Discorso di Depretis del 1882

Testi del discorso elettorale di A. Depretis del 1882

Permettete, o signori, che innanzitutto io ringrazi i miei vecchi elettori delle festose accoglienze fatte al loro deputato. Ad essi, che in 34 anni mi affermarono per 18 volte la loro fiducia, ad essi mi lega la più viva, la più profonda gratitudine che mai possa sorgere nell’animo di un uomo; ad essi, o signori, io debbo la più viva soddisfazione che possa provare un cittadino (Bravo!). Si è anzitutto dal loro affetto costante e dal loro confortevole appoggio che io ripeto l’altissimo onore, che ha di tanto oltrepassate le mie speranze, di avere potuto porre il mio nome sotto una legge, che sarà una delle più belle glorie del regno di Umberto I, quella che, con paterna e veramente magnanima fiducia, chiama tutti i cittadini capaci all’esercizio del diritto sovrano dell’elettorato politico, sanzionando il suffragio universale possibile. (Benissimo I bravo! applausi prolungati). Nessuna parola, o signori, nessuna lingua, nessuna espressione potrebbe esprimere la gratitudine che si deve a tanto onore, a tanta esaltazione.
E, dopo questo, permettetemi di ringraziare, con un sentimento che mi viene dal profondo del cuore, gl’illustri ospiti nostri. Essi hanno voluto dare una prova di benevolenza ad uno dei veterani delle lotte politiche (Bravo!), il quale, se non altro, potrà dire, che nella sua lunga e fortunosa carriera; come v’è entrato, n’è uscito (Benissimo! bravo!); ha percorso una lunga via, ha serbata inviolata la fede (Benissimo! applausi). Voi tutti, o signori, colla vostra autorità e col vostro affetto m’incoraggiate nell’arduo compito del discorso che sto per pronunziare.
Non aspettatevi un discorso ordinato, né un discorso eloquente; le parole mie sono quali mi escono dal cuore, ma:

La voce del cantor Non è più quella (Ilarità).
No, no (Bravo! bene! applausi).
Depretis. Disse il ligure Tirteo:

Passano gli anni e gli uomini,
Ma dura eterno il vero.
Ma gli anni, prima di distruggere gli uomini, rodono la loro autorità, fiaccano le loro forze, scemano la loro energia: fortunatamente non possono scemare la loro fede (Benissimo!).
Più assai che la vostra benevolenza, sulla quale ho motivo di confidare, in voce, signori, la vostra pazienza. Il discorso non sarà breve, non sarà dilette, vole, e non può esserlo. Ascoltatemi pazientemente. È una specie di confessione, è una difesa; se volete, è un testamento (No! no!), affinché, se non altro, i miei successori sappiano quello che rimane della mia eredità politica.
Parlerò domesticamente, che cosi vuole la mia natura antirettorica e, per, mettetemi di dichiararlo, anche la nostra antica intimità.
Farò un esordio?
Tutta la mia vita è un lungo esordio. Cominciata cinquantanni addietro, nei primordi del nostro risorgimento nazionale, in quei primi temerari conati, sono entrato trentaquattro anni fa nella vita parlamentare. Fin d’allora ai miei elettori di Stradella ho fatto un programma breve, sintetico, ma chiaro e preciso: la Monarchia nazionale, e l’unità italiana…. Quale utopia allora, ai tempi del Congresso federativo! l’unità italiana a qualunque costo (Benissimo! bravo! Applausi vivissimi. Evviva Depretis!). Ed a questo programma credo di essere rimasto fedele (È vero! è vero!). Non aggiungerò adunque le difficoltà dell’arte oratoria alle molte che mi si presentano davanti, dovendo trattare dì cose assai gravi, come portano i momenti solenni e l’ufficio che io tengo, come porta ancora, o signori, un’aspettazione, che il mio riserbo, e il ritardo forzato della mia parola, hanno resa più attenta e più esigente.
Sarò io in grado di soddisfare a questa aspettazione? Ne dubito. Ad ogni modo, non debbo dissimularvi che le difficoltà, che mi veggo davanti, sono molte; e non ci voleva meno della cortese accoglienza de’ miei vecchi e fidi elettori, e non ci voleva meno della confortevole presenza di tanti amici e colleghi per ridonarmi i pensieri, e quasi direi, sarà uno sforzo passeggiero, il coraggio della mia giovinezza (Bene! Bravo!).
Io so benissimo, o signori, che ogni mia parola, per quanto chiara e sincera, sarà soggetta a molti commenti, e non tutti benevoli (Ilarità). Parecchi di voi hanno ascoltato il discorso, che io ho pronunziato sette anni fa, e di cui i miei concittadini vollero in questa stessa sala scolpire la memoria, e l’altro, pronunziato un anno dopo. A me parevano entrambi chiarissimi: eppure, come quei poveri discorsi furono straziali dai glossatori e dai commentatori! (Ilarità). Immaginate voi che cosa non si dirà di quello che sto per pronunciare! Ci vorrà pazienza, e ripeterò i versi del poeta:

…Durum; sed levius fit patientia
Quidquid corrigere est nefas. (Bravo).
E questi commenti a me pare di sentirli ancora, qui più che altrove; e gli alti propositi, e le ardite promesse, e le liete speranze che allora vi ho manifestate, ora, dopo un difficile alternar di prove, mi potrebbero tornare innanzi come accuse; parmi sentir intuonare il biblico: redde rationem villicationis tuae.
Ed io non risponderò come il superbo romano ai suoi accusatori: andiamo in Campidoglio a ringraziare gli Dei delle nostre vittorie; ma neppure intendo rispondervi colle parole di un mio illustre antecessore, Massimo D’Azeglio, il quale, richiesto che cosa avesse fatto durante la sua amministrazione, ricordati i tempi iniqui, le cospirazioni casalinghe e straniere, che allora, bisogna essere vecchi per ricordarselo bene, minacciavano il sacro asilo del pensiero nazionale, rinsidiato vivaio della nazione, il nostro nobile Piemonte, rispose: abbiamo vissuto, e mi pare miracolo (Bravo! benissimo!). Anch’io, o signori, se volessi fare una storia minuta, e stancare la vostra pazienza, dovrei forse e potrei parlarvi di pericoli, di insidie, di difficoltà imprevedute ed imprevedibili; anch’io potrei parlarvi dì miracolose e inaspettate vittorie, come potrei ricordare le feconde battaglie, che si sono perdute per gli uomini che stavano al potere, e guadagnate per la patria (Bravissimo! ha ragione!). Ma per amore del vero dovrei aggiungere che, non solo abbiamo vissuto, ma ci siamo posti risolutamente in cammino, abbiamo largamente tracciata la via al partito liberale italiano, e ci siamo avvicinati alla meta. Quella Sinistra, che sette anni fa era giudicata, da uomini ritenuti i più autorevoli, come inesperta, mutevole, babelica, poco versata nella pubblica amministrazione, poco vitale, ebbene, questa Sinistra, che mi ha per tanti anni e tante volte onorato della sua fiducia, ha potuto reggere alla prova, seppe mantenere, or volge già il settimo anno, la sua prevalenza nel Governo e nel Parlamento, ha potuto meritare la fiducia della Corona, e non già, lasciatemelo dire, per forza di cauta inerzia, o per disciplina di personali consuetudini, ma dando la mossa a tutti i pensieri, attuando con perseverante ostinazione gran parte del suo programma (Bravo!), spianando la via alla completa sua attuazione, ed affrontando, se anche rintoppata dalle sue stesse impazienze, se anche impedita dalla molteplicità dei suoi intenti, ed un po’ anche dalle sue deplorate scissure, le più ardue questioni, quelle questioni, che, una volta poste, comandano la loro soluzione (Bravo! applausi prolungati).
E questo m’importava di dire, non già a giudicare eventi nei quali ebbi anche io una parte, non sempre fortunata, ma si, o signori, a presagio di avvenire. Perché questo nuovo esperimento di faticose, ed alcune volte dolorose alterazioni ha creata, o, dirò meglio, ha confermata in me la persuasione profonda che i sinceri amici della libertà, quand’anche si sviino dietro la varietà dei loro pensieri, sentono sempre più che la libertà è un’aspirazione alta concordia nazionale, e che, nella vita pratica, essa non ha altra guarentigia che la stabilità degli ordini civili (Benissimo!).
Ma prima di annunziarvi come araldo di pace, permettetemi la parola, le intenzioni ed i propositi del Ministero, lasciate che io rimetta sotto gli occhi vostri, nel suo testo autentico, non falsificato dai commentatori, l’antico mio programma, il discorso che chiamerò della speranza (si ride). Non mi sentirei oggi il coraggio di parlare, se non potessi dimostrare che sei anni fa, senza essere un profeta infallibile, sono stato promettitore sincero (Bravo!).
E qui permettetemi una parentesi.
(Molte voci. Oh! Oh!)
Depretis. Sapete, i veterani sono tutti, più o meno, laudatores temporis acti. Ed ho anch’io questo difetto. Adesso per me è una necessità di difesa.
Lasciatemi dunque dire che, dopo avere giustificato i miei pronostici e la mia condotta passata, dopo aver dimostralo che non sono stato indegno della fiducia dei miei elettori e di quella che in me riposero i miei atti politici, e due dei più valorosi e nobili Principi che mai cingessero corona (Benissimo! bravo!), mi pareva che potesse essere giunto il momento di lasciare a mani più giovani, più vigorose e più fortunale il mio posto e di domandare la mia giubilazione. (No! no!). Rispondete di no? (No! no! vivissimi). Ed il no che mi rispondete voi me lo hanno risposto molti altri (ilarità); cosicché pare che stia scritto che io debba porre a questo, che io spero ultimo cimento, la mia età matura (ilarità). Matura lo è sicuramente. Ed in luogo, o signori, delle virgiliane georgiche a cui m’invitano le seducenti ondulazioni di questi colli, che il mal tempo vi ha impedito di ammirare, e le riposate dolcezze del casolare paterno, posto nel piano. Che da Vercelli a Marcabò dichina ed ancora più la mia antica e prediletta professione di agricoltore, pare dunque scritto che io debba morire romanamente in piedi (ilarità).
Consentite, dunque, che io mi rifaccia col pensiero non po’ addietro, e vi narri un po’ di storia.
Non ve ne sgomentate, non ricorderò il passato che per avvalorane i miei presagi sull’avvenire.
Signori, non è il racconto della portentosa rivoluzione italiana che io voglio tentare di rifare qui, neppur di profilo. Tuttavia non posso tralasciare di mani, testare un mio pensiero. A me pare che sarebbe a desiderare ohe i giovani, tal, volta obliosi di ciò che non hanno fatto, si persuadessero che la generazione che tramonta fu la generazione in più audace, la più forte di quante ricordi la storia (Bravo!). Dal giorno in cui la eroica Milano, pressoché inerme, insorse contro i trattati del 15, i quali, come la testa dì Medusa avevano impietrirla la Francia del 1830 fino al giorno in cui l’Italia osò affrontare, quel prestigiosa potere religioso e politico, innanzi al quale anche l’impero era stato per diciott’anni quasi genuflesso, in tutta quest’epoca, quante generose battaglie di pensieri,, quanti di, sperati ardimenti, quanta ostinazione di fede (Benissimo! bravo!). Questo, o signori, devono rammentare le generazioni che sorgono (Bravo! applausi). Adesso tutta è passato; generatio praeterit generatio advenit (si ride). Naturale che chi ha scavale, lavorate, portale e messe a posto le pietre per fondare il grande edificio non può imporne il pesa a chi lo ha trovalo fatto, e vi entra per adagiarvisi.
