Enrico Toti

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Enrico Toti, volontario della Grande Guerra

Categoria: Saggi biografici

Il volontario e medaglia d’oro Enrico Toti nacque a Roma il 20 agosto del 1882 da genitori originari di Cassino (Frosinone), fu il terzo dei loro quattro figli; i genitori erano Nicola e Semira calabrese da Palestrina e si erano sposati a Roma il 28 agosto 1881.
Nel 1897, terminate le scuole elementari e non potendo continuare gli studi (fra le materie era interessato molto alla storia) a causa delle ristrette condizioni economiche della famiglia, si imbarcò come mozzo (era appassionato di letteratura di viaggi d’avventura) sulla nave scuola della marina militare Ettore Fieramosca, ove rimase per quasi tre anni. Nel 1899 la lasciò e si imbarcò sulla corazzata Emanuele Filiberto come torpediniere, dedicandosi nel frattempo a studi sulla elettricità. Lasciata questa nave, passò poi alla Agostino Barbarigo e infine sull’incrociatore Coatit, entrambe classificate come esploratori. Su quest’ultima nave, nel 1904, Toti venne coinvolto in uno scontro sul Mar Rosso contro dei pirati che operavano nella zona e assaltavano il naviglio commerciale (lui stesso raccontò la vicenda in un articolo pubblicato sul giornale romano “La farfalla”).
Nel 1905, dopo essersi congedato in seguito alla morte del fratello Ernesto, venne assunto con un concorso come fuochista nelle Ferrovie dello Stato: fu durante questo lavoro, precisamente il 2 marzo 1908, che perse la gamba sinistra in un incidente. Nella stazione di Segni (Frosinone), mentre stava lubrificando una locomotiva che doveva agganciarsi ad una doppia locomotiva, a causa dello spostamento delle locomotive stesse, Toti perse l’equilibrio e la sua gamba sinistra venne incastrata e stritolata dagli ingranaggi in movimento. La gamba dovette quindi essere amputata poco sotto il bacino.
Non potendo più proseguire con il lavoro si dedicò ad altre attività tra cui piccole invenzioni che si trovano a Roma presso il Museo Storico dei Bersaglieri situato all’interno di Porta Pia[1]In questo museo vi era un teca interamente dedicata a Toti in cui era custoditi vari oggetti della sua vita tra cui la bicicletta di quando era militare. e che gli valsero vari riconoscimenti come lui stesso ricorda nella supplica in seguito riportata, e alla pubblicazione di un suo libro.
Grazie alla su grande forza di volontà nel settembre del 1911, pedalando in bicicletta con la gamba superstite, raggiunse varie località d’Europa: Parigi, il Belgio, l’Olanda, la Danimarca, la Germania (Düsseldorf), la Svezia (Stoccolma, ove subì il furto dei suoi beni) fino a raggiungere la Finlandia e la Lapponia (ove venne bloccato a causa delle avverse condizioni atmosferiche) e proseguì ancora verso la Russia e la Polonia, poi alla fine anche Vienna ove fu oggetto dell’attenzione della polizia che gli intimò di togliere la fascia tricolore con cui era andato in giro per l’Europa, da qui tornò in treno a Roma. Il suo rientro in Italia avvenne nel giugno del 1912 (i risultati dei suoi viaggi e delle sue esperienze successive verranno poi raccolte e pubblicate nel 2013 sotto il titolo Gli straordinari viaggi di Enrico Toti: dalle lettere di viaggio e di guerra).
Ma la sua impresa non era terminata e l’anno successivo partì nuovamente in bicicletta: da Alessandria d’Egitto raggiunse il confine con il Sudan, ma le autorità inglesi, giudicando pericoloso il percorso, lo obbligarono a porre termine al viaggio e lo rimandarono al Cairo da dove fece ritorno in Italia. Qui si dedicò all’impianto di un’industria di lavori in legno, che egli stesso eseguiva e che gli procurarono una vita agiata e tranquilla (prima si dedicò anche a lavorare nei circhi nei teatri). Oltre al ciclismo, si dedicò anche al nuoto e partecipò ad una gara nel Tevere.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale lui si schierò a Roma tra gli interventisti ma l’Italia rimase originariamente neutrale. Dichiarò guerra all’Austria-Ungheria solo il 24 maggio del 1915 e alla Germania quindici mesi più tardi; Enrico Toti voleva arruolarsi ma tutte le sue domande (tre) furono respinte a causa della sua menomazione fisica.
Decise quindi di raggiungere ugualmente il fronte in bicicletta, arrivando dietro il fronte nella località di Cervignano del Friuli in giugno, da qui andò a Sagrado (Gorizia) e sulle colline di Castelnuovo, qui frequentò i comandi, uffici militari e soldati cercando di ottenere il permesso per rimanere e partecipare attivamente alle operazioni militari.
Prese quindi contatto con le pattuglie della brigata di stanza a Monfalcone per essere aggregato ai Granatieri. Dopo questo i Carabinieri procedettero a raccogliere informazioni su di lui, un civile, e una volta appurato la sua situazione e all’interessamento dello Stato Maggiore che verificò la sua posizione irregolare, fu costretto da questi a tornare alla vita usuale.
Nel gennaio 1916 riuscì infine ad ottenere, dopo molti solleciti, di tornare nelle zone prossime al fronte e venne inviato presso il Comando Tappa di Cervignano del Friuli (Udine) come volontario civile nella brigata “Acqui” e poté indossare una divisa senza mostrine. Qui venne impiegato come portalettere, portaordini e piantone, frequentare gli ospedali per dare conforto ai feriti o per identificare i resti dei caduti sconosciuti – “servizi non attivi” e non in operazioni militari come lui desiderava.
Visto che questo non era quello che desiderava realmente Toti inviò al duca d’Aosta la seguente supplica nella quale ricostruisce le vicende della sua vita:

