Filippo Corridoni – Seconda parte

Indice

Filippo Corridoni: sindacalista, rivoluzionario e interventista

Categoria: Saggi biografici

La Grande Guerra

Il clima di guerra che si stava diffondendo per tutto il continente fu lo spunto per una nuova grande agitazione sindacale che fu fornita dalla polemica nata da un soldato, Augusto Masetti, che per non partire per la guerra in Libia il 30 ottobre a Bologna aveva sparato contro un proprio ufficiale e dal soldato Antonio Moroni, fedele antimilitarista, che era stato mandato alla Compagnia di Disciplina dalla quale scriveva regolarmente a Corridoni.
Uno dei vari comizi di mobilitazione si tenne ad Ancona il 7 giugno 1914, ma al termine di questo si verificarono aspri scontri con la polizia che diedero vita alla cosiddetta “Settimana rossa” (movimento di cui fu promotore e animatore a Milano), durante la quale Corridoni esortò gli scioperanti a continuare lo sciopero “fino a quando casa Savoia non sarà mandata in Sardegna”[1]Furiozzi, Il sindacalismo rivoluzionario italiano, pag.56..
Negli stessi giorni, il 9 giugno 1914, Corridoni tenne un comizio all’Arena di Milano davanti a circa 50.000 operai in favore dei soldati Augusto Masetti e Antonio Moroni, che si erano opposti all’invio in Libia. Corridoni prese la parola:

Il proletariato d’Italia non vuol saperne di guerre. Ne ha avute abbastanza di quelle di Eritrea e di Libia e non sente il bisogno di prendersi nuove gatte da pelare per i begli occhi di Guglielmo di Wied o di Essad pascià.[2]Masotti, Corridoni, pag.64.
Questo comizio non è fatto per i discorsi: è una rivista di forze. Avevamo bisogno di riunirci, di vederci, di contarci … Mai in Italia c’è stato tanto accanimento contro questa folla inerme, troppo abituata alla pazienza e alla rassegnazione. È ora di finirla.[3]De Begnac, L’Arcangelo sindacalista, p.455.

Allo stesso comizio presero la parola Mussolini e Primo Gibelli (1883-1936). Al termine della manifestazione, la folla era intenzionata a raggiungere piazza del Duomo ma fu fronteggiata dalla polizia. Ne nacquero scontri (si verificarono scontri in varie città della Val Padana, a Ravenna morì anche un commissario di pubblica sicurezza, vi furono tentativi di requisizione di grano e viveri e vennero aperti dei “magazzini del popolo”) nel corso dei quali vennero feriti sia Corridoni che Mussolini. Quest’ultimo grazie all’intervento di altri partecipanti tra cui Amilcare De Ambris fu messo in salvo, mentre Corridoni fu nuovamente arrestato (nel complesso vi sono circa un migliaio di fermi[4]Santarelli, Il socialismo anarchico in Italia, pag.161.). A causa del suo impegno come agitatore e trascinatore di folle venne duramente attaccato dal “Corriere della Sera”.
Corridoni ritornò poi nuovamente in carcere (venne condannato a otto mesi di detenzione) quale autore dell’opuscolo Riflessioni sul sabotaggio, scritto nel luglio del 1914; quando uscì dal carcere, il 5 settembre 1914, ritrovò l’USM indebolita e si accinse ad attaccare Mussolini tramite articoli su “L’Internazionale” per sopravvenuti dissensi.
Ma fu a questo punto che concluse il percorso che lo portò a un “interventismo” su posizioni del sindacalismo rivoluzionario. Questa cambiamento era stato comunicato a De Ambris durante una sua visita in carcere a Corridoni che gli disse “Sì, la guerra è un dovere nazionale e rivoluzionario, sì, dobbiamo volerla e farla non appena l’Italia sia scesa in campo”[5]Gatta, Mussolini, pag.40.. Questa nuova posizione fu condivisa anche da altri esponenti di primo piano del mondo sindacale come Michele Bianchi, Cesare Rossi, Sergio Panunzio.
La sua adesione a queste posizioni si deve ricondurre alla sua analisi del conflitto che ormai riteneva una “guerra rivoluzionaria”, già intrapreso nel periodo di detenzione (aveva aderito al discorso tenuto da De Ambris il 18 agosto alla tribuna dell’USM nel quale aveva attaccato duramente il neutralismo e schierandosi in favore della guerra al fianco di Francia e Inghilterra contro i reazionari imperi centrali) e il 6 Corridoni confermò apertamente la sua adesione all’interventismo (posizione che causò malumori nell’USM), in contrasto con il manifesto neutralista pubblicato dall’USI il 1° agosto e combattuto anche da De Ambris con un o.d.g. presentato durante la riunione del Consiglio del sindacato svoltasi il 13-14 settembre a Parma, quando poi si dimise dalla sua segreteria in seguito all’emersione della insanabile rottura nel sindacato tra Bianchi, Corridoni e i sindacalisti rivoluzionari vicini a De Ambris favorevoli alla linea interventista, rimasti in minoranza, e la maggioranza guidata da Armando Borghi, Alberto Meschi e altri sindacalisti anarchici fedele all’internazionalismo proletario.
Corridoni rese pubblica la sua posizione con un articolo nel quale scrisse:

