Il codice di produzione hollywoodiano (1930-1966): censura, frames ed egemonia
Titolo originale: El código de producción de Hollywood (1930-1966): censura, marcos (frames) y hegemonía
Autore: Alfonso Maximiliano Rodríguez de Austria Giménez de Aragón
Categoria: Cinema
Indice
- Introduzione
- Egemonia e struttura
- Contesto storico e cinematografico
- L’istituzione del Codice della produzione cinematografica
- Etica e politica
- Ideologia ed economia
- Conclusione: la visione del mondo egemonica
- Bibliografia
Introduzione
Nel suo libro The Abuse of Evil: The Corruption of Politics and Religion since 9/11, Il filosofo americano Richard J. Berstein (2006: 39) avverte che la cosiddetto a “guerra di civiltà” è, in realtà, una guerra di mentalità che si incrociano attraverso le civiltà. La mentalità è descritta come “un orientamento generale – una concezione o un modo di pensare – che condiziona il modo in cui affrontiamo, comprendiamo e agiamo nel mondo”. Da un lato troviamo il fondamentalismo etico, politico e religioso, purtroppo molto presente e condiviso da leader politici di diverse civiltà che annientano le persone e i popoli in nome del loro Dio e della loro convinzione di fare il bene e di lottare contro il male. Dall’altra parte troviamo quello che Bernstein, dalla tradizione filosofica pragmatica, chiama “fallibilismo”, cioè la consapevolezza che le nostre convinzioni non sono un argomento sufficiente per considerarci in possesso della verità, e che siano sempre oggetto di dibattito e revisione.
Secondo l’autore, la mentalità politica fondamentalista utilizza il manicheismo etico e religioso per interpretare il mondo secondo i suoi interessi, in termini assoluti, e così via giustificando, tra l’altro, politiche di distruzione totale del “nemico”. Queste politiche spesso nascondono il saccheggio di risorse o la creazione di capri espiatori.
L’esponente pubblico di questa mentalità che ha avuto il maggior significato nel 21° secolo in Occidente è George W. Bush, quando nel suo discorso del 16 Settembre 2001, cinque giorni dopo l’attacco alle Torri Gemelle e il Pentagono, ha annunciato una necessaria “Crociata contro il terrore”. La dichiarazione era realizzata in termini morali, non in termini politici: “Questo è un nuovo tipo di il male”. La sua famosa massima “o sei con noi o contro di noi” è la sintesi di questo tipo di mentalità.
Berstein (2006: 31) certifica la lunga tradizione americana in entrambi i tipi di mentalità con queste parole: “Bisogna sondare la mentalità che divide il mondo così precisamente tra le forze del male e le forze del bene, comprenderne le cause e il fascino. Questo perché questa è una prospettiva che è diffusa nella cultura americana, da Hollywood a Washington, sebbene abbia una storia molto più lunga, risalendo alle forme più antiche di gnosticismo e manicheismo.
Questo articolo è un piccolo contributo all’indagine di una mentalità diffusa, puntando proprio su Hollywood, senza dubbio il più grande centro di diffusione culturale, in termini di portata, che l’umanità ha conosciuto. Nella storia di Hollywood troviamo un momento chiave per comprendere l’enorme diffusione della mentalità manichea nella società americana, e il resto del mondo che consuma i suoi prodotti audiovisivi: il Codice di Produzione del 1930, noto anche come Codice Hays.
In primo luogo analizzeremo l’imposizione del codice da un punto di vista storico, e analizzeremo la sua importanza usando i concetti di egemonia e quadro di riferimento (frame). Successivamente, approfondiremo i contenuti degli stessi, per delineare la rappresentazione del mondo che era proibito e che fu promossa, prestando particolare attenzione alla mentalità manichea. Si noterà che, in termini generali e prendendo in prestito la terminologia utilizzata da Karl Popper per le società, la rappresentazione del mondo che era proibito concorda con una mente aperta e la presentazione che è stata promossa è coerente con una mentalità chiusa, manichea o fondamentalista. Infine descriveremo la visione del mondo risultante dalla riduzione della pluralità di rappresentazioni della società americana degli anni ’30. Visione del mondo politica, sociale e morale proposta dai titolari della industria di Hollywood e da enti pubblici e società private che avevano abbastanza potere per fare pressione su di loro.
1. Egemonia e struttura
Il concetto di egemonia si riferisce al fatto che un insieme di idee, atteggiamenti e di pratiche diventano così pervasive che dimentichiamo che sono radicate nell’esercizio del potere e che potremmo avvalerci di altre strade. Le idee, le attività, i costumi e le pratiche egemoniche appaiono come l’incarnazione del “senso comune”, e il resto delle idee sono presentate come potenzialmente minacciose per la società e “buon senso” (Phillips, 2007: 151). “La classe dirigente, che detiene il potere politico istituzionalizzato, diffonde, attraverso gli strumenti dell’informazione diretta o mediata, una concezione unitaria del mondo che legittima il proprio dominio, presentandolo come naturale, necessario, nell’interesse di tutti. Questa ideologia condivisa funge da fondamento per un blocco di forze sociali su cui la classe dirigente esercita, quindi, una leadership non solo politica ma intellettuale e morale, culturale in senso lato: un’egemonia appunto” (Bobbio e Matteucci, 1981: 773).
La prima caratteristica dell’egemonia è che non è assoluta. Rimangono sempre delle scappatoie per il pensiero e delle correnti controegemoniche. In effetti, uno dei movimenti più intelligenti della corrente egemonica, all’inseguimento della proprio perpetuazione, è l’assimilazione delle correnti contrarie. Questo ci porta ad una seconda caratteristica, che l’egemonia non è statica ma dinamica. Allo stesso tempo questa esercita una forza modellante sulla società, si adatta alle trasformazioni che emana da questa, purché non mettano in pericolo la posizione della classe dirigente.