A S.A. Reale il Duca d’Aosta CERVIGNANO
Scoppiata la guerra contro la barbara Austria io a Roma presi parte alla testa dei dimostranti con la bandiera sventolante a parecchie dimostrazioni e dappertutto con parole espansive e comunicative dimostravo anche ai più refrattari la necessità di questa guerra. Più tardi ebbi il tricolore, ed io promisi di farlo sventolare per primo sul Colle redento di San Giusto. I giornali a Roma, a Milano, a Genova ed altrove ne parlarono con parole piene di fuoco e di amore patrio; mi accompagnarono alla stazione e mi offrirono fiori e dolci. Da quel giorno sono nella zona di guerra, sempre sotto il cimento, senza ancora prender parte ad un servizio attivo, pur essendo stato riconosciuto da tanti ufficiali idoneo a compiere servizi audaci e pericolosi, e poter così dare alla Patria il mio va lido contributo. Sono familiarizzato col pericolo a tal punto che nessun ostacolo sarebbe atto a farmi rimuovere dall’impresa prefissami. Mi sento fervente cittadino Italiano, e fin l’ultima mia stilla di sangue non indietreggio giammai. Mi pregio esporle i miei requisiti, e benché con una gamba ho meritata tanta stima nel campo dell’audacia, che spero avere i titoli sufficienti per aspirare al l’onore che chiedo.
Per otto anni servii lo Stato nella Marina da Guerra, feci la campagna di Africa, e sono auto rizzato a fregiarmi della medaglia. Fui campionato militare ciclista della squadra navale per un con corso dato a Spezia nel 1903. Dopo il mio congedo militare presi parte al concorso per essere assunto in servizio nelle Ferrovie dello Stato e fui primo sia nello studio che nel lavoro, ed il mio capolavoro meccanico fu conservato negli Uffici della Direzione Generale dall’Ing. Capo Servizio signor Savio.
Dopo tre anni di servizio rimasi vittima di un accidente ferroviario, e mi fu amputata la gamba sinistra. Rimessomi in salute ripresi la mia vita sportiva e presi parte con una gamba sola al concorso internazionale di nuoto a Roma per la traversata del Tevere, guadagnandomi la medaglia d’argento.
In seguito mi diedi allo studio di qualche invenzione, e fui premiato in varie esposizioni dove esposi i miei lavori. A Parigi ebbi la croce insigne, medaglia d’oro e diploma di onore – da S. E. il Ministro Baccelli, la medaglia di bronzo e diploma – e dal Prof. Rossi Doria una lettera di congratulazione.
Presi poi a percorrere l’Europa in bicicletta e studiarne i popoli, e d’allora ho sognato sempre di vedere l’Italia grande e prosperosa. Attraversai tutta la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Germania, la Danimarca, la Svezia e la Norvegia. Arrivai al Circolo Polare Artico, e convissi a causa del ghiaccio, qualche tempo con gli esquimesi della Lapponia. Di là fui in Finlandia, poi in Russia e da Pietrogrado, attraversando le innumerevoli steppe giunsi a Mosca. Attraversai