Discorso di Palazzo Barberini di Saragat

Discorso di Palazzo Barberini di Saragat

Categoria: Socialisti

Non spetta a me fare un discorso programmatico, e questo per due ragioni, e questo per due ragioni. La prima è che il nostro partito non è ancora in grado di formulare un programma organico. Un partito che risorge non può elaborare i propri principì programmatici per la volontà di due o tre persone. Il programma politico di un partito di lavoratori, com’è il nostro, non può essere che il risultato della volontà cosciente di tutti coloro che vi aderiscono. d’altro canto, anche se, com’è ovvio, saranno date delle direttive, sarà la Direzione provvisoria che dovrà tracciarle. È la Direzione provvisoria che fisserà gli orientamenti a cui i compagni debbono attenersi in attesa di un regolare Congresso.
Quello che debbo fare io oggi è puramente e semplicemente di richiamarvi alle difficoltà che stanno di fronte a noi. Non facciamoci nessuna illusione, compagni: la strada che noi seguiamo è una strada ardua. Troveremo degli ostacoli, urteremo in difficoltà e in incomprensioni. Io credo che. Appunto, il vero coraggio consista nell’affrontare i compiti difficili come sono quelli che stanno di fronte a noi. Prima di tutto dobbiamo acquistare coscienza che il passo che abbiamo compiuto oggi doveva essere fatto. Su questo nessun dubbio è possibile.
Noi che siamo stati legati per un quarto di secolo alla vita del movimento socialista, ci siamo posti questo problema come un problema di coscienza e lo abbiamo risolto come lo abbiamo risolto perché sentivamo che questo era il nostro dovere.
Qual era la nostra situazione nel partito “fusionista”? Due anni fa abbiamo visto sorgere in Italia un’ondata di speranza che sollevava gli uomini e le donne del nostro Paese verso l’idea socialista. Larghe masse popolari si orientavano verso di noi, ma purtroppo questa spinta verso il socialismo, che, qualora fosse stata favorita ed organizzata, avrebbe creato la possibilità di dare una soluzione soddisfacente ai grandi problemi della vita nazionale, si è arenata nelle secche del partito “fusionista”. Siamo giunti alla situazione attuale in cui le correnti che servivano con maggiore entusiasmo l’ideale socialista si sono trovate straniere nella loro casa. Non c’erano che due soluzioni: o rinunciare a battersi per l’idea che ci e cara, oppure fare quello che abbiamo fatto.
Qual è, compagni, lo scopo essenziale del movimento socialsita che rinasce oggi? Io so che nella stampa borghese si dànno di questi avvenimenti interpretazioni bizzarre. Quali sono in realtà le ragioni profonde e reali che ci hanno spinto a questa conclusione? Lo scopo essenziale del movimento socialista che risorge è di portare la parola del socialismo nel seno delle classi lavoratrici italiani. Ci si dice: badate, voi non troverete modo di prendere contatto con la classe lavoratrice. La classe lavoratrice italiana non vi ascolterà, la classe lavoratrice italiana è impermeabile all’idea socialista italiana. Ebbene, se questo fosse vero, sarebbe una ragione di più per fare quello che abbiamo fatto. Se veramente l’idea socialista fosse stata strappata dal cuore delle classi lavoratrici italiane, noi sentiamo con forza ancora maggiore che il nostro dovere è di continuare l’opera di proselitismo, iniziativa or sono cinquanta anni dai nostri grandi Maestri. Ma è poi vero che la classe lavoratrice italiana sia impermeabile all’idea socialista? È poi vero che essa sia conquistata dalle nuove dottrine venute da altri paesi? Non è vero. Lo abbiamo visto nelle elezioni del 2 giugno, che hanno fatto del partito socialista il più forte movimento della classe lavoratrice italiana. Il numero dei voti che il partito socialista ha riportato allora, è stato maggiore di quello del partito comunista. Questo prova che larghe zone della massa proletaria hanno votato per noi. Quando l’uomo dell’officina, quando il proletario ha fatto una scelta tra noi e i comunisti, non l’ha fatta per capriccio o per calcolo, ma per ragioni profonde di carattere ideologico, di carattere politico, di carattere morale. È tra gli intellettuali che si constata la facilità del passare da questa a quella dottrina, e da questo e quel partito. Ma quando l’operaio fa una scelta, la fa per ragioni profonde e la fa per tutta la vita. A questi operai che hanno votato per noi, non potevano neppure far balenare il miraggio di realizzazioni immediate, come poteva permettersi il comunismo, il quale si presentava con realizzazioni concrete che avevano trionfato già in altri paesi. Noi non potevamo presentare agli operai socialisti che degli ideali non ancora realizzati, non potevamo suscitare nei loro cuori che delle speranze. Se hanno votato per noi è perché l’idea socialista era profondamente radicata nei loro cuori. Noi ci urteremo, come ho detto, in difficoltà gravi e dobbiamo essere preparati ad affrontarle con spirito di sacrificio e non con spirito polemico.