Una terza caratteristica è che l’egemonia è condivisa da diversi gruppi. Nel caso in esame, verificheremo che il Codice Hays, uno strumento di propagazione della mentalità egemonica, si costituì grazie all’azione congiunta di gruppi religiosi, politici ed economici.
Infine, la quarta caratteristica che menzioneremo è che l’egemonia si basa su premesse, non su argomentazioni. In altre parole, la creazione dell’egemonia ideologica si basa sulla capacità di influenzare l’aspetto cognitivo delle persone, non l’aspetto razionale. Le entità che creano egemonia si interessano più delle strutture mentali che dei contenuti mentali, più per il modo in cui la mente crea i pensieri che dei pensieri creati, di più di come la gente pensa rispetto a ciò che la gente pensa. Ovviamente il primo passo controlla il secondo. Quindi il più grande trionfo dell’egemonia è “insegnare” al “popolo” come “pensare”. E il più grande fallimento è che le persone abbiano il controllo sul proprio processo di creazione del pensiero e siano in grado di creare pensieri autonomamente per discutere e confutare contenuti etici, politici e sociali. Per questo, uno dei compiti preferenziali degli organi che istituiscono l’egemonia culturale è la creazione di un quadro di limiti del buon senso, al di fuori del quale, la semplice presentazione di un’idea è percepita come una minaccia (Lakoff, 2007).
L’instaurazione e il mantenimento dell’egemonia culturale e ideologica quindi si attua anche con la creazione e imposizione alla società di un quadro del possibile, del pensabile. Un frame o un insieme di frame che, all’interno delle teste delle persone, accetta e interpreta i fatti secondo le proprie regole e limiti. Quello che Goffman chiama un “quadro di riferimento primario”[1]La cornice è un concetto complesso e polisemico, si veda ad esempio il testo di Miceviciute “Frame periodístico: un concepto puente entre la Psicología, la Sociología y la … Continue reading.
La maggior parte dei quadri di riferimento primari “sembra non avere forma visibile articolata, fornendo solo un modo di comprendere, un approccio, una prospettiva. Tuttavia, qualunque sia il suo grado di organizzazione, qualsiasi quadro di riferimento primario permette al suo utente di localizzare, percepire, identificare ed etichettare un numero apparentemente infinito di eventi concreti definiti nei suoi termini. (Goffmann, 2006: 23).
Se il compito delle forze egemoniche è la definizione dei limiti del senso comune, dai limiti del pensabile, lo strumento è la creazione di un quadro generale standard di riferimento primario, secondo il quale la popolazione interpreta come naturale, desiderato capace e inevitabile l’ordine stabilito nella società dalle stesse forze. A partire da questo punto di vista, il miglior discorso è quello che non si riduce al proprio contenuto, ma stabilisce anche il quadro in cui dovrebbe essere interpretato. In effetti, molto più importante del discorso è il quadro che viene invocato attraverso di esso (Lakoff, 2007). Ad esempio, se lanciamo la seguente frase a un pubblico: “Gli Stati Uniti hanno perso la guerra del Vietnam”, la maggior parte delle persone sarebbe apparentemente d’accordo. Il motivo è che la frase crea il proprio quadro interpretativo, vale a dire, che la guerra è vinta o persa a seconda degli obiettivi militari fissati dagli Stati Uniti (l’occupazione militare del paese). Non avendo conseguito questi obiettivi, la guerra era persa. Cosa accadrebbe se confrontassimo il numero delle vittime umane o il numero di ettari distrutti dalle fiamme? Creeremo un quadro entro il quale gli Stati Uniti hanno vinto la guerra e il Vietnam l’ha persa.
Il sistema educativo, le istituzioni religiose e i media sono i soliti canali attraverso i quali il potere comunica con la popolazione. La creazione del quadro deve necessariamente basarsi su un controllo diretto o indiretto della forma e dei contenuti della comunicazione presente. “L’ideologia egemonica sarà complessa anche per un motivo strutturale più profondo. La classe economica dominante non, per la maggior parte, produce e diffonde direttamente l’ideologia. Quel compito è lasciato a scrittori e giornalisti, produttori e insegnanti, burocrati e artisti organizzati per produzione all’interno dell’apparato culturale nel suo insieme – le scuole e i mass media come un tutto…” (Gitlin, 2003: 254).
Riti, storie, parabole, opere teatrali e infine film rappresentano interazioni sociali pre-progettate in contesti che sono anche pre-progettati. La storia è, ontologicamente e filogeneticamente, il primo modo di interpretare il mondo. La narrazione orale è logicamente il primo e il miglior modo per creare fotogrammi primari. Per questo il controllo delle storie è un compito primordiale del potere, per questo nella Repubblica di Platone i maggiori filosofi avrebbero il controllo del discorso dei poeti, e [2]La cornice è un concetto complesso e polisemico, si veda ad esempio il testo di Miceviciute, “Quadro giornalistico: un concetto ponte tra psicologia, sociologia e linguistica”, 2013. … Continue reading poi sarebbero stati espulsi dalla città se non avessero rispettato le loro istruzioni. Secondo Platone solo l’élite dei filosofi dovrebbe avere il potere di interpretare il mondo, di definire la realtà.
Secondo Berger e Luckmann (1991: 149), “la realtà è definita socialmente, ma le definizioni sono sempre incarnate, cioè individui e gruppi di individui concreti servono come definitori della realtà. Per capire in un dato momento lo stato dell’universo socialmente costruito o i cambiamenti che subisce nel tempo, è necessario comprendere l’organizzazione sociale che consente ai definitori di fare le loro definizioni. Esprimendoci in modo più grezzo, si scopre che essenziale continuare a porsi domande sulla concettualizzazione storicamente disponibile dalla realtà, dal “Cosa?” astratto al “Chi lo dice?” sociologicamente concreto. Se una volta dentro al regno della mediazione, andiamo nel racconto audiovisivo e ci chiediamo “Chi lo dice?”, la risposta è più che ovvia.
