La Democrazia di Bonomi

La Democrazia

Articolo di Ivanoe Bonomi pubblicato nel 1899 su “Critica Sociale”

La via della reazione sarebbe fatale alle nostre istituzioni, appunto perché le porrebbe a servizio degli interessi di una esigua minoranza, e spingerebbe contro di esse le forze più vive e irresistibili della società moderna, cioè l’interesse delle classi più numerose e il sentimento degli uomini più colti». Così l’onorevole Giolitti nel suo discorso di Busca.
E lo stesso pensiero esprimeva testé lo Zanardelli e ritorna insistente in tutti i discorsi degli uomini più autorevoli della Sinistra. Si direbbe il Leit-motiv della Opposizione costituzionale, l’espressione di un sentimento e di un concetto maturati in quest’ultimo anno di reazione ininterrotta. Le istituzioni possono porsi al servizio di una casta ristretta e paurosa, che, più sente minacciato il suo dominio, più cammina a ritroso, oppure’ possono lasciare a quasi tutte le classi sociali l’adito aperto alla conquista del potere: nel primo caso si avviano alla catastrofe, nel secondo possono attendere, salde e sicure, le ignorate vicende dell’avvenire remoto. Tale il pensiero degli uomini di Sinistra, conforme in tutto alla realtà positiva della storia contemporanea.
Perché noi socialisti – a differenza di altre scuole politiche – non abbiamo mai considerate le forme istituzionali alla stregua di un concetto assoluto, astraendo dai caratteri peculiari di un paese e di un popolo. Per il nostro realismo le forme dello Stato si plasmano sopra la sua costituzione sociale, ond’è che, ad esempio, la repubblica francese di qualche anno addietro, colla sua piccola proprietà paurosa e con la febbre della revanche accesa nel sangue, doveva essere più militarista e più reazionaria della Inghilterra monarchica. Da ciò quella nostra antica indifferenza per le questioni di pura forma politica, indifferenza da cui ora ci si vuole far parere guariti in virtù di un pentimento miracoloso; mentre il nostro ravvedimento non dipende se non da un peggioramento… negli altri.
Infatti noi abbiamo visto in questi ultimi anni «le istituzioni porsi al servizio degli interessi di una esigua minoranza», per usare le parole del Giolitti; noi abbiamo esperimentata l’impossibilità di un elevamento pacifico e continuo di tutte le classi sociali verso il potere; per queste lezioni di cose, e non per altro, ci siamo trovati accanto ai discepoli di Mazzini e di Cattaneo, senza che a questa confluenza spontanea le due correnti siano arrivate uscendo dal loro alveo naturale. Il che, mi sembra, dovrebbe temperare certa precipitazione pericolosa di giudizi su chi non è ancora giunto al punto di confluenza, ma è in marcia per arrivarvi.
Ma, tornando alla Sinistra, vediamo se, per avventura, non possa avere anch’essa qualche parte in questo nuovo orientamento dei partiti popolari in Italia. Anzitutto è notevole che, per la prima volta, da uomini di Governo e che aspirano al Governo si sia affermata la possibilità di un conflitto fra i bisogni del paese e le istituzioni. Il conflitto è subordinato – nel pensiero degli uomini della Sinistra – al perdurare della reazione, e per ora non pare, né al Giolitti, né allo Zanardelli, prossimo ed indeprecabile. Ma già è segno eloquente dei tempi e delle cose l’avere essi affermato che, la reazione perdurando, questo conflitto si disegnerebbe, non più fra il paese e un Ministero, ma Ira il paese e le istituzioni.
Senonché, mentre essi vedono netto il pericolo, si illudono intorno a1la possibilità del rimedio. Di tutti i loro discorsi recenti, nessuno varcò oltre questo concetto: che le istituzioni, avvertite dagli stessi loro devoti, abbandoneranno, per istinto di conservazione, la rotta disastrosa. Il monito sarebbe anche il rimedio, così come il dolore è la sentinella della vita.