Il compagno Calosso ha detto molto bene che s’illudono coloro i quali pensano che il nostro movimento possa in un modo o nell’altro orientarsi verso forme d lotta anticominista. Mai noi potremo assumere un atteggiamento di ostilità nei confronti dei comunisti. Quali che siano le radicali differenze che ci separano da loro, noi sappiamo che in Italia il partito comunista rappresenta larghe zone della classe lavoratrice. Una delle ragioni profonde della rinascita del nostro movimento è stata appunto questa: la possibilità di portare la parola del vero socialismo nel seno della classe lavoratrice, senza essere necessariamente costretti a rivendicare questo diritto attraverso una polemica che potrebbe prestarsi all’accusa di anticomunismo. Nel seno del partito “fusionista” eravamo costretti a lottare per la sua autonomia e lottando per la sua autonomia dovevano mettere l’accento su ciò che ci caratterizzava, offrendo così il fianco alla speculazione demagogica di chi aveva interesse ad isolarci dalla classe lavoratrice. Il nostro partito invece, non avrà più bisogno di difendere la sua autonomia, perché si tratta di compagni fedeli che, anziché insidiarla, la difenderanno. Siamo quindi in grado di affrontare il problema dei rapporti col partito comunista con la massima serenità, svincolati dalla pesante ipoteca che gravava sui difensori dell’idea socialista in séno all’altro partito. Abbiamo così riconquistato, nei confronti dei comunisti, una libertà di giudizio che prima non avevamo. Con una maggiore libertà di giudizio abbiamo conquistato una maggiore libertà di azione. Non saremo più costretti ogni istante a dover difendere nell’interno del partito posizioni che oggi sono definitivamente acquisite. Non saremo più costretti a dover difendere la nostra casa, refrattaria ormai a penetrazioni dall’esterno. Liberati dalle minacce che gravavano su di noi nel partito « fusionista », potremo porre il problema dei nostri rapporti con i comunisti su un piano politico non più polemico ma umano, e, ardisco sperare, fraterno. Se i “fusionisti” con il loro atteggiamento non ci avessero precluso fino ad oggi questa strada, penso che saremmo riusciti da un pezzo a creare un movimento socialista sottratto ad ogni complesso di inferiorità.
Questa è una delle colpe più gravi dei “fusionisti”. Ci si dice: vedete, voi correte il rischio di diventare un partito che finirà di avere vita soltanto in certe regioni italiane, nelle quali la propaganda comunista non è abbastanza sviluppata e non penetrerete invece nelle regioni dell’Italia settentrionale dove la maggioranza dei lavoratori è già conquistata dall’idea comunista. In altri termini noi correremmo il rischio di formare un partito che avrà una rappresentanza formata prevalentemente da militanti delle regioni dell’Italia meridionale. Io non credo a ciò. Ma, se anche fosse vero che gli elettori dell’Italia meridionale per la prima volta nella storia italiana si raccogliessero numerosi intorno ad un grande partito socialista, che male ci sarebbe? In questo modo noi avremmo la possibilità di riso vere problema del mezzogiorno, problema che figura nei programmi di tutti i partiti, ma che ancora non è stato seriamente affrontato e che è lungi dall’essere risolto.