la regione dei turcomanni, la Polonia, l’Austria fino che giunsi a Roma in famiglia. Dopo qualche mese di riposo andai in Alessandria e percorsi lungo il Nilo tutto l’Egitto, la Nubia arrivando fin quasi sotto l’Equatore nel Sudan, poco lungi dal Congo. Percorsi nel mio giro d’esplorazione circa ventimila chilometri ed ebbi sempre a che fare colle tormente di neve, ghiacci, lupi, iene, sciacalli, subendo ogni genere, di privazione, e mai ebbi a lamentarmi, ero orgoglioso della mia resistenza e della mia audacia, e fiero d’essere degno figlio d’Italia, ed in Danimarca ebbi l’alto onore di vedere la mia fotografia accanto a quelle delle LL. MM. i Sovrani d’Italia. Le giuro che ho del fegato e qualunque impresa la più difficile se mi venisse ordinata la eseguirei, senza indugio. Venni nella zona di guerra con gli attrezzi necessari per recarmi dagli Alpini: non mi fu possibile arrivarci, sopra Romans sotto il fuoco del nemico mi fecero ridiscendere, vagai di trincea in trincea con la speranza di essere aggregato in qualche corpo e poter prestare l’opera mia; catturai fucili austriaci, giberne, munizioni ecc. tutta roba austriaca che io portai al comando di tappa a Cervignano. Sono stato a Sagrado nei pressi di Gorizia, sulle colline di Castelnuovo, e nei miei percorsi verificavo sempre se i fili telefonici erano manomessi e scrutavo i campi con la speranza di acciuffare qualche perfida spia. Sono ormai conosciuto quasi da tutti gli ufficiali e soldati, anzi un giorno qui a Cervignano fui abbracciato e baciato.
Se lo voglio sono invisibile, e potrei, son sicuro, penetrare nel campo nemico e studiarne le posizioni, scoprirne le batterie, senza da essi essere veduto. La strada che da Cervignano conduce a Monfalcone è sorvegliatissima, ma data la mia perizia e scaltrezza nel percorrere le campagne passai inosservato e mi presentai, dopo avere attraversato campi di grano turco, strade secondarie ora abbassandomi ora nascondendomi a seconda che vedevo delle pattuglie, dal signor Generale di Brigata a Monfalcone e chiesi di essere aggregato ai suoi Granatieri che eroicamente combattono per la grandezza d’Italia. Ammirò il mio coraggio, ma a giusta ragione non poteva assumere tale responsabilità se non c’era un ordine superiore. Il Comando dei RR. Carabinieri chiese telegraficamente ai Carabinieri di Roma mie informazioni, esse furono ottime e così di nuovo fui mandato a Cervignano in attesa di qualche disposizione superiore.
Ora mi rivolgo a S. A. R. e sapendo che la Casa Sabauda è stata sempre magnanima e generosa, vengo a supplicarla di aggregarmi a qualche corpo ed essere così lusingato dalla speranza o di morir da eroe per la Patria o entrare fra i primi a Trieste.
Esprimendole la mia eterna riconoscenza di S. A. Reale dev.mo ENRICO TOTI[2]Mattei, Mattei, Enrico Toti medaglia d’oro al V.M., pag. 31-35.

