Da che parte va il mondo?, articolo di Benito Mussolini pubblicato su “Gerarchia” il 25 febbraio 1922
I.
Tre anni sono passati dal giorno in cui gli eserciti deposero le armi: tre anni turbinosi di vicende come tre secoli, tanto che la grande guerra appare – a coloro che l’hanno fatta più che agli altri – straordinariamente lontana nello spazio e nel tempo. Talvolta ci si domanda se noi siamo realmente i contemporanei della Marna o di Vittorio Veneto: abbiamo tanto vissuto, la somma degli avvenimenti è così grande che il passato ci schiaccia quasi a renderci i posteri della nostra contemporaneità. Quando, or sono tre anni, decine e decine di milioni di uomini lasciarono le trincee, dove avevano appreso, giorno per giorno, la ferrea e sacra disciplina della Morte e si rovesciarono più o meno caoticamente nell’interno delle Nazioni, gli studiosi dei fenomeni sociali e coloro che formavano la minoranza politica dei Governi, si domandarono che cosa sarebbe avvenuto, quali direzioni avrebbe preso questo enorme fiume di umanità invecchiata e tormentata, che aveva abbandonato i fragili e angusti alvei di mille trincee. A destra o a sinistra? Prima di rispondere a questa domanda, bisogna precisare il senso di queste parole. Che cos’era, nel linguaggio corrente, la Destra? Che cos’era la Sinistra? Procediamo per esemplificazioni. Nel campo politico destra era, ad esempio, la monarchia; sinistra, era la costituente o la repubblica; nel campo dell’economia, destra era il capitalismo, sinistra era il socialismo; nel campo dello spirito la destra era rappresentata dal tradizionalismo religioso, artistico, filosofico, e la sinistra da tutti gli avanguardismi che nel cattolicesimo si chiamarono democrazia cristiana (Loisy, Murri); nella filosofia, bergsonismo, nell’arte, futurismo. Destra, significava stasi, conservazione, reazione, aristocrazia; sinistra dinamismo, rivoluzione, democrazia e soprattutto progresso. L’elemento massimo di selezione era rappresentato dal socialismo: coloro che né accettavano le dottrine, erano naturalmente a sinistra; coloro che le respingevano, a destra. La terminologia di destra o di sinistra, aveva un valore nel campo politico-sociale, sopratutto in confronto e in riferimento al socialismo. Andare a sinistra significava, andare verso un’epoca storica che avrebbe consacrato il trionfo del socialismo; andare a destra, significava o fermarsi nell’attuale periodo storico o andare verso forme di civiltà, lontane dal tipo vagheggiato dalle dottrine socialiste. Il mondo, e per meglio intenderci, le società di razza bianca diffuse in Europa e in America – gli altri tre continenti sono esclusi dalla nostra indagine – va verso sinistra, cioè verso un tipo di civiltà socialista, o verso destra, cioè verso un periodo di civiltà non socialista? Insomma: si va o non si va verso la «rivoluzione sociale», verso la realizzazione concreta delle ideologie socialiste, dall’abolizione della proprietà privata alla creazione dell’internazionale, verso l’avvento del proletariato quale classe dirigente le collettività nazionali? Si va verso la pace duratura o è necessario convincerci che si tratta di un’utopia?
II.