In ogni caso è certo che il nostro partito conta sull’affluenza dei voti degli elettori dell’Italia meridionale. Uno dei punti fondamentali del nostro futuro programma sarà appunto dedicato ai problemi che interessano quelle nobili regioni. Ma noi siamo sicuri che avremo l’adesione fervida anche dei lavoratori del Nord, perché non è affatto vero che gli operai abbiano scacciato dal loro cuori l’amore per l’idea socialista. I fatti del resto ci daranno ragione. Quando noi saremo riusciti a mobilitare le forze che anelano agli ideali di giustizia e di libertà, e quando saremo andati nelle officine a parlare il linguaggio della fraternità, voi vedrete che troveremo un consenso superiore a quello che noi stessi ci attendiamo.
C’è un altro pericolo, dicono i nostri critici, voi potreste diventare un partito di piccolo-borghesi; un partito che non avrà le caratteristiche proprie di ogni movimento socialista. È chiaro, compagni, che la fisionomia politica di un movimento è determinata non dalla volontà di coloro che lo dirigono, ma delle condizioni sociali delle forze che lo compongono. Ed è chiaro che, se la maggioranza degli iscritti al nostro movimento dovesse essere formata dai lavoratori del cento medio, la fisionomia socialista del partito ne risentirebbero. Noi siamo certi che così non sarà. Ma, se anche per un’ipotesi assurda fosse vero che nel nostro partito i lavoratori del ceto medio dovrebbero prevalere sui proletari, se anche fosse vero, come speriamo, che i lavoratori del ceto medio al nostro appello si raccogliessero in massa compatti intorno alla bandiera del socialismo, noi riusciremo ad impedire quello che è avvenuto nel 1922. allora questi lavoratori del ceto medio si orientarono verso formazioni di destra e, peggio ancora, formazioni reazionarie. Anche in tal caso noi avremo reso un servizio incalcolabile allo sviluppo democratico del nostro Paese. C’è infine chi teme che noi si possa diventare un partito dominato da complessi anticomunisti.
Io ho detto poco fa le regioni per cui precisamente le condizioni in cui siamo sorti e le forze che si raccolgono intorno a noi ci permettono di evitare questo pericolo. Non abbiamo più bisogno oggi di difendere in polemiche aspre l’autonomia del nostro partito. Abbiamo quindi la possibilità di mantenere inalterata la nostra fisionomia politica e presentarci alle folle operaie col nostro programma, senza dover contendere ad ogni istante per difendere la purezza dei nostri principi. Il compagno Togliatti ci assuma di aver lavorato contro la democrazia e la libertà sento tutt’al più l’amarezza viva per questa incomprensione profonda e la volontà di dimostrare coi fatti a tutti i lavoratori italiani che siamo noi i veri amici della democrazia.
Qual è, compagni, il dissenso di carattere ideologico che ci separa dai comunisti? E prima di tutto cos’è, compagni, la democrazia? La democrazia non è altro che la partecipazione attiva, continua, di tutto il popolo alla vita politica.
Nell’interno di un partito è la stessa cosa.
La democrazia è la partecipazione di tutti i compagni alla vita del partito. La differenza che passa tra noi e i comunisti è questa: mentre i compagni comunisti fanno partecipare i loro militanti alla vita interna del partito per tutto ciò che si riferisce alla parte organizzativa (e su questo piano bisogna riconoscere che sono veramente ammirevoli) li escludono però dalla formulazione delle linee direttive generali che vengono sempre dettate dall’alto. Ora tali direttive generali potranno anche essere le migliori di questo mondo, ma la base comunista non ha diritto d’interferire su di esse. I comunisti della base aderiscono ai programmi che vengono loro proposti senza che essi partecipino effettivamente alla loro elaborazione. Per noi la democrazia politica è un’altra cosa. Noi intendiamo per democrazia la partecipazione di tutti i militanti non solo alla organizzazione del partito, ma alla elaborazione delle linee fondamentali che orientano l’azione comune.
Non si tratta per noi di lanciare delle parole d’ordine e di cercare con una tecnica perfezionata di far sì che queste parole d’ordine vengano assimilate dai militanti; ma al contrario di risuscitare il essi un senso di responsabilità individuale, facendoli veramente partecipi nell’elaborazione del comune programma socialista. Questo il dissenso ideologico che ci separa dai comunisti, ed è un dissenso che investe la natura stessa della democrazia. Ma la democrazia, come la intendiamo noi, non va forze a scapito della disciplina? È chiaro che nessun partito politico può vivere ed organizzarsi senza che le forze che lo compongono accettino una disciplina comune.
