Convocazione del Generale Parlamento di Sicilia del 1848

Atto di convocazione del Generale Parlamento di Sicilia:

Categoria: Regno delle Due Sicilie

24 febbraio 1848.
Riunitosi il Comitato generale di Palermo, con l’intervento de’ Delegati del Comitati di Messina, Catania, Siracusa, Tra pani, Agosta e Leonforte, ad oggetto di deliberare sulle misure da prendersi per la convocazione del generale Parlamento, si è cominciato dall’ascoltare il seguente rapporto della Commissione incaricata di presentare sull’oggetto un lavoro preparatorio.
Esso è del tenor seguente:

SIGNORI
La Commissione da voi scelta per prepararvi un lavoro su la gestione più vitale che occupa questo generale Comitato, e dalla quale dipender possono forse i futuri destini della Patria, l’ha studiato con quella attenzione e rapidità che la suprema importanza del bisogno comandava, ed ha l’onore di presentarvi il risultato del suo lavoro che è felice di potervi annunziare essere stato ad unanimità adottato.
Dopo la vittoria, la cosa più difficile e gloriosa è sapere usar la vittoria.
La nazione Siciliana, che il dispotismo si lusingava aver cancellato dal novero delle nazioni, ha rivendicato col suo sangue il suo dritto.
Compiuta una rivoluzione sì stupenda, anela a piantare l’edificio delle sue istituzioni, sulle fondamenta della libertà, che ha conquistato; perché così mentre da un lato possa opporre tutte le forze riunite della nazione ad un governo che vinto non sa tentare altre armi che quelle della mala fede, dall’altro mostri al mondo che l’ammira e plaude alle sue vittorie, che, se i Siciliani sono eroi nel combattere, sono pure sapienti nel governare.
Questo Comitato Generale, comunque forte del consenso di tutta la Sicilia, ha immediatamente riconosciuto che sì nobile e grande missione non può essere confidata che alla nazione stessa.
Quindi non ha esitato un momento a proclamare la necessità di riunire una rappresentanza che fosse l’espressione completa non dell’impero dell’accidente o della dura necessità, ma del libero, pensato, e completo voto della nazione.
Ma le circostanze attuali potevano far sorgere delle difficoltà sul tempo e sul modo di questa riunione.
Quindi per accelerarne quanto si potesse lo scioglimento, fu eletta questa Commissione onde preparasse e facilitasse la risoluzione del Comitato. E la Commissione mettendo da canto tutte quelle considerazioni che sono o secondarie o inopportune, ha cercato limitarsi alle essenziali, e presentarvene lo sviluppo.
E prima di tutto si presentava la quistione dell’opportunità, poscia del dritto di convocare la rappresentanza nazionale;
ma questa seconda ed in parte anche la prima si doveva esaminare in relazione alla questioni sulla forma. Laonde per chiarir meglio la materia noi vi presenteremo le nostre considerazioni sulla opportunità e sul dritto, prima in generale, e poi dell’una e dell’altro vi parleremo in rapporto alla forma della rappresentanza nazionale.
Il primo bisogno dei popoli è l’ordine, e di un governo forte che possa mantenerlo; il primo bisogno d’un popolo libero è che questo governo sia l’espressione del voto nazionale, affinché con mano severa ne concentri la forza, e l’opponga ai nemici della libertà; il primo bisogno delle rivoluzioni e di un governo che alla sua stessa origine attinga tutta l’energia onde farla trionfare dell’anarchia da un lato e del ritorno della tirannide dall’altro Ora la sola rappresentanza nazionale può fondare un governo veramente nazionale. Inoltre il dispotismo che abbiamo abbattuto avea tanto distrutto e corrotto la nostra Società, che prima di cadere già l’anarchia esisteva; ed ora quello scomparso, sebbene l’universale consenso e il rispetto maraviglioso che il popolo siciliano abbandonato interamente a se stesso ha mostrato all’ordine, rassicuri, pur nondimeno è dovere supremo, che la nazione sia chiamata a consolidarlo e posar l’ordine sociale sopra basi inconcusse: la società sarebbe minacciata di grave scompiglio, se la nazione non occorresse a ricomporla.
Un’ultima ragione mostra, più che opportuna, necessaria la convocazione della rappresentanza nazionale, cioè appunto quella che da alcuni si potrebbe opporre alla sua convocazione.
Voi sapete, che un Ministro straordinario d’una gran Nazione, che ha mostrato tanta simpatia alla causa della nostra rigenerazione, ci propose un’amichevole mediazione col governo Napolitano, che noi con dignità e giusti riguardi l’accettammo. – La politica abituale napolitana cioè di promettere e poi mancare, ha proclamato e tentato di far svanire la mediazione sperando negl’indugi. In tal caso la nazione siciliana deve mostrare, che ha una volontà e che ha forza pari alla volontà e con un grand’atto di autorità nazionale romper gl’indugi e rafforzare le buone intenzioni di chi per noi patteggia: e dove la mediazione non riesca, è più che mai necessario trovarci pronti ad ottenere colla forza quello che è niegato alla ragione.
