Il problema italiano di Nenni

Il problema italiano di P. Nenni, articolo pubblicato nel 1944 su “Politica estera”

Categoria: Socialisti

Per segni non dubbi la guerra volge al suo epilogo, almeno in Europa. La liberazione di Parigi, la capitolazione della Romania, lo sganciamento della Bulgaria, il crollo del perimetro della cosiddetta fortezza europea hanno ridotto in polvere (una polvere intrisa di sangue ) il sogno imperiale di Hitler.


È difficile dire se la Germania riuscirà ad organizzare le sue frontiere per un’ultima disperata battaglia pro aris et focis. Dipenderà dalle condizioni del fronte interno. Ma in ogni caso la battaglia delle frontiere non dovrebbe essere lunga e difficile tanta e tale è la superiorità degli eserciti sovietici, accampati alla frontiera prussiana e degli eserciti americano, inglese e francese che dall’Ovest si approssimano al Reno a grandi marce forzate.
I problemi della pace stanno in ogni modo prendendo nettamente il passo su quelli militari; ed è bene ed è tempo, se non si vuole arrivare impreparati al traguardo con la conseguenza di perdere la pace dopo aver vinta la guerra. Che è purtroppo un caso che ci riguarda soltanto indirettamente.
Per noi la guerra è perduta, e lo era fin dal lontano 10 giugno 1940, quando contra la tradizione ed i più chiari ostri interessi, Mussolini e Vittorio Emanuele ci legarono al carro di Hitler. È questo un dato di fatto fondamentale dal quale non è possibile prescindere quando si considerano gli sviluppi prossimi e futuri della nostra politica estera, così come non è possibile prescindere dall’atmosfera di incomprensione, di odio e di disprezzo che esistono in taluni strati dell’opinione internazionale nei nostri confronti, come conseguenza della posizione presa dal nostro paese nella guerra di Hitler e dell’iniziativa mussoliniana di portare il conflitto nei Balcani con la dichiarazione di guerra alla Grecia.
Le nostre sofferenze non devono farci dimenticare le sofferenze degli altri, di cui fummo la causa diretta o indiretta. E la riaffermazione del nostro diritto non avrebbe senso, di fronte all’opinione mondiale, se non fosse accompagnata al riconoscimento dei nostri errori, sui quali non possiamo tirare un pudico velo senza incorrere nella taccia di ipocriti.

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