La neutralità è dei castrati. Noi che siamo e non vogliamo essere tali ci sentiamo per la battaglia. Non intendiamo di disarmare e non disarmeremo per nessuna ragione nella lotta contro la borghesia, le dinastie e i capitalisti di tutti i paesi. Non facciamoci però illusioni e convinciamoci per la propaganda che abbiamo fatta fino a ieri merita qualche cambiamento. Noi non ci dimentichiamo mai dello spirito patriottico della Comune, come mai ci dimentichiamo della realtà italiana della rivoluzione. La neutralità è voluta dal governo italiano per aiutare l’Austria.[6]De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, pag.236.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, Corridoni, durante una festa organizzata in suo onore, proclamò pubblicamente il dovere dei lavoratori italiani di porsi a fianco della Francia.
Riprese a pubblicare nel settembre del 1914 il giornale “L’Avanguardia” (organo dell’USM fondato nel maggio del 1913, la pubblicazione venne sospesa il 20 dicembre per riprendere), che anche a causa delle sue reiterate incarcerazioni aveva sospeso la sua attività, e sul primo numero pubblicò un articolo in cui manifestava la sua adesione alle tesi dell’Interventismo, causando controversie all’interno dell’USM.
Il 23 settembre, al termine di un nuovo comizio fu accusato dai vecchi compagni di essere un “venduto” a causa della sua posizione interventista, a costoro rispose:

Chi fa mercato di sé non lo fa per morire, ma per vivere. Siete voi disposti a dare la vita per la vostra idea, come io sono pronto a gettarla per la mia?

La rottura definitiva era emersa durante la riunione del Consiglio generale dell’USI di settembre, qui la linea di De Ambris, appoggiata da Corridoni, venne sconfitta riconfermando la tesi neutralista già resa pubblica dal Comitato Esecutivo dell’USI l’8 agosto.
Il 5 ottobre pubblicò sulla rivista “Pagine Libere” (rivista diretta da Angelo Oliviero Olivetti) il manifesto fondativo dei Fasci d’Azione Internazionalista, detti anche Fasci d’Azione Rivoluzionaria internazionalista, insieme a Decio Bacchi (1876-1935), Ugo Clerici, Alceste De Ambris (1874-1934), Amilcare De Ambris, Giovanni Marinelli (1879-1944), Attilio Deffenu (1890-1918), Aurelio Galassi, Angelo Oliviero Olivetti, Decio Papa, Cesare Rossi, Silvio Rossi, Sincero Rugarli, Libero Tancredi, Luigi Razza (1892-1935). Michele Bianchi fu nominato segretario della neo-costituita organizzazione. Il 12, sempre a Milano, si incontrarono i membri dissidenti dell’USI, favorevoli all’ingresso in guerra e il 27 un primo congresso tra gli aderenti al fascio.
La svolta si basava sull’ipotesi che una sconfitta delle potenze reazionarie e retrograde, identificate negli Imperi centrali (Austria e Germania), avrebbe aperto nuove possibilità per uno sbocco rivoluzionario delle tensioni sociali latenti, secondo Seton-Watson “Corridoni fu spinto su posizioni interventiste dalle sofferenze del Belgio e della Serbia, e considerò la guerra una continuazione di quella lotta contro l’oppressione che lui aveva combattuto tutta la vita”[7]Seton-Watson, L’Italia dal liberalismo al fascismo 1870-1925, pag.566..