Per altro oggi il governo napolitano o si tratti direttamente o per mezzo d’un mediatore, certamente si dovrà decidere dei destini della Sicilia: e se la necessità estrema può imporre al Comitato generale l’assumere la terribile responsabilità di sti polare per una intera nazione, non si dee perdere un minuto perché, continuando gli indugi, si affretti il momento in cui questa responsabilità torni a chi più vi ha il dritto. Un solo pensiero può per un istante farci titubare, ed è che una volta convocata la rappresentanza nazionale, se nell’intervallo il mediatore otterrà quel che desidera la nazione, il Comitato troverebbesi forse impegnato ad aspettare la riunione effettiva;
ma tal dubbio non ci ha punto arrestati perché, fedele alla sua sacra missione quando l’urgenza il domanda, questo Comitato generale avrà il coraggio che la fiducia e la salute del popolo gli ispirerà, e saprà adempiere al dovere che ha finora coll’adesione di tutta la Sicilia adempiuto, cioè prendere quei partiti che possono far trionfare le causa della nazione.
Le ragioni che mostrano l’opportunità, anzi la necessità, di mostrano pure il diritto di convocarla.
Se il Comitato generale ha deciso della guerra, delle tregue, delle paci, ha stipulato col governo napolitano da potenza a potenza; se ha parlato parole libere a tutti i più forti, e dal rappresentante d’uno dei più grandi potentati della terra è stato riconosciuto come organo della nazione, e la nazione ha ratificato col suo plauso, può ben avere il dritto di convocare la rappresentanza nazionale; che ciò finalmente è il più grande omaggio che può fare alla nazione istessa. Quindi noi invece di dire ha dritto il Comitato generale di convocare la rappresentanza nazionale, diremmo piuttosto ha dovere di farlo.
Ma di ciò siam tutti sì convinti, che piuttosto la quistione del diritto e dell’opportunità spunta al momento che si parla della natura e dei modi di questa rappresentanza: ed eccoci alla quistione essenziale.
Qui vari sistemi possono proporsi. Ciascun sistema poi presenta le sue quistioni sulla forma, e sul modo da darsi alla rappresentanza che adotta. A questi diversi sistemi si collega la quistione del dritto, perché chi giudicasse che non si convochi il Parlamento secondo la costituzione del 1812, potrebbe pensare, che il generale Comitato non ha dritto a convocare un Parlamento, che secondo la costituzione stessa dovea essere convocato dal potere esecutivo.
Facile è qui la risposta e da noi già data in parte. Il Comitato ha fatto più che convocar un Parlamento, ha distrutto un governo che aveva seppellito il Parlamento, o almeno l’avea condannato ad un perpetuo sonno; e senza ciò la stessa costituzione prevede dei casi in cui manchi il potere esecutivo, e il Parlamento o da se stesso si riunisce, o accorre alla voce di chi a nome della nazione il primo l’invoca.
Il § 9, 13 e 14 della costituzione per la successione del trono, prevede il caso che non vi sia più erede al trono, e allora elegge il re, e non vi ha chi lo chiami.
Il § 10 fa tutore il Parlamento di un re; e non è il minore che chiama il tutore, ma il tutore che regge il minore.
Il § 15 prevede il caso dell’allontanamento del re senza consenso del Parlamento, il quale avrà diritto ad eleggersi il re, se manca il successore; il Parlamento non aspetta gli ordini del re assente per farlo.
Il § 24 prevede il caso d’incapacità, nel quale il Parlamento elegge una reggenza, e il Parlamento certo non aspetta la convocazione da un re incapace.
Ma il § 25 è decisivo: alla morte del re quando anche vi sia il legittimo successore, il Parlamento esistendo, prolunga per sei mesi le sue sedute. – Se non è riunito dovrà subito riunirsi da sé (testo della costituzione); se si trova sciolto, forma da sé un Parlamento nuovo.
E v’ha di più; questo Parlamento nuovo cosi francamente e proprio jure riunito, ha poteri più estesi d’ogni altro; è vero Parlamento costituente perché il § 26 statuisce che s’è minore il re a elegge la reggenza, fa la ricerca, corregge, riforma» più esattamente che in ogni altro tempo tutti gli abusi che» si fossero potuti introdurre durante il regno precedente e finalmente provvede ad ogni altro bisogno dello Stato – se li’, dunque può far tanto il Parlamento senza il potere esecutivo, quando occorra chi s’incarna in questo potere esecutivo, non ha altra colpa se non d’essere lontano, incapace o minore, che diremo quando il potere esecutivo dopo trentatre anni di tirannia prima dichiara la guerra alla nazione, poi la bombarda, e finalmente l’abbandona? ma fortunatamente la mano della Provvidenza sciolse il dubbio il giorno 12 gennaro 1848.
Dunque la ragione ed il testo stesso della legge fondamentale fa evidente che non vi è atto più santo, più legittimo, più costituzionale quanto convocare la rappresentanza della nazione siciliana.
Ora passeremo alla quistione sulle diverse forme di essa.
Quattro modi si possono escogitare nelle condizioni attuali di Sicilia.
Si può proporre un’assemblea nazionale nuova dell’intutto; si può allargare questo Comitato generale esistente chiaman dovi nel seno tutti o parte dei Comitati comunali; si può convocare il Parlamento del 1812 nelle sue forme rigorose; finalmente si può convocare questo Parlamento con modificazioni dall’attuale necessità dettate.
L’argomento principale del primo sistema sarebbe, che la rappresentanza da convocarsi dovendo essere l’espressione del voto nazionale dev’essere dal popolo eletta. Principio incontestabile; ma non si può in modo alcuno dimostrare, che tutte le altre maniere di rappresentanza proposte, non possono essere ugualmente l’espressione del voto della nazione.