Ma, per essere pratici, parliamo di un passalo prossimo, cioè di quello che ha fatto la Sinistra, per vedere chiaro e netto quello che resta a dire.
Glia era compiuta, per discordia mirabilmente concorda di eroiche e gene, rose emulazioni, l’unità della patria col conquisto della sua gloriosa capitale quando ebbe luogo, preparata da lunghe lotte, quella che fa della la rivoluzione parlamentare del 18 marzo, la quale chiamò a prova di governo il partita che: aveva scritto, sulla sua bandiera:

Trasformazione dei tributi.
Riforma degli ordini amministrativi,
Progresso degli ordini politici.
Le accuse, a cui soggiacque l’ultimo Ministero di Destra, dovevano necessariamente determinare la condotta del primo Ministero di Sinistra, che la nazione salutò col titolo di Ministero riparatore. Questo titolo troppo impegnoso e pure altamente profetico» fu da qualche caporione caduto salutalo con ironia e con sarcasmi.
Eppure, signori, in gran parte la riparazione è compiuta.
È lontano dalla mia mente, dirò anche lontanissimo dalle mie abitudini ogni pensiero di recriminazioni, o di polemiche postume. Gli uomini veramente onorandi:, che coll’autorità dei grandi servigi resi allo Stato, e sorretti da una estesa clientela, la quale pareva a volte voler costituire un celo direttivo, regge, vano da molti anni la somma delle cose, si presentavano nel marzo del 1876 coll’annunzio d’una grande, vittoria finanziaria: il pareggio del bilancio. Ma cotesto successo, che io ho accettato, secondo porta la mia bonomia (ilarità), senza beneficio d’inventario, ma pure con qualche riserva,, questo successo però era accompagnato da alcuni provvedimenti, che alla Camera elettiva, di quell’epoca parvero, minacciare lo svolgimento delle stesse nostre istituzioni.
Condannavasi innanzitutto la crescente, persistente, quasi ostentata durezza delle esazioni e delle fiscalità tributarie, le quali erano rese anche più intollerabili da un assetto d’imposte, che, per cercare una larghissima base, venivano a gravare principalmente le moltitudini necessitose e meno capaci di violare i beneficii del sistema rappresentativo.
Biasimavasi ancora il disegno di trasformare- le popolose aziende delle strade ferrate in una dipendenza dicasterica.
Notavasi la lentezza, quasi direi l’impotenza di porre mano a riforme molte volte promesse, sempre temporeggiate.
Infine, ed era il punto più grave, si disperava di potere veder mai ritoccata la legge elettorale, da cui dipende l’autorità e la sincerità della rappresentanza nazionale, imperocché più volte gli uomini più autorevoli di quel partito ave, vano dichiarato non solo intempestivo, ma inutile, non desiderato, illusorio ogni allargamento del paese legale.
Il verdetto del Parlamento, ed i precedenti del partito a cui ho l’onore di essermi ascritto fin dai primi passi della mia vita pubblica, ed il programma, che prima come deputato, e poi come ministro, aveva esposto dinanzi a voi or fanno di per di appunto sei anni, ed a cui ho la coscienza di essermi conservato fedele e come ministro, e come deputato, mi chiamavano a capo del mio partito;ed ora devo dirvi in che modo ho adempiuto ai miei nuovi doveri, in che modo il partito ha corrisposto all’aspettazione del paese.
E poiché, signori, a me è sembrato e sembra che delle promesse fatte, e del modo col quale furono, non solo mantenute, ma in molti punti oltrepassate, alcuni volentieri si dimenticano, ed a nasconder il vero siasi sollevata, dalle obliviose onde del mitologico Lete, una nebbia, come dice il padre dei poeti.
Al pastore odiosa, al ladro cara
Più che la notte… (si ride),
perciò, signori, io credo adempiere ad uno dei più sacri doveri cercando di dissiparla, e mettere in chiaro, colle leggi deliberate alla mano, quello che la Sinistra ha fatto, affinché si possa giudicare se veramente abbia fatto poco, o se, come io credo invece, abbia compiuta la parte più importante e sostanziale del programma che aveva annunziato al paese (Bravo! bene!).
Dopo questo indicherò quello che resta a farsi.
Eccovi, signori, in brevi parole i punti più sostanziali di quelle promesse annunziate nel discorso che ho detto della speranza, e che, due volte ripetute in questo stesso luogo, presero il nome di programma di Stradella.
Sull’assetto tributario, sia la prima che la seconda volta, io non ho esitato a dichiarare che la tassa sulla macinazione dei cereali era la contraddizione, la negazione dello Statuto, la più temeraria delle imposte.
Ora le mie parole furono e dovevano essere interpretate come una promessa implicita della sua abolizione.
Ho espressa la mia opinione condannando il sistema del fiscalismo finanziario.
Dissi parole gravi stigmatizzando il corso forzoso, che ho chiamato ostacolo e minaccia permanente della prosperità economica del paese, e dello stesso assetto del bilancio.
Promisi la riforma doganale col mezzo dei trattali di commercio sulla base dell’equità internazionale.
Dissi nominale e poco solido il pareggio, e presi impegno di difenderlo, di consolidarlo: non una lira di meno, aforismo che fu poi interpretato in modo assurdo, non una lira di più, come se si potesse impedire la prosperità pubblico, che fa crescere necessariamente le entrate dello Stato.
Condannai l’accentramento nelle varie sue forme.
Presi impegno, obbedendo al disposto di una legge votala dal Parlamento, di affidare all’industria privata l’esercizio delle strade ferrale.
Annunziai la perequazione fondiaria (Bravo! bravo!), che anche allora era ammessa come una necessità e che la legge possa dichiarare provvisoriamente assestata.
E cosi ho annunziati altri provvedimenti: la legge comunale e provinciale, che non si è potuta finire, perché difficilmente i Parlamenti possono finire tutto quello che loro sì pone davanti: il tempo limita anche il potere dei Parlamenti, che possono far lutto, tranne mutare un uomo in donna.
Così ho indicato la riforma del Consiglio di Stato, la legge sullo stato civile degl’impiegati molte volte promessa, lungamente attesa, desiderata, e che non si ebbe il tempo di votare, il Codice sanitario, la legge sulle opere pie, la legge sulla Corte dei conti, la riforma della contabilità, la legge sulla responsabilità dei pubblici funzionari.
Cosi, passando ad altri servizi, ho promesso fin d’allora, e si è potuto ottenere, il piano organico della marina militare e l’unità dell’Accademia navale. Ho indicato altre leggi, che avrebbero formato oggetto di studio per il mio illustre collega, allora guardasigilli, l’on. Mancini, i due primi libri del Codice penale. Ho promesso di migliorare la condizione degli insegnanti, e di proporre la legge sull’istruzione elementare obbligatoria, che il mio egregio amico Coppino riesci a fare approvare dal Parlamento.
Altre leggi importami presi l’impegno di presentare a nome del mio collega il ministro di agricoltura e commercio, che mi dispenserete dall’enumerare, come parmi superfluo ricordare di avere allora esplicitamente dichiaralo, che la delazione del bilancio della guerra era eccessivamente limitata, e che uno degli obblighi più sacri del Governo era quello di assicurare la difesa dello Stato.
Infine, o signori, ho annunziato il solenne impegno di condurre a termine coll’allargamento del suffragio, fondato sulla capacità, la riforma della legge elettorale politica.
In quei discorsi, o signori, io aveva indicato chiaramente il concetto della correzione e della trasformazione delle imposte in modo che meglio rispondesse alla giustizia sociale. Ora debbo ricordare alcune parole di quel programma:

«La questione urgente f dissi, quella che dà l’impronta caratteristica alla rivoluzione parlamentare del 18 marzo, è la questione tributaria» (Bravo! bravissimo!).
Permettetemi poche parole su questa questione finanziaria, perché è venuto il momento di parlar chiaro in faccia a certe proposte improvvisale che ci si parano dinanzi, e sulle quali il Ministero bisogna pure che dica il suo parere.
Nella prima esposizione finanziaria fatta dal Ministero di Sinistra, io dissi:

«La traduzione del mio programma finanziario è questa: a Mantenere il pareggio se c’è; raggiungerlo se non c’è, e consolidarlo;
Nessuna permanente diminuzione di entrate;
Trasformazione del nostro sistema tributario, da eseguirsi senza turbare rassetto dei bilanci;
Provvedimenti per riuscire all’abolizione del corso forzoso, che ho chiamato una cancrena del movimento economico, e tale è veramente.
Provvedimenti per aiutare le forze economiche del Paese». Ed ho dichiarato ad abbondanza la verità elementare che il bilancio principale era quello della nazione, sul quale sorgeva la figliazione del bilancio dello Stato.
Due mesi dopo, in una solenne discussione sulla finanza italiana, io dissi con parole più sintetiche, ma non meno chiare: «II Ministero intende di fare tre cose: combattere il corso forzoso, assicurare il pareggio, trasformare le imposte; ecco l’ideale; ed aggiunsi e …. è una impresa delle più difficili…. la trasformazione e la correzione dei tributi la dobbiamo fare senza menomare le entrate, senza ferire il credito; noi dobbiamo riformare senza distruggere». Ecco, o signori, il programma modesto, e, permettetemi di dirlo, liberale e conservatore di quella Sinistra, di cui si erano pronunziali cosi severi, e strani, ed affrettati giudizi (Bene! bravo!). Ora, riandando col pensiero questi sette anni oramai trascorsi, rammentando le difficoltà infinite incontrate, le lotte sostenute» i dissidi che ci afflissero, le passioni ribollenti, le ambizioni impossibili, e tutti gli altri guai, pur troppo numerosi ed inevitabili, della vita parlamentare, e ricordando quello che si è fatto, io domando a me stesso ed a voi tutti se ha fatto poco.
Io domando se posso, presentandomi oggi dinanzi a voi, al redde rationem delle mie promesse, sperare, con buon fondamento, che voi giudicherete me e gli uomini che mi aiutarono in questa lunga odissea parlamentare, fedeli mante, nitori delle nostre promesse e degni interpreti del partito liberale che ci ha onorati della sua fiducia.
Si è fatto poco? Quasi tutti i provvedimenti indicati nel mio programma di governo, che fu il programma della Sinistra, furono studiati, preparati, presentati al Parlamento, altri formano anche adesso, ma in poco numero, oggetto di studi che si proseguono con amore e con diligenza: e, se non tutti, se un numero maggiore non fu approvato, dipende da ciò, come dissi, che il tempo misura i limiti del lavoro possibile anche pei Parlamenti (Ilarità), Ma poco non si è fatto, o signori;anzi io dirò che si è fatto molto, si è fatto più di quello che si era promesso, perché le parti più importanti, più sostanziali del programma, e le più urgenti, diventarono e sono oggi leggi dello Stato.