L’industria cinematografica americana, fondata a Hollywood sin dal primo decennio del 20° secolo, divenne rapidamente, e grazie alla doppia devastazione sofferto in Europa dalle due guerre mondiali, la più grande fabbrica di relazioni che l’umanità abbia conosciuto. Un’industria concentrata e centralizzata dove, come vedremo, le idee di un dato gruppo diventano le uniche idee rappresentabili. In altre parole, i proprietari dell’industria sono quelli che decidono quali idee appaiono nei loro prodotti (Marx aveva formulato la teoria generale nella L’Ideologia tedesca: “le idee della classe dirigente sono le idee dominanti in ogni epoca”).
Le statistiche sono sbalorditive. La percentuale di accaparramento di film di Hollywood rispetto alle proiezioni cinematografiche mondiali attualmente oscilla tra il 40% e il 90%. Dal 1915 non c’è stata nessuna industria cinematografica che sia riuscita a metterla in ombra, nemmeno Francia, Germania, Regno Unito o Italia entro i propri confini. Ad esempio, nel Regno Unito la proporzione di film di Hollywood rispetto al totale sono passati dal 95% nel 1925 all’81% nel 1928 e al 65 per cento nel 1937. In Francia, le rispettive percentuali erano: 70, 63 e 45% (Sánchez Ruiz, 2003: 27). Nel 1985, il 41% degli incassi dei film in Europa occidentale sono finiti nelle casse degli Stati Uniti, Dieci anni dopo la percentuale era salita al 75% (Miller et al., 2005: 19). Nel caso di Spagna, la quota di mercato del cinema americano attualmente rimane intorno circa al 70% degli incassi totali. Anche se nel 2012 è sceso al 59,53%, grazie al film The Impossible e Le avventure di Taddeo l’esploratore (Las aventuras de Tadeo Jones), nel 2013 è tornata al 69,28%[3]http://www.mcu.es/cine..
Ciò che chiamiamo corrente principale dell’industria di Hollywood, e quindi di quasi tutto il mondo, è il risultato di un processo storico non esente da lotte, allineamenti, epurazioni, imposizioni e fessure. Uno dei momenti chiave si visse tra gli anni 1930 e 1934. Cioè gli anni che vanno dall’adozione del Codice Hays fino alla sua effettiva attuazione.
2. Contesto storico e cinematografico
Le lotte e le pressioni per controllare i contenuti dell’industria cinematografica sono vecchi quanto la stessa. Tuttavia, i primi anni ’30 arrivarono tuttavia con diverse caratteristiche speciali. Dal punto di vista topograficamente intracinematografico la novità più importante è che i film hanno cominciato a essere parlati.
Il cantante di jazz (The Jazz Singer), firmato da Alan Crosland e presentato al pubblico il 6 ottobre 1927, è considerato il primo film totalmente sonoro o con suono sincronizzato. Sulla base di questa innovazione tecnologica è di un rimodellamento totale del linguaggio cinematografico, come l’abbandono dell’eccesso di gesticolazione nella recitazione del film muto, necessaria per esprimere chiaramente le emozioni interiori dei personaggi muti. Grazie all’uso sincronizzato del suono, i personaggi d’ora in poi sono in grado di esprimere emozioni interiori e molte altre cose. Le possibilità espressive del cinema si moltiplicano esponenzialmente, rendendolo un mezzo espressivo molto più ricco, per quanto riguarda il livello di informazioni trasmesse e per quanto riguarda le possibili sfumature di queste informazioni.
Questa espansione della capacità espressiva raggiunse contemporaneamente il massimo alla crisi economica che gli Stati Uniti hanno vissuto, o almeno la più brusca. La prima guerra mondiale era finita nel 1918, e il sollievo economico e il rilassamento psicologico e sociale degli anni del dopoguerra, il cosiddetto decennio jazz, fu seguito dal crack del ’29 e dalla successiva Grande Depressione. La gioia di una vita più o meno sicura finisce, in breve tempo, in povertà e disperazione per ampi strati della società. Le autostrade erano piene di centinaia di migliaia di persone che vagavano di città in città in cerca di lavoro. “Queste due variabili – il suono e la depressione – hanno creato un insieme completamente nuovo di esigenze estetiche che richiedono che la vecchia Formula sia inserita in un nuovo contesto” (Roffman e Purdy, 1981: 15).
Benché poco citate esplicitamente, la crisi economica e le sue conseguenze sociali divennero, come vedremo, un tema centrale o periferico di un buon numero di film.
3. L’istituzione del Codice della produzione cinematografica
Nel 1927, William Hays, presidente del trust dei produttori di Hollywood (MPPDA, Motion Picture Production and Distribution of America[4]Nel 1945 l’MPPDA divenne l’MPPA poiché le leggi antitrust obbligavano l’industria cinematografica a rinunciare al controllo delle sale di proiezione.), prova ad attuare una serie di raccomandazioni di cui tenere conto durante le riprese dei film. Queste erano conosciute come i “Don’t and Be Careful”.
I produttori hanno preso le raccomandazioni come una soluzione di compromesso di Hays davanti ai gruppi di pressione, con la Chiesa cattolica in testa, quindi non gli diedero troppa importanza.
Di fronte alla mancata imposizione dei suoi criteri a Hollywood, la Chiesa ha aumentato le pressioni e ha minacciato di vietare sistematicamente ai suoi parrocchiani di andare al cinema a vedere film immorali, una pratica già usata discrezionalmente. I produttori, la cui opinione era che la censura, soprattutto per quanto riguarda il sesso e la violenza, fosse un ostacolo ai benefici economici, hanno resistito alla pressione confermati in questo dal successo al botteghino.
Nel 1930 Hays ottenne che l’MPPDA adottasse un nuovo codice, scritto congiuntamente dal sacerdote gesuita Daniel Lord e dal giornalista Martin Quigley.