Lui illustrò il motivo della sua scelta su “Pagine libere” pubblicando alcuni testi nella rubrica chiamata Risposte all’inchiesta sulla guerra europea, uno pubblicato il 15 novembre 1914:

Parlo della nostra Italia, ché quella borghese sta dando un tale disgustoso spettacolo di vigliaccheria da non trovare l’esempio nella storia. Ma già: L’Italia si è fatta pitoccando e approfittando delle disgrazie altrui. E Casa Savoia era quella che ci voleva per una Italia siffatta. La Lombardia gliela hanno conquistata i Francesi; il Meridion[al]e Garibaldi; il Veneto lo ebbero dopo Sadowa, in compassione delle botte prese a Custoza ed a Lissa; a Roma ci andarono a pedate nel sedere, ma dopo Sédan; Trento e Trieste, anch’esse, le avranno dai […] Russi. Ma meglio così, per la resa dei conti. Noi, però, abbiamo delle ragioni nostre: oggi si giuoca sui campi d’Europa la libertà dei popoli.
E come faremmo una rivoluzione per avere un governo liberale al posto di uno reazionario, così dobbiamo propugnare la guerra per avere un’Europa democratica invece che … tedesca.[8]Fabei, «Pagine libere»: la voce del sindacalismo rivoluzionario interventista (1914-1915), pag.80.

e poi ancora uno il 30 novembre:

Era diventato un dogma credere che le guerre di conquista in Europa fossero diventate impossibili perché nessun governo le meditava e nessun popolo le avrebbe tollerate.
Invece vi erano governi che si preparavano da lunghi anni a guerre della più sfacciata rapina e popoli, anzi proletariati, che alla loro volta erano pronti a subirle e forse a secondarle. I proletari della Germania hanno dichiarato di essere prima tedeschi e poi socialisti. Ecco uno stato d’animo che noi dovevamo conoscere e almeno intuire e che invece abbiamo ignorato o trascurato. Ed è stato in base a questa ignoranza o leggerezza che noi rivoluzionari abbiamo accolto come parte integrante della nostra dottrina e della nostra azione l’herveismo che, se dapprima fu semplice tesi dialettica alle esagerazioni di patriottismo scemo, divenne poi in noi la convinzione assoluta e, più ancora, pietra di paragone delle convinzioni altrui. Vi è stato un tempo in cui l’herveismo era il lasciapassare indispensabile a ogni sovversivo che volesse entrare in gruppi rivoluzionari. Ora, con la guerra, quell’herveismo è caduto per non più risorgere. Resta ancora un herveismo, più serio e più ragionato, ed è quello che servirà da base alla nuova Internazionale dei Lavoratori. Lo sciopero generale insurrezionale in caso di guerra – herveismo – che dovrebbe essere l’alfa e l’omega di ogni associazione internazionale dei lavoratori, deve essere accettato da tutte le organizzazioni aderenti, con il patto suppletivo che se una d’esse mancasse fede e s’associasse al suo governo per una guerra di aggressione, il proletariato di tutte le altre nazioni dovrebbe costringere il suo governo a schierarsi contro la nazione assalitrice. Ché se l’herveismo dovesse essere fatto solo da me, se solo io dovessi disarmare mentre il mio vicino di casa affila le armi per spezzarmi, io sarei un pazzo e un balordo. In altre parole, l’herveismo applicato solo parzialmente darebbe la nazione più sovversiva in balia di quella più reazionaria.[9]Fabei, «Pagine libere»: la voce del sindacalismo rivoluzionario interventista (1914-1915), pag.81.

Oltre a scrivere articoli interventisti Corridoni svolse tenne anche comizi interventisti (lo stesso fece anche Cesare Battisti) in cui presentò le sue tesi secondo le quali l’elemento cardine che giustificata l’intervento non era il semplice irredentismo ma la necessità di trasformare la guerra in una guerra rivoluzionaria per cambiare il paese.
Coerentemente con la loro scelta interventista De Ambris[10]Questi si era schierato in favore dell’intervento già il 18 agosto durante un discorso tenuto a Milano. e Corridoni, nel novembre 1914, uscirono definitivamente dall’USI a causa delle sue posizioni neutraliste: durante il Consiglio generale del 13-14 settembre era infatti emersa la frattura tra la corrente neutralista, che aveva ottenuto la nomina di Giuseppe Borghi come segretario, e quella interventista. In seguito a questa loro decisione nel 1918 nascerà a Milano la Unione Italiana del Lavoro (UIL) per sostenere i lavoratori e gli interventisti, e le verrà attribuito un carattere di tipo nazionalista: a questo sindacato aderirono soprattutto le leghe e le cooperative di ispirazione repubblicana e interventiste, oltre all’USM che all’inizio del 1915 ricostituirono il Comitato Sindacale Milanese (nel maggio del 1915 l’USM venne anche espulsa ufficialmente dall’USI). In questo periodo appoggiarono anche, con Eugenio Chiesa, Giovanni Battista Pirolini, il progetto portato avanti da Ricciotto Garibaldi di formare un reggimento di volontari italiani che avrebbe combattuto in Francia contro le forze tedesche.
Intanto il 14 novembre 1914 uscì il primo numero del nuovo giornale “Popolo d’Italia” fondato da Benito Mussolini, a cui Corridoni collaborò sin dall’inizio. Nel contempo, su iniziativa di Mussolini nacquero i Fasci d’Azione Rivoluzionaria, gruppo che riorganizzò i ranghi dell’interventismo di sinistra ed evoluzione dei Fasci d’Azione Internazionalista: in questo modo le personalità sindacali rivoluzionarie e della sinistra interventista si accodavano alle tesi sostenute dalla parte interventista della borghesia e dirette dalle colonne del “Corriere della Sera” (l’influenza di Mussolini comportò anche una maggiore moderazione nei toni antimonarchici e repubblicani della campagna di Corridoni).
Continuando la sua polemica interventista nell’area dell’estrema sinistra il 5 dicembre 1914 pubblicò sul giornale “L’Avanguardia” il seguente articolo:

