. Fu allora che la proposta d’un congresso fu fatta dalla Russia, aggradita dalle grandi potenze ed accettata dal Piemonte. La base del congresso era il mantenimento dello statu quo territoriale, vale a dire dei trattati che assicuravano i suoi possedimenti in Italia.
Si sa quello che è avvenuto: l’Austria, che vedeva posto in discussione non i suoi diritti legali che le erano espressamente riservati, ma le usurpazioni che aveva effettuate in dispetto delle stipulazioni europee, l’Austria getto la maschera ad un tratto; malgrado gl’impegni formali presi coll’Inghilterra di non attaccare il Piemonte, essa lanciò la sua armata contro gli Stati di S. M., ed i suoi generali dicevano senza riserva che l’lmpe ratore sarebbe venuto a trattare a Torino.
I fatti, per dire il vero, non corrisposero alla jattanza degli stati maggiori e le armale austriache hanno dovuto limilare le loro imprese a delle spogliazioni e ad atti di crudeltà inquali ficabili contro popolazioni inoffensive. Il nemico fu respinto dal territorio piemontese e le vittorie di Palestro e di Magenta ci hanno aperta la Lombardia. Fu in allora che gli avvenimenti hanno confermato i nostri giudizi sullo stato morale delle pro vincie lombardo-venete e dei piccoli Slati che avevano falto causa comune coll’Austria. I sentimenti delle popolazioni scoppiarono; le autorità municipali, le stesse autorità municipali che erano state istituite dall’Austria, hanno proclamata la decadenza del l’antico governo; esse hanno rinnovata l’unione del 1848 e confermata unicamente la loro annessione al Piemonte. Il mu nicipio di Milano la proclamò ben anco sotto il tiro del cannone austriaco.
Il Re accettando quest’atto spontaneo della volontà nazionale, non porta in alcun modo offesa ai trattati esistenti, giacchè l’Au stria, rifiutando l’accettazione di un Congresso che aveva per base il mantenimento di quei trattati ed invadendo gli Stati di S. M., lacero, in quanto la concerne, le transazioni del 1814 e 1815.
Le provincie italiane, che dalla fortuna della guerra erano state sottomesze forzatamente alla sua dominazione, sono rien trate nei loro diritti naturali; rese libere due volte nel corso di 11 anni, la loro volontà si manifestò senza ostacoli e senza pressione. Nel 18’18, come nel 1859, questi paesi si sono spon taneamente riunili al Piemonte come fratelli che ritrovano i fra telli dopo una lunga e dolorosa separazione.
Lo scopo della guerra attuale, S. M. lo confessa altamente, è l’indipendenza italiana e la cacciata dell’Austria dalla penisola.
Questa causa è troppo nobile per dissimularne l’importanza; essa è troppo sacra per non ottenere in prevenzione le simpa tie dell’Europa civile. Noi dobbiamo ben anco riconoscere che queste simpatie non ci mancarono mai, giacchè la politica del Governo del Re fu sempre la stessa, ed incontro l’approvazione non solo dell’opinione publica, ma dei Gabinetti.
L’Europa, colla voce de ‘ suoi più eminenti uomini di Stalo, attesto l’interesse che portava al destino della sventurata Italia.
Solo in questi ultimi tempi qualche nube e qualche diffidenza più o meno mascherata parve sorgere. Il generoso intervento dell’Imperatore Napoleone in favore d’un alleato ingiustamente aggredito e d’una nazione oppressa, fu sino ad un certo punto disconosciuto. Si volle attribuire a mire ambiziose ed a disegni d’ingrandimento ciò che non era che una nobile devozione alla causa della giustizia e del buon diritto, e il dovere imperioso di porre in salvo la dignità e gli interessi della Francia. Le dichiarazioni esplicite dell’Imperatore Napoleone III al momento di sguainare la spada, calmarono già considerevolmente queste apprensioni. Il proclama di Milano, chiaro, cosi netto e cosi de gno, dovette dissipare tutti i dubbj che avrebbero ancora potuto sussistere in alcuni animi prevenuti.
Noi abbiamo la più assoluta confidenza che l’equilibrio euro peo non sarà punto intorbidato per l’estensione territoriale di una grande Potenza, e che vi sarà in Italia un regno fortemente costituito, quale è naturalmente indicato dalla configurazione geografica, dall’unità di razza, di lingua e di costumi, e quale la diplomazia aveva già voluto formare un’altra volta nell’inte resse comune dell’Italia e dell’Europa. Colla dominazione del l’Austria e degli Stati che legarono i loro deslini a quelli del l’Austria, disparirà una causa permanente di turbolenze, l’ordine sarà guarentito, il focolare delle rivoluzioni estinto; l’Europa potrà abbandonarsi con tutta sicurezza alle grandi intraprese pacifiche che sono l’onore del secolo.
Ecco, signor Ministro, il punto di vista sotto il quale voi do vete presentare gli avvenimenti che si sviluppano in Italia. La lotta che l’Austria ha provocato deve avere per risultato la sua esclusione da un paese che la forza sola aveva assoggettato ad un giogo odioso ed intollerabile. La nostra causa, amo ripeterlo terminando questo dispaccio, è nobile e giusta; noi possiamo, noi dobbiamo confessarla altamente, ed abbiamo piena fiducia nel trionfo del buon diritto.
Aggradite, ecc.
Firmato C. CAVOUR

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