L’adempimento degli stessi è stato affidato alla Commissione dei Rapporti con gli Studi (Studio Relations Committee), i cui capi visibili erano Jason S. Joy e James Wingate. Tuttavia, Joy e Wingate non sono riusciti a imporre le disposizioni descritte nel nuovo testo, forse perché anche la loro visione della sua applicazione era lassista. Will Hays decise quindi di creare un ufficio dedicato esclusivamente all’applicazione del codice, Production Code Administration o PCA. In forma parallela, il Producers Appeal Board, l’organismo specifico attraverso il quale i produttori hanno sistematicamente smantellato tutte le proposte di censura Joy e Wingate. Correva l’anno 1934, e da quel momento i produttori hanno accettato le disposizioni del codice, e in pochi mesi hanno preso la “sana” abitudine di inviare gli script futuri al PCA, in modo da evitare di riprendere scene che non avrebbero visto la luce in seguito.
Tradizionalmente, la lettura che è stata fatta sull’imposizione del codice è quella della capitolazione dei proprietari dell’industria di fronte alle pressioni e alle minacce di boicottaggio da parte di gruppi potenti, come le Chiese cattolica e protestante o la Legione della Decenza. Questa è, ad esempio, l’interpretazione diffusa di Gregory Black (1999a: 57): “La cosa più incredibile di questo conflitto era la posizione di Lord, sostenuta da Hays e dalla Chiesa cattolica, che è stata accolta senza lamentele. Il motivo per cui i produttori hanno accettato un codice che, se effettivamente interpretato, sopprimeva l’inclusione di importanti temi sociali, politici ed economici nei film e trasformato l’industria in uno strumento di difesa dello status quo, rimane un mistero. Perché l’industria in un momento in cui godeva di un reddito senza precedenti di cento milioni a settimana, ha accettato restrizioni così severe sul contenuto e sulla forma?”
La realtà è che Hays e la Chiesa cattolica hanno preso il controllo del codice ma non avevano abbastanza potere per imporlo. Le ragioni ione che hanno portato alla accettazione del codice, che “ha trasformato Hollywood in un difensore dello status quo”, sono di un calibro maggiore della pressione dei gruppi religiosi.
In primo luogo, va ricordato che nel 1932, dopo l’arrivo di Roosevelt alla presidenza, lo Stato federale stava per regolamentare i contenuti di Hollywood a proprie spese, tramite l’Autorità per il Codice dell’Industria cinematografica.
Questo codice è rimasto nelle mani della National Recovery Administration, un ente creato nel contesto del “New Deal”. I proprietari del settore si preoccuparono all’idea che i burocrati del “New Deal” avessero il potere di decidere in merito al contenuto dei film. Qualcosa che ovviamente hanno fatto dal momento in cui Roosevelt salì al potere.
In secondo luogo, dobbiamo ricordare che i veri proprietari del settore del cinema non erano produttori di Hollywood, ma i banchieri di New York a cui quelli dovrebbero rendere conto. Se Hays è riuscito, grazie alla creazione del PCA e l’abolizione della commissione di ricorso, a far adottare sul serio il codice, è stato perché “il PCA trae la sua autorità da, e alla fine risponde al, consiglio di amministrazione della MPPDA, ai banchieri e agli uomini d’affari di New York dietro l’industria, non ai dirigenti degli studi siti a Hollywood” (Doherty, 1999: 9).
Dopo diversi conflitti con i produttori ribelli come Walter Wanger e dopo le conseguenti numerose chiamate all’ordine dalla costa orientale, i produttori hanno capito non avevano altra scelta che sottoporsi al PCA. “Il presidente della Bank of America A.P. Giannini, uno dei più potenti finanziatori di Hollywood, ha cementato i nuovi accordi affermando categoricamente che nessun film avrebbe ricevuto finanziamenti senza il preventivo nulla osta del PCA” (Doherty, 1999: 326).
L’argomento anti-censura dei profitti al botteghino questa volta non ha funzionato. Se i produttori conoscevano la crematistica, i banchieri erano esperti di economia.
Inoltre, i banchieri si preoccupavano della storia e dei movimenti sociali contemporanei.
C’è una data e un evento che è stato decisivo, seppur indirettamente, per l’adozione del codice: la rivoluzione comunista del 1919. Se la fine della Prima guerra mondiale ha portato prosperità economica per gli Stati Uniti, per la Russia ha portato il comunismo. Un sistema politico di programmazione della produzione, verso il quale molti occhi sono stati rivolti quando il capitalismo ha dimostrato la sua incapacità di mantenere l’equilibrio e durante la Grande depressione ha gettato milioni di persone nelle strade. Un sistema che Hollywood ha criticato in film come Eroi in vendita (Heroes for Sale, William Wellman, 1933), Il potere e la gloria (The Power and the Glory, William K. Howard, 1933) e Piccolo uomo, e adesso? (Little Man, What Now?, Frank Borzage, 1934).
Il risultato è che grazie ad un momento storico che non sembrava capire fin troppo bene, l’avanguardia della censura comandata dall’ala conservatrice della Chiesa cattolica si trovò improvvisamente sostenuta dall’establishment economico Americano, desideroso di frenare le tendenze filo-comuniste, e timorosi che la loro bontà, potere e leadership sono stati messi in discussione, anche se era nelle storie di finzione. La posizione di maggior potere censorio e decisionale cadde sul cattolicesimo radicale e l’antisemita Josep Breen, uno a cui non piacevano né gli “ebrei” né i giovani (“quasi tutti muti, imbecilli e stupidi”), né molte altre cose (Black, 1999b: 28).
La visibile crociata morale (e politica) guidata da Breen ne nascondeva una meno visibile crociata ideologica ed economica. Ma nemmeno lui stesso all’inizio si accorse di questa situazione. Durante i primi anni il PCA venne addestrato da Hays, la sua applicazione del codice aderiva alla lettera del codice, ed era quasi esclusivamente morale. Breen ha dovuto imparare lo spirito del codice, elemento più importante della lettera.