Ingenua speranza! Giammai il consiglio illuminato salvò uomini e cose dalla rovina a cui traevali la tirannide di occulti interessi. Giacomo Necker, in una memoria indirizzata al re sulle amministrazioni provinciali, scriveva: «Le imposte sono al colmo e gli spiriti sono più
che. mai rivolti alle materie di amministrazione; per modo che, mentre la molteplicità delle imposte rende l’amministrazione infinitamente difficile, il pubblico, per l’indirizzo degli spiriti, ha gli occhi aperti su tutti gli inconvenienti e su tutti gli abusi. Ne. risulta una critica inquieta e confusa, che dà alimento continuo al desiderio dei Parlamenti di ingerirsi nell’amministrazione. Bisogna dunque, o levare loro questo alimento, o prepararsi a lotte ripetute che turbe ranno la tranquillità del regno di V.M., e condur ranno via via o a una degradazione dell’autorità o a partiti estremi, dei quali non si possono misurare le conseguenze.» Il quale ultimo scongiuro non tolse che Luigi XV[ licenziasse il Necker e seguitasse a far peggio.
Gli è che quando uno stato si appoggia ad una esigua minoranza, così che gli interessi suoi· si allacciano e si confondono con gli interessi di questa, difficilmente esso ascolta la voce di quelli che gridano al pericolo ed avvertono la ribellione che fermenta nelle classi escluse dal potere. Allora anche i Giolitti, a quelli che dominano, appaiono rivoluzionari pericolosi, il cui consiglio si tramuta ai loro occhi, suggestionati dalla paura, in irriverente minaccia. Quando io sostenevo in questa stessa Rivista la sterilità irrimediabile della Sinistra come partito riformatore di Governo, mi era presente il fatto fondamentale. della nostra vita italiana, cioè il predominio incontrastato di una minoranza parassitaria, inerpicatasi al potete attraverso le vicende della rivoluzione nazionale e man tenutavisi fin qui con l’esclusione quasi intera fii tutte le altre classi e di tutti gli altri partiti, In tale condizione di cose – affermavo e riaffermo – con tre quarti della Camera per lo status quo, con tutta la rete degli interessi loschi e delle clientele parassitaìe, o gli uomini di Sinistra si acconciano a ridivenir prigionieri della maggioranza parlamentare e quindi impotenti ad ogni riforma radi cale, o devono contentarsi dello sterile mestiere di importune Cassandre.
Vi sarebbe una terza via: indir guerra, sul serio, alla minoranza che detiene il potere. Per questo, organizzare le forze disperse, germinanti qua e là in tutta Italia, farsi interpreti della ribellione che matura nelle classi operaie e nelle classi intellettuali, aiutare, incoraggiare, sospingere ogni movimento politico che tenda ad uscire dall’indistinto di un malcontento vago ed inquieto per assumere una veste qualsiasi, sia pure repubblicana o socia lista, ridestare nel popolo la coscienza dei suoi diritti e conquistargli i mezzi di esprimere la sua volontà. Or sin qui non arriva la democrazia di Sinistra.[1]Non è, a dir vero, che le manchino gli stimoli. E le vengono non soltanto dalla parte nostra. Ancora teste, Andrea Cantalupi, in uno dei suoi forti e nitidi articoli, il cui assieme è una vera … Continue reading
Il fare appello al paese, perché dal suo seno escano le forze .necessarie a rovesciare l’oligarchia prepotente che impedisce ogni riforma – se non vuoI essere una invocazione lirica, un’«Italia mia!» petrarchesco – presuppone una lotta per la libertà, nella quale si avrebbe di fronte il potere esecutivo, ormai deciso alla reazione. Ed è qui che la Sinistra si arresta, assalita dagli. scrupoli e dalle paure. L’ostruzionismo alla Camera le pare troppo audace e troppo rivoluzionario, il contatto coi partiti estremi le parrebbe solo possibile (l’ha detto ben chiaramente la Stampa) quando essi rinunciassero alla loro fisonomia e si purgassero delle eresie repubblicane: insomma il suo bigottismo dinastico supera ed oscura il suo liberalismo dottrinario.
Ma un partito non può vivere a lungo così.
Sprecati invano i suoi oroscopi ammonitori, di fronte al seguito sempre maggiore che i partiti estremi troveranno nel paese, la Sinistra dovrà rinnovarsi. Essa dovrà cercare il contatto delle masse popolari, porsi a difesa di tutti i partiti perseguitati, quale che sia il loro colore, dichiararsi solidale con ogni resistenza dei partiti estremi a difesa della legge e dello Statuto, cercare insomma nel consenso della pubblica opinione quella designazione al potere che ora attende dall’effetto molto dubbio delle sue sconsolate profezie. Credo che questo nuovo atteggiamento dovrà essere assunto più presto che non si creda, e alcuni recenti discorsi di uomini di Sinistra avvalorano il presagio.