Si potrebbe nel senso di questo primo sistema dubitare se il popolo avesse piena fiducia nel Parlamento colle forme della Costituzione.
Ma credete che n’abbia più in uno che non conosce? Quello visse poco, è vero; ma pure ci di libera la stampa, sacra la persona, maledisse le spie, incatenò l’autorità del Governo, proclamò l’indipendenza; fece più ancora; proclamò dritto sacro, la resistenza, cioè gittò nel cuore del popolo il seme della rivoluzione, che, sebben tardi, pure alla fine germogliò. L’assemblea nuova di cui si ragiona, farà meglio; e può sperarsi: ma non troviam necessario spingere i destini d’una nazione in un avvenire incerto, quando il passato ci è stato tanto fecondo.
E superate queste difficoltà, viene quella gravissima della composizione di quest’assemblea.
Sarà d’una o di due Camere? Se di due, che cosa la farà diversa dal Parlamento? Come si comporranno? Con quali norme? Da quale classe di cittadini? Con quali poteri? Se di una sola – allora si presentano alla mente di ognuno tutti gli argomenti che la scienza ormai ha vittoriosamente opposto ad un’assemblea unica da Delolme sino a Bentham, dai Lanjuinais insino a Beniamino Costante; la storia ci presenta argomenti più terribili ancora. La stessa gloria immortale della assemblea nazionale di Francia accresce lo spavento; perché il pensare che l’opera di Mirabeau, di Barnave e di altri sommi poté perdersi sotto la Montagna, mostra che il genio più sublime non resiste ad un’istituzione radicalmente viziosa.
Né vale il dire che il 48 non è il 93; perché quando gli stessi fenomeni delle assemblee uniche si vedono riprodurre in ogni epoca dalle repubbliche Greche alle Cortes di Spagna, fa d’uopo conchiudere che non è dei tempi la colpa, ma della legge.
Finalmente l’esempio di tutti i popoli i più liberi, sino alla repubblica modello d’America, che hanno rigettato le Camere uniche deve ammaestrarci, che almeno è qualche cosa di temerario il tentar d’impiantare in mezzo alle rovine d’una rivoluzione un’istituzione che tutti i popoli, vecchi maestri di libertà, hanno creduta perigliosa.
E se tali obbiezioni si fanno ad un’assemblea scelta dal po polo e dal voto popolare sostenuta, che diremo del secondo sistema che consiste in allargare questo General Comitato colla aggiunzione di un deputato di ciascun Comitato esistente?
Avremo la costituente non del popolo ma dell’accidente; e sarà l’espressione non del voto sereno d’un popolo che cerca 348 sapienti legislatori, ma del popolo che combatte e cerca uomini coraggiosi che lo guidino alla vittoria.
Il terzo sistema si limita a consigliare la convocazione del Parlamento sulle norme precise del 1812. Se qualcheduno vi era che lo pensasse, un momento di riflessione ha dovuto fargli mutar pensiero.
Non è in nostro potere arrestare il tempo, e se si può cancellare un’epoca, non si possono distruggere le conseguenze di trent’anni.
Quando si costituiva il Parlamento del 1812, la Sicilia era ancora adormentata sotto il Governo Feudale, l’Aristocrazia era potentissima, la Monarchia come cosa sacra venerata.
Il popolo non esisteva, quindi il popolo non avea viva rappresentanza nelle classi sue più feconde e vitali, come sono il commercio, i capitali, la intelligenza, la industria. Ora la Aristocrazia sparì il popolo è tutto.
Vi ha di più. Il Parlamento pure del 1812 era come la gran ruota d’una macchina intera complicata. – Il dispotismo da un lato e dall’altro il progresso dei lumi hanno in gran parte la macchina o rovesciata o distrutta; e ritornare al Parla mento preciso del 1812 sarebbe lo stesso che voler muoverla ruota principale senza ricomporre tutto il congegno.
Finalmente il desiderio anzi il bisogno di riformare la costituzione del 1812 e adattarla ai tempi è il nostro punto di partenza; e molti dubitano che il Parlamento strettamente se condo le forme del 1812 convocato, per lo meno andrebbe lento nel riformare se stesso.
Quindi non resta che l’ultimo sistema, cioè convocare il Parlamento nazionale che si avvicini quanto le circostanze, i dritti del popolo e i bisogni della riforma ci permettono, e che in tanto comprenda la sicura guarentigia, che spingerà la rivoluzione nelle sue vie senza precipitarla, ma al tempo stesso senza né arrestarla, né ritardarne il cammino; anzi n’accresca l’energia che basti a farla trionfare dai pericoli propri e da quelli che l’insidie d’un Governo che vincemmo ci semina a larghe mani ad ogni passo.
In questo sistema è convenuta unanimemente la Commissione, per due grandi altri motivi che scendono a considerazioni d’una sfera più elevata.