Nel 1966 il codice fu abbandonato e sostituito dall’attuale sistema di catalogazione dei film per età, un sistema di accesso ai contenuti, piuttosto che di controllo di loro. In altre parole, un sistema di mentalità aperta. In ogni caso sono bastati trent’anni per formare, insieme ad altre influenze che marciano nella stessa direzione, le mentalità di milioni di persone, attraverso il più potente strumento di comunicazione prima della televisione.
4. Etica e politica
Il nucleo del codice e la testa di ponte determinata dallo sbarco dei lobbisti sul contenuto dei film, era ovviamente la moralità. I moralisti hanno indicato, non senza ragione, il pericolo che i membri più influenti della società imitassero comportamenti considerati detestabili.
Il codice parte nel suo preambolo dalla considerazione del fatto che il cinema sia massimamente diffuso tra la popolazione, e quindi rappresenta l’arte su ricade la maggior parte delle responsabilità per l’influenza che esercita sulle persone più impressionabili. Infatti, i film sono disponibili per persone di ogni condizione (“mature, immature, sviluppate, sottosviluppate, rispettose della legge, criminali”. Ragioni a sostegno del preambolo del codice, III), il grado di tollerabilità permessa non può essere elevato come in altre manifestazioni culturali riservate a una minoranza selezionata e colta, come libri o le opere teatrali. Il tipo di mentalità fondamentalista dei redattori e dei promotori del codice è evidente nella sua insistenza sull’influenza nefasta che il cinema potrebbe esercitare sui “ceti immaturi, giovani o criminali” (Ragioni alla base delle applicazioni particolari, III, II, Sesso). Una gran parte degli adulti erano immaturi, secondo loro, e che dire della loro fede nella presunta esistenza di “classi criminali”.
Tra le disposizioni morali del codice, troviamo che, in generale, i film dovevano evitare ogni tipo di squallore, argomenti “grezzi” come le relazioni extraconiugali, l’aborto o le relazioni interrazziali. Dovevano evitare di stimolare passioni basse, scene di parto o di abuso di alcol; dovevano rispettare la santità del matrimonio e non ridicolizzare la religione o i suoi ministri. Rimaneva totalmente vietata la volgarità, l’oscenità, la blasfemia, l’irriverenza, la nudità e le danze sensuali (Particular Applications I-XII). Anche se non era menzionato esplicitamente, l’omosessualità era ovviamente bandita dagli schermi. Dal 1934 era impossibile distribuire film come:
Madam Satan (1930), di Cecil B. DeMille, in cui una moglie altruista complotta un piano per riconquistare il marito traditore: si atteggia a donna voluttuosa mascherata per sedurre il marito e mostrargli che può offrirgli quello che cerca fuori casa.
Il segno della croce (The Sign of the Cross, 1932), sempre di DeMille, dove le passioni inferiori sono costantemente stimolate. C’è una scena nel circo romano, per esempio, dove viene lasciato uno schiavo cristiano, nudo e legato a un palo alla misericordia di un gorilla il cui interesse per le donne è puramente sessuale.
Perdizione (The Story of Temple Drake, 1933), di Stephen Roberts, dove la giovane e ribelle protagonista, nipote di un onorevole giudice, viene violentata da un delinquente, e dopo l’esperienza, decide liberamente di uscire di casa e vivere con lui. La brutalità e la potenza sessuale del delinquente esercita su di lei un’attrazione irresistibile, fino a quando commette l’errore di volerla trattenere con la forza e finisce morto.
Sangue ribelle (Call Her Savage, 1932), di John Francis Dillon, in cui una donna sposata ha una relazione extraconiugale a lungo termine con un indiano americano. Da questa relazione segreta nasce una ragazza, che fin dall’infanzia “non le piace il [supposto] padre”. La giovane protagonista, interpretata dalla suggestiva Clara Bow che in un dato momento si toglie il reggiseno per curare le ferite che lei stessa si è procurata, frusta il suo amico meticcio. Nella scena successiva gioca con l’enorme cane della famiglia, rotolandosi per terra, finché il padre non gli rimprovera il suo atteggiamento poco decoroso.
L’isola della perdizione (Safe in Hell, 1932), di William Wellman, dove il protagonista, che lavora come prostituta a causa della povertà e di cattive influenze, decide di non assaggiare più l’alcol quando il suo vecchio fidanzato torna dopo diversi anni di assenza e la sposa. La ragione di tale decisione è che, come abbiamo visto, quando beve alcol, emerge la parte più dissoluta della sua personalità.
L’esigenza morale di base dal punto di vista narrativo era che il bene dovrebbe vincere sempre. Questo era indiscutibile. Tuttavia, le differenze sono emerse quando la trama del film si dilettava eccessivamente nel goderne i piaceri dati dalla brutta vita. Questo era il dispositivo utilizzato nei film di gangster: sessanta minuti di benefici e piaceri ottenuti grazie ad attività criminali, e cinque minuti finali in cui veniva chiarito che “il crimine non paga”. Questo breve finale in cui le cose tornano al loro posto, secondo i moralisti critici, non ripara i danni causati agli spettatori impressionabili.
D’altra parte, il comportamento morale dei personaggi, così come le loro opinioni, dovrebbe riflettersi chiaramente. I personaggi buoni dovevano essere interpretati da stelle e non da attori secondari, e “ogni film doveva contenere una lezione morale chiara e severa che mostrava la sofferenza, il castigo e la rigenerazione”. “Non si può lasciare alla discrezione di una mente immatura la decisione se i personaggi hanno fatto il bene o il male”, ha affermato il capo censore della PCA Joseph Breen (Black, 1999a: 191). Secondo il codice, il pubblico doveva essere sicuro che il male è sbagliato e il bene è giusto (“Che in tutto, il pubblico si senta sicuro che il male è sbagliato e il bene è giusto”. Reasons Underlying the General Principles I, 2, b).
