Editto di papa Gregorio XVI contro i ribelli del 1831

Editto di Gregorio XVI del 5 aprile 1831 contro i ribelli, con dichiarazione di non riconoscere la capitolazione firmata dal Cardinale a latere Benvenuti.

Categoria: Domini Pontifici

GREGORIO XVI ALLI SUOI DILETTISSIMI SUDDITI.
Quel Dio, che non isdegnò pe’ suoi impenetrabili consigli chiamare la nostra debolezza al sommo Pontificato, non ci dimenticò fra le angustie che fin dai primi momenti del medesimo moltiplicaronsi rapidamente; e con un tratto della sua sempre amabile providenza non permettendo che superiori esse fossero alle forze, comparti sollecito a noi colla tribolazione stessa il mezzo di superarla, acciocché non fossimo confusi nelle speranze di sicura protezione divina, le quali già esternammo vivissime nell’indirizzare per la prima volta la voce ai nostri popoli. Mentre perciò lieti annunciamo calmata la tempesta, e resa la tranquillità nelle provincie, che persone inimiche della religione e del trono desolarono cogli orrori della fellonia, esultiamo di poter proclamare a gloria del vero, che se incontaminata conservasi nel nostro popolo romano la purità di quella fede, che con divina testimonianza asserì lo Apostolo Paolo essere annunziata in tutto l’universo, costante del pari e celebrata in tutta l’Europa è la sua fedeltà a chi n’è costituito padre e sovrano. Dolce è per noi rendere così un pubblico elogio ad un popolo tanto fedele, da cui perciò ne’ momenti anchè più torbidi non ci saremmo mai allontanati, risoluti di dividere con esso quella sorte colla quale fosse piaciuto a Dio umiliarci sotto la potente sua mano. L’attaccamento sincero, la filiale obbedienza, la docile sommissione dello stesso popolo verso la nostra persona, sicccome a noi ispiravano una illimitata fiducia nel medesimo, così cara ci renderanno sempre la memoria delle commoventi dimostrazioni che esso procurò darne con modi i più luminosi. Passarono, mercè il divino soccorso che nel fervore di pubbliche e private preghiere affrettarono i nostri figli, passarono i giorni di tristezza, e in un coll’arco spezzaronsi le armi che mani sacrileghe imbrandirono per portare nell’Agro Levitico il devastamento ed il pianto. La sede del cristianesimo, che per singolare predilezione volle Dio che si reggesse da chi principe fosse e pontefice, acciocché l’essere egli principe il rendesse più libero nell’esercizio della spirituale sua autorità; trionfò anche questa volta, difesa contro le macchine dell’empietà da chi la pose quasi terra inespugnabile, da cui pendono a mille e mille gli scudi, ed ogni armatura dei forti.
Ma se, colla sincerità di riconoscenza la più viva, ravvi siamo nell’imperiale reale esercito austriaco quelle elette schiere di prodi, alle quali volle Dio riservato il trionfo sopra la per versità de rivoltosi, e con esso l’onore di rendere i suoi Stati alla s. Sede, coronando con sì felice successo gl’impulsi in cessanti di quella religione purissima, che forma il più bello elogio dell’augusto e potente loro Signore Francesco I, al quale indelebile gratitudine ci legherà perpetuamente; gloria sia pure e lode a quegli onorati cittadini, che riunitisi premurosi in milizia civica vegliarono indefessi sotto le armi, e fra i tra vagli di servizio il più stretto, alla salvezza della nostra persona ed alla quiete di questa città. Noi osservammo con te nerezza gareggiare in questo generosamente e indistintamente col popolo persone tratte dalla nobiltà più illustre, e da quanto evvi in tutti gli ordini di scelto e di attivo. Il nostro spirito ne fu commosso sommamente, e caro quindi ci è il dichiarare, che a prove sì belle di tanta devozione corrisponderà sempre la pienezza del nostro affetto, che non sarà pago se non colla sicurezza della compiuta felicità di figli così fedeli, alla quale è per noi un vero conforto dedicare le cure le più industriose. Ma in così decisa fedeltà e in sì nobile intendi mento emule ebbe il popolo romano le convicine provincie, che dopo essersi disposte alla difesa dei loro territorii, ebbero a gloria d’inviare de’ volontari, i quali lasciati i propri focolari, corsero ad aumentare quella parte preziosa delle nostre truppe che sotto esperti ed onorati condottieri senti la forza de giuramenti a noi prestati, e seppe difendere e far rispettare un suolo sacro alla fedeltà: e quindi abbiano tutti l’assicurazione del nostro pieno gradimento, e la promessa che non rimarrà esso sterile, troppo interessandoci di procurare effettivamente il loro maggiore vantaggio, per quanto le in fauste circostanze il permetteranno.
Vorremmo pure dilatare con eguali espressioni il cuore sopra tutti gli altri popoli ancora, che Dio affidò al nostro temporale governo. Ma se furono essi strascinati nelle disavventure della rivolta, ci è ben noto che non furono, nella massima parte, che vittime della coazione o del timore; siccome ben dimostrò la esultanza e la gioia con cui, appena apparve un raggio di prossima liberazione, scosso il giogo umiliante loro imposto dai sediziosi e sostituito alle insegne della fellonia i pacifico vessillo del pontificio governo, proclamossi il ritorno a quel padre e sovrano, dal cui seno gli aveva strappati miseramente il delitto di pochi.