Il problema della guerra è troppo forte per i cervelli proletari. L’operaio non vede nella guerra che la strage, la miseria, la fame e quindi è contro la guerra. L’operaio non vede, nella guerra, che strage, miseria e fame che deve sopportare lui – e quindi è contro la guerra. Che importa a lui se fra dieci o vent’anni i sacrifici dell’oggi frutteranno benefici incalcolabili? Che importa a lui se l’attuale guerra può spianare la via alla rivoluzione sociale, eliminando gli ultimi rimasugli della preponderanza feudale, colpendo, in pieno, il principio monarchico, infrangendo le necessità storiche che resero possibili gli esercizi permanenti?
Pane, si, ma anche idee, anche educazione. Bisogni filosofici, ma, anche spirituali e culturali. Il proletariato non è classe finché non ha coscienza di classe. E questa non si acquista finché l’organizzazione non si allargherà ad altre battaglie oltre quelle del salario e dell’orario. Si mangia per vivere e non si vive per mangiare. E noi vogliamo, dall’altro di questa libera tribuna, illuminare le nuove vie della marcia proletaria.[11]De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, pag.293.

Per lui, come scrisse in una lettera dal fronte il 12 settembre 1915, “la sconfitta dell’Austria e della Germania – nazioni essenzialmente militari e di struttura politica reazionaria – avrebbe avuto lo stesso valore di una grande rivoluzione e avrebbe chiuso l’èra delle guerre di conquista per l’Europa”[12]Andreucci, Detti, Il movimento operaio italiano: dizionario biografico: 1853-1943 Volume II, pag.94., testo poi pubblicato nel 1936 durante il fascismo quando il regime provvedette a creare il mito di Corridoni in un numero unico della “Rivista di cultura”.
Nel 1915 Corridoni continuò nella propria azione di interventista in chiave rivoluzionaria[13]Nel suo passaggio dal neutralismo all’interventismo influì Angelo Oliviero Olivetti (1874-1931), sindacalista e giornalista giù fautore della guerra in Libia. Cfr Francesco Perfetti, … Continue reading (quello stesso anno entrò assieme ad Alceste De Ambris, Michele Bianchi e Marinelli nel Comitato nazionale di azione diretta formato a Milano il 24 gennaio) e sindacalista (motivo per cui il governo Salandra lo pose sotto stretto controllo), ma nel gennaio 1915 un minacciato sciopero dei gassisti milanesi rischiò di provocare una frattura nel fronte operaio. Corridoni ritenne opportuno evitarlo, primo perché avrebbe costituito un diversivo di cui i partiti neutralisti (PSI in testa, la cui direzione il 20 ottobre 1914 aveva già emesso un manifesto sulla neutralità assoluta) avrebbero potuto approfittare per creare delle crepe nel fronte interventista sindacale, in secondo luogo perché la società contro cui era diretto il minacciato sciopero era la francese Unione del Gaz dell’ingegnere Gruss. Corridoni, che cercava di orientare i lavoratori italiani verso simpatie filofrancesi, si recò a Parigi, dove grazie all’interessamento del Ministro del lavoro francese Marcel Sembat (1862-1922) e all’appoggio della CGT (Confédération générale du travail, il sindacato francese) riuscì a ottenere un accordo onorevole pur non ottenendo l’accettazione da parte dei lavoratori. A Parigi incontrò anche il garibaldino e anarchico Amilcare Cipriani (1843-1918) e strinse rapporti con il segretario della CGT, Léon Jouhaux (1879-1954), un ex sindacalista rivoluzionario, che poi lo affiancò a Milano nella campagna interventista.
Pochi giorni dopo l’Unione del Gaz non rispettò l’accordo e il 26 gennaio fu proclamato lo sciopero dei gassisti milanesi. Corridoni ritornò a Parigi insieme a una rappresentanza di gassisti e il 3 febbraio riuscì ad ottenere un accordo definitivo.