Io avrei desiderato di presentare ai miei elettori un quadro, in ogni parte completo, delle pubbliche amministrazioni durante la prevalenza parlamentare della Sinistra, tema invero più di storia che di un breve discorso agli elettori, molti dei quali, del resto, hanno potuto passo a passo seguire l’andamento della cosa pubblica in questi ultimi anni, come certo l’avete seguito tutti voi che foste miei colleghi del Parlamento. La sola menzione, o signori, la sola classificazione delle 534 leggi votate nel settennio che comincia dal 18 marzo 1876 ed arriva a questo giorno, sarebbe lavoro lungo e ponderoso. Aggiungete che le leggi non sono che conchiusioni precedute da infiniti incidenti.
E lasciatemi anche attestare che il Consesso legislativo, di cui una Camera fu sciolta, non mancò mai di attenzione, di diligenza, di frequenza in tutte le questioni d’interesse generale, e che, nonostante l’inevitabile copiosità dei discorsi, sfogo, del resto, della nostra italiana esuberanza nel dire (si ride) furono sempre disciplinate, ed anche le più intricate e difficili condotte a termine, ed a ferme conclusioni, bisogna che qui lo attesti, dalla perspicace esperienza, dalla meritata autorità del presidente della Camera elettiva (Bravissimo!) il mio illustre amico Farini, che porta con tanto onore il nome del grande patriota che fu il padre suo; al mio egregio amico Domenico Farini devesi in gran parte il merito dell’accresciuto prestigio del Parlamento, ed a lui ho il dovere, parlando qui ai miei elettori, ed a voi, ospiti egregi, di tributare la mia riconoscenza, si, curo di essere l’interprete dei sentimenti del paese (Bravo! benissimo! Applausi fragorosi).
E qui, consentitemi, o signori, una breve enumerazione delle opere legislative della Sinistra. Fin dal primo bilancio definitivo che ci fu presentato, coerenti alle nostre idee, ed ai propositi manifestati, abbiamo cominciato a chiudere la porta all’aumento della circolazione a corso forzoso, rinunziando al malefico beneficio della carta inconvertibile, di cui si era servito fino allora il Governo. In pari tempo abbiamo mitigato con opportuni regolamenti le asprezze fiscali. Pochi mesi dopo il secondo discorso di Stradella, abbiamo aperta dolcemente la via alla trasformazione delle imposte colla legge sugli zuccheri, la quale, coll’aumento della tassa sul petrolio e sul caffè, ha prodotto questo risultato numericamente preciso: queste tasse rendevano 38 milioni a quell’epoca, ne rendono oggi il doppio, 76 milioni; e non mi pare che abbiano prodotto grande perturbamento nell’assetto economico della società civile (Bravo!). Abbiamo mitigata la legge sulla ricchezza mobile; 300 mila contribuenti, fra i meno abbienti, furono, od esonerati dall’imposta, o l’ebbero notevolmente diminuita per la legge del 1877.
L’eccessivo fiscalismo delle riscossioni fu grandemente diminuito coi provvedi, menti di quella legge: e basterebbe guardare al numero dei reclami, ridotti ad una quantità minima rispetto a quelli che si presentavano prima che quella legge avesse effetto.
Nell’anno successivo, dopo la morte del Gran Re, giustamente chiamato Padre della patria, il suo generoso figlio, il Re Umberto, nel primo discorso indirizzato alle Camere legislative, pote annunziare il proposito del suo Governo di diminuire la tassa sul macino, e quella sul sale.
Venuta la crisi del marzo 1878, il nuovo Ministero e la Camera questo programma, in un momento di generosa audacia, mutarono in quello dell’abolizione graduale, ma completa, della tassa sulla macinazione dei cereali.
Rientrato al Governo, io, sempre disposto a procedere con molti riguardi, ho accettato, anzi difeso ostinatamente quel provvedimento, che era stato proposto dai miei antecessori, e votato dalla Camera.
E l’ho difeso, o signori, come lo difenderei ancora, perché fermamente con, vinto che simili promesse, una volta fatte al paese, non si distruggono (Bravo!) senza che il danno morale superi di gran lunga il vantaggio pecuniario della finanza (Bravo! Benissimo! applausi).
Bensì, nell’accettare l’abolizione del macinato, dovetti mantenere quella che pure è una parte sostanzialissima del programma di Sinistra, l’integrità del bilancio, onde la clausola molto laconica, ma molto chiara, né macinalo, né disavanzo. Ed oramai del macinato, o signori, sono numerati i giorni; ed ogni peri, colo di disavanzo, mercé le cure del mio ottimo amico Magliani, è lotto di mezzo nel modo il più evidente (Bravissimo! applausi). Che anzi il bilancio del Regno d’Italia non solo è solido, ma acquistò ormai tale elasticità, che può resistere a tutte le prove, purché non si devii dalla strada che abbiamo finora battuta (Bravo!).
Mercé gli studi, e l’opera indefessa del mio illustre collega, che mi siede vicino, del quale mi sia permesso di dire, che la sua sapienza è inferiore soltanto alla sua modestia (Bene! bravo!), mercé l’opera sua siamo sicuri di vedere condotto a compimento uno dei provvedimenti più desiderati e più difficili, l’abolizione del corso forzoso.
E qui lasciale che io dica che, migliorate le condizioni del bilancio, inaugurata una politica finanziaria più conforme ai dettami della scienza economica e della giustizia sociale, apparso un confortante risveglio nell’operosità nazionale, alimentate con maggiore attività le correnti del traffico coll’estero, assicurata colla riforma doganale e coi trattati di commercio una più efficace difesa all’industria manifatturiera, ed aboliti molti dazi d’esportazione nocivi all’agricoltura, divenuto più abbondante il capitale, più ragguardevole il risparmio, accresciuto il nostro credito, ed il valore dei nostri titoli di Stato sui mercati stranieri, il mio (egregio collega, interprete della coscienza del paese, credette giunto il momento di togliere il più grande ostacolo al nostro progresso economico, e di rialzarci da un’inferiorità e da un isolamento lesivo, non solo del credito e degl’interessi materiali, ma anche della dignità della nazione (Benissimo!). Non ci e dubbio, o signori, sul risultato: oramai l’aggio, dopo aver oscillato dal 5 fino al 20 per cento, è ridotto ad 80 centesimi (benissimo!).
Il Parlamento assecondò il Governo; e bastò la pubblicazione della leggo per togliere i danni incalcolabili del corso forzoso, e ridurre l’aggio a minime proporzioni. L’operazione finanziaria è oramai condotta a compimento, superando tutte le difficoltà incontrate, che non furono poche, e con onore del nostro credito. Fra pochi mesi, o signori, la ristaurazione della circolazione metallica sarà
un fatto compiuto (Bravo! benissimo. Voci. Evviva Magliani! Depretis. e questa sarà una grande fortuna per le nostre industrie e per il nostro paese (Bravissimo! applausi).
Della finanza e del modo col quale fu amministrata vi dirò poi poche cifre, che troverete più eloquenti d’ogni più eloquente discorso.
Intanto ì risultati di questa amministrazione della Sinistra furono questi, che il pareggio non solo fu mantenuto, ma consolidato; che alcune più inique e dannose lasse furono diminuite od abolite; che i grandi servizi pubblici poterono essere più largamente dotati; migliorata la condizione dei pubblici ufficiali; aiutati alcuni dei grandi Comuni dello Stato; diminuito notevolmente il nostro debito galleggiante;accresciuta la relè ferroviaria, che Ai parte del patrimonio dello Stato;ed il nostro consolidato aumentato, ricordate che era a poco più di 70, ed oramai siamo al 90, di quasi 20 punti, il che costituisce un beneficio enorme per i possessori dei nostri titoli (Bravo!); infine Faggio ridotto, come dissi, ad secentesimi.
A me pare che questi siano risultati non ispregievoli ottenuti nell’ordine finanziario dall’amministrazione di Sinistra.
(È vero! è vero!).
La miglior prova della solidità e della elasticità del bilancio ci viene fornita dagli avanzi cospicui coi quali si è diminuito il nostro debito galleggiante, e si è provveduto a pubbliche necessità non previste prima, e non computate nei bilanci dello Stato. E qui il mio pensiero, o signori, si ferma necessariamente sopra una grande sventura, sopra una sventura, senza nome, senza esempio (vivissimi segni di attenzione), che affligge alcune generose provincie del Regno, ed ha commossa l’intiera Nazione. Lasciate che io affermi solennemente che a quelle desolale popolazioni la finanza italiana, in nome della solidarietà nazionale (Benissimo! Bravo!), dovrà dare un aiuto (Bravo! applausi). Una provincia è più di tutte desolata; ivi forse 100 mila abitanti (sensazione profondissima) rimarranno senza tetto: parlo della provincia di Rovigo, dove le calamità si accrescono ancora oggi, giorno. Ebbene, o signori, lasciatemi dire che almeno è un conforto della nostra Amministrazione il poter mandare a quelle sventurate popolazioni non solo una parola di affetto fraterno, ma la promessa di un aiuto efficace (Bravissimo!);
perché sarebbe, o signori, funesto esempio se, nella prosperità della finanza nazionale, si dovesse esitare a scemare il danno di cosi immensa sciagura (Benissimo! bravo! Applausi prolungati).
Io non ripeterò quello che disse il mio egregio amico, il sindaco di Stradella, relativamente alle prove di coraggio e di abnegazione del nostro esercito, che destò l’ammirazione di tutti, che consolò, se consolazione era possibile, quelle afflitte popolazioni. Non rinnoverò un elogio, che è nel cuore di tutti, ma dirò solo che questo esercito è la speranza, la consolazione, la gloria d’Italia, e che ben meritate, e degno compenso al suo zelo, al suo coraggio, alla sua abnegazione, furono le generose parole di encomio che partirono dal labbro del nostro Augusto e valoroso Sovrano (Benissimo! Evviva il Re! Evviva l’Esercito! Applausi fragorosi).
Indicherò anche più fugacemente alcuni altri provvedimenti conformi alle promesse fatte, relativi alle altre pubbliche amministrazioni. Per la Marina militare furono approvate le nuove leggi organiche, e unificato l’ordinamento dei, l’Accademia navale. Sono un fatto compiuto e furono quasi tutte pubblicate le leggi sull’ordinamento dell’Esercito; le dotazioni militari furono notevolmente accresciute.
Anche nelle opere pubbliche si sono fatte grandi cose. Dopo il riscatto delle linee dell’Alta Italia, la legge per le ferrovie della Sardegna, e quelle pel porlo di Genova e per l’ordinamento dei servizi postali marittimi, leggi che si pubblicarono nei primi anni dacché la Sinistra era salita al potere, gioverà notare pur quelle colle quali si è provveduto ad uno sviluppo considerevolissimo delle strade rotabili, la legge sulla ferrovia del Gottardo, quella che stabili il grande programma ferroviario e fu vinta con un miracolo di pazienza e di ostinazione, e per la cui esecuzione altre leggi furono votate, ed infine la legge sulle bonifiche e l’altra che riordinò e migliorò le condizioni del Genio civile. Sono questi veri successi, sono vittorie conseguite in nome del progresso economico del paese e dovute in gran parte all’opera competentissima del mio egregio collega, l’onorevole Baccarini.