Vorrei su questo punto essere molto chiaro. La nozione che noi abbiamo della disciplina è diversa da quella che hanno altri partiti proletari. Non si tratta, beninteso, di sapere se la minoranza deve o non accettare le decisioni della maggioranza. Nessun partito politico potrebbe vivere se le minoranze si rifiutassero di accogliere come norma comune la volontà della maggioranza liberamente stessa. Il problema della disciplina è un altro. Disciplina dei militanti vuol dire spirito di rinunzia e devozione ad una causa comune. Senza questo senso del sacrificio e della devozione non è possibile creare quell’anima collettiva, che è la sostanza spirituale su cui si fondano i partiti politici. Ognuno di noi deve rinunziare ai propri punti di vista particolari e deve accogliere come norma comune la volontà espressa dalla maggioranza. Ma,. se ognuno di noi deve fare questo sacrificio in omaggio all’interesse di tutti, c’è una cosa che un partito socialista non potrà mai imporre ai suoi militanti, una cosa che non potrà mai chiedere loro. La disciplina in un partito di classe può giungere fino agli estremi limiti del sacrificio della propria vita. Matteotti ce ne ha dato un esempio. Ma guai a noi se per disciplina intendessimo che il militante deve distruggere in sé la coscienza della sua personalità individuale. C’è per tutti noi socialisti qualcosa che è più in alto dello stesso nostro partito ed è il diritto di ogni uomo di giudicare nella propria coscienza di ciò che è bene e di ciò che è male, di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto. Ma noi non potremo delegare questo nostro inalienabile diritto al partito, che pur ci è tanto caro, in nome della disciplina formale. Ho detto che questa facoltà di giudizio morale è un diritto. Sarebbe più corretto dire che è un dovere. E questo dovere noi non potremo in nessun caso delegare ad altri. Il Partito può imporci tutti i sacrifici, ma non può imporci di sacrificare la.nostra coscienza morale. Ecco quel che intendiamo noi, compagni, per disciplina. Ma non ci si fraintenda. Questo senso di libertà individuale si identifica con la nozione di libertà nell’atto stesso in cui si identifica con quella di devozione ad una causa comune. La nozione di libertà per noi socialisti è profondamente diversa da quella che fu elaborata dalla classe borghese nella Rivoluzione dell’89 pur avendo in essa le sue radici. Non vorrei esprimere un giudizio troppo severo, ma è certo che viviamo in un periodo di decadenza di pensiero proletario. Mai, come in questo periodo, in cui tutti sentono che la realizzazione socialista batte alle porte si è visto un tale abbassamento del pensiero nei movimenti operai. Le interpretazioni più rozze del marxismo, che una critica illuminata nel corso degli ultimi cinquant’anni aveva eliminate, ritornano a galla.. A coloro che affermano che questo scadimento della coscienza proletaria è dovuto al fatto che siamo entrati nel periodo delle realizzazioni, che siamo entrati nel periodo in cui le armi della critica sono sostituite dalla critica delle armi, rispondiamo con Marx che “l’ignoranza non è mai stata un argomento“, e che precisamente nei periodi più fertili di realizzazioni, più fervido deve essere l’apporto della teoria all’attività pratica, e che precisamente nei periodi di realizzazioni bisogna ricordarsi che, se “ il proletariato è il braccio della filosofia, la filosofia è la testa del proletariato”. Marx voleva con questo dire che non è possibile un ‘ azione di carattere rivoluzionario, se questa azione non è animata da un pensiero critico, da un pensiero cosciente. La lotta operaia si svolge oggi in Europa in un’atmosfera di grave depressione spirituale e mentale.. Si è quasi tentati di credere che le classi dirigenti dei partiti proletari assecondino, sia pure inconsapevolmente, questo processo di soffocamento della coscienza proletaria. Al posto di un pensiero critico si sostituisce un catechismo dogmatico,, al posto della coscienza di classe un conformismo di classe. C’è come la sensazione che queste classi dirigenti vogliano mantenere il proletariato in uno stato di verginità intellettuale per poterlo manovrare a loro guisa. Questo non è certo nelle loro intenzioni, ma gli effetti sono quelli che noi constatiamo. Invece di favorire il processo autocritico