Tornato in Italia il 12 febbraio fu di nuovo brevemente arrestato per una vecchia imputazione alla stazione ferroviaria di Verona, mentre si stava recando a Trento per tenere un comizio, con l’intento di far scoppiare un moto repubblicano nel paese se non di produrre un casus belli con l’Austria. Dopo l’arresto venne trasferito al carcere di S. Vittore (Milano) dove rimase fino al processo, il 29 aprile, quando fu assolto e rimesso in libertà il giorno dopo. In questo periodo di detenzione scrisse Sindacalismo e Repubblica (pubblicato postumo nel 1921 dalla Cooperativa operai tipografi La commerciale) in cui espresse le sue idee guida circa una futura repubblica a democrazia diretta e “antipartitica” (nell’opera sostenne la necessità di formare un organismo sindacale rivoluzionario che si ponesse come obiettivo il sovvertimento del regime monarchico), assunse posizioni libero-scambiste e antistatali, a favore di una concezione autonoma del sindacato e per un federalismo radicale poggiante sul decentramento del potere. La sua azione era diventata parallela a quella di Mussolini, con comizi per l’interventismo.
Nel frattempo, in marzo, a Parma si era svolta una riunione dell’USI, durante la quale venne presa la decisione di frenare i movimenti rivendicativi per far convergere gli sforzi verso la preparazione di un vasto movimento generale previsto per la primavera 1915.
Nello stesso periodo a Milano la locale Camera del Lavoro aveva assunto posizioni in netto contrasto, si era dichiarata apertamente contraria a “ogni forma criminale di tutti coloro che volevano la guerra ad ogni costo”, con un manifesto pubblicato il 14 maggio 1915 (in contrapposizione agli interventi di Corridoni e Mussolini tenuti il 10 maggio presso i Duomo e ancora il 13, assieme a Cesare Battisti, presso il monumento a Garibaldi, in favore dell’intervento e contro Giolitti e la sua politica), che invitava ad aderire allo sciopero generale contro il conflitto, proclamato per l’ indomani, in contraddizione con la Dichiarazione degli interventisti rivoluzionari sulla “tregua” di classe, dell’aprile dello stesso anno, in cui si teorizzata la sospensione della lotta di classe se l’Italia fosse entrata in guerra a fianco delle forze dell’Intesa (Francia, Gran Bretagna e Impero Russo) contro gli Imperi centrali (Germania e Austria-Ungheria).
In questo testo si ribadiva l’opposizione repubblicana e federalista alla “monarchia socialista”, e si indicava anche la necessità di procedere allo sviluppo delle forze produttive del paese e la necessità di sovvertire gli schemi burocratici e protezionisti sui quali si era basato lo sviluppo economico nazionale, costituendo questa prima sovversione di stampo politico un presupposto necessario alla sovversione anche economica.
Il 16 maggio del 1915 (le “radiose giornate di maggio” di Gabriele D’Annunzio) Corridoni tenne insieme a Mussolini una imponente manifestazione presso l’Arena Civica di Milano, durante il quale affermò:

Dopo la guerra ognuno di noi riprenderà il suo particolare apostolato, dopo la guerra ognuno di noi ritornerà monarchico, repubblicano, socialista oppure sindacalista; oggi esiste un solo partito: l’Italia; un solo proposito: l’azione, perché la salvezza dell’Italia è la salvezza di tutti i partiti.[14]www.museocorridoni.it/

Ricordò poi i morti della “settimana rossa” e attaccò l’Internazionale socialista che era rimasta ancorata su posizioni antinterventiste.
Sempre in maggio l’USM, guidata da Corridoni, venne espulsa dall’USI ed aderì al Comitato Sindacale Milanese (CSM) formato dai sindacalisti rivoluzionari interventisti.

La morte

All’entrata in guerra dell’Italia (24 maggio 1915) Corridoni si presentò volontario per il fronte e poco prima della partenza mandò un saluto a Mussolini. Aiutò anche il figlio di Margherita Sarfatti, Roberto, ad arruolarsi come volontario nonostante l’età troppo giovane, tramite una falsa identità nel 35° reggimento di fanteria di stanza a Bologna.[15]Ferrario, Margherita Sarfatti, pag.149.