Fermi nel gran pensiere di dare providenze che migliorino felicemente lo stato dei nostri sudditi, volgemmo a questo an che fra le affliggenti passate calamità le nostre sollecitudini, e pronti sempre ad ascoltarne i voti che siano figli di veraci bisogni ed atti ad operare i desiderati vantaggi, manifeste remo premurosi quelle disposizioni che la considerazione del passato e l’esame delle circostanze ci additano per le più utili.
Ma tante cure paterne rimarrebbero pur troppo deluse, nè potrebbero farci pervenire al bramato intento, e quando anche ci si presentasse il più lusinghiero apparato di un felice avvenire, momentanea ne sarebbe la durata, se con energiche misure non si prevenisse il ritorno dei disordini, che ben diuturne lascieranno le traccie de’ mali che ne ridondarono.
Memori perciò che sarà sempre soffocato il grano eletto, Se non ne sia svelta fin dalle radici la zizania che l’uomo inimico vi sopraseminò, non potemmo che vedere con rincrescimento un atto dato in Ancona il giorno 26 dello spirato marzo, il quale lasciando illesi gli elementi della ribellione, non ne sospendeva che momentaneamente gli effetti, che tanto più ruinosi si sarebbero risentiti appena fosse mancato quel
che ne arrestava il vorticoso torrente. Ma grazie a quel Dio che, immenso nella sua providenza, trae dal male veri beni, ove così giudichi convenire per la causa della maggiore sua gloria, permise egli ne capi de faziosi nuove penali cecità.
Avverandosi nei medesimi che essi fallirono nei loro vaneggiamenti, nello scrutare follemente nuovi mezzi alla loro reità, si divisarono eglino di riparare al bisogno dell’istante col carpire, in presenza della forza e con fallaci prospetti d’imminenti sciagure, non senza simulare eziandio menzogneri pentimenti, un atto del dilettissimo nostro figlio il Cardinale Ben venuti, il quale senza verun riguardo alla sublime sua dignità ingiuriato poco prima, assalito, arrestato, e caduto per siffatti trattamenti in grave malattia, nè ancor reso alla necessaria libertà, tenevasi tuttora fra le mani di quegli stessi che con pubblici editti calunniosissimi avevano tentato di formarne un oggetto di popolare indignazione.
Ma chiara evidentemente, e troppo da tutti conosciuta era la nullità intrinseca di un atto di tale natura, emesso in istato di coazione da chi coll’essere strascinato prigioniere dell’inimico aveva già perduto sull’istante le facoltà di essere interprete della nostra mente, ed aveva per conseguenza cessato di essere depositario di quei poteri che gli avevamo compartiti. I buoni se ne rattristarono senza fine, e comune fu
il sentimento di duolo per la sorpresa, nella quale videsi caduto l’uomo giusto in momenti di trepidazione, e fra i tortuosi sforzi degl’implacabili nemici dell’ordine pubblico. Noi al primo conoscerlo riprovammo un tale atto, e ne dichiarammo altamente la nullità, che risultava manifestissima per tanti titoli; ed analoghe a questa massima, che ogni sacro e profano diritto garantiva, furono le istruzioni che ci affrettammo ordinare nella sola vista di allontanare dai nostri popoli reiterate disgrazie. Ministri pertanto di quel Signore il quale vuole che si recida ciò che dà causa a scandalo, e che sia tolto il fermento guasto che corromperebbe la massa, non dimenticheremo di dovere un giorno rendere conto a Dio dell’uso che avremo fatto della clemenza come della giustizia. Penetrati dai doveri che c’impone la qualità di principe, avremo sempre presente al pensiero, anche nell’insistere sulle vie della pace, che deesi a questa stringere in dolce amplesso la giustizia, la quale da noi esige severamente di porre nel caso di non poter nuocere quelli, che alle reiterate profusioni di pietà e di mansuetudine non corrisposero che con nuovi attentati contro la religione, contro il principato, contro la pubblica tranquillità.
Debitori a nostri sudditi di procurare la sicurezza e nelle persone, e nell’ordine morale, e nelle sostanze, non regoleremo che con questo scopo salutare le nostre previdenze, tenendoci nei limiti che deve avere e la clemenza e la giustizia.
Sia quindi del comune impegno implorare su noi dalla divina misericordia lume ed aiuto, onde siano secondo il volere suo le nostre determinazioni, acciocché da essa protette rendano quei risultati di soda e costante felicità, che nata, fomentata, accresciuta nel retto e nel vero, può sola rendere soddisfatti i voti, che nel compartire sui nostri sudditi l’apostolica benedizione per essi indirizziamo al Cielo fervorosissimi.


Datum Romae, apud S. Mariam Majorem, die v aprilis
MDCCCXXXI, pontificatus nostri anno i.
Sottoscritto – GREGORIUS PP. XVI.

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