dei lavoratori, invece di raccogliere le loro esperienze, invece di fare, come faceva Gramsci, che era capace di interrompere la discussione di un alto consesso politico per riferire l’opinione del modesto operaio che aveva incontrato per caso o della modesta massaia, si ha l’impressione, dico, che s’intenda promuovere nella classe lavoratrice uno stato di ricettività mistica, negatrice di ogni pensiero critico e rivoluzionario. La politica oggi si fa con gli slogan che vengono lanciati con la tecnica con cui gli industriali americani lanciano i loro prodotti. Se si intendesse marciare verso l’organizzazione totalitaria, non si ricorrerebbe ad espedienti diversi. Che valore hanno, in questa atmosfera di conformismo, in questa atmosfera priva di spirito critico le affermazioni di democrazia e di libertà? Chi può credere che veramente s’intenda con questi metodi promuovere l’avvento di una realtà sociale in cui la nozione di responsabilità sia fusa a quella di solidarietà, in cui quella di giustizia si armonizzi con quella di libertà? Chi può credere insomma che si tenda con questi mezzi verso la società in cui il libero sviluppo di ognuno sia la condizione del libero sviluppo di tutti? Si ha l’impressione invece che tutto sia predisposto per dirigere i lavoratori verso una società, in cui la coercizione di ognuno sia la premessa per la coercizione di tutti. Questo processo di sterilizzazione dello spirito dei militanti viene mascherato con affermazioni classiste ed unitarie, le quali, sacrosante in sé, diventano in questo clima foriere di conformismo e di coercizione. Certo, l’unità è una cosa sacra a tutti i cuori dei socialisti, ma di quale unità si parla? Se questa unità dev’essere il risultato del concorso di tutte le volontà, noi l’accoglieremo con impeto fraterno, ma, se questa unità dovesse realizzarsi sulla distruzione di principi democratici, noi dovremo respingerla. Uno degli scopi essenziali del nostro Partito è di creare le premesse per la vera unità della classe lavoratrice. Unità che non può realizzarsi che sul piano democratico, dove tutte le correnti possono armonizzarsi in un concorso fecondo. Mai si è visto un rovesciamento più radicale delle tradizionali concezioni socialiste. Mai si è assistito ad un diniego più violento di quei principi su cui sono fondati i nostri ideali. La nozione del mezzo ha soverchiato quella del fine. La lotta di classe, come strumento dell’abbattimento del capitalismo, e la instaurazione di una società libera ed associata, si risolvono in una lotta per l’instaurazione di Stati onnipotenti. Il capitalismo muore ed il socialismo non nasce.
Nasce la stato-latria, nasce il totalitarismo, nasce non la libertà sociale ma la coercizione sociale. La curva dell’evoluzione tende non già a dare un carattere provvisorio a queste nuove organizzazioni, ma un carattere definitivo, in cui si aggravano tutti gli aspetti del conformismo e svaniscono sempre più gli elementi di vero socialismo che pure contengono. La separazione tra burocrazia e popolo si aggrava, le limitazioni della personalità umana si esasperano.
Udite le parole di Jaurès: “Se nell’ordine sociale sognato da noi non incontrassimo la libertà, la vera, la vivente, la piena libertà, noi ripiegheremmo verso la società attuale, malgrado i suoi disordini, le sue iniquità, le sue oppressioni. Meglio allora la solitudine, con tutti i suoi pericoli, che la coercizione sociale. La giustizia è per noi inseparabile dalla libertà”. Ecco la grande parola. Ecco la nostra dottrina. È questa parola che noi vogliamo portare in seno alla classe lavoratrice. Di fronte alla confusione del conformismo bisogna ribadire i principi del socialismo di sempre, di quel socialismo che non può essere che la creazione di lavoratori liberamente associati, coscienti dell’oppressione di cui sono vittime, animati dalla certezza di andare verso un ordine nuovo, libero e giusto, e già anticipanti nel loro spirito la immagine di quella superiore realtà umana per cui combattono. In questo processo di conquista dell’umanità totale vano sarebbe arretrare di fronte alle ipoteche che la realtà passata pone a quella presente e di cui quella presente si deve sbarazzare ad ogni costo per aprirsi un varco verso l’avvenire.

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