Dopo questo, il 6 aprile 1916 ottenne le stellette regolamentari e venne arruolato nei bersaglieri ciclisti – corpo costituito nel 1907 – come parte del III Battaglione, sotto il comando del colonnello Razzini, che si era a sua volta interessato a lui dopo averlo conosciuto.

La morte

Nel 1916 durante la sesta battaglia dell’Isonzo (6-17 agosto 1916), grazie alla quale le truppe italiane poterono prendere Gorizia, Enrico Toti venne colpito dal nemico per tre volte mentre stava partecipando ad un attacco a quota 85 ad est di Monfalcone con il suo reparto (era stata lanciata un’offensiva ad opera dei tre battaglione di bersaglieri ciclisti), inizialmente alla spalla e poi al petto. Prima di morire scagliò (almeno secondo la tradizione) la propria gruccia verso l’avversario gridando “Viva l’Italia”, dopo di che venne colpito a morte. Era il 6 agosto del 1916 ed aveva 24 anni. Questa versione viene messa in dubbio da Lucio Fabi nei suoi scritti come La vera storia di Enrico Toti[3]Edito dalle Edizioni della Laguna nel 1993. (al riguardo viene anche osservato il fatto che la sua morte eroica venne presentata nella veste solitamente nota solo in ottobre dalla “Domenica del Corriere”) e una sua inchiesta apparsa su “Diario della settimana”, del 3 marzo 1999, causando anche un’interrogazione parlamentare sul tema Salvaguardia memoria di Enrico[4]Testo disponibile al seguente link: Documenti della Camera. Questa tesi che demistifica la sua morte è comprensibile alla luce del contesto in cui si realizzò la prima fase della costruzione di quello che si può definire il suo mito, una fase di necessità di mobilitazione delle masse per la guerra per superare anche il sostanziale anonimato che caratterizzava le forze mobilitate soprattutto sul fronte terrestre.

Post mortem

Il 27 agosto 1916 gli venne concessa la Medaglia d’Oro al Valore Militare alla memoria per motu proprio del sovrano, con la seguente motivazione:

“Enrico Toti, da Roma, volontario Bersaglieri ciclisti: Volontario, quantunque privo della gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d’arme dell’aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto, nel combattimento che condusse all’occupazione di quota 85 (est di Monfalcone). Lanciavasi arditamente sulla trincea nemica, continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell’anima altamente italiana. Monfalcone, 6 agosto 1916.”

Il Duca D’Aosta poi, poi emise un messaggio nel Capodanno del 1918 dal Piave, in cui lo commemorò e disse:

Nella schiera dei nostri eroi, la figura di Enrico Toti si eleva sopra gli altri, e, trascendendo i limiti e gli attributi della persona, assurge alla forza di un simbolo grande e sublime d’italianità, amor patrio insuperabile, spirito di sacrificio pari al coraggio e al valore e sopratutto alta e verace espressione di quel puro e caldo sentimento popolare che sì ricco contributo di entusiasmo, di fede, di energie, ha versato nella compagine delle forze combattenti. Onorare la memoria di Enrico Toti vuol dire onorare il popolo italiano che ha affrontato senza esitare i più gravi sacrifici per il conseguimento degli ideali patri; significa esaltare gli umili che alla gran Madre hanno fatto olocausto della loro esistenza senza nulla chiedere; significa infine confermare la santità della nostra causa ed elevare l’animo e la coscienza nazionale. La III Armata ed il suo Comandante non potranno mai dimenticare l’eroico popolano caduto in vista della meta agognata; essi sentono vivamente nel cuore il dolce richiamo che parte dalla gelida e disadorna tomba del Carso, con rovente rammarico e con nostalgico dolore lasciata, sulla quale, per le rinnovate fortune d’Italia, dovrà brillare ancora il sole della vittoria!
EMANUELE. FILIBERTO DI SAVOIA DUCA D’AOSTA.