Sebbene molti non cercano nelle rivoluzioni altra legittimità che quella della vittoria, pur nondimeno non ci si può contrastare, che una rivoluzione che si parte dal dritto evidente, ed al dritto ritorni, ha qualche cosa d’imponente, che ai ne mici ispira rispetto, agli amici simpatia. Sebbene i dritti dei popoli sono scritti nel libro della Provvidenza, e non hanno bisogno di pergamene, pur nondimeno una rivoluzione, che cerca riconquistare i dritti d’un popolo, in un patto solenne col suo principe stipulati, si può chiamar piuttosto una ripa razione; e il popolo lungi dall’essere chiamato ribelle, ha dritto a chiamar ribelli i vicini e lontani, che tentano contrastargli il suo diritto. Il popolo siciliano, per mezzo di questo Comitato, che n’è stato l’organo fedele, nel suo ammirabile buon
senso il comprese, e sin dal primo momento che impugnò le armi, proclamò il suo diritto, e disse: che non le avrebbe de poste finché non avrebbe riconquistato la sua costituzione del 1812. Non dimenticò però sapientemente il suo dritto imprescrittibile e non scritto, il dritto ch’ebbe da Dio, di riformar questa medesima costituzione; ma unì l’uno all’altro, e si presentò al mondo deciso a combatter la battaglia sul campo del dritto naturale e del dritto costituzionale.
E il mondo plaudì: e qui viene la seconda grande considerazione.
Oggi il mondo, e particolarmente l’Europa non è più l’accidentale raccozzamento di tante società l’una dall’altra segregata, l’una all’altra indifferente, l’una dall’altra assoluta mente indipendente. Vi è una unione, se non espressa, tacita almeno, vi è un certo diritto internazionale (giusto o ingiusto che sia), pure un dritto esistente, e potentemente sostenuto.
Vi è in certuni una naturale antipatia per le rivoluzioni che non puossi vincere, se non appoggiandosi a certi diritti positivi. Vi è un anfizionato monarchico, che sorride alla libertà dei popoli, quando non può apertamente calpestarla. Or nulla 350 più sostiene la fortuna d’una nazione, quanto l’idea che combatte per riacquistare una costituzione violata dal Principe, anziché imporne una tutta nuova. –
Questa verità, che non ha di bisogno di prove o commentario per dimostrarsi, è stata forte abbastanza finora, per ottenerci un amico potente, neutralizzare un nemico potente oc
culto, e far tacere, o ridurre alla minaccia impotente una potenza nemica nata d’ogni libertà, l’odio d’Italia.
Questi argomenti ci facevano rifiutare il sistema dell’assemblea unica costituente, la quale non appoggiandosi al passato pareva voler rinnegare il principio proclamato dalla nostra rivoluzione, e le toglieva uno dei due puntelli che tanto piace alla sottilità diplomatiche. Rompeva la catena della tradizione e ci toglieva quell’aura di securità d’avvenire che avea inspirato all’interno ed all’esterno. Quindi in questa quistione della prima convocazione ci confermammo nel principio sì legittimo e prudente di non dilungarci dalla costituzione del 1812 che quanto la possibilità attuale, i mutamenti irreformabili del tempo, e la necessità delle riforme future ci permettevano.
Ma nel tentare quest’opera di transazione, e di transazioni ci si potrebbe forse opporre che noi i quali non vogliamo costituenti, facciam noi da costituente. Al che ci pare rispondere che qualunque forma si adotti, per necessità questo Comitato deve assumere una parte costitutiva; perché seppure si adottasse la forma meno complicata e si chiamasse Sicilia in generali comizii, si dovrebbero stabilire tali norme ai comizii che certo oltrepasserebbero, le riforme da noi proposte: e poi crediamo certamente atto più modesto del Comitato il dire al po polo siciliano: V’invito a riunirvi in Parlamento con quelle riforme che la necessità ci suggerisce: anziché dire, nulla più esiste, nulla, neppure la Costituzione che volete riformare; riunitevi al modo nostro.
Ora dunque non ci resta che a giustificare queste riforme.
Rannodarci al nostro passato, riformare quanto comanda l’attuale urgenza, convocare una rappresentanza che dia sicure guarentigie, che possa riformare a seconda i bisogni del po polo, furono i tre principii che ci guidarono.
Quindi cominciammo dal dare al Corpo che si riunirà un
nome che in sé non pregiudicasse a nissuna riforma futura, e che nel linguaggio richiamasse quello costituzionale; usammo la parola da voi consacrata sin dai primi momenti della ri voluzione. Abbiamo detto: è convocato il Generale Parlamento in Palermo; un breve preambolo contiene le idee riformatrici, che sono una ripetizione di quelle parole, che voi con tanta fermezza pronunziaste la prima volta e finora non avete abbandonato.
I pericoli conosciuti d’un’assemblea unica ci fecero decidere a farla risultare di due Camere; ed essendo indifferente nella sostanza il nome, ma molto importante per mostrare, che la costituzione del 1812 non si è perduta di vista, l’abbiamo chiamate coi nomi da quella consecrati, di Camera dei Comuni e Camera dei Pari.
La composizione della Camera dei Comuni dovea subire necessariamente riforme considerevoli. L’elemento popolare vi doveva essere pienamente influente; tutte le classi del popolo rappresentate, tutte le capacità trascurate nel 1812 comprese: le proprietà fondiarie, industriali, intellettuali, pecuniarie, doveano entrarvi; insomma nissun elemento della nostra democrazia, sì grande e sì gloriosa, dovea trascurarsi: quindi credemmo che doveano aver diritto a dare il voto elettorale otto larghe categorie invece dell’unica del censo considerata dalla costituzione del 1812; dall’artigiano al proprietario dovea trovare il suo rappresentante nel Parlamento, perché così diventasse una verità, che la Sicilia sia riunita in general Parla Imento.
Il numero dei rappresentanti per l’accresciuta popolazione fu accresciuto; le città capiluoghi di circondarii, tutte, chiamate a mandare un rappresentante; i distretti di uno aumentati.
