Intervento di Scoccimarro alla Conferenza del Fronte popolare

Intervento di Scoccimarro alla Conferenza economica del Fronte democratico popolare

Se consideriamo nel suo complesso l’attuale situazione economica e finanziaria del paese, noi ci dobbiamo domandare innanzi tutto, quale sia l’elemento essenziale che la caratterizza, l’elemento che può essere espressione e risultante dell’azione di molteplici fattori economici, finanziari, e può quindi tutti abbracciarli in organica unità ed illuminare di sé tutta la situazione. Mi pare che tale elemento si possa ravvisare nel fatto che, per la prima volta dalla liberazione, noi assistiamo in Italia ad un declino della produzione determinato da una contrazione dei consumi.
Tutti sanno che in questi ultimi mesi la produzione industriale è diminuita in media del 15%: le vendite delle imprese industriali hanno subito una contrazione in media del 40%.
Dopo la fine della guerra il nostro paese di è trovato di fronte ad un crollo della produzione, discesa al di sotto del 50% rispetto all’anteguerra; poi, verso la fine del ‘45, si è iniziata una ripresa della attività economica; la produzione è salita nel ‘46 al 65%, nel 47 a circa l’80% rispetto al 1938. Ad un certo momento però, nel secondo semestre del ‘47 e verso la fine dell’anno, assistiamo ad una inversione di questa tendenza; la produzione è discesa al 65% e continua tutto a discender.
Qual è il significato di questo fatto? Senza dubbio, noi ci troviamo di front ad una rottura dell’equilibrio, sia pure relativo e instabile, raggiunto nel corso del ‘46-47. Ma questa ruttorua di equilibrio fra produzione e consumo non è il fenomeno normale della produzione capitalistica, che si verifica sempre al culmine di un ciclo economico, quanto dalla fase ascendente si passa alla fase discendente
È noto agli studiosi ed agli uomini di affari che quel fenomeno si accompagna ad alcune caratteristiche particolari: esso si determina in un momento in cui la produzione ed i consumi sono in aumento, però con ritmo diverso, ed è perciò che ad un certo momento si verifica la frattura. Inoltre, tutto l’apparato produttivo del paese è in piena attività, anzi è in fase di sviluppo; la rottura dell’equilibrio avviene proprio perché ad un certo punto si verifica un eccesso di produzione di beni strumentali.
Oggi, invece, qual è la situazione? La rottura avviene per un crollo del consumo in un momento in cui non tutto l’apparato produttivo è in piena attività.
Ora, proprio perché vi era un largo margine di possibile aumento della produzione senza nuovi impianti, non poteva esservi, in Italia, quello squilibrio che si produce per un eccesso di produzione di beni strumentali. Questi dati dimostrano che era possibile un ulteriore aumento della produzione con la rimessa in attività di una parte dell’apparato industriale ancora inattivo, e dimostrano altresì che le condizioni di una crisi nel normale svolgimento della produzione non potevano né dovevano sorgere in un momento come questo.
Ed allora si pone un quesito: come mai avviene che, pur con un potenziale produttivo ancora disponibile, non solo non è stato possibile dare sviluppo ulteriore al processo economico, ma è avvenuto addirittura il rovescio, si è rotto l’equilibrio che già si era stabilito? È chiaro che questa situazione non sorge per un fenomeno di squilibrio interno, ma dall’intervento di un fattore eccezionale, straordinario, che dall’esterno penetra nel processo economico e ne rompe il meccanismo che già si andava ricostruendo.
Qual è questo fattore? Rispondere a questa domanda vuol dire ricercare le cause essenziali della situazione nella quale ci troviamo.
Può darsi che a determinare la caduta dei consumi in Italia abbia influito – come mette in molta evidenza la stampa economica – quella specie di psicosi deflazionistica che la politica del credito ha creato in Italia; può darsi che vi abbia contribuito una certa restrizione dell’esportazione; ma se si va ad analizzare le cifre, bisogna obiettivamente riconoscere che l’influenza predominante l’ha senza dubbio esercitata la caduta delle vendite per l’impoverimento del mercato interno.
Ed allora, qual è la causa che ha determinato questa situazione? Io mi limiterò ad accennare ad alcune fattori che, nel corso del 1947 hanno operato in questo senso. Innanzi tutto bisogna tenere conto dell’inflazione, che ha depauperato in larga misura le masse popolari italiane. Da un calcolo approssimativo, ma non troppo lontano della realtà, si è potuto stabilire che, nel corso di due anni ed anche meno, l’inflazione ha imposto alle masse popolari un risparmio forzato che si aggira intorno ai 500 miliardi.
Abbiamo poi un secondo fattore: l’inasprimento delle imposte sui consumi che nel 1947 hanno ulteriormente ridotto la capacità di acquisto del mercato.
Abbiamo in terzo luogo quell’imposta straordinaria proporzionale che ha colpito con particolare violenza una larga massa di piccoli produttori che, in Italia, si aggira intorno al milione e mezzo. Tutte queste categorie sono state colpite da un provvedimento, il quale non rappresenta soltanto una iniquità fiscale; ma sopratutto un errore economico, da noi denunciato prima che entrasse in applicazione. Noi abbiamo indicato questo errore ed abbiamo reso noti dati precisi. Ma non si è voluto ascoltare la nostra voce e si è applicato questo nuovo tributo, che ha determinato un’ulteriore riduzione della capacità di consumo del mercato interno.
A questo proposito vi voglio dare una sola indicazione: vi è in Italia una massa grande di piccoli contadini i quali non hanno ritirato nemmeno la quota di concimi assegnata loro a pressi di blocco, perché privi di mezzi necessari per acquistarli. La conseguenza è che, mentre i magazzini sono rigurgitanti di concimi, la nostra agricoltura non utilizza questi fertilizzanti. Se si osserva che l’agricoltura, a causa della guerra e per la cultura di rapina che si fa durante una guerra, si è impoverita del 25%, per cui sarebbe necessario oggi un uso particolarmente intenso di fertilizzanti, è facile comprendere quale danno provochi il loro mancato impiego per lo scarso potere d’acquisto dei nostri contadini. E si badi che tutto ciò, oltre tutto, determina la necessità, per questo rado di industria, di ridurre la produzione.
In quarto luogo, abbiamo avuto nel corso del 1947 una delle manovre borsistiche forse più gravi che ricordi la storia finanziaria del nostro paese; l’ondata al ribasso nel primo semestre, seguita dall’ondata al rialzo nel secondo semestre.
Durante i primi otto mesi di governo democristiano i titoli industriali hanno perduto per 800 milioni di valore: il che significa che si è compiuto un vero e proprio saccheggio del piccolo e medio risparmio, che si era indirizzato fiducioso verso le industrie. E va da sé che un simile saccheggio è andato a beneficio di pochi e potenti gruppi finanziari. Non c’è naturalmente bisogno di aggiungere che anche questo contribuito a contrarre il mercato interno del paese.
Aggiungiamo, infine, a questi fattori, l’evasione di capitali che, negli ultimi due anni, secondo una valutazione molto vicina alla realtà, si è aggiunta intorno ai 500 miliardi: 120 in Isvizzera, oltre 300 negli Stati Uniti e nell’America Latina e più di 36 miliardi verso il Vaticano. È facile comprendere come questi capitali, sottratti alla ricostruzione del paese, importino anche un minore sviluppo della capacità di consumo del mercato italiano.
Si tenga ora presente che infrazione, inasprimento fiscale, imposta proporzionale sul patrimonio, grande speculazione borsistica, evasione dei capitali sono fattori che hanno operato. Tutti, dal 1947. si può allora capire come, sotto una così enorme pressione, il mercato interno ad un certo momento abbia ceduto, le vendite si siano contratte e, per necessaria conseguenza, nonostante che in Italia si abbia un potenziale produttivo ancora disponibile, il ritmo della produzione sia venuto a cadere.
Tutto questo si collega alla politica del Governo; tutti questi fattori sono direttamente o indirettamente legati all’azione politica governativa.
Questo ci porta ad esaminare un un altro aspetto della situazione : quello della pubblica finanza. Mi limiterò a dirvi solo i dati più recenti: il bilancio dello Stato, in questo esercizio, avrà un deficit che arriverà ai 700 miliardi, i residui passivi, cioè i pagamenti che lo Stato avrebbe dovuto fare e che non ha soddisfatto, raggiungono gli 814 miliardi, mentre il debito di tesoreria a breve scadenza superai 450 miliardi, e la circolazione monetaria incomincia ad avvicinarsi agli 800 miliardi. Questi dati, se vengono messi in rapporto con quello che è oggi il reddito nazionale ci rivelano una situazione estremamente grave che non ha soluzione sul piano delle misure classiche della finanza tradizionale, tanto più che ufficialmente si dichiara di aver raggiunto il limite massimo delle entrate, e che non bisogna quindi fare affidamento su di un loro ulteriore incremento.