La legge sulla ferrovia diretta Roma-Napoli a’ miei occhi ha una grandissima importanza, perché Napoli, allargando la propria sfera d’azione, diventerà il gran porto di Roma. Insomma io credo di poter affermare, che impulso maggiore di quello che fu dato alle opere pubbliche dagli onorevoli miei colleghi, che ressero e reggono quel dicastero, non era cosa possibile.
Ne vennero meno le promesse fatte per accrescere e migliorare il pubblico insegnamento.
La legge sull’istruzione elementare obbligatoria fu votata; furono migliorate alquanto le condizioni degl’insegnantì elementari; fu agevolatala costruzione di edificii scolastici; fu fondato il monte delle pensioni;e recentemente il mio illustre collega, l’on. Baccelli, ottenne l’approvazione della legge sul Consiglio superiore; istituì le scuole superiori femminili, quasi vestibolo delle Università future della più bella metà del genere umano (si ride) provvide alle cliniche delle Università di Bologna e di Napoli; isolò e mise in luce uno dei più grandi monumenti di Roma: opere tutte il cui valore scientifico e morale è troppo manifesto.
Anche le condizioni dei magistrali posti nei gradi minori furono migliorate io questi ultimi tempi; è notevole e desiderata la riforma compiuta delle Cancellerie; utilissima e veramente grande la riforma che si è compiuta col nuovo Codice di commercio, risultato di lunghi e faticosi studi, che vedremo fra pochi giorni pubblicato mercé l’opera indefessa del mio dotto collega, l’on. Zanardelli.
Non mi dilungherò più oltre su questo elenco retrospettivo, e lo chiuderò
ricordando la legge per la istituzione del tiro a segno nazionale, e le due leggi per le incompatibilità parlamentari, e perle incompatibilità amministrative, che il Paese ha accolto con grande favore, apprezzandone l’utilità in ordine alla libertà, 0, se volete, a quella che oggi si dice la giustizia nell’amministrazione.
Infine, la legge elettorale politica, che sarà un grande onore della decimaquarta legislatura.
Vi ho promesso alcune cifre, a forma d’inventario, relative a due epoche di, verse;ne dirò pochissime, che mi paiono degne della vostra attenzione.
Nel 1875, prima che la Sinistra arrivasse al potere, il prodotto complessivo delle imposte e dei servizi pubblici ammontava a 962,542,597; nel 1883, nel bilancio preparato colla solita prudenza dal mio collega Maglianì, quel prodotto sale a 1,174,554,988 lire. Anche sottraendo il reddito delle strade ferrate, che aumentò di molto il patrimonio nazionale, si ha una entrata di 961 milioni nel 1875 e di 1,117,854,000 nel 1883, donde una differenza di 156,800,000 lire.
Venendo ad alcuni particolari, le dogane, che nel 1875 rendevano 101 milioni, nel 1882 diedero quasi 160 milioni, risultato conseguito senza provocare alcun lamento. Le tasse sugli affari, che nel 1875 rendevano 129 milioni, nel 1882 ne diedero 154, aumento importante sopratutto perché segno di un note, vole progresso economico del paese. Le tasse sul movimento ferroviario da 13 salirono a 16 milioni; i prodotti delle poste da 24 a 32;quelli dei telegrafi da 8 milioni e mezzo a undici.
Le dotazioni dei servizi della guerra e della marina, nel 1875 ammontavano a 221 milioni, nel 1883 a 299: 78 milioni di più in sette anni. Quella del Ministero di Grazia e Giustizia aumentò pure di quasi 3 milioni;di 7 milioni quella dell’istruzione Pubblica.
Lo Stato possedeva nel 1875 una rete ferroviaria, di proprietà dello Stato, di 1600 chilometri, e adesso, computando le ferrovie di proprietà dello Stato e quelle delle quali lo Stato è comproprietario, ne possediamo 6200 chilometri.
II bilancio dei Lavori Pubblici, bilancio eminentemente economico, ascendeva nel 1875 a 73 milioni, aumentò nel 1883 a 109 senza comprendervi le ferrovie, per le quali spendevamo nel 1875 48 milioni, e ne spenderemo 90 nel 1883.
Mi pare quindi che il miglioramento sia considerevole.
Io non voglio aggiungere altre cifre, fra le tantoché potrei citare, per non stancare soverchiamente la vostra benevola attenzione; ma parmi che da queste pochissime si rileva una grave mutazione nei bilanci, la quale può servire a dimostrare che valore debba attribuirsi a certe geremiadi ed a certe proposte di bilanci improvvisati ad uso elettorale (si ride).
Sei anni fa, nel momento in cui ci accingevamo a preparare qualche sollievo alle classi più numerose dei contribuenti coll’abolizione di alcune tasse più gravose e colla riduzione di altre, io osai promettere che l’erario non avrebbe per ciò incassato una lira di meno: allora parve questa una utopia derisoria. Eppure l’erario nel 1883 può ripromettersi dalle imposte 156 milioni di più; è un bilancio che, se non temessi le esagerazioni, potrei chiamarlo trionfale.
Certo, un tale risultato non è tutto merito del legislatore, dirò anzi che il maggior merito si deve alla progrediente prosperità del paese, e poi anche alla regolarità dell’amministrazione, e più ancora, alla più diffusa abitudine d’esattezza, di moralità, di buona volontà dei contribuenti. Ma insomma, o signori, quest’aumento, a volerlo considerare spassionatamente, costituisce un vero plebiscito economico, dei più significativi e dei più difficili ad ottenersi (Benissimo).
Ed ebbe parte in questo aumento anche la bene avviata conversione del sistema tributario; perché ai 46 milioni e mezzo, mancati alla finanza per imposte irrazionali ed impopolari che si vennero sopprimendo, voglionsi contrapporre 55 milioni che gittarono le nuove imposte volate, notatelo, o signori, da quella Sinistra che era da tanto tempo accusata di non sapere che domandare nuove spese, negando i mezzi per sostenerle (Bravo! bene!).
Dunque, se non mi illudo, parmi di avere dimostrato che non fu fallace quello che ho chiamato il discorso della speranza, e che il programma di Stra, della fu bene avviato, nella parte più sostanziale, e la Corona ed il paese non hanno errato chiamando al potere quel partito politico che sette anni fa ho chiamato l’Opposizione di S. M.;e che io credo non abbia mancato ai suo dovere verso il Re e verso la patria (Bravissimo! applausi).
Lasciatemi procedere.
Andiam, che la via lunga ne sospinge, che già troppo indugiai sul passalo, e debbo adesso esporre quali siano gli intendimenti, quali i propositi del Governo sul da farsi, quali le sue opinioni intorno alle più gravi e delicate questioni che sorsero sull’orizzonte politico, e che ognuno vede agitarsi nella pubblica opinione (segni di grande attenzione).
Incedo per ignes,… (Ilarità).
Volge oramai il settimo anno da quella che fu chiamata rivoluzione parlamentare, colla quale si apri un nuovo periodo nella vita dello Stato. Siamo alla gran prova del paese, che colla nuova legge elettorale abbiamo chiamato a pronunziare il suo verdetto. Questa gran prova noi l’abbiamo desiderata, sollecitata, annunziata, sfidala. Fin qui gli uomini che furono al Governo, sono stati giudicati da un consesso d’elettori che da quasi un quarto di secolo faceva esperienza ogni due anni, a un dipresso, di vita politica, da un consesso di elettori in cui, entrando in maggior numero le classi più agiate e più colte…
Una voce. Più colte no.
Depretis … più agiate certo, formava una specie di aristocrazia, che poteva inconsciamente trasformarsi in oligarchia. Questo corpo elettorale, o signori, ha avuto però la gloria di avere ispirata, guidata, assicurata la rivoluzione italiana fino ai plebisciti che fondarono il regno, fino alla conquista della sua capitale, fino all’avvenimento del partito liberale al Governo.
Il Re che conserverà sempre nella storia il nome di Padre della patria, Vittorio Emmanuele, con profetica previdenza, e con quella fede nei destini della nazione, che lo farà per tutti i secoli glorioso, volle troncare le esitanze, che da lungo tempo trattenevano i vecchi uomini politici dal toccare la legge elettorale, e sollevò il grande problema. Re Umberto l’ha risoluto pochi giorni sono, apponendo la sua firma reale alla nuova legge lesto pubblicata, ed al decreto che convoca la nazione nei suoi nuovi comizi. Tutti i cittadini che possono sapere quello che valga il diritto politico sono chiamati oggi a scegliere i legislatori.
I plebisciti, signori, proclamarono la monarchia costituzionale e l’unità nazionale, due termini che si connettono inseparabilmente. Ma il delegare la podestà legislativa non è solo alto di istinto politico: è atto di esperta ragione. E fu con ponderata fiducia nel senso pratico del popolo, che il legislatore ha chiamato tutti i cittadini, consci dell’alto ufficio e capaci di esercitarlo, al supremo diritto dell’elettorato politico.
Non giova illudersi, la verità innanzi tutto, il momento è dei più decisivi nella storia del nostro paese. Perciò io sento la necessità d’essere chiaro, esplicito, affinché, in un momento simile, sia dissipata ogni ombra di equivoco (Bravo!).
Vi è, signori, non illudiamoci, chi fa assegnamento sulla supposta inesperienza dei nuovi elettori: io credo invece che i nuovi elettori sieno dotati di molto senso pratico.
Vi bachi spera nella confusione delle idee: per mia parte ho nulla a mutare nel mio programma, nulla a cambiare nelle dichiarazioni da me fatte alla Camera ed al Senato del Regno circa l’indirizzo politico che, ministro o deputalo, intendo seguire, e questa dichiarazione netta ed esplicita io ripeto altamente e spero non sarà invano (Bravo!).
Nelle prossime elezioni il Ministero non deve cercare e non cercherà ingerenze; si terrà nella più grande riserva. La Nazione è unificata, si può dire, da oltre 21 anni;ha passato la maggiore età (si ride), e può fare benissimo da sé.
Queste dichiarazioni del Governo saranno norma ai funzionari dello Stato (Bravissimo!).
Esso deve ripetere quello che diceva in questo luogo sei anni fa, sebbene risusciterà fuor di dubbio gli antichi sarcasmi degli interessati: lasciate passare la volontà del paese (Bene!).
Ma siccome noi, ministri, come tutti gli uomini politici che si presentano agli elettori, dobbiamo pure essere giudicati; siccome ci troviamo davanti al grande tribunale della nazione, raccolta nei comizi, così, dopo aver falla la nostra confessione di quello che abbiamo fatto in passato, dopo aver difesa la nostra con, dotta come ministri, dobbiamo fare anche la nostra professione di fede politica, come ogni altro candidato. Non ci è dato scendere direttamente nella lotta, ma possiamo e dobbiamo dichiarare quali sono le opinioni che noi accettiamo, e quali noi riguardiamo come esiziali al Paese, e che perciò combatteremo come ministri, come deputati, come cittadini (Bravo!).
Io non ho che a ripetere quello che diceva sette anni fa in questo stesso luogo, quando, parlando a nome dell’Opposizione, riassumeva la mia professione di fede, ne faceva la sintesi, con un brindisi all’Augusto fondatore del Regno e dell’Unità nazionale.