Cosicché d’una cinquantina è cresciuto il numero dei deputati alla Camera dei Comuni al di là di quello fissato dalla costituzione del 1812.
Per quello che riguarda il diritto ad essere eletto ci parve che la ragione e i tempi non potevano sopportare, che per entrare in una Camera che dovea riformarla costituzione, e gettar le basi della fortuna della patria, vi volesse altro requisito fuorché la fiducia dell’elettore; quindi, senza affatto tener conto dell’ingiustizia del censo, che misura la dignità del l’uomo dagli scudi che possiede, abbandonammo al voto degli elettori la scelta. Non vi è cittadino elettore che non possa entrar nella Camera dei Comuni.
Due sole esclusioni conservammo per ora delle molte scritte nella costituzione, perché inevitabili per la natura, la morale e la ragione pubblica. Furono esclusi gli stranieri o sia i non
Siciliani, i minori di 20 anni, i condannati o accusati per reati comuni. Insomma stranieri, fanciulli e colpevoli soli sono allontanati dal santuario della legislazione.
La costituzione avea stabilito una gerarchia numerosa e complicata di magistrati per eseguire le operazioni elettorali: questa spari colla costituzione; riordinarla sarebbe stato o impossibile, o avrebbe domandato tanta lunghezza di tempo, che male risponde alle urgenze della nostra posizione: noi abbiamo adottato i mezzi più spediti e semplici.
Un’autorità dovea vegliare alle operazioni elettorali: ed era assai difficile trovarla; perché potendo influire sulle elezioni doveva essere assai pura e rispettata; onde l’ombra del sospetto non cadesse su quelle elezioni da cui dee dipendere la fortuna presente della patria e speriamo ancora d’un lungo e prospero avvenire. L’unica autorità nata in mezzo alla rivoluzione è quella dei Comitati provvisorii: ma conveniva rafforzarla con un elemento, con quello che fu sempre e sarà il più puro ed il più forte della terra, che fu sempre e sarà venerato massime in Sicilia, coll’elemento religioso. Finalmente vi aggiungemmo un terzo elemento che inspira la piena fiducia del po polo, perché alla sua fede tutte le proprietà e i dritti più cari sono confidati. Così un membro del Comitato, il parroco ed il più anziano fra i notai del Comune o della parrocchia formeranno le commissioni che dirigeranno le elezioni. Così sostenuti dal coraggio e dalla pubblica fede, abbiamo deposto sull’altare i destini della patria.
Il voto secreto per ischede ci è sembrato il solo che potesse in un momento di passioni ardenti assicurare la libertà del voto e la sincerità delle elezioni.
Queste sono le principali, per non dir tutte le modificazioni che riguardano la Camera dei Comuni; ma noi le crediamo tali, che con esse forse avremo una Camera tanto liberale, che forse i popoli più liberi ci potrebbero invidiare.
Ora vi parliamo della Camera de Pari.
Qui vi preghiamo anzitutto a riflettere, che nel nostro pro getto nulla si stabilisce che possa pregiudicare al destino definitivo della Paria.
Ma la Paria presentava due difficoltà:
1. Il numero scemato; e questo non ci sconfortava, perché ci dava più campo di supplirvi altri elementi.
2. La supposta antipatia di tale instituzione alle riforme popolari. A questo noi trovammo una risposta ed una guarentigia, una risposta che sta nel fatto del passato e del presente. Il credere che vi sia una classe di uomini per natura ostili al popolo è un crearsi pericoli e spargere dissidii senza prova. La Paria ch’ebbe la prudenza di deporre tutti i suoi odiosi privilegii, e farne in una notte volontario olocausto al popolo, è la Paria stessa i di cui figli veggiamo noi in mezzo a noi; che hanno combattuto col popolo e pel popolo, e che il popolo ha abbracciato come fratelli nel momento del peri colo; la proscriveremo dopo la vittoria? Siamo cresciuti noi popolo ed essi Pari alla scuola dell’uguaglianza e della sventura: noi siam sicuri che essi non la dimenticheranno giammai.
Ma sien pure sì imprudenti, ciò che non ritrae per nulla dal verisimile, ecco la guarentigia. Una Camera di Comuni così popolare inspirerà, se non vogliamo dire imporrà, opinioni libere e popolari a quella dei Pari. Ma v’ha di più ancora, e questo è decisivo; noi abbiamo proposto, come appresso vedrete, introdurre l’elemento popolare assai largamente nella stessa Camera dei Pari, ma prima bisogna parlare della Paria spirituale.
I Pari Ecclesiastici sono certamente più accetti al popolo, perché per lo più sono fratelli del popolo; ne conoscono i bi sogni, e per ufficio hanno la missione di sollevarli. La Religione di Gesù Cristo che santificò l’eguaglianza, oggi è la salvaguardia della libertà, e la nostra rivoluzione cominciò, come in tutta Italia, col nome del Vicario di Cristo sulla bocca.
Noi credemmo reato di lesa religione il non chiamare i Pari Ecclesiastici nella Camera dei Pari, anzi questa ci fu ragione potentissima a conservarla.
Ma sieno Pari Temporali o Ecclesiastici, certamente non devono sedere nella rappresentanza della nazione Siciliana, che Siciliani; fra gli Ecclesiastici non devono sedere secolari che hanno cambiato in proprio guadagno profano i beni della Chiesa, cioè dell’orfano e del povero, della vedova e dell’infelice.