È naturale che, in queste condizioni, gli oratori ufficiali non parlino più di pareggio di bilancio, né di risanamento finanziario: tutto ciò appare oggi ai loro occhi una utopia. Ma la conclusione che noi dobbiamo trarre da questa documentazione è che, in realtà, la politica governativa ci ha portati, da una parte al limite di un crollo finanziario e dall’altra al limite di una crisi economica. Entro questi due termini, come in un circolo vizioso, si muove il governo, con iniziative ed atti contraddittori che non solo non riescono a trovare una via d’uscita, ma che aggravano ancor di piu la situazione. Invero, il Tesoro deve rastrellare il risparmio nazioanle, sottraendolo alle industrie, messe cosi in crisi, peggiorando la situazione economica. Ed ogni peggioramento della situazione economica si riflette di necessità in un peggioramento della situazione finanziaria. Dall’altra parte, se in qualsiasi modo viene a determinarsi una ripresa produttiva nel Paese, e quindi le condizioni per cui il risparmio defluisca verso l’industria, venendo meno alle esigenze del Tesoro, allora si corre il rischio del collasso finanziario. Chiunque, oggi , si pone il problema di una politica di ricostruzione e di risanamento economico e finanziario non può dimenticare questi termini del problema, che sono dati obiettivamente dalla situazione che si è creata. Ora noi Fronte Democratico Popolare, che poniamo la candidatura al governo ed alla direzione del Paese, dobbiamo porci questo problema e dobbiamo dire al popolo italiano come, secondo noi, si può e si deve uscire dalla situazione attuale senza sottoporre il popolo italiano a nuovi disastri ed a nuove rovinose conseguenze.
Ma giunti a questo punto, indicata quella che è stata ed è l’influenza deleteria della politica economica e finanziaria del governo, sorge naturale un quesito. Può ben darsi potrebbe infatti obiettare qualche nostro avversario che nel ’47 questo fattore negativo abbia operato con una particolare virulenza: ma è necessario esaminare tutta la politica economica governativa dalla liberazione in poi, dato che oggi si scontano le conseguenze di tutto quello che si è fatto in questi tre anni…

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