Per me la monarchia costituzionale è il freno regolatore della macchina sociale (Bravo! bene!), freno tanto più necessario, quanto più rapido è il moto di progresso, il quale, per non isviarsi a rovinosi capovolgimenti, deve sempre correre alle guide dello Statuto (Bravissimo! vivi applausi). Monarchia e Statuto, signori, non hanno mai impedito alcun miglioramento sociale e politico (Benissimo! applausi), e nel tempo stesso hanno assicurata, rinsaldata la compagine dell’Unità nazionale (Bravo! bene!). Ed io sono profondamente convinto, che nessuna più utile e salutare riforma, nessuna di quelle riforme che meglio rispondono alla funzione suprema d’ogni Governo civile, il maggior bene pel maggior numero, può più facilmente, più prontamente attuarsi che colla monarchia popolare ed unitaria, che i plebisciti hanno consacrato in Italia (Bravo! applausi generali e prolungati). Io quindi non posso che dichiararmi avverso a coloro che questa mia professione di fede non accettano senza sottintesi, senza reticenze, senza riserve (Bravissimo! applausi prolungatissimi).
E poiché anche recentemente, e da persone autorevoli, si è parlato di compiacenze ministeriali verso i radicali, e volevasi dire verso uomini che non dividono la nostra fede monarchica, e mal si nascose il dubbio che nell’animo mio ed in quello dei miei colleghi fosse tepido l’affetto alle patrie istituzioni, queste e simili accuse permettetemi che io risponda sdegnosamente, a nome mio e dei miei colleghi, che cotesta calunnia, o, dirò meglio col verso dantesco:

Che cotesta miseria non mi tango.
(Bravo!benissimo! Applausi).
Vi sono, né giova tacerlo, vi sono in Italia, come in tatti gli Stati d’Europa, parecchi de’ quali si trovano in condizioni assai più gravi delle nostre, partili, o sètte, ed anche associazioni, che non saprei con qual nome chiamare, che non nascondono, non solo le loro aspirazioni, ma il loro fermo proposito di creare altre forme di Governo, di abbattere le nostre istituzioni;ed anzi dichiarano senza velo il loro intendimento di valersi delle istituzioni per abbattere le istituzioni, e delle leggi per distruggere le leggi. E vi ha pure chi professa più funeste dottrine, sulle quali non credo di dovermi intrattenere. Da questo agitarsi di associazioni extralegali, fatte più audaci, o più rumorose, molte volte le due cose si confondono, alcuno trasse argomento d’accusa contro l’attuale Ministero, evo, cando la grande sicurezza degli ordini interni durante il governo della Destra.
Evocazione questa, fatta fuor di proposito ed assai facilmente confutabile, perché la storia non è antica;e del resto basta dare uno sguardo all’Europa d’oggi, per correggere l’insano giudizio.
Per parte mia, non posso che ricordare qual è la linea di condotta che il Governo è risoluto di tenere ogniqualvolta siano offese le patrie istituzioni; l’ho dichiarala più volle al Parlamento, che ha approvato le mie idee; ed io non voglio certamente mutarle. Voglio credere ancora che bastino le leggi vigenti a mantenere l’ordine pubblico e il rispetto dovuto alle istituzioni dello Stato, ma, se dubbio sorgesse, sono cerio che la nuova Camera colmerebbe le lacune della nostra legislazione con disposizioni, del resto vigenti in altri paesi liberi, per regolare il diritto di associazione e di riunione a tutela della pace pubblica.
E poiché parliamo di partiti extra-legali, permettetemi una parola anche sul partito clericale. È superfluo che io aggiunga che la nostra politica ecclesiastica la manteniamo invariata. Chi sogna ristorazioni impossibili troverà in noi nemici inesorabili. E quanto al cosi detto partito cattolico, se un celebre opuscolo, uscito testé e scritto con forme temperate e decenti, può esser preso per programma, noi lo combatteremo, perché la legge sulle guarentigie è tutto quel più che si potesse concedere, ed è più che sufficiente a far rispettare il potere spirituale (Benissimo!).
A me pare d’avere parlato assai chiaro: non so se si tenterà di spargere della nebbia anche sulle mie parole (Voci, No, no.)
Depretis. La Monarchia e lo Statuto sono il solo campo sicuro e saldo, il solo organo di progresso: la legge delle guarentigie la considero come l’ultimatum delle concessioni possibili al Papato ed alla Chiesa (Bene!), Io, o signori, conservo intiera la mia fede nella libertà, non mi presterò mai a combattere le idee che colle idee, finché restano nei campo delle idee; e sarebbe stoltezza, io credo, mettere ostacolo a quel processo d’assimilazione che deve compiersi per la forza attraente delle istituzioni che ci reggono (Benissimo!).
Ma le istituzioni che abbiamo sono la base dell’unità nazionale, di questo meraviglioso edificio, che ci ha costato tanti sacrificii, che ci fu tanto insidiato ed invidiato, e che per noi è la religione della patria, perché ci permette di pensare senza timore di straniere e di interne violenze, al progresso di tutte le istituzioni sociali (Bravo!).
Nell’unità monarchica e liberale del paese io ripongo la più grande forza per la difesa dell’Italia:

Omnibus hostes
Reddile nos populis, civile avertile bellum.
L’unità nazionale, per un paese come l’Italia, che ha 30 milioni d’abitanti, più di quanti aveva la Francia quando si è difesa contro l’Europa coalizzata, per un paese che ha una sola fede politica nella immensa maggioranza dei suoi cittadini, che parla una sola lingua, che ha una tradizione nazionale di secoli, questo nostro paese ha in sé una forza che saprebbe resistere a ben altri di quei pericoli che sono qualche volta apparsi sul nostro orizzonte (Bravissimo! applausi).
Voci: Si riposi.
Depretis: Se mi consetono due-minuti….
Sì, si.
(Succede un breve riposo).
Depretis. Si è anche parlato in questi ultimi tempi di fusioni» di trasformazioni dei partiti politici, e fu tema di svariati commenti. Si dice: che cosa né pensale, on. Depretis? perché si rivolgono a me, come se io fossi la sfinge, o l’oracolo cui si chiede un responso.
Ma rivolgendosi all’on. Depretis, coloro che si occupano un po’ di politica, dovrebbero conoscere i suoi discorsi precedenti e i precedenti del partito di Sinistra.
I partiti politici non si debbono fossilizzare né cristallizzare. Ed eccovi quel ch’io diceva in questo stesso luogo l’8 ottobre 1876.
Allora io annunziava che i miei propositi di governo erano consentiti non solo da miei colleghi, «ma che erano stati concordati con autorevoli uomini politici «i quali concorsero il 18 marzo e il 37 giugno 1876 a creare ed a confermare l’attuale Ministero».
Ed era un fatto che la Sinistra il 18 marzo diventò maggioranza perché rinforzata dall’assenso e dal voto autorevole di uomini politici che accettarono il suo programma di governo.
Io aggiungeva in quello stesso giorno: e Ed io spero, che le mie parole e potranno facilitare quella concordia, quella feconda trasformazione dei partiti a (Bravo! benissimo!), quella unificazione delle parti liberali della Camera, che «varranno a costituire quella finto invocata e salda maggioranza, la quale ai nomi storici tante volte abusati e forse improvvidamente scelti dalla topografia dell’aula parlamentare, sostituisca per proprio segnacolo un’idea comprensiva, «popolare, vecchia come il moto, come il moto sempre nuova, il progresso (Bene! applausi). Noi siamo, o signori, io aggiungeva, un Ministero di progressisti (applausi).
E lo siamo ancora, e se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se qualcheduno vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo? Anche al lavoratore dell’ultima ora, il divino Maestro ha assegnata la stessa intiera mercede (Bene! si ride).
Un’altra questione, o signori, fu messa in campo con molto accorgimento, piena di seduzioni, perché tocca le fibre più nobili e generose del sentimento nazionale, la questione degli armamenti (segni di viva attenzione).
Agitata già più volte nella Camera la questione della difesa dello Stato, fu risollevata recentemente e vivamente dibattuta da uomini giustamente stimati per ingegno, per patriottismo, per dolori sofferti, e per servigi resi al paese, alla causa della patria e della libertà.
La Sinistra, entrata al potere, ha trovato, già dissi, le dotazioni dei dicasteri militari collo stanziamento di 221 milioni. Il bilancio di prima previsione del 1883 porta la dotazione complessiva a 299 milioni, e, in cifra rotonda, dirò 300 milioni. Ma notate che per una disposizione di legge si potrà spendere una somma considerevolmente maggiore nella parte straordinaria. Io dichiaro il mio convincimento, che negli anni prossimi anche questa così notevole dotazione dei nostri dicasteri militari dovrà essere aumentata, massime pel Ministero della marina. Farmi però che non si possa negare, che i Ministeri di Sinistra hanno già fatto molto, e che non possa muoversi dubbio sulla buona volontà dei Ministri attuali. Tuttavia un aumento immediato di parecchie decine di milioni, che a quanto pare si vorrebbero aggiungere alla parto ordinaria del bi, lancio, colla proposta contemporanea di provvedimenti straordinari, come potrebbe essere da noi accettato, se vogliamo condurre a termine le grandi riforme economiche e finanziarie promesse al paese? (Benissimo!). Una nazione non deve pretendere di farsi militarmente più forte di quello che le sue forze economiche e finanziarie consentono (Benissimo!).
Sarebbe errore pari a quello d’un guerriero dei tempi antichi, che avesse indossata un’armatura troppo grave per essere sopportata dai suoi muscoli (Bravo! È giusto!). Il contrasto tra i due grandi interessi condurrebbe inevitabilmente alla debolezza economica e militare. Io credo fermamente che su quest’argomento della difesa dello Stato, il Ministero attuale non abbia bisogno di essere stimolato; ha fatto tutto quello che era possibile, e lo farà anche in seguito: il passato, per chi ci crede onesta genie, che mantiene la sua parola, deve esser guarentigia per l’avvenire. Che se con una nuova politica militare si volesse disfare l’opera iniziata ed oramai avviata, della trasformazione dei tributi e delle riforme economiche, od in altri termini, se quella politica, ispirata forse anche da una nuova politica estera, dovesse mettere in pericolo l’abolizione del corso forzoso, od anche solo ritardare quella completa e prossima del macinato, il Ministero non esita ad esprimere il suo parere, che una tale politica sarebbe di danno alla cosa pubblica (Bravo! applausi).
E non crediamo nemmeno che il paese diventerebbe più forte. La Sinistra, per abolire il macinato, ha imposto nuove gravezze ai contribuenti colla promessa solenne, fatta per legge, che il macinato alla fine dell’anno prossimo sarà abolito: come potremo noi mancare a questa promessa?
La proposta di nuovi armamenti, lo ripeto, muove da sentimenti generosi, ma è intempestiva, e non è giustificata. Per me, in ispecie, non sarebbe assolutamente accettabile, perché, avendo sostenuto ostinatamente, come un obbligo imprescindibile del mio ufficio, la formola: né macinalo né disavanzo, la vedrei probabilmente capovolta nell’altra: disavanzo e macinato (Benissimo!).