Una delle principali conseguenze di questa insistenza nell’indicare che il “bene era la cosa giusta” fu che le zone d’ombra finirono per scomparire. Apparentemente, per Joseph Breen, la maggior parte degli spettatori non era in grado di comprendere che le persone non sono per nascita o per definizione buone o cattive, o che siamo entrambele cose allo stesso tempo. L’obbligo di presentare il male come assoluto, indesiderabile e il buono come assolutamente desiderabile (sebbene non ci fosse modo nascondere che fare del bene era mortalmente noioso), insieme al bisogno di farlo per persone “immature o sottosviluppate”, instaurò a Hollywood un sistema di rappresentazione morale assolutamente manicheo. Non bastava che il cattivo finisse per morire, doveva rovinare tutto ciò che toccava, tradire gli amici e ignorare l’amore. Incarnerebbe il male assoluto e non dovrebbe godere, o almeno non deve godere troppo, il frutto della sua malvagità. La redenzione del comportamento malvagio era possibile solo attraverso la morte (Waterloo Bridge, James Whale, 1931), o la più grande delle disgrazie, come la perdita di un figlio (Three on a Match, Mervyn LeRoy, 1932).
La mentalità manichea doveva prevalere, anche a scapito della qualità della narrazione e della descrizioni realistica del mondo e delle persone.
Ma oltre alle disposizioni morali, il codice includeva una buona batteria di norme sulla rappresentazione di ciò che è politicamente corretto nei film. Per esempio, era vietato occuparsi della schiavitù dei bianchi (non c’era alcun problema con il resto dei colori della pelle) e del traffico di droga; era vietato anche ritrarre la corruzione nei governanti, o rappresentare le Corti di giustizia come ingiuste o corrotto. La descrizione di un caso particolare, un giudice corrotto, era consentita, ma mai di mettere in discussione l’adeguatezza del sistema giuridico in generale. Con il resto delle istituzioni è successa la stessa cosa, è stato permesso di ritrarre un politico o un poliziotto corrotto, ma doveva essere sempre chiaro che si trattasse di un caso personale e isolato, e non implicare mai che la corruzione fosse maggiore, né provocare sfiducia nei confronti dell’istituzione.
Tradotte le disposizioni politiche del codice nei termini di creazione di quadri primari, il risultato è che è stato necessario imporre il quadro delle mele marce (“bad [or rotten] apples”): Il sistema politico non è corrotto, né consente, né, naturalmente, incoraggia la corruzione al suo interno. Casi di corruzione e di malfunzionamento del sistema, che provoca crisi come quelle del 1929, sono dovuti unicamente alle mele marce che sono scivolate nel cestino. Questo è il quadro proposto nel film The Washington Masquerade (Charles Brabin, 1932) per difendere la posizione del presidente Herbert Hoover: è “davvero un bravo ragazzo che è stato tradito da alcune mele marce” (Roffman e Purdy, 1981: 57).
Il quadro è stato effettivamente imposto. Purtroppo è uno dei frame più utilizzati nella comunicazione politica. Bernstein, ad esempio, cita l’argomento delle mele marce nel caso delle torture nelle carceri di Guantánamo e Abu Ghraib: “Perché è successo questo? Perché Bush e le sue coorti si sono mostrate così riluttanti ad affrontare questo apparente male? Naturalmente ci sono ragioni politiche per minimizzarne l’importanza, per considerarla parte delle azioni di poche ‘mele marce'” (2006: 167). L’argomento si inserisce in un quadro molto antico che è stato costruito in parte sulle rappresentazioni hollywoodiane della politica, quelle promosse dal codice. La bontà e l’idoneità delle istituzioni, compreso l’esercito, era fuori dubbio e discussione. Un esercito scortese, che non lottasse per la pace e la democrazia era, infatti, impensabile.
Un sistema politico, chiamato democrazia liberale, nelle mani di un’oligarchia economia con interessi diversi da quelli del resto della cittadinanza, era assolutamente impensabile, al di fuori di ciò che il buon senso inquadra.
5. Ideologia ed economia
A volte la chiave per comprendere gli obiettivi della censura sta più nello spirito che lo ispira che nella lettera che lo esprime. Questo è il caso del Codice di Produzione hollywoodiana. Daniel Lord, il suo redattore principale, è stato molto chiaro su questa differenza: “Ciò che allarmava Lord non erano i film del 1931, ma i progetti per 1932. Era profondamente turbato, disse ad Hays, nel vedere l’industria interessarsi ai problemi sociali. Lord era dell’opinione che la maggior parte dei film dell’anno precedente potrebbe essere accettato rimuovendo una o due scene. Ma ora il problema era l’idea che si nascondeva dietro i film, poiché riflettevano una ‘filosofia della vita’. Sceneggiatura dopo sceneggiatura, ha trovato dibattiti su “moralità, divorzio, libero amore, figli non ancora nati, relazioni extraconiugali, leggi applicabili ad alcuni e non ad altri, il rapporto del sesso con la religione e anche il matrimonio e i suoi effetti sulla libertà delle donne. Altrettanto pericolosi erano i film in cui la legge veniva ‘sfidata’ e si rifletteva sulla ribellione giovanile contro l’autorità” (Black, 1999a: 74).
Il problema per Lord era l’idea dietro i film, la “filosofia della vita”, in altre parole, l’ideologia che li sottende. Un’ideologia secondo la quale si riteneva opportuno discutere di problemi sociali. Insistiamo, non un’ideologia che rappresentasse i problemi sociali (che anche, e talvolta morbosamente per puro guadagno finanziario), ma piuttosto discusso degli stesse. La valutazione è fatta poiché il gusto per il dibattito è una delle caratteristiche principali di apertura mentale, fallibilismo e pragmatismo. La mente che non crede agli assoluti, e che scommette sul dibattito dei casi concreti e la continua revisione delle proprie convinzioni.
