I compiti dei comunisti nelle unità partigiane

Articolo dedicato a I compiti dei comunisti nelle unità partigiane, scritto da P. Secchia apparso su “La Nostra Lotta”

Non possiamo ancora dire che il lavoro politico nelle unità partigiane proceda sino ad oggi in modo soddisfacente, e in generale si nota una certa incomprensione della funzione e dei compiti dei comunisti in seno alle unità partigiane.
Intanto, vi sono dei compagni i quali ritengono che un’attività nostra tra i partigiani la possiamo svolgere solo in quelle formazioni che sono dirette da comandanti e commissari politici membri di partito od in quelle dove vi sono molti comunisti.
Tale punto di vista errato non solo ha come conseguenza che le nostre organizzazioni non si interessano della vita e dell’attività di gran numero di formazioni partigiane, ma che in quelle dove siamo presenti l’attività dei comunisti si svolge in modo errato, settario con una concezione limitata e ristretta.
Innanzi tutto noi dobbiamo tendere ad essere presenti in ogni unità partigiana, allo stesso modo che tendiamo ad avere una cellula in ogni officina. Vi è però una differenza fondamentale tra l’officina e l’unità partigiana, e di conseguenza una differenza fondamentale nell’attività dei militanti comunisti. La differenza è questa: l’officina è diretta dai capitalisti, e la nostra cellula lavora di conseguenza in opposizione alla direzione capitalista; l’unità militare invece è diretta da comandanti e commissari che, quali che siano le loro idee politiche e religiose, sono dei patrioti, dei combattenti partigiani.
Nell’unità partigiana i comunisti non solo non devono lavorare in opposizione al comando, ma devono fare di tutto per collaborare con il comando e per aiutarlo nella realizzazione dei suoi compiti. Nell’officina la direzione non è né tutta né in parte nelle nostre mani.
Nell’unità militare, invece, il comando può anche essere tutto o in parte nelle nostre mani. Anche dove comando è nelle nostre mani, non dobbiamo però mai dimenticare che l’unità militare non appartiene al partito, non è un organo di partito, non ha e non deve avere il carattere di partito. Esso è un organo del Corpo volontari della libertà.
La nostra azione politica deve essere tale da rafforzare l’unità, la coesione, lo spirito combattivo delle formazioni.
Deve essere tale da non urtare in qualsiasi modo i sentimenti e le opinioni politiche o religiose degli altri appartenenti alla formazione, siano essi ufficiali o gregari.
Ma, ripetiamo: la nostra collaborazione più intensa deve essere costantemente data ai comandanti e ai commissari delle unità, anche quando questi sono membri di altri partiti o comunque hanno idee politiche diverse dalle nostre.
Deve essere bandito dal nostro animo ogni spirito di concorrenza. Ancora una volta, giova ripeterlo, noi dobbiamo essere a favore di tutto ciò che rafforza la lotta e contro tutto ciò che l’indebolisce.
Obiettivo fondamentale dei comunisti nelle formazioni partigiane deve essere uno solo: quello di rafforzare la loro unità e la loro capacità di lotta, quello di rendere più attive e combattive, quello di studiare i problemi dell’unità militare, le sue deficienze, le sue lacune, e di lavorare per superare in collaborazione con i comandi militari queste lacune e deficienze.
La lotta che i comunisti devono organizzare nelle formazioni partigiane è quella per l’unità contro il nemico: preoccupazione massima dei compagni deve essere perciò l’efficienza politica e militare dell’unità, il suo alto morale, la sua combattività, l’eroismo di ogni singolo combattente. Ogni deficienza dell’unità deve essere sentita come deficienza del partito, e tale è realmente. Ogni successo svolto in quell’unità. Se in un’unità la disciplina lascia a desiderare, la colpa non è solo e nemmeno soprattutto del comandante e del commissario, ma è dei membri del partito presi nel loro insieme, che non hanno saputo col loro lavoro politico e col loro esempio infondere in tutti i combattenti un fermo e sano costume di disciplina e di sacrificio. Se nell’unità il maneggio delle armi, la loro conservazione, la loro difesa lasciano a desiderare, responsabili non sono solo i comandanti ed i commissari, ma anche e soprattutto i membri del partito, che con la loro azione di persuasione ed il loro esempio devono creare un’atmosfera tale per cui tutti gli uomini sentano la necessità ed il dovere di conservare con la massima cura le armi, di apprenderne il maneggio, di difenderle sempre, anche a costo della vita, come la cosa più preziosa.
Se in un combattimento un’unità si sfascia, la responsabilità è sempre innanzi tutto, dell’insieme dei compagni, che con la loro azione ed il loro esempio non hanno saputo creare una tale atmosfera di lotta e di sacrificio da poter resistere ai primi colpi, che con la loro azione e la loro iniziativa non hanno saputo fare argine ai primi sbandamenti, ai primi sintomi di panico. In qualunque campo, se le cose vanno male, la responsabilità è sempre dei membri del partito.
I comitati federali, a loro volta, sono responsabili non solo per quelle formazioni dove sono presenti dei comunisti, ma per tutte le formazioni partigiane, perché noi dobbiamo sentire la responsabilità per tutta la guerra partigiana. Non basta dire: “Che possiamo farci? In quell’unità non c’erano comunisti”. Se non c’erano, era dovere del Comitato federale lavorare per inviare in quell’unità partigiana dei comunisti. Se nella guerra partigiana un’unità fallisce, non possiamo consolarci dicendo: “Era da prevedersi, non poteva avvenire che così; il comandante era un incapace, la formazione era diretta da tali e tal’altri opportunisti e traditori” dobbiamo invece sentire che in colpa è nostra.
I comunisti di quell’unità devono sentirsi responsabili di non aver saputo scacciare quegli opportunisti, quei traditori, di non aver saputo ben lavorare per mettere alla testa dell’unità della gente sana, di fede, di fegato. Quanti compagni, quanti comitati federali intendono i loro doveri nelle formazioni militari partigiane con questo senso di responsabilità, di patriottismo, con una visione così larga e non ristretta di quello che è oggi il nostro supremo interesse?
Diciamolo francamente: pochi. E questo dimostra la sottovalutazione in cui sinora è stata tenuta l’attività militare da parte dei nostri compagni e delle nostre organizzazioni, questo dimostra la sopravvivenza di un abito mentale ristretto, limitato e settario, che deve essere completamente sradicato.
Oggi lo sforzo di tutti, e di noi comunisti per i primi, dev’essere teso ad un unico scopo: quello di organizzare un forte esercito partigiano, attivo e combattente, per la liberazione della nostra patria e l’annientamento delle orde nazifasciste.

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