E tanto più fermamente io debbo persistere nella mia opinione, in quanto che mi pare abbastanza difficile resistere alle tendenze umanitarie che chiedono si proceda avanti nella trasformazione delle imposte. Voi sapete che uomini autorevolissimi, appartenenti a diversi partiti della Camera, chiedono la diminuzione della tassa sul sale; e sapete che il mio egregio collega delle finanze resiste alle pressioni amichevoli, se vuolsi, ma vigorose, per difendere l’integrità
del bilancio. E sapete la storia della nostra imposta;la tassa sul sale fu aumentata per difendere il proletariato da quella del macinato che non esisteva; ora, se ci lasciamo trascinare sul pendìo delle maggiori spese, si finirà per conservare l’una e l’altra imposta, e dire ai contribuenti:
L’un carico e l’altro sul collo ti sta.
Io sono convinto che il pareggio assicurato e l’incremento generale delle imposte, conseguenze della crescente prosperità economica, ci forniranno i mezzi per compiere interamente i nostri provvedimenti per la difesa dello Stato senza improvvise mutazioni e senza pericolo per Passetto del bilancio.
Devo pure parlarvi brevemente della nostra politica estera.
Potrei e forse dovrei parlarvi anche del passato, poiché oggimai alcuni fatti, prima ignorati, o mal noti, sono pienamente conosciuti. Né sarebbe difficile ronfutare certe recenti affermazioni sulle migliori relazioni che la Destra aveva saputo custodire colle Potenze estere, e assegnare a ciascuno quella giusta parie ili responsabilità che gli spetta. Ma io voglio contenere la mia parola in più stretti confini.
La politica estera del Gabinetto attuale, tutti lo ricorderete, fu dapprima giudicata con equità, e, direi quasi, con unanime favore dell’opinione pubblica italiana, e se in questi ultimi tempi pochi organi della stampa mutarono il loro linguaggio, e la censurano, le censure furono sempre vaghe, non giustificale da serie ragioni, e per lo più fondate suirìgnoranza dei fatti e dello slato reale delle nostre relazioni colle Potenze estere.
Non parmi si possa mettere in dubbio che in questo ultimo anno la nostra politica tenne un indirizzo anche più certo e sicuro che pel tassato, e che a questo indirizzo fu coordinata costantemente la trattazione delle uon poche questioni, e la soluzione degli incidenti diplomatici, che sorsero sullo spinoso cammino; rese sempre migliori le nostre relazioni e la nostra influenza nazionale, tanto che l’Italia può prestare una valida cooperazione ai fini e dagli interessi generali della politica europea.
Nella divergenza degli intenti, nella varietà dei timori e dei pericoli, nella contrarietà dell’azione indipendente, che contribuiscono ad imprimere un carattere discorde, e non di rado ostile, alla politica dei Gabinetti d’Europa, noi, senza abbandonarci ad illusioni ideali, abbiamo tuttavia pensato che almeno la concordia dell’Europa nel prestar fede alle massime di giustizia e di pace, su cui si era fondata la politica italiana, avrebbe virtù di attenuare le deviazioni, dì scemarne i danni, di facilitare le riparazioni. E non tralasciammo occasione d’invocare quelle massime, e di fare appello a quella concordia: e potenti Governi fecero eco ai nostri voti, e non ci negarono preziose attestazioni di simpatia. Il tempo e le circostanze condurranno alla pratica applicazione dei principi! concordemente accettati;e noi non ci stancheremo di consacrare a si nobile scopo le nostre forze.
Oscure nubi sorsero più d’una volta sull’orizzonte ed i popoli temettero lo scoppio d’una guerra. E noi non abbiamo mancato di prestare il più leale e disinteressalo concorso ai Governi, che colla loro prudenza, coi loro avvedimenti, poterono conservare all’Europa l’immenso beneficio della pace.
La pace, o signori, credo ne siate convinti, è principalmente un beneficio grandissimo per l’Italia, che comincia appena il suo sviluppo economico, il quale domanda una pace salda, un Governo fermo, sorretto da una sicura maggioranza.
La pace però non può comperarsi a prezzo dell’onore; e noi crediamo di potere, colla fronte alta, rendere conto dei nostri atti al sovrano giudizio degli elettori, rammentando che, lungi dal sostenere con tiepido zelo la difesa dei nazionali interessi, ebbimo a cuore che sempre più si affermasse nell’Italia, al cospetto delle altre Nazioni, una chiara coscienza dei suoi diritti, e nei propri reggitori un profondo sentimento della loro responsabilità, e dell’obbligo di vegliare assiduamente alla loro tutela.
E le occasioni non mancarono, né il Ministero venne meno ai suoi doveri.
Convinti dell’importanza grande dell’espansione dei nostri commerci, consacrammo operose cure ad ottenerla, e l’apertura del valico del Gottardo, da noi accelerata, e i negoziati pei trasporti ferroviari, e la conclusione dei trattati di commercio ebbero pure tutte le nostre sollecitudini.
Guidati ognora dal proposito di far si che l’Italia debba essere un elemento di pace e di concordia fra le nazioni europee, noi siamo rimasti costantemente fedeli al concerto delle grandi Potenze: colle quali tutte, le nostre relazioni sono buone ed amichevoli; più intimo e manifesto il nostro accordo colle Potenze dell’Europa centrale, precipuamente interessate al mantenimento della pace al, l’osservanza dei trattati, al la conservazione dell’odierno stato di diritto in Europa.
Queste relazioni, ó signori, avranno in questi giorni umi consacrazione nei legami che congiungeranno un giovane Principe della Casa dei nostri Re, con una Principessa che appartiene ad una delle più nobili ed illustri famiglie Reali della Germania; pegno di unione e di affetto tra le due dinastie ed i due popoli (applausi).
Con un’altra grande e generosa Nazione, alla quale d’altronde ci uniscono memorie incancellabili, noi abbiamo ferma fiducia che, senza scapito della nostra dignità, e senza l’abbandono dei nostri diritti, potremo cancellare ogni traccia di recenti avvenimenti, e, colla nomina dei rispettivi ambasciatori, suggellare la reciproca benevolenza, tanto necessaria alle importantissime relazioni tra due popoli della stessa famiglia (applausi).
Ottime sono pure le nostre relazioni coll’Inghilterra, malgrado qualche effimera commozione nella stampa dei due paesi;l’Inghilterra, antica amicai dell’Italia e della Casa di Savoja, fu sempre oggetto della costante simpatia ed ammirazione del Governo e del popolo italiano (Benissimo!).
Circa ai nostri rapporti con questa grande Potenza, in occasione degli ultimi avvenimenti, noi potremo facilmente giustificare, coi documenti che presenteremo al Parlamento, che la nostra adesione immediata all’invito fattoci d’intervenire colle armi nella questione egiziana, non era conciliabile coi nostri doveri internazionali (Benissimo! vivi applausi).
Signori, la nostra politica estera non ha deviato da quella linea che abbiamo annunziato al Parlamento più d’una volta: fedeltà inviolabile agli impegni internazionali; né tracotanza, né debolezza; pace con dignità; linea che è la sola conforme ai veri interessi della patria (Bravo! applausi).
Un altro delicato argomento è quello che si vuol chiamare la questione sociale. È un problema elevato, formidabile, urgente; riguarda le condizioni delle moltitudini che posseggono solo l’attitudine al lavoro. È quella che chiamano in Germania ed in Inghilterra questione operaia, e noi la dobbiamo chiamare la questione del proletariato, o, a parlar più chiaro, la questione dei contadini e degli operai dei nostri opifici; di quei moltissimi che hanno il diritto cittadino, domestico famigliare e la libertà del lavoro, e i cui rapporti cogli abbienti, coi possessori delle terre, coi padroni dei capitali e degli strumenti del lavoro, non sono determinati che dalla libera concorrenza, cioè dal vantaggio che gli abbienti traggono dal concorso dei nullatenenti, i quali, di riscontro, non hanno alcun mezzo per obbligare gli abbienti a valersi del loro lavoro, quando possono farne senza: da una parte, si direbbe un calcolo di guadagno, dall’altro, un impero di necessità.
Siffatta questione, o signori, non giova illudersi, s’impone e bisogna affrontarla. Essa non può essere sciolti per sapienza del Governo, il cui principale ufficio, se bene intendo i concetti del grande alemanno Schuize-Delitsch, consiste nel rimuovere gli ostacoli;la questione non può essere sciolta che per virtù di popolo (Benissimo!). Vi è una formola pratica, o signori, la quale può affrettare, può condurre con passo regolarmente accelerato alla soluzione del problema, ed è questa; che i più fortunati, i più sapienti, i più potenti pensino a sollevare ai vantaggi della vita civile le classi più numerose e più povere.
Questa è la formola di carità sociale, che deve tradursi per parte del Governo nell’altra, scritta nello Statuto, la giustizia è eguale per tutti.


Noi, signori, abbiamo fatto quanto era in nostro potere e non mancheremo di continuare l’opera nostra per adempiere a quest’obbligo d’ogni Governo civile, di accrescere sempre più, a favore del maggior numero, i vantaggi intellettuali, morali e materiali della convivenza civile.
Fu ordinata per legge una grande inchiesta sull’agricoltura e sulle condizioni delle classi agricole. Un’altra fu da me iniziata amministrativamente sull’igiene pubblica, che merita tutta l’attenzione del legislatore. Quest’inchiesta ci valse già preziosi materiali di studio, e gitta nuovi sprazzi di luce sopra un vitale argomento che in altri paesi affatica da lungo tempo scienziati e legislatori. La pianta uomo, come la chiamava Alfieri, non è abbastanza bene allevata in molte parti d’Italia, non lo è come vorrebbero la convenienza e l’utilità sociale: eppure è la più produttiva del mondo.
Nelle città e nelle campagne intere famiglie vivono agglomerate in squallide tane; ogni principio di igiene è loro ignoto od impossibile; non buone acque potabili, non aria sana, nessuna applicazione, insomma, di quelle discipline che sono destinate a diminuire la mortalità, e a far si che l’uomo cresca sano e robusto, secondo le leggi di natura.
Connessa intimamente al grande problema che ho indicato è sempre la questione tributaria e quella, pur soggetta ad inchiesta, sul patrimonio dei poveri, sugli istituti di beneficenza. Della questione tributaria ho già detto, e mi per, metterò solo di aggiungere, che la conversione tributaria è quella parte della riforma sociale che si può eseguire da qualsiasi Governo, solo ispirandosi a quei sentimenti di giustizia, dai quali nessun Governo civile si può sottrarre.
Intorno alle Opere pie mi riserbo di dire in seguito qualche parola.
Ma a questo punto io dovrei cedere la parola all’amico e collega Berti che mi siede vicino, il cui Ministero potrebbe chiamarsi del benessere e del progresso economico e sociale; ma poiché non mi aspettava, quando pensavo a quest’argomento, la fortuna di aver qui presente l’onorevole mio amico, dirò assai meno bene di lui quello che avevo in animo di dire.
Le menti in Italia, come in molti paesi, sono volte più che mai all’esame di tutte le questioni che si riferiscono all’aumento della produzione agricola e manufatturiera, ed a quelle che riguardano la condizione dei contadini e degli operai.
Da ogni parte si manifesta il pensiero di ricondurre l’Italia al posto che le assegnarono i nostri antichi progenitori, che la chiamarono: magna parens frugum.