All’indomani dell’armistizio, il pendolo oscillò violentemente verso sinistra: sia nel campo politico, che nel campo sociale. Due imperi crollarono: quello degli Hohenzollern e quello degli Asburgo, mentre un altro, quello dei Romanoff, li aveva preceduti. Sorsero delle repubbliche, alcune delle quali, come la tedesca, non rappresentavano nemmeno un tentativo supremo, disperato di patriottismo come la Comune del ’71, ma un espediente per ottenere una pace wilsoniana. Negli anni ’19-20 tutta l’Europa centrale ed orientale è travagliata dalla crisi politica di consolidamento dei nuovi regimi, aggravata e complicata dalla crisi che chiameremo socialista, cioè dai tentativi di realizzare qualcuno dei postulati delle dottrine socialiste. Nei paesi vinti la crisi politico-sociale attinge forme acutissime – come in Prussia, in Baviera, in Ungheria – ma non risparmia nemmeno i paesi vincitori come la Francia e l’Inghilterra, che devono fronteggiare giganteschi movimenti di masse, e assume forme inquietanti – dal moto del caro-viveri del 1919 all’occupazione delle fabbriche nel 1920 – nel paese più povero fra i paesi vittoriosi: l’Italia. L’impressione generale di quegli anni è che il mondo va ormai a sinistra, con moto vorticoso; che la sinistra storica, non nel senso parlamentare italiano, è rappresentata dalla Russia, la quale ha segnato la strada che tutti i popoli dell’Europa e del Mondo dovranno percorrere: tutti i valori tradizionali vengono capovolti; l’eroismo di guerra è vilipeso e viene esaltata la diserzione; tutte le gerarchie tradizionali spezzate (un cosacco diventa generalissimo della guarnigione rossa di Pietrogrado e un Krilenko qualsiasi, viene elevato alla dignità di generalissimo dell’esercito sovietista), le gerarchie economico-tecniche – frutto di una lunga selezione e di un faticoso travaglio scientifico – non sfuggono al destino delle altre: gli ingegneri delle officine Putiloff vengono cacciati nei forni. Sembra che da quel momento le officine non abbiano fuso altro materiale. Anche in questo campo le diverse società europee ci offrono una scala di sfumature, che sono in relazione col loro grado di civiltà e colla maggiore o minore profondità dello sconvolgimento sociale. In Russia la famiglia dello zar viene massacrata senza processo; in Germania quella degli Hohenzollern può andarsene in esilio. In Russia tutto il sistema economico cosiddetto capitalistico viene interrotto e paralizzato, anche attraverso attraverso l’eccidio fisico dei «borghesi»; in Germania, compresa la stessa Baviera, non si è mai arrivati agli estremismi russi, né in materia politica, né in materia sociale. Tuttavia le linee di questa crisi del primo biennio del dopoguerra europeo apparivano così paurose, che molti elementi – in ispecie politicanti – delle classi borghesi, si erano rassegnati all’ineluttabile, e credendo oramai nell’imminenza del cataclisma, avevano abbandonato ogni forma di resistenza, anche passiva: mentre i bottegai italiani consegnavano le chiavi alle Camere del Lavoro, gli ideologi della democrazia e gran parte dell’intelligenza borghese inclinava a sinistra, nel pensiero e nell’azione molto spesso sventatamente riformatrice, diffondendo sempre più vastamente nelle masse la convinzione che il vecchio mondo – quello della destra – era destinato a morire. Come tutta questa aspettazione si colorisse nell’anima e nella azione delle masse lavoratrici, è cronaca triste di ieri.
III.
Non v’ha dubbio che la fine del 1920 segna in tutta Europa il culmine della crisi sociale di «sinistra». Ma nei quindici mesi intercorsi da allora ad oggi, la situazione è cambiata. Il pendolo volge ora a destra. Dopo l’ondata della rivoluzione, ecco l’ondata della reazione; dopo il periodo rosso (l’ora rossa), ecco l’ora bianca. Come sempre accade, la nazione che più violentemente scartò a sinistra, è quella che, da qualche tempo, cammina più velocemente verso destra: la Russia. Il «mito» russo è già tramontato. La luce non viene più dall’oriente. Dall’oriente russo vengono terribili notizie di fame e di morte; da Pietrogrado giungono appelli disperati di socialisti e di anarchici contro la reazione di Lenin. Il professore Uljanov è oggi uno zar, che segue a puntino – all’interno e all’estero – la politica dei Romanoff. Forse l’ex-professore di Basilea non credeva che la sua carriera avrebbe sboccato nella reazione; ma, evidentemente, i Governi devono adeguarsi ai popoli e il popolo russo – enorme