Quindi ne sono esclusi i non Siciliani e i Commendatori: ora questa esclusione riduce a metà quasi il numero dei Pari, ed ecco il momento d’infondere nella Camera dei Pari un san gue nuovo ed egualmente puro, il sangue popolare. Noi dunque abbiamo proposto, che fatta una lista delle Parie vacanti di accordo tra la Camera dei Pari e quella dei comuni, per tutte le vacanze rispettive di Pari temporali e spirituali si suppliscano altrettanti membri, che la Camera dei Comuni proporrà in terna, nella quale quella dei Pari necessariamente sceglierà; a questo modo avremo una Camera di Pari democratica quanto quella dei Comuni, e dove l’elemento ecclesia stico sarà rappresentato dal Clero veramente militante. L’elemento aristocratico, se pure esiste, si fonderà col popolare; e così avremo tutti i vantaggi di due Camere senza averne i pericoli.
Ma finalmente si presentava un’ultima difficoltà che ci si affacciava sin dal principio, ma che riserbar si dovea quando tutto il nostro progetto sarebbe stato svolto.
In caso di divergenza di opinioni tra queste due Camere, potendo non esservi il terzo potere esecutivo che li mettesse d’accordo, come funzionerà la macchina legislativa?
A questo con un’ultima guarentigia tutta popolare noi abbiamo risposto, perché nei casi di divergenza un Comitato misto di membri delle due Camere di ugual numero deciderà; ma la preponderanza è decisa a quella dei Comuni, perché sarà preseduta dal Presidente della Camera dei Comuni Con quest’ultima guarentigia noi speriamo che non ci è ti more anche esagerato che non s’acqueti; la causa del popolo è assicurata, e la nostra libertà salvata dagli errori e dalle ingiustizie, che una Camera unica nell’impeto de suoi movimenti potrebbe commettere.
Ora che conoscete tutti i principii che hanno regolato, non ci resta che leggervi il progetto, il quale ne contiene le applicazioni in dettaglio, per decidere se sia degno della vostra approvazione.
I componenti la Commissione Pasquale Calvi presidente; Vito Beltrami; Gabriele Carnazza; Francesco Ferrara; Emerico Amari relatore.
Il Comitato, approvando per acclamazione unanime le con clusioni del sopra inserto Rapporto, ne ha ordinato la stampa.
Si è quindi passato a leggere e discutere il progetto dello Atto di convocazione, ed approvatolo ugualmente ad unanimità, si è pure ordinato di pubblicarsi e diramarsi in tutta l’Isola. Esso è del tenore seguente:
CONVOCAZIONE DEL GENERALE PARLAMENTO DI SICILIA
Comitato Generale in Palermo.

AL POPOLO

Dal momento in cui la Sicilia prese le armi contro un potere illegittimo, che spogliandola de’ suoi dritti i più sacri l’aveva umiliata alla più degradante servitù, il suo primo grido, cento volte poi ripetuto fu «ch’essa non avrebbe posato le armi,» finché riunite in Palermo in General Parlamento non avesse» adattato ai tempi la sua costituzione che da molti secoli aveva» posseduto, e che sotto la influenza della Gran Brettagna fu» riformata nel 1812.
Appena la Provvidenza ha benedetto le nostre armi, e suggellato colla vittoria la giustizia della nostra causa, il primo e più santo dovere cui si riconosca obbligato il Comitato Generale, onde rispondere alla fiducia, che ha in lui risposto l’unanime adesione di tutta la Sicilia, è quello di accelerare quanto è possibile, il solenne momento in cui la nazione libera possa riunirsi in Parlamento, perché adattando ai tempi la sua costituzione, fermi le basi della pubblica prosperità, e sotto la mano potente dell’Altissimo, sollevi la nazione ai grandi destini, a cui la natura ed il coraggio de’ suoi figli l’hanno chiamata.
Trentatre anni di dispotismo però, ed il necessario progresso morale ed intellettuale del popolo, hanno nell’intervallo pro fondamente mutato le condizioni della società; la urgenza dei bisogni della patria è sì imperiosa, che sarebbe impossibile nel momento attuale riunire un Generale Parlamento colle norme rigorose della costituzione del 1812, per poscia arrecarle quelle modificazioni che possano solo satisfare ai tempi mutati. Quindi stretto dalla più evidente necessità questo Generale Comitato invita tutta la Nazione a riunirsi in Generale Parlamento colle seguenti norme:
1. È convocato in Palermo il Generale Parlamento per adattare ai tempi la costituzione del 1812, o provvedere a tutti i bisogni della Sicilia.
2. A tal uopo le Camere dei Comuni, e dei Pari, si riuniranno in Palermo il giorno 25 marzo prossimo, solennità dell’Annunziazione di Maria Vergine.
3. Tutte le Città e Terre parlamentarie che, secondo il § 3, 4 e 5 del cennato capitolo, ed altre Città, che per le leggi seguenti del Parlamento hanno diritto alla rappresentanza, pro cederanno alla elezione dei loro rappresentanti, il giorno 15 marzo.
4. Tutti li 23 distretti, che, secondo il § 2 del Cap. V, Tit. I, della costituzione e la mappa annessavi in fine, hanno diritto a mandare rappresentanti, ed il nuovo Distretto di Aci reale posteriormente creato, nomineranno nei loro capi-luoghi rispettivi ciascuno due rappresentanti il giorno 18 marzo 1848.