L’intervento governativo non può da solo sciogliere le questioni sociali, né portare alla loro soluzione il maggiore contributo. Le forze morali, di cui vi ho parlato, e lo svolgersi sempre più rapido della produzione ci può avviare ad un miglioramento del benessere individuale e sociale.
Quindi i vasti bonificamenti, le grandi irrigazioni, gli estesi rimboschimenti giovano allo scopo.
Già l’egregio mio collega ha reso al paese un grande servizio combattendo a tutta possa il morbo terribile della fillossera, cooperando alla stipulazione del Trattato di commercio colla Francia, accrescendo il numero delle scuole agrarie ed elaborando i progetti per il credito fondiario e per le irrigazioni, che saranno ripresentati alla nuova Camera. Sarà pure presentato un progetto di legge sui rimboschimenti.
Affinché poi l’agricoltore possa trovare il capitale che gli abbisogna, ed a mo, dico interesse, sarà pure presentato un progetto di legge per promuovere il credito agrario con quelle istituzioni che i più eminenti ingegni vennero escogitando.
Ma gl’incrementi dell’agricoltura sono inseparabili dalle condizioni dei contadini. E qui io prego i miei elettori dì Stradella di non pensare ai nostri contadini, i quali, se sono laboriosi ed onesti, facilmente diventano proprietari. In altre parti d’Italia sono in condizioni ben diverse, come è provato all’ultima evidenza da tutte le pubblicazioni della Commissione d’inchiesta, presieduta da un uomo altamente competente nelle questioni di economia rurale, qual è il senatore Jacinì. Conosciamo le gravezze dei proprietari, e non vogliamo domandar loro l’impossibile; sappiamo che il problema vuol essere risolto col contemporaneo miglioramento delle condizioni dì chi possiede la terra e di chi la lavora. Ma con altrettanto convincimento confermato dai dati raccolti dall’inchiesta amministrativa sulla pubblica igiene, io debbo affermare che le condizioni dei nostri contadini vogliono essere in varie parti d’Italia migliorate (Bravo! Bene!).
Ognuno sa che l’agricoltura e l’industria si aiutano a vicenda, per effetto di reciproche azioni e reazioni. Le grandi industrie, dovunque prosperarono, porsero aiuto efficace alla produzione agricola.
La nostra industria manifatturiera si va svolgendo e fortificando dappertutto;
il suo sviluppo sarà potentemente aiutato dall’abolizione del corso forzoso e dai provvedimenti che renderanno più facile l’oso del credilo. Ma, come giova all’agricoltura migliorare la condizione dei contadini, cosi all’industria importa cercar modo di venire in aiuto degli operai. Ormai non vi è alcuna delle grandi Nazioni civili che non abbia cercato con ispeciali provvedimenti di elevare la mente dell’operaio, di ricrearne l’animo, e farne più prospere le condizioni economiche. Non fu sentimento d’egoismo od altro men che nobile; ma la convinzione profonda che le società moderne, per essere grandi e potenti, debbono dei vari ordini dei cittadini formare un tutto, che sia insieme legato da vincoli morali, giuridici ed economici (Bene!).
Il Governo erede di aver fatto non poco per raffermare questi vincoli, conferendo al lavoro il voto politico e credo che abbia dimostralo i suoi intendimenti in un altro progetto di legge presentato al Parlamento dal mia egregie collega, e che sarà discusso nella prossima sessione. I provvedimenti che si contengono in quel progetto consistono, come è noto, nell’ottenere che il risparmio del lavoratori possa, con liberale cooperazione legislativa, assicurarli contro gl’infortuni e contro i dolorosi travagli, della vecchiaia.
Signori, santa e pietosa è la tutela della legge per gl’infelici che, per colpa non propria, restano vittime di gravi mali, e lasciano le famiglie derelitte, se soccombono. Noi in-tendiamo di perseverare fermamente nei nostri propositi, convitati come siamo, che nei lavoratori dei campi e degli opifici, come nei marinai che solcano i mari con nostra bandiera, sono riposte la rìcchezza, la tranquillità e la grandezza della patria (applaudi).
Ma già mi avvicino alla fine del mio discorso, ed anche alla parte più facile, e potrei dire col divino poeta:
Per correr miglior acque alza le vele
Omai la navicella del mio ingegno.
Vedrò di camminare a grande velocità, perché credo di avere proprio abusato della vostra pazienza (No, no).
Come ho detto, o Signori, noi abbiamo bisogno di stabilità e di moto, le due condizioni che permetteranno alla macchina sociale di correre rapidamente, sulle guide delle nostre istituzioni. Dobbiamo rivedere i congegni amministrativi che furono in gran fretta assestati, innestando troppo spesso il nuovo al vecchio, il casalingo al forestiero.
È opera lunga, e signori, lo so, ma degna dell’attenzione dei nuovi elettori e dei nuovi legislatori, e- che non può essere più temporeggiata.
lo intendo parlare di quel complesso di riforme che si possono comprendere sotto il titolo di leggi sulle amministrazioni civili. È tema vasto e molteplice, ma studiato in quasi tutte le parli, e basterà indicare i progetti di legge già presentati alla Camera, in; parte discussi, in piccola parlo approvati. Ma prima di porgervene l’elenco, forse incompleto, debbo accennare la maggior ragione di cotesto indugio, in questione dell’allargamento del suffragio era già, per sé, una questione pregiudiziale. I nuovi legislatori avranno il campo libero, decideranno essi queste gravi e delicate questioni amministratore che riguardano i Comuni, le Provincie, le Amministrazioni civili, le Opere pie, l’ordinamento giudiziario ed è alla loro alta competenza che furono, per la forza delle cose, riservate queste difficili riforme.
Sulla legge comunale e provinciale io persisto sempre nelle mie vecchie opinioni: Sindaco, e Presidente della Deputazione provinciale elettivi; questa disposizione relativa ai sindaci sarà per il ministro dell’interno una benedizione di Dio (ilarità); suffragio amministrativo inevitabilmente allargato; autonome te amministrazioni municipali e provinciali nella cerchia delle attribuzioni fissate dalla legge; sicuro però, e severo, più che adesso non sia, l’esame dei conti consuntivi; circondata di cautele la facoltà di far debiti, che impanano anche le generazioni future.
In occasione di questa legge, dovranno essere maturamente e benevolmente esaminate alcune delicate questioni, che riguardano i segretari comunali, i maestri elementari comunali ed i medici condotti, che sono i custodi della salute pubblica; questi modesti e benemeriti cittadini si trovano, lasciatemelo dire, spesse volte in condizioni impossibili. La legge, che dà guarentigie agli impiegati dello Stato, non troverà qualche disposizione a tutela dei funzionari dei Comuni?
Lunghi studi hanno preparato la riforma della legge sulla pubblica sicurezza, nella quale dovrà tenersi conto delle riforme connesse come quella che rende elettivo il sindaco, ufficiale di pubblica sicurezza. È necessario che nuove garanzia vengano in aiuto dell’azione governativa, mentre, e il mie pensiero non giungerà nuovo a nessuno, l’istituto dell’ammonizione dovrà essere necessariamente corretto (Bene!), perché ai cittadini, in qualunque modo soggetti ad una pena, non devono mancare sufficienti guarentigie. Le modificazioni alla legge di pubblica sicurezza che avevo già presentate, ristudierò nuovamente; la nuova Legislatura pronuncierà anche sovr’esse ii suo verdetto sovrano.
Sarà subito ripresentata la legge sugl’impiegati civili, già due volle votata ad epoche diverse nei due rami del Parlamento; i funzionari hanno diritto di essere tranquilli sul loro stato. Gli arbitrii non giovano per nulla all’amministrazione; un’amministrazione arbitraria non è ne forte, né giusta, né utile. Né meno necessaria per i suoi effetti è la legge sulla responsabilità dei pubblici funzionari per la grande norma, che ciascuno deve rispondere dei fatti propri. Chi rompe, paga; è massima generale da applicarsi a tutti gli ordini dei cittadini.
Due gravissimi temi, o signori, seno affidali allo studio del mio illustre ed egregio amico Zanardelli, certamente degni del suo alto ingegno della sua copiosa dottrina, e della sua infaticabile operosità, di cui diede recente e splendida prova nella relazione sulla legge elettorale politica (Bene!).
Abbiamo unificata la legislazione commerciale col nuovo Codice di commercio; ma non abbiamo ancora unificata la legislazione penale. La pena di morte fu abolita di fatto, perché due volte condannata dalla Camera elettiva, ma essa vige ancora nella legislazione della massima parie d’Italia Io confido, che le fatiche del mio collega saranno coronate dal successo e la uova legislatura e trarrà titolo d’onore, confermando all’Italia, fra le Nazioni civili, il vanto di singolare e gloriosa operosità legislativa.
L’altro gravissimo compito è quello dell’ordinamento giudiziario. Abbiamo troppi giudici, l’ho detto altre volte; in alcuni Tribunali vi sono giudici, ma quasi non vi sono liti; vi sono giudici che non hanno modo di fare giustizia anche volendolo (si ride). Trattasi però di una riforma immensa che presenta grandissime difficoltà.
In Francia già da dieci anni si tenta di risolvere la questione, rinviata di sessione in sessione, ed i tentativi finora sono caduti a vuoto. Anche presso di noi abbiamo fatto molti tentativi, e non siamo riusciti; il mio egregio amico Taiani aveva preparato un provvedimento che la Camera neppure ha potato esaminare.
Questa grande riforma per riuscire efficace e rialzare sotto ogni aspetto le con, dizioni della magistratura, dovrebbe essere veramente vasta e profonda (Bene!).
Bisognerà affrontare pregiudizi ed abitudini inveterate, offendere interessi; credo tuttavia sia più facile riescire con una riforma seria e completa, di quello che con mezze misure (Bravo! bene!). Ma io voglio sperare che non indarno avremo compiuta la riforma elettorale, e sulle gare di prevalenti interessi locali dominerà la coscienza del vantaggio della nazione.
L’onorevole mio collega ed amico, il ministro Baccelli, compiuta la riforma del Consiglio superiore della pubblica istruzione, onde vi tenni parola, introducendovi l’elemento elettivo, non solo incoraggiò in tutti i modi gli educatori del popolo, ma pensò di connettere la scuola colla milizia, introducendo la ginnastica educativa. Cosi le moltitudini, chiamate ora al plebiscito delle elezioni, disciplinandosi nelle scuole e nell’esercito, impareranno, nella loro giovinezza, i doveri dell’obbedienza e le difficoltà del comando.
Né i pensieri dati all’istruzione popolare, diventata una necessità di pubblica salute, né l’istituzione dei licei femminili, impediranno che si migliorino le con, dizioni generali degli insegnanti, e si curi l’alta istruzione scientifica e letteraria colla feconda gara dell’autonomia universitaria.
Il programma del mio egregio collega, dinanzi alla nuova legislatura, si riassumerà nelle quattro leggi seguenti, alcune già presentate, tutte allestite, dopo lunghi studi, e che concernono: il miglioramento delle condizioni dei maestri elementari; la scuola popolare complementare: l’istruzione secondaria classica, e l’autonomia universitaria: le quali proposte rinnoveranno il nostro ordinamento didattico ed educativo, ed abbracciando tutti gli ordini degli studi, basteranno da sole ad onorare un Parlamento.