armento umano, paziente, rassegnato, fatalista, orientale – è incapace di vivere in libertà: ha bisogno di un tiranno; come del resto tutti i popoli, anche quelli dell’occidente, muovono ansiosi, oggi più che mai, alla ricerca di istituzioni, di idee, di uomini che rappresentino dei punti fermi nella vita, che siano dei porti sicuri, in cui ancorare – per qualche tempo – l’anima stanca di aver troppo errato. Si può affermare, senza cadere in peccato di tedescofìlia (di «fìlie» noi né abbiamo una sola: quella per l’Italia) che la Germania ha avuto il maggior merito in questa virata a destra del mondo sociale contemporaneo. Non solo quella che si potrebbe chiamare la Germania borghese, ha resistito magnificamente agli assalti della sinistra (ultima documentazione di ciò, è la fine del recentissimo sciopero ferroviario) ma il fenomeno più interessante della Germania attuale, è la refrattarietà dimostrata dal movimento operaio all’infezione russa. Il bolscevismo non è riuscito ad infettare il movimento operaio tedesco. Le sollevazioni, i «putsch» (la parola stessa è significativa), lo stesso tentativo sovietista di Monaco di Baviera, non smentiscono la mia affermazione. La verità è che le grandi masse della popolazione operaia tedesca sono rimaste estranee al bolscevismo marca russa, che è diventato monopolio di alcune piccole sette, le quali non hanno importanza alcuna nella vita germanica. Basta ricordare che l’antitesi categorica fra socialismo e bolscevismo è stata innalzata e dimostrata dal più grande teorico del marxismo: da Kautsky. È inutile indagare se il bolscevismo sia una merce tedesca importata in Russia, a scopo di guerra – una specie di gas asfissiante ideologico – che doveva mettere fuori di combattimento il famoso rouleau compresseur. Le rivelazioni di Bernstein lo farebbero credere, ma quello che si può affermare è che la Germania, ottenuto lo scopo di atterrare militarmente la Russia e constatato anche a questo preciso fine, l’inutilità del bolscevismo, è stata poi la grande barriera che ha salvato il mondo occidentale dalle mortifere infezioni del bolscevismo russo: la Germania ha segnato il tempo d’arresto della marcia europea del bolscevismo, in ciò aiutata dall’istintivo disprezzo che ogni tedesco nutre per ogni russo. Dopo la Germania, la nazione che più rapidamente si è riscattata dall’ossessione del mito russo, è l’Italia, grazie all’irrompere del fascismo. L’esame dell’Europa contemporanea, potrebbe estendersi alle altre nazioni, ma non è necessario. Le tre nazioni che recano in grembo le più grandi possibilità di sviluppo e di avvenire, sono, attualmente in Europa, la Russia, la Germania e l’Italia, ed è appunto in queste tre nazioni che il movimento sociale e spirituale va indubbiamente a destra.
IV.
A questo punto, dopo l’innegabile constatazione dell’orientamento a destra degli spiriti, un quesito s’impone e ci piace di formularlo nei termini seguenti: si va a destra nel senso che vengono annullate tutte le esagerazioni estremistiche dell’immediato dopoguerra, o si va a destra nel senso di una revisione di valori assai più vasta e radicale? È il contenuto, il mito, la storia di due anni soltanto che è in gioco, od è in gioco un secolo di storia, quello che comincia dalla Convocazione degli Stati Generali di Francia e finisce allo scoppio della guerra mondiale nell’agosto del 1914?
L’orientamento a destra durerà un paio d’anni come è durato quello di sinistra o durerà ben più a lungo? Noi rispondiamo sì al secondo interrogativo. Se il secolo XIX fu il secolo delle rivoluzioni, il secolo XX appare come il secolo delle restaurazioni. I due anni dell’immediato dopo guerra, in orni l’orientamento di sinistra raggiunse il suo apice, sono gli ultimi anelli della catena forgiata nel 1789 e che fu brevemente interrotta dalla Santa Alleanza nel 1815. Perché il conato della Santa Alleanza non riuscì a soffocare completamente il moto suscitato nei popoli europei da Napoleone? Perché il complesso delle ideologie ottantanovesche, aveva allora degli elementi necessari e vitali, per cui la fiamma spenta sulle pianure di Waterloo nel 1815, doveva risplendere nel 1848. I regimi di sinistra quali furono instaurati in tutta Europa tra il 1848 e il 1900 – a base di suffragio universale e di legislazione sociale – hanno dato quello che potevano dare. Il biennio 1919-1920 rappresenta l’ultimo filo della matassa democratica elaborata durante un secolo. Di repubbliche né