5. Le Città manderanno il numero dei rappresentanti corrispondente alla loro popolazione, giusta il censo risultante dall’indice alfabetico dei Comuni di Sicilia, coll’indicazione della popolazione, compilato dalla Direzione generale di statistica in agosto 1846, e pubblicato per le stampe in Palermo in detto anno, di cui copia si spedisce annessa al presente regolamento; dimodochè le città che avranno raggiunto la cifra di 18 mila abitanti ne manderanno due, e quelle che avranno raggiunto la cifra di 6 mila ne manderanno uno.
Se però ve n’ha di quelle che avevano il dritto di rappresentanza per la costituzione del 1812, e dopo quell’epoca avranno diminuito di popolazione, manderanno ciò non ostante il numero di rappresentanti stabilito nella costituzione.
6. L’isola di Lipari eleggerà il suo rappresentante ai termini del § 7 della costituzione al capitolo cennato.
7. Tutte le Comuni inoltre che sono attualmente capi-luoghi di circondario, sebbene non abbiano la popolazione di 6 mila abitanti, manderanno purnondimeno un rappresentante per una.
8. Le università degli studii di Catania e di Messina manderanno un rappresentante per ciascheduna, e due quella di Palermo, in conformità del § 8 del cennato Cap. V della costituzione, Tit. I.
9. Mancando nel momento attuale le liste elettorali, e tutti i magistrati che la costituzione ed i regolamenti richiedevano per procedersi all’elezioni; né le circostanze permettendo gl’indugii della loro creazione, saranno elettori dei membri del prossimo general Parlamento.
I. Tutti i proprietarii che possiedono una rendita vitalizia o perpetua di onze 18, giusta il § 1 del Cap. VIII, Tit. 1 della costituzione.
II. I dottori o licenziati in qualunque siasi facoltà.
III. I membri delle Accademie letterarie, scientifiche, ed artistiche del Regno.
IV. I professori delle università degli studii, i membri dell’Istituto d’incoraggiamento, delle Società, e delle Commissioni economiche del Regno.
V. Tutti i commercianti inscritti nei ruoli ultimi dell’abolita tassa dei negozianti.
VI. Tutti gli artisti e maestri inscritti nelle liste delle guardie nazionali: ed in quei luoghi in cui non è ancora organizzata la guardia nazionale, tutti gli artisti ed i maestri, che trovansi superiori o congiunti delle Congregazioni laicali.
VII. Tutti coloro infine che trovansi inscritti nelle liste de gli eleggibili comunali ultimamente pubblicate.
10. Non potranno esercitare il dritto elettorale:
I. Tutti coloro che non sanno leggere e scrivere, giusta il capitolo X della costituzione, al titolo della libertà, dritti, e doveri del cittadino.
II. Tutti coloro che sono esclusi dalla rappresentanza dal § 1 e 2 del Cap. 6, Tit. I della costituzione.
III. Gli accusati, e quei che legalmente ne sono interdetti pei soli reati comuni, giusta il Codice penale provvisoriamente in vigore.
11. Qualunque cittadino Siciliano, che avesse una delle qualità anzidette per essere elettore, quando otterrà la maggioranza dei voti degli elettori, che voteranno nel giorno della elezione, sarà il rappresentante del distretto, della città, ed università che l’avrà eletto, senza aver di bisogno di qualunque altro requisito; salvo che non incorra nell’esclusioni cennate nel $ precedente.
12. I Comitati provvisorii delle città o comuni, nelle quali deve procedersi all’elezioni, destineranno, appena ricevuto il presente atto di convocazione, il luogo e l’ora in cui si dovranno effettuare le elezioni.
Sceglieranno a maggioranza di voto uno de’ loro membri; il quale di unita all’Arciprete o Parroco o Curato, o chi n’esercita le funzioni, ed al più anziano fra i notai del Comune forme ranno le Commissioni incaricate delle operazioni elettorali: il membro del Comitato scelto ne sarà presidente.
Queste Commissioni terranno:
I. Per due giorni precedenti a quello fissato come sopra per l’elezione, un registro aperto disposto ad alfabeto, nel quale andranno ad inscrivere il proprio nome, cognome, paternità e domicilio, tutte le persone ch’hanno le qualità per essere elettori.
II. Veglieranno affinché non s’iscrivessero persone che non ne hanno ii diritto; al quale effetto giudicheranno provvisoria mente se la persona che si presenta abbia o no le qualità di sopra richieste, salvo il richiamo alla Camera dei Comuni, che ne deciderà definitivamente; e in caso di ammissione le rilasceranno un bullettino a firma di tutti e tre, onde presentarlo nel giorno delle elezioni.
III. Preseteranno nel detto giorno alle operazioni elettorali;
raccoglieranno i voti; nomineranno due elettori a fare da squittinatori.
IV. Insomma prenderanno tutte le misure convenienti perché l’elezioni si compiano colla massima tranquillità, e l’ordine più esatto, allontanando le persone che cercassero disturbarlo.
13. L’elezioni si faranno a votazioni segrete; cioè consegnando ogni elettore un bullettino, in cui sia scritto il nome del suo candidato, in mano del Presidente, della Commissione che lo deporrà in un’urna chiusa alla presenza dell’elettore, e degli altri due membri della Commissione.