Non mi restano che brevissime cose a dire su alcuni argomenti, dei quali mi è impossibile tacere, sebbene la mia stanchezza superi forse la vostra pazienza: le Opere pie, la marina mercantile, le strade ferrale, ed alcuni provvedimenti finanziarii.
La questione delle Opere pie, o signori, è di una gravità enorme, specialmente in Italia, dove il patrimonio del povero, veramente ingente, è una delle glorie più belle e più pure. Le statistiche gli danno un valore di 1600 milioni di capitale, distribuito sopra più che ventimila istituzioni di diversa natura, in tutte le parti del bel paese, Dalle vette delle Alpi nevose Fino ai monti ove l’Agraga suona.
Né le sorgenti che formarono questo ingente patrimonio si sono inaridite. La carità in Italia è sempre feconda e consolante. L’anno scorso il patrimonio dei poveri si è aumentato di 14 milioni; nei primi mesi di quest’anno di altri 5 milioni; su per giù si può contare sopra un aumento di quasi un milione al mese.
Voi comprendete, o signori, l’importanza della questione.
Il disegno di legge, da me presentato al Parlamento, mirava a correggere alcuni difetti più evidenti della legislazione vigente. La Commissione della Camera credette di fare un progetto su più larghe basi;ma il vero è che il problema non poteva essere risolto che da un Parlamento eletto col suffragio universale possibile. L’opinione pubblica, signori, richiede un esame di questa legge più largo, più profondo, più completo; reclama che si riconosca una buona volta, e con precisione, quale sia il vero capitale fruttifero della beneficenza in Italia, perché il capitale che ho indicato, è un capitale nominale: quanta parte di reddito vada a beneficio delle classi indigenti, quanta parte sia assorbita dai pesi patrimoniali, quanta dalle spese di cullo, di cui questo patrimonio è in parte gravato;quanto principalmente dalle spese di amministrazione, che, in generale, si ritengono esagerate, e in parte sfruttate da parassiti che vivono all’ombra della pubblica beneficenza. Tutto ciò richiedeva un’indagine completa; che fu affidata da me ad una Commissione composta d’uomini chiarissimi e competenti. Il lavoro della Commissione è avanzato, quantunque, debbo confessarlo, non dappertutto fu assecondata l’opera sua, malgrado le istanze del Governo, e le impazienze del pubblico; tuttavia i dati occorrenti alla compilazione del grande inventario della beneficenza sono quasi intieramente raccolti. In quasi tutte le provincie sono costituiti Comitati, che devono cooperare colla Commissione centrale: sono già più di duecento, con circa un migliaio di cittadini che prestano al Governo l’opera loro intelligente e patriotica.
Io ho ferma fiducia che fra pochi mesi la Commissione reale potrà ultimare il suo lavoro ed i nuovi legislatori avranno sottomano tutti i materiali necessari a risolvere un tema di supremo interesse per le popolazioni italiane.
Due altre poderose questioni saranno poste dinanzi ai nuovi legislatori: l’una riguarda l’esercizio delle ferrovie da concedersi all’industria privata, l’altra per provvedimenti oramai indispensabili ad aiutare la nostra marina mercantile.
Non occorre dire che sul primo argomento il Ministero mantiene fermamente l’opinione della Sinistra parlamentare, come fu concretata in una precisa disposizione di legge, per affidare l’esercizio delle ferrovie all’industria privata. La lunga e luminosa inchiesta ordinata per legge, stupendamente compiuta dagli uomini chiamati a studiare il grave problema, deve a quest’ora avere dissipati i dubbi sorti, e rimesse in onore quelle povere convenzioni ferroviarie da me allestite, e cosi severamente giudicale da molti, prima ancora che fossero, non dirò esaminate e discusse, ma lette (Benissimo!).
Una voce. Questa è la verità.
Depretis. Il Governo si adoprerà con tutte le forze, è inutile dirlo, per affrettare la soluzione di questo problema, e studierà se può connettersi colla costruzione più rapida delle reti ferroviarie italiane, per aiutare sempre più le forze economiche del paese.
Sul secondo argomento è pure aperta un’inchiesta, compiuta da una Commissione, la cui relazione è affidata a quel chiaro ingegno che è l’onorevole Boselli.
Non è disputabile, o signori, per me e per i miei colleghi, che lo Stato debba venire in aiuto alla nostra Marina mercantile, colpita, tra noi, come in altri paesi, dalla grande e rapidissima trasformazione del materiale navale, in conseguenza del progresso delle industrie metallurgiche e dell’architettura navale. È una grande forza economica, che lo Stato deve ad ogni costo difendere e conservare.
Non entrerò nei particolari della questione;solo affermo la decisa volontà del Governo di presentare ai nuovi legislatori serii ed efficaci provvedimenti.
Poco mi resta per disegnare il programma dei lavori legislativi sui quali sarà chiamata l’attenzione del Parlamento nella nuova sessione: mi limiterò ad indi, care i vari disegni di legge in parte già presentati, e che in parte saranno allestiti premurosamente da’ miei colleghi i Ministri d’agricoltura e delle finanze.
Sarà ripresentata la legge sulla perequazione fondiaria (Bravo!), che non potrebbe essere più oltre procrastinata. Il Ministero è concorde nella massima che da questa legge debba essere eliminata ogni fiscalità, ed ogni intento finanziario. Senza di essa non è possibile una razionale ed utile sistemazione del sistema vigente delle imposte dirette: mancherebbe la base di un definitivo ordinamento dei tributi locali, e non si rimuoverebbero gli ostacoli più gravi che si oppongono all’efficace ordinamento del credilo fondiario, si urgentemente e giustamente invocato dai nostri agricoltori.
I miei egregi colleghi, i Ministri delle finanze e d’agricoltura e commercio, con tutta l’alacrità e la diligenza che loro è ispirata dall’amore del paese, si occuperanno per risolvere i problemi che si riferiscono al riordinamento del credito in tutte le varie forme colle quali si esplica nei molteplici nostri Istituti.
L’abolizione del corso forzoso sarà un mezzo potente per giungere alla meta, ed una salutare agitazione scientifica e pratica, che comincia nel paese, agevolerà l’opera del legislatore. A questi grandi scopi dovrà pure collegarsi l’ordinamento definitivo degli Istituti d’emissione, il quale, per evidente ragione, deve seguire immediatamente alla ripresa dei pagamenti in moneta metallica, dovendone essere in gran parte la naturale e necessaria conseguenza.
Attende pure un prossimo compimento la riforma del nostro sistema doganale.
Già si è fatto non poco, come abbiamo accennato, coll’approvazione dei trattali di commercio coll’Austria-Ungheria e colla Francia, col l’abolizione di parecchi dazi d’esportazione e con altri provvedimenti, che credo superfluo enumerare.
Certo, si fece non poco: ma questo importante complesso di riforme deve essere compiuto, ed è per ciò che sarà subito presentato al Parlamento il pro, getto di legge per la riforma della tariffa doganale, allo scopo di meglio provvedere ai legittimi bisogni dei nostri fabbricanti, alle esigenze ed alle condizioni delle industrie moderne ed alla difesa efficace del lavoro nazionale.
(Bravo!).
Saranno pure presentati importanti provvedimenti in ordine ai tabacchi ed agli spiriti, due basi importanti dell’edificio finanziario dello Stato. Il monopolio dei tabacchi sarà riassunto dallo Stato al 1° gennaio 1884, quando, con non piccolo sollievo per la finanza, cesserà la Regia. Si terrà conto degli studi e delle proposte di una Commissione d’inchiesta, che fu nominata dal Governo nell’intento di portare utili miglioramenti ad una azienda, intorno alla quale si ha oramai un ricco capitale di osservazioni, di fatti, di esperienze.
Le tasse sugli spiriti sono oltremodo promettenti sotto l’aspetto fiscale e sotto l’altro, non meno importante, della protezione industriale.
Malgrado il vivissimo, comune desiderio, non possiamo prendere oggi un impegno a giorno fisso per la diminuzione della tassa sul sale. Bensì non esiliamo a ripetere quello che fu dichiaralo in Parlamento: che la prima tassa che dovrà essere diminuita, appena le condizioni dell’erario lo permettano, sarà appunto la tassa sul sale (Bravo!).
Oltre al disegno di legge sulle pensioni, di cui fu più volte dimostrata l’importanza amministrativa e finanziaria, oltre a quello sulla cassa militare, di cui non occorre qui ricordare la convenienza, sarà ripresentato il disegno per la riforma della legge sulla contabilità dello Stato. Tutti, d’ogni partito, ne riconobbero l’utilità, e ne lodarono il concetto: solo la ristrettezza del tempo ha impedito che fosse approvato dal Senato e diventasse legge dello Stato.
Sarà finalmente oggetto di studio la condizione delle finanze dei Comuni, problema complesso ed irto di difficoltà, che merita la più seria attenzione del Governo. Ed io prendo l’impegno che esso formerà pure materia di un disegno di legge che verrà maturamente studiato e sarà presentato al Parlamento.
Oramai, o signori, ho finito. Mi rimane a ringraziare voi tutti della vostra attenzione, e vorrei pure ringraziare ancora una volta i miei vecchi elettori della costante benevolenza che mi hanno dimostrato. Ma basterà che io ricordi loro quello che dissi in principio: a loro mi lega un sentimento di gratitudine incancellabile, un affetto vivissimo e non solamente verso i vecchi, ma anche verso i nuovi elettori. Non è per me che la stessa famiglia si è accresciuta. Io non mi sono mai creduto solamente il rappresentante dei vecchi elettori di Stradella, non mi sono mai solamente creduto il rappresentante di una classe che la legge chiamava al voto politico, bensì dell’intera popolazione; come non ho mai pensato che nel vostro intendimento, o elettori di Stradella, voi mi abbiate mai creduto il rappresentante d’una località, ma piuttosto quello dell’intera nazione (Bravo! applausi).
Abbiamo fatto con semplicità e schiettezza la storia dei nostri atti;abbiamo presentala la nostra difesa, dichiarato nettamente le nostre opinioni e i nostri intendimenti. Noi confidiamo nel senno degli elettori ed aspettiamo con tranquilla coscienza il loro verdetto, il verdetto della patria nostra, l’Italia.
Di questa Italia, o Signori, che ha l’invidiata fortuna dì possedere la Dinastia più antica e più liberale d’Europa (Benissimo!). Una Dinastia che seppe indissolubilmente unire le proprie sorti a quelle della nazione.
Il Figlio augusto del gran Re che ha fondato l’unità nazionale, conserva nel paterno retaggio due sacri legati, che sono le più belle gemme della sua corona avita: l’amore delle armi, perché l’Italia sia rispettata e temuta, ed il culto delle pubbliche libertà, perché sia grande e felice (Benissimo! applausi prolungatissimi. Evviva il Re!).
Io v’invito quindi a bere ad Umberto I, al Re d’Italia. Evviva il Re!

(Evviva il Re! applausi fragorosi e prolungati).
…al Capo valoroso dell’Esercito italiano (Evviva! prolungatissimi applausi).
…al Difensore delle pubbliche libertà (Evviva! evviva! prolungatissimi e fragorosi applausi).

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