La sua figura assurse a simbolo per gli altri mutilati reduci:

In Italia, ad esempio, storie come quella di Enrico Toti o di Giulio Giordani[5]Mutilato di guerra e fascista morto durante gli scontri a Bologna nel novembre del 1920 nella Strage di Palazzo d’Accursio., spesso raccontate sui periodici dell’ANMIG[6]Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra., avevano la stessa funzione edificante che la religione attribuiva alle vite dei santi. Essi incarnavano il tipo ideale dell’invalido, forte ed eroico, pronto a portare la sua mutilazione come un distintivo d’onore, e non come un fardello. Le loro figure sembravano avere radici in una sorta di passato mitologico, al quale ciascuno avrebbe dovuto ispirarsi.[7]Tanci, Storia dei mutilati della Grande Guerra in Italia (1915 – 1924), pag.264.

La sua salma, inizialmente inumata a Monfalcone, venne in seguito traslata a Roma il 21 maggio del 1922 al Verano (la cerimonia iniziò dalla Cattedrale di San Giusto a Trieste) e in sua memoria la città gli dedicò un monumento che si trova nei giardini del Pincio. Durante il trasferimento della salma al Verano e poi al cimitero scoppiarono degli incidenti e vi furono scontri, soprattutto nel quartiere San Lorenzo; vi fu pure un conflitto a fuoco dopo che venne aperto il fuoco contro un gruppo di nazionalisti che seguivano la salma (i responsabili vennero indicati in esponenti comunisti ed anarchici). A causa di questo scontro, che venne sedato solo dopo varie ore con l’intervento cospicuo di forze dell’ordine, vi fu un morto e 23 feriti; i disordini seguiti da due giorni di sciopero generale nella città.
Subito dopo la morte divenne parte della iconografia della propaganda di guerra e l’immagine di Toti che “guida all’assalto i suoi compagni brandendo la sua stampella, diventa patrimonio dell’immaginario pubblico”, e venne impiegata ampiamente sulla “stampa illustrata, i giornali per ragazzi” e sorsero “leggende” sviluppatesi particolarmente durante la crisi seguente alla disfatta di Caporetto che lo trasformano in un “eroe popolare che commuove e incarna il concetto di una riscossa alla portata di tutti”[8]Vinci, Sentinelle della patria, pag.124.. Lo stesso anno della dipartita il professore Pietro Giusti compose la canzone “Gloria a Enrico Toti Bersagliere – romano del popolo”[9]L’opera è disponibile in consultazione al seguente indirizzo Gloria a Enrico Toti Bersagliere – romano del popolo a lui dedicata.
Il 18 giugno del 1923 si svolge la cerimonia dell’offerta della Fiamma alla squadra dei Bersaglieri a lui intitolata, la squadra Enrico Toti.
Anche il suo stato di mutilato, anche se civile, ebbe una particolare rilevanza dopo la sua morte, la storica Bracco scrive che fu il suo caso “a inaugurare il discorso pubblico sullo status e sull’esemplarità dei mutilati e del corpo offeso”[10]Bracco, La patria offesa, pag.109., anche grazie alla propaganda giornalistica come il caso della copertina de “La Domenica del Corriere” del 24 settembre-1 ottobre 1916, realizzata da Achille Beltrame, che raffigura la sua morte al fronte mentre lancia la stampella, questa raffigurazione rappresenta secondo Bracco “un omaggio alla trasformazione del disabile in campione della virilità guerriera che, rimasto invalido per un incidente sul lavoro, ritrovò al fronte lo status di uomo”, poi aggiunge “Dietro e dentro quell’immagine c’era il racconto di una vita singolare ed eccezionale al tempo stesso”, osserva inoltre che il suo percorso “costituì il primo modello pubblico e popolare di mutilato eroico su cui l’iconografia propagandistica sarebbe tornata […] in altri momenti della guerra italiana e segnatamente nell’ultimo anno di guerra”[11]Bracco, La patria offesaBracco, pag.224-25..
In linea con questa osservazione sull’uso propagandistico della sua figura, il suo nome venne poi impiegato dai fascisti per denominare una delle loro squadre d’azione che partecipò anche ai fatti di sangue di Torino del dicembre 1922 e nel 1926 il regime emise il Regio Decreto-Legge 29 dicembre n. 2614 Concessione di assegno straordinario ai genitori dell’eroico bersagliere Enrico Toti. In questi anni gli è stata intitolata anche una scuola a Musile del Piave[12]ICTOTI (Venezia) ed anche altre.
Anche dopo la seconda guerra la sua figura oggetto di una certa attenzione, anche se più ridotta, nel 1955, un film diretto da David Carbonari ed intitolato Bella, non piangere![13]Scheda del film: Bella, non piangere!, nel quale si racconta la vita e la morte di Toti.
Nel 2001 viene costituita la fanfara dei bersaglieri in congedo “Enrico Toti” per volontà del sergente e socio della suddetta sezione nazionale bersaglieri “Enrico Toti” di Nichelino (Torino), Carmelo Incardona.
Oltre a questo venne dedicata una classe si sottomarini, uno dei quali è presente a Milano preso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”[14]Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, ed una statua presente a Gorizia[15]Chi era costui in piazza Battisti.