14. Passata l’ora fissata per la votazione, il Presidente della Commissione ad uno ad uno trarrà dall’urna i bullettini, li leggerà ad alta voce, e li passerà successivamente agli altri due membri; ed i due squittinatori verranno scrivendo il nome del candidato coi voti successivi; quindi raccolti, proclamerà il risultato della votazione, tutte le quali operazioni saranno fatte pubblicamente alla presenza degli elettori.


15. Se nissuno dei proposti otterrà un voto più della metà dei voti espressi, si passerà a votare in iscritto e segretamente per sì e per no, sopra ciascuno dei proposti, cominciando da colui, che avrà ottenuto più voti, e così contiunando sino a che si arriverà al nome di colui che otterrà uno più della metà dei voti.
16. Nissuno potrà presentarsi armato per iscrivere il suo nome nei registri, o per votare nelle elezioni, sotto pena di non poter più votare in questa elezione.
17. Compiuta l’elezione, le Commissioni elettorali rilasceranno un attestato della elezione al rappresentante eletto, munito delle loro firme; copia del quale, anche da loro sotto scritta, e vistata dal Presidente del Comitato locale, invieranno a questo Comitato generale, che lo presenterà alla Camera dei Comuni appena riunita. Redigeranno un verbale delle operazioni elettorali, che insieme al registro degli elettori conserveranno sotto suggello a disposizione della Camera dei Comuni.
18. Nelle Città che v’hanno più parrocchie, le Commissioni elettorali saranno composte da un membro del Comitato scelto a maggioranza di voti, come all’art. 12 per ciascuna parrocchia, dal Parroco di essa, e dal Notaio più anziano domiciliato in essa.
Queste Commissioni si limiteranno alle operazioni preliminari sino alla raccolta dei bullettini; quindi si riuniranno tutte le Commissioni di tutte le parrocchie nella casa comunale, dove si farà lo spoglio dei bullettini; e si passerà a dichiarare eletto colui (o coloro, quando i rappresentanti devono essere più di uno) che riuniranno la maggioranza dei voti complessivi di tutte le parrocchie, come all’art. 15.
19. Tutti i Pari temporali indicati nel § 2 del Cap. IV, Tit. t della costituzione e nella mappa annessavi in fine, o in loro mancanza i loro successori nel titolo, secondochè la successione si trovava stabilita nelle particolari famiglie nel 1812, e tutti i Pari ecclesiastici indicati nel § stesso, e nella stessa mappa, sederanno nella Camera dei Pari.
20. Sono esclusi dalle Parie temporali i non Siciliani, e dalle spirituali gli ecclesiastici non Siciliani, e coloro che le possedessero in commenda.
21. E siccome molte Parie temporali sono oggi estinte, o possedute da non Siciliani; e molte Parie spirituali sono vacanti, ovvero possedute da commendatori o da prelati non Siciliani; così per restituire la Camera dei Pari al numero, al quale, secondo la mappa annessa alla costituzione, giugeva nell’ultima sessione, sarà completata nel modo seguente:
La Camera dei Comuni legittimamente costituita, ed eseguite da quella dei Pari le formalità indicate nell’art. 23, presenterà alla Camera dei Pari tante terne separate, di persone laiche ed ecclesiastiche, per quante Parie temporali ed ecclesiastiche sono rispettivamente mancanti.
E siccome non si tratta di costituire in persona degli eletti una Paria definitiva, così qualunque sarà eligibile alla Camera de’ Comuni potrà essere compreso nella terna dei Pari mancanti.
La Camera de’ Pari sceglierà necessariamente sulla nota tripla presentata da quella dei Comuni entro tre giorni dal di della presentazione; e dove trascuri di farlo, il primo nominato interna sarà di dritto il Pali eletto.
22. La Camera dei Pari e quella dei Comuni si riuniranno in locali per questa prima volta preparati da questo Comitato generale, sotto la presidenza del più vecchio fra i membri presenti di ciascheduna Camera, per procedere alla elezione dei loro rispettivi Presidenti e Vice-presidenti, ed alla verifica dei titoli dei loro membri rispettivi.
23. Appena eletto il Presidente, la Camera dei Pari non potrà passare ad altri atti, se prima non invierà a quella dei Comuni la lista delle Parie temporali o ecclesiastiche va canti.
Se la Camera dei Comuni non la giudicherà esatta, un Comitato misto di venti membri della Camera dei Comuni, e di altrettanti di quella del pari, sotto la presidenza del Presidente della Camera dei Comuni, fisserà definitivamente la lista e si procederà immediatamente alla proposta delle terne supplimentarie come all’art. 21.
24. In tutte le misure, in cui sarà divergenza di opinione fra le due Camere, un Comitato misto come all’articolo precedente composto, e sempre eletto all’uopo pel caso speciale, deciderà.
Le Camere sono obbligate a scegliere entro il termine di otto giorni il loro Comitato, spirato il quale la Camera più diligente farà la scelta nell’altra.
I Comitati misti sono in numero legale quando vi sono riuniti due terzi dell’intero numero.
Così riunito il General Parlamento, saranno adempiuti i voti della nostra eroica Nazione; ed il Comitato Generale affretta col desiderio questo giorno augurato, perché sotto gli ordini della rappresentanza nazionale abbiano fine quei Poteri che la necessità e la fiducia del popolo gl’impose nei giorni più perigliosi della nostra gloriosa rivoluzione.
Fatto e deliberato ad unanimità di voti oggi il giorno 24 febbraio 1848.

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