abbiamo un campionario; la democrazia ha realizzato tutti i suoi postulati; il socialismo ha realizzato il programma minimo ed ha rinunciato al massimo. È in questo momento che comincia il processo al secolo della democrazia. È in questo momento che i concetti e le categorie «democratiche» vengono sottoposte alla critica più spietata di demolizione. così si appalesa che la giustizia democratica del suffragio universale è la più clamorosa delle ingiustizie: che il governo di tutti – ultima tuie dell’ideale democratico – conduce in realtà al governo di nessuno; che l’elevazione delle masse non è necessariamente una condizione sine qua non di progresso e che – sopratutto – non è affatto dimostrato che il secolo della democrazia debba preparare l’avvento al secolo del socialismo. Questo processo politico è affiancato da un processo filosofico: se è vero che la materia è rimasta per un secolo sugli altari, oggi è lo spirito che né prende il posto. Conseguentemente vengono ripudiate tutte le manifestazioni peculiari dello spirito democratico: il facilonismo, l’improvvisazione, la mancanza di senso personale di responsabilità, l’esaltazione del numero e di quella misteriosa divinità che si chiama «popolo». Tutte le creazioni dello spirito – a cominciare da quelle religiose – vengono al primo piano, mentre nessuno osa più attardarsi nelle posizioni di quell’anticlericalismo che fu per molti decenni, nel mondo occidentale, l’occupazione preferita della democrazia. Quando si dice che Dio ritorna, s’intende affermare che i valori dello spirito ritornano. Nessuno crede più alla fatalità e alla scientificità del socialismo. Il secolo della democrazia muore nel 1919-20. Muore colla guerra mondiale. II secolo della democrazia s’incorona fra il 1914 e il 1918 collo spaventoso, necessario e fatale trofeo di dieci milioni di morti. L’obbligo universale della coscrizione non era. dunque nel bagaglio delle ideologie democratiche? La guerra mondiale ci appare così al tempo istesso come l’epopea sacra e la bancarotta confusionaria, il capolavoro e il fallimento, la vetta suprema e il precipizio senza fondo del secolo della democrazia. L’enorme importanza storica della guerra mondiale, è in ciò: che la guerra democratica per eccellenza, quella che doveva realizzare per le Nazioni e per le classi gli immortali principi – oh famosi quattordici punti di Wilson, oh melanconico tramonto del Profeta – la guerra della democrazia, insomma, inizia il secolo dell’anti-democrazia. «Tutti» è l’aggettivo principe della democrazia: la parola che ha riempito di sé il secolo XIX. È tempo di dire: pochi ed eletti. La democrazia agonizza in tutti i paesi del mondo: in alcuni, come in Russia, è stata uccisa; in altri subisce un processo d’involuzione sempre più manifesto. Può darsi che nel secolo XIX il capitalismo avesse bisogno della democrazia: oggi, può farne a meno. La guerra è stata «rivoluzionaria» nel senso che ha liquidato – tra fiumi di sangue – il secolo della democrazia, il secolo del numero, delle maggioranze, della quantità. Il processo di restaurazione a destra è già visibile nelle sue manifestazioni concrete. L’orgia dell’indisciplina è cessata, gli entusiasmi per i miti sociali e democratici sono finiti. La vita torna all’individuo. Una ripresa classica è in atto. L’egualitarismo democratico anonimo e grigio, che aveva bandito ogni colore e appiattita ogni personalità, sta per morire. Nuove aristocrazie sorgono: ora che si è dimostrato come qualmente le masse non possano essere protagoniste della storia, ma strumento della storia. Dove arriverà questo orientamento di destra, è impossibile, oggi, affermare: certo molto lontano, se dobbiamo giudicare dagli inizi e dal come sono precipitosamente crollati i cartacei castelli «demagogici» del dopo guerra mentre le nuove generazioni muovono all’assalto impetuoso dei vecchi fortilizi. La rivoluzione è in questa reazione. Rivoluzione di salvezza, perché evita all’Europa la fine miseranda che l’attendeva, se la democrazia avesse continuato a imperversare. La democrazia nella fabbrica è durata quanto un brutto sogno. Che cosa sono diventati i «Betriebsräte» tedeschi o i consigli di fabbrica russi? Ora è l’altra democrazia, quella politica, che sta per finire, che deve finire. Quesito secolo si annuncia, per mille segni, non come la continuazione, ma come l’antitesi del secolo scorso.
Di questa antitesi sarà contesta ed esaltata nei prossimi decenni la vita europea…