A causa della tisi, che lo affliggeva da anni, fu inizialmente assegnato ai servizi di retrovia. Ciò nonostante insisté per essere inviato al fronte: ci riuscì e venne destinato al 32° reggimento fanteria, 3a compagnia, operante sul Carso ove giunge il 26 luglio 1915. Il suo reggimento si trovava però in quei giorni a riposo nelle retrovie: Corridoni allora venne aggregato al 142° reggimento, che stava operando al fronte. In questo periodo, insieme a Dino Roberto e Cesare Rossi inviò a Mussolini una cartolina con la quale gli esprimevano la loro “più completa solidarietà sull’ardente campagna contro i pusillanimi e gli speculatori del partito socialista”[16]Canali, Cesare Rossi, pag.114. .
Partecipò così ai combattimenti sul Carso, dove trovò la morte per una ferita d’arma da fuoco in seguito a un assalto alla trincea austriaca[17]Prima della morte, agli amici, aveva scritto: “Morirò in un buca, contro una roccia. Ma se potrò cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora”. (Trincea delle Frasche, trincea austriaca alle spalle del Carso di Sagrado sulla strada Castelnuovo-S. Martino, ora nel comune di Fogliano Redipuglia, provincia di Gorizia) il 23 ottobre 1915. Il suo corpo non venne mai ritrovato, a causa degli scontri che continuarono anche la notte: solo la mattina del 24, dopo la riconquista da parte austriaca, venne siglata una tregua temporanea di due ore per il recupero dei cadaveri e dei feriti.
Il 6 novembre sul giornale “Internazionale” venne pubblicato un messaggio di cordoglio sottoscritto da 32 volontari, tra cui De Ambris.

Post Mortem

Una prima commemorazione in suo onore, ancora durante il conflitto, si ebbe il 2 gennaio 1916 a Parma: qui al Teatro Regio si svolse una cerimonia commemorativa e venne affissa una lapide in suo onore presso la Camera del Lavoro, il cui testo era stato redatto dal poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi (1871-1919), ed era il seguente:

Un condottiero di plebi a civili riscosse / Filippo Corridoni / al grido de l’Umanità minacciata / da novissima barbarie imperiale / le plebi trasse / risorto cavaliere di Italia / a le battaglie recò per la libertà dei popoli. / O Benedetto / nato in Pausula di umile gente / nel MDCCCXXXVII / morto di piombo a la fronte / addì XXIII ottobre MCMXV sul Carso / trapassò la vita operosa / due termini che già parevano opposti / Patria e Umanità/ in un impeto di ideale / riconciliando. / Ne le mura de la casa plebea / dove meditò – ammonì – diresse – osò / Parma popolana . Parma civile -Parma italiana / al Volontario de la IV guerra de l’Indipendenza / e de la I del liberato mondo / ora e sempre / P e D / III gennaio MCMXVL.[18]Serventi Longhi, Alceste De Ambris: l’utopia concreta di un rivoluzionario sindacalista, pag.70.

La sua memoria venne utilizzata sia dalle forze interventiste che quelle neutraliste. Due anni dopo la sua morte sul “Popolo d’Italia” venne pubblicato un articolo di Mussolini nel quale si legge “Si vuole che nei prime tempi del cristianesimo i fedeli del Nazzareno disseminati in Roma comunicassero non col pane ma col sangue. Ognuno si incideva le carni in direzione del cuore, e il sangue veniva raccolto in un calice solo che passava poi da labbro a labbro. Anche noi, in nome dei nostri morti vogliamo praticare la comunione del sangue. Noi l’abbiamo raccolto il sangue che i nostri amici a mille a mille hanno versato senza paura e senza rimpianto. È sangue della migliore giovinezza d’Italia: sangue latino. Oh! poeta, la nostra Patria non è più vile. Gli adolescenti vano incontro alla morte come a splendido convito. Che importa se accanto a questa gloria c’è un po’ di fango, e vi ruffianano dentro i bassi e più turpi esemplari della politica? Noi guardiamo in alto. Noi guardiamo a Filippo Corridoni.”[19]Gatta, Mussolini, pag.65-66.. Una seconda commemorazione, sempre ad opera di Mussolini, si ebbe il 10 novembre 1918 a Milano, qui durante il corteo per la vittoria, davanti al monumento per le Cinque Giornate, dichiarò “Qui, con Filippo Corridoni, volemmo la guerra perché eravamo costretti a volerla. La volemmo perché ci era imposta dalle stesse necessità della storia. Oggi abbiamo raggiunto tutti i nostri ideali, abbiamo raggiunto i nostri obiettivi nazionali.”[20]Gatta, Mussolini, pag.69.. Il 14 dicembre poi pubblicò su “Il Popolo d’Italia” l’articolo Per il monumento a Filippo Corridoni, nel quale sponsorizzava una corsa automobilistica che avrebbe dovuto aiutare a raccogliere dei fondi per la costruzione di un monumento appunto dedicato a Corridoni[21]Cannistraro, Sullivan, Margherita Sarfatti, pag.198..
Con il passare del tempo la sua memoria venne contesa tra la destra fascista e la sinistra: una delle prime squadre fasciste di Bologna nel 1919 fu intitolata a Filippo Corridoni, allo stesso tempo, nei primi anni 20 gli antifascisti nella provincia di Parma costituirono la Legione Arditi Proletari “Filippo Corridoni” (i “corridoniani”)[22]Il suo statuto si trova in Eros Francescangeli, Arditi del Popolo, pag.251-2., guidata da Vittorio Picelli (1893-1979) ed A. De Ambris (quest’ultimo infatti tenne sempre viva negli ambienti di sinistra la memoria di Corridoni) che si scontrò con le squadre fasciste di Italo Balbo a Parma. Questa organizzazione aveva sede presso la Camera del Lavoro sindacalista ed era “milizia civile il cui scopo è la propaganda del sindacalismo che riconosce il fatto nazionale e la difesa materiale della libertà civile e delle organizzazioni operaie contro le violenze, da qualunque parte venga”[23]Francescangeli, Arditi del Popolo. Pag.201..