Bibliografia

Fanfara Lonate
Enrico Toti, la stampella non c’è più, La Stampa 03/03/1999, pag.22
Piccoli scontri con perdite austriache in Valle di Leuro, La Stampa 03/10/1916, pag.2
Bracco Barbara, La patria offesa I corpi dei soldati italiani e la Grande guerra, Firenze, Giunti 2012
Mattei Marco, Mattei Valentino, Enrico Toti medaglia d’oro al V.M. L’eroe originario di Cassino, CDSN onlus, 2006
Roggiani Fermo, Storia dei Bersaglieri d’Italia, Milano, Cavallotti Editore, 1973
Tanci Valeria, Storia dei mutilati della Grande Guerra in Italia (1915 – 1924) (Tesi di dottorato, Università Roma La Sapienza, 2010)
Vinci Annamaria, Sentinelle della patria Il fascismo al confine orientale 1918-1941, Roma-Bari, Laterza, 2011

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References

References
1 In questo museo vi era un teca interamente dedicata a Toti in cui era custoditi vari oggetti della sua vita tra cui la bicicletta di quando era militare.
2 Mattei, Mattei, Enrico Toti medaglia d’oro al V.M., pag. 31-35.
3 Edito dalle Edizioni della Laguna nel 1993.
4 Testo disponibile al seguente link: Documenti della Camera
5 Mutilato di guerra e fascista morto durante gli scontri a Bologna nel novembre del 1920 nella Strage di Palazzo d’Accursio.
6 Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra.
7 Tanci, Storia dei mutilati della Grande Guerra in Italia (1915 – 1924), pag.264.
8 Vinci, Sentinelle della patria, pag.124.
9 L’opera è disponibile in consultazione al seguente indirizzo Gloria a Enrico Toti Bersagliere – romano del popolo
10 Bracco, La patria offesa, pag.109.
11 Bracco, La patria offesaBracco, pag.224-25.
12 ICTOTI
13 Scheda del film: Bella, non piangere!
14 Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano
15 Chi era costui

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