Lord deve essere stato molto allarmato da film come Three on a Match (1932), dove una donna percorre il sentiero dal successo verso la decadenza e l’alcolismo; o dal famoso Scarface – Lo sfregiato (Scarface, Howard Hawks e Richard Rosson 1932), basato sulla vita di Al Capone; o Venere bionda (Josef von Sternberg, 1932), dove Marlen Dietrich è alla ricerca di un amante che paghi per le cure del marito malato e poi finisce per prostituirsi. Io sono un evaso (A Fugitive From a Chaing Gang, Mervyn LeRoy, 1932), basato su una storia scritto da Robert E. Burns, dove si racconta come sia stato ingiustamente condannato al carcere e torturato fino a quando non riesce a fuggire e rifarsi una vita in un altro Stato dell’Unione. Anni dopo, essendo un uomo d’affari di successo, lo stato meridionale dove fu imprigionato (Georgia) gli offre di comparire in tribunale per essere assolto e ripulire la sua fedina penale. Ma il giudice lo condanna allo stesso carcere con l’aggravante di essere evaso, e il protagonista viene nuovamente torturato, questa volta con più cattiveria, finché non riesce a fuggire di nuovo per vivere come un animale, rubare per mangiare.
Quello che sarebbe venuto dopo avrebbe lasciato Lord totalmente sbalordito. Al di là dei problemi sociali come la povertà e i suoi derivati, la prostituzione o la delinquenza, l’abbondanza di film che ha minato le basi dell’autorità era insolito.
In Baby Face (Alfred E. Green, 1933), Barbara Stanwyck considera di scalare la scala sociale usando il tuo corpo e il sesso come strumenti.
Eroi in vendita (Heroes for Sale, 1933), di William Wellman, ritrae le avventure di un eroe della prima guerra mondiale, amante della morfina per colpa delle ferite riportate. Dopo che la sua dipendenza è stata scoperta, viene licenziato dal suo lavoro e ostracizzato, imprigionato e affamato.
Selvaggi ragazzi di strada (Wild Boys of the Road, 1933), sempre di Wellman, racconta la storia di due ragazzi che decidono di smettere di essere un peso per i loro genitori poveri e si mettere a vivere in strada, dove vivono con altre bande giovanili. Il gruppo di adolescenti viene espulso dalle città e picchiato dalla polizia, tra varie altre disavventure.
In Gabriel Over The White House (1933), di Gregory LaCava, un corrotto presidente degli Stati Uniti al servizio del potere economico, si ispira all’Arcangelo per farsi carico del destino del nazione, intronizzandosi come dittatore benevolo che sospende le funzioni del Congresso. Il risultato è così promettente e il presidente “rinato” così convincente, che incontra personalmente un “esercito di disoccupati” in marcia su Washington e li trasforma in un esercito di lavoratori al servizio dello Stato.
The President Vanishes (William Wellman, 1934) ritrae un caso storico di corruzione ai massimi livelli: la pressione esercitata da una lobby (composta da un banchiere, un industriale d’armi, un giudice, un magnate della stampa…) sul presidente degli Stati Uniti affinché possa coinvolgere il Paese in una guerra europea. Le somiglianze con la Committee on Public Information o Creel Committee, che ha lanciato una vasta campagna di propaganda a favore dell’ingresso dal paese durante la prima guerra mondiale, non passarono inosservati.
Sebbene il codice non dettasse nulla per quanto riguarda la rappresentazione della povertà, dello sfruttamento o le sue conseguenze, lo spirito era molto chiaro: non vedremo mai più un film finanziato dai magnati di New York dove i lavoratori di una fabbrica fanno un giusto sciopero. Infatti la rappresentazione di scioperi e movimenti di massa hanno generato grande tensione e nervosismo tra i i censori. Un famoso e recente film del regista Sergei M. Eisenstein si intitolava appunto Sciopero! (Stachka, 1925). Il fantasma che incarnava i film di Eisenstein, il fantasma del comunismo, era uno di quelli che si voleva scongiurare attraverso lo spirito del codice.
Gli scioperi e i problemi di distribuzione economica furono totalmente aboliti dallo schermo, così come i movimenti incontrollati delle masse.
La follia della metropoli (American Madness, Frank Capra, 1932), Gabriel Over the White House (Gabriel Over, 1933), Tentazioni (The Cabin in the Cotton, Michael Curtiz, 1932), sono titoli che non si ripeteranno mai. Prova di questo è Black Fury (Michael Curtiz, 1935), l’anno successivo all’impianto effettivo del codice: qui i lavoratori sono portati in sciopero da una forza esterna perversa (una compagnia di polizia privata), non per le condizioni di lavoro (i lavoratori vivono in case bifamiliari con portici coperti dove fumano rilassati una pipa dopo una dura giornata di lavoro). Il film si conclude con il benevolo e paterno proprietario di fabbrica che ristabilisce la fraternità perduta con i lavoratori.
Niente più film come Skyscraper Souls (Edgar Selwyn, 1932) o The Match King (Howard Bretherton e William Keighley, 1932), che interpretano il magnate capitalista come persona capace di commettere la più grande viltà per il successo e i soldi. Un modo di presentare l’imprenditore che, tra l’altro, era impensabile nel decennio precedente, in cui questi personaggi erano ciò che porta ricchezza al paese (Doherty, 1999: 58).
In Employees’ Entrance (Roy Del Ruth, 1933), interpretando come i due precedenti da Warren William, l’esecutivo senza scrupoli e tirannico è l’unico che sa come districarsi nella giungla capitalista. E ancor più in una giungla capitalista in crisi, come mostra esplicitamente il film. Questa volta la luce non è così sfavorevole, nonostante il fatto che lo “squalo” impieghi in cambio di sesso una bellissima giovane donna, non esita a mandare in bancarotta un industriale che è in ritardo con una consegna, e minaccia la sua segretaria di licenziarla se non restituisce un vestito che ha comprato presso la concorrenza.