Anche a Milano vene tenuto vivo il suo ricordo: venne a lui dedicata la Cooperativa Edile di Baggio (una quartiere della città), fondata nel 1907 da 7 muratori, 2 operai, 3 contadini, un sabbionaio e un segantino e poi ribattezzata in suo onore Cooperativa Operaia Edificatrice Filippo Corridoni.
I fascisti costituirono la 109a Legione d’assalto della Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale “Filippo Corridoni” di stanza a Macerata e mutarono il nome della sua città natale Pausula in Corridonia. Anche all’estero la sua memoria venne impiegata dai fascisti, gli venne dedicato il primo fascio del Sud America, creato il 10 marzo 1923 a San Paolo in Brasile da Emidio Rocchetti.
Venne decorato con medaglia d’argento al valore militare alla memoria il 3 aprile 1925, per volere del Ministro della guerra (Gen. C.A. Antonino Di Giorgio, 1867-1932) ricevette la medaglia di Benemerenza per i volontari della Grande Guerra[24]Il 24 maggio in Campidoglio vennero consegnate ai familiari dei volontari caduti le medaglie di Benemerenza., decorazione che Benito Mussolini fece convertire il 25 ottobre 1925 in medaglia d’oro e consegnata dallo stesso alla madre del defunto.
Motivo del conferimento:

Soldato volontario e patriota instancabile, col braccio e la parola tutto se stesso diede alla Patria con entusiasmo indomabile. Fervente interventista per la grande guerra, anelante alla vittoria, seppe diffondere la sua tenace fede fra tutti i compagni, sempre di esempio per coraggio e valore. In testa alla propria compagnia, al canto di inni patriottici, muoveva fra i primi e con sereno ardimento all’attacco di difficilissima posizione e tra i primi l’occupava. Ritto, con suprema audacia sulla conquistata trincea, al grido di “Vittoria! Viva l’Italia!” incitava i compagni che lo seguivano a raggiungere la meta, finché cadeva fulminato da piombo nemico. (Trincea delle Frasche, Carso, 23 ottobre 1915)

A Parma venne innalzato a lui un monumento[25]Informazioni sull’inaugurazione del monumento: www.parmaelasuastoria.it la cui prima pietra venne collocata il 23 ottobre 1925, in piazza Filippo Corridoni, alla presenza dello stesso Mussolini, recatosi appositamente in visita in città, ed inaugurato il 31 ottobre 1927 (alla cerimonia prese parte anche Edmondo Rossoni, capo delle corporazioni fasciste), progettato dall’architetto Mario Monguidi nel 1925 e realizzato da Alessandro Marzaroli (1868-1951). La statua è in bronzo, alta oltre quattro metri e poggia su una lapide rettangolare scolpita sui quattro lati con altorilievi simboleggianti la Fede, la Povertà, l’Amore e l’Ardore rivoluzionario. Questa stele poggia su un basamento quadrato scolpito con quattro aquile, quattro teste e quattro frasi di Corridoni. L’iscrizione della lapide è opera dell’avvocato Ildebrando Cocconi (1877-1943) ed è la seguente:

A Filippo Corridoni – che tutte accolse nel magnanimo cuore – le passioni della plebe italiana – idealizzandole – volontario della morte e della gloria – tra i canti della Patria – sul cruento calvario della trincea delle Frache.

Fu anche ricordato con un monumento del 1933, un cippo, opera dello scultore Francesco Ellero (1882-1969), innalzato sul Carso goriziano nel luogo dove cadde (Trincea delle Frasche).
Un terzo monumento venne innalzato nella piazza in stile fascista della città natale, Pausula (rinominata Corridonia con un decreto nel 1931), una statua bronzea di Corridoni in punto di morte (alta sette metri più cinque metri di basamento); per realizzarla vennero fusi dei cannoni requisiti agli austriaci durante la prima guerra mondiale. Nella parte sottostante del monumento vi è un arengario, composto da sei bassorilievi in bronzo, che illustra i momenti più rilevanti della sua vita (il sindacalismo, l’interventismo, il sacrificio), opera dello scultore Oddo Aliventi (1898-1975), la statua venne inaugurata da Mussolini nel 1936.
In genere durante il fascismo vi furono varie cerimonie commemorative in suo onore, come ad esempio nel 25° anniversario della morte, nel 1940, quando vennero organizzati per ordine dello stesso segretario del PNF le commemorazioni. In questo stesso anno venne anche diffusa una versione dell’attribuzione a Mussolini del titolo di Duce che veniva ricondotta a Corridoni che il giorno precedente la morte lo avrebbe chiamato «nostro Duce spirituale»[26]Giardina, Vauchez, Il mito di Roma, pag.221..
Anche durante la RSI si ebbe un richiamo alla sua figura di sindacalista, quando il 2 marzo 1944 a Milano i fascisti diffusero nelle fabbriche un manifesto intestato a un “Gruppo operaio d’azione Filippo Corridoni”, con il quale annunciavano il fallimento degli scioperi resistenziali di Torino e Genova.

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Bibliografia

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Sitografia

http://www.cooperativacorridoni.it/pagine/storia.htm Sito della Cooperativa Edificatrice Operaia Filippo Corridoni

Quirinale Dettaglio delle Onorificenze

http://www.museocorridoni.it/ Sito del Museo Filippo Corridoni

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References

References
1 Furiozzi, Il sindacalismo rivoluzionario italiano, pag.56.
2 Masotti, Corridoni, pag.64.
3 De Begnac, L’Arcangelo sindacalista, p.455.
4 Santarelli, Il socialismo anarchico in Italia, pag.161.
5 Gatta, Mussolini, pag.40.
6 De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, pag.236.
7 Seton-Watson, L’Italia dal liberalismo al fascismo 1870-1925, pag.566.
8 Fabei, «Pagine libere»: la voce del sindacalismo rivoluzionario interventista (1914-1915), pag.80.
9 Fabei, «Pagine libere»: la voce del sindacalismo rivoluzionario interventista (1914-1915), pag.81.
10 Questi si era schierato in favore dell’intervento già il 18 agosto durante un discorso tenuto a Milano.
11 De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, pag.293.
12 Andreucci, Detti, Il movimento operaio italiano: dizionario biografico: 1853-1943 Volume II, pag.94.
13 Nel suo passaggio dal neutralismo all’interventismo influì Angelo Oliviero Olivetti (1874-1931), sindacalista e giornalista giù fautore della guerra in Libia. Cfr Francesco Perfetti, Fiumanesimo, sindacalismo e fascismo, Roma, Bonacci, 1988 pag.182.
14 www.museocorridoni.it/
15 Ferrario, Margherita Sarfatti, pag.149.
16 Canali, Cesare Rossi, pag.114.
17 Prima della morte, agli amici, aveva scritto: “Morirò in un buca, contro una roccia. Ma se potrò cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora”.
18 Serventi Longhi, Alceste De Ambris: l’utopia concreta di un rivoluzionario sindacalista, pag.70.
19 Gatta, Mussolini, pag.65-66.
20 Gatta, Mussolini, pag.69.
21 Cannistraro, Sullivan, Margherita Sarfatti, pag.198.
22 Il suo statuto si trova in Eros Francescangeli, Arditi del Popolo, pag.251-2.
23 Francescangeli, Arditi del Popolo. Pag.201.
24 Il 24 maggio in Campidoglio vennero consegnate ai familiari dei volontari caduti le medaglie di Benemerenza.
25 Informazioni sull’inaugurazione del monumento: www.parmaelasuastoria.it
26 Giardina, Vauchez, Il mito di Roma, pag.221.

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