Il successo dei censori nell’applicare lo spirito del codice è stato clamoroso:
“I rapporti PCA per il periodo 1935-1940 sono rivelatori. Nel 1935, Breen disse a Hays che 122 film – il 23,5% della produzione totale di Hollywood – apparteneva alla cosiddetta “categoria sociale”. L’anno successivo la cifra era scesa a 104 – 19,4% – e, mentre Breen continuava a invocare una “politica dell’industria”, i numeri hanno continuato a scendere. Nel 1938 ha riferito con orgoglio che solo il 12,4% della produzione affrontasse questioni sociali, e nel 1939, si riteneva che solo il 9,2%, 54 film, portassero un messaggio sociale.
Nel 1941, Hays, davanti a una commissione investigativa del Senato, dichiarò che meno del 5% dei film di Hollywood trattava di questioni sociali o politiche” (Black, 1999a: 310).
La conclusione della riforma ideologica attuata dal codice è che il il sistema socioeconomico capitalista contemporaneo era il migliore possibile, nonostante le crisi. I potenti (vescovi, giudici, politici, poliziotti, militari, alta classe imprenditoriale) sono buoni, anche se ci sono delle pecore nere o delle mele marce che ricevono sempre la loro esemplare punizione. L’ordine sociale, politico ed ecologico che propongono e mantengono è il migliore esistente. Il sistema è leggero, senza il sistema regna l’oscurità, il caos e il male.
Le classi superiori sono quasi sempre educate, dignitose e belle, mentre le classi inferiori sono mosse da sentimenti basici, facilmente influenzabili e brutte, potenzialmente criminali e immature. Le virtù del primo sono la saggezza, la gentilezza, l’organizzazione, l’onestà e la capacità di leadership. Le virtù del secondo sono la fiducia e l’obbedienza. Entrambi condividono il gusto per il lavoro e un incrollabile senso del dovere. Il crimine è sempre il risultato del male intrinseco ad alcune persone. Non c’è altra spiegazione possibile. La povertà è causata da una colpa di chi soffre, non di un sistema pieno di opportunità per le persone determinato e laborioso.
La natura delle donne è essere passive e oggetti del desiderio. Eccetera.
6. Conclusione: la visione del mondo egemonica
Se qualcosa differenzia l’umano dal resto della specie, è che è un animale simbolico. Non è solo che si comunica attraverso i simboli, è che si costruisce come specie grazie a questo universo creato dal linguaggio. L’esempio classico è quello degli eschimesi e le loro dozzine di parole per riferirsi ai diversi stati o tipi di neve. Dove un occidentale vede un paesaggio di ghiaccio e neve, un eschimese riconosce diverse sfumature e ha una lingua per nominarle. Il loro l’ambiente sociale gli ha insegnato fin dall’infanzia a differenziare i tipi di neve, e la parola con cui ciascuno di loro li identifica ha fornito un aiuto fondamentale in questo apprendimento.
Se trasferiamo l’esempio nel campo della moralità, troveremo uno che vede un paesaggio di bene e di male, e un altro che riconosce sfumature diverse tra i due estremi. Una delle chiavi rimane che questa persona ha un linguaggio fondamentale e l’esperienza per nominarli. Ma se questa lingua scompare, se queste definizioni cessano di esistere o nessuno le insegna, le successive generazioni imparano esclusivamente il linguaggio manicheo del bene e del male assoluti, e avranno una mentalità fondamentalista.
Di fronte a una situazione di crisi che ha scosso il sistema, i poteri economico, politico e religioso, rami dello stesso tronco, concordato per creare un quadro al di fuori del quale nessuna storia avrebbe senso. Scuole, media comunicazione e pulpiti, i principali agenti creativi dell’universo simbolico, raddoppiato gli sforzi per consolidare un quadro generale di riferimento le cui linee guida erano:
1. La naturalezza dell’economia capitalista, basata sulla proprietà privata e la libera impresa.
2. La politica della leadership personale. Cioè, nessuna attenzione alle strutture politiche e sociali.
3. L’antropologia della concorrenza e dell’individualismo.
4. La famiglia patriarcale e nucleare, l’amore eterosessuale ed eteronormative sono i pilastri della società. Questa istituzione è sacra e non dovrebbero esserci deviazioni dalla norma.
5. La morale, ristretta e manichea, degli assoluti.
6. Totale fiducia nelle istituzioni politiche ed economiche e nelle persone che li incarnano.
7. La comunità o il popolo è solo una massa, incapace di decisioni e di movimenti autonomi, in grado di seguire in modo univoco i loro leader.
8. I problemi sociali sono problemi personali, non strutturali. Per esempio, il crimine è sempre un problema morale, non sociale occasionalmente causato dalla povertà.
La mentalità alimentata da questo quadro è binaria, di opposti, fiduciosa, scarsamente incline all’analisi, alla critica, al dibattito e alla messa in discussione delle proprie ipotesi.
È una mentalità priva degli strumenti per interpretare e valutare le realtà complesse, chiusa, tendente all’assolutismo, al manicheismo e al fondamentalismo.
È più facile chiarire che misurare il ruolo svolto dal Codice Hays nell’estensione di questa mentalità, ma se ascoltiamo le statistiche che ci ha offerto Breen Hays, la sua influenza è stata devastante.
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↑1 | La cornice è un concetto complesso e polisemico, si veda ad esempio il testo di Miceviciute “Frame periodístico: un concepto puente entre la Psicología, la Sociología y la Lingüística”, 2013. “Quadro di riferimento senso primario” o “quadro generale di riferimento” funge da differenziatore dagli altri sensi. |
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↑2 | La cornice è un concetto complesso e polisemico, si veda ad esempio il testo di Miceviciute, “Quadro giornalistico: un concetto ponte tra psicologia, sociologia e linguistica”, 2013. “Quadro di riferimento primario” o “quadro di riferimento generale” funge da differenziatore rispetto ad altri sensi. |
↑3 | http://www.mcu.es/cine. |
↑4 | Nel 1945 l’MPPDA divenne l’MPPA poiché le leggi antitrust obbligavano l’industria cinematografica a rinunciare al controllo delle sale di proiezione. |
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