Ma allora che cosa rimarrà dell’antica Sinistra, monarchica prima, liberale dopo? Certo più nulla di quel che era la sua fisonomia caratteristica, la sua funzione specifica. Gli avanzi della vecchia Sinistra andranno ad ingrossare il mani polo radicale, formando un grosso partito democratico, pronto ad assumere il Governo quando i partiti estremi, coll’acquiescenza aperta e palese di esso, avranno sbarazzata la via dalle ultime resistenze della reazione.
* * *
D i questo partito radicale di Governo, destinato, a mio avviso, a trovare largo seguito in Italia, l’on. Sacchi tracciò con acume e chiarezza singolari le linee fondamentali nel suo notevolissimo discorso di Bologna. Socialisti e repubblicani lo attaccarono per l’affermata legittimità delle istituzioni plebiscitarie; vi fu perfino chi minacciò la esclusione del gruppo radicale dall’alleanza stretta seco, dimenticando che il Sacchi già aveva detto il 10 marzo alla Camera, che «nelle attuali istituzioni, sinceramente applicate, è possibile ogni più ardita riforma», né la schietta affermazione impedì di li a poco l’accordo, acquiescenti quegli stessi che oggi vanno gridando allo scandalo.
Nelle alleanze di partiti non è mai da pretendere che gli alleati si snaturino o si camuffino per quel che non sono: si prestassero a farlo, l’alleanza medesima perderebbe saldezza e vigore, perché un partito, che ad opportunità elettorale sacrifica la propria individualità, è già indebolito e dimezzato. O coi radicali quali sono, o niente alleanza. Vediamo piuttosto se han tanto di comune con noi, che renda l’alleanza possibile.
Per questo esame, non inutile, data la grande confusione dei giudizi, vuolsi aver l’occhio alla vita politica del Nord d’Italia, perché ivi soltanto è sorto e si propaga con invadenza meravigliosa quel partito radicale, che è frutto di una vita economica, più intensa e più varia. L’importanza e la natura di questo partito non si comprendono infatti, se non dove le attività economiche, risvegliate da molti anni, hanno una chiara coscienza dei bisogni e dei rimedi, dove quindi le questìonì economiche ed amministrative hanno il, sopravvento sulle questioni puramente politiche. E certo per questo che nell’Italia centrale e meridionale la funzione del partito radicale è più falsamente apprezzata.
Non esporrò qui il programma del gruppo radi cale: esso è pressoché identico a quello dell’on. Giolitti, quando gli si aggiunga qualche più recisa affermazione intorno alle spese militari. Quello che preme esaminare, e che costituisce il carattere differenziale dei radicali, è il loro modo di conce pire lo sviluppo della vita italiana e le forze che vi. esercitano la loro attività varia e molteplice.
Per l’on. Sacchi e pei radicali in genere, non è da, fare questione sulla legittimità delle istituzioni. «È necessario riconoscere la legittimità delle ìstituzioni che l’Italia, si è data in liberi plebisciti, nell’esercizio della sovranità popolare». Ossia, se vi sarà conflitto fra il popolo e le istituzioni, sarà determinato dalla inadattabilità delle istituzioni ad accogliere le aspirazioni popolari, non da una illegittimità dimostrata a priori in nome di un di ritto astratto e razionale.
Concetto pienamente conforme alla nostra dottrina, la quale può così : consentirci di essere repubblicani oggi, ,pure riconoscendo la legittimità giuridica delle istituzioni proclamate in addietro. Se questa legittimità giuridica poi sia da impugnare per vizio di forma, lasciamo volentieri alle indagini dell’on, Mirabelli che si diletta molto di cosiffatte questioni.
Ma i radicali, ponendo in seconda linea la questione delle forme politiche, ed escludendo che esse abbiano una influenza principalissima nella reazione odierna, riversano la responsabilità delle condizioni attuali sopra la maggioranza parlamentare e quindi sopra il paese che la elegge. L’on. Sacchi, a Bologna, mise in chiara luce come in Italia, a differenza dalla Francia di Carlo X, non sia la Corona che lotta contro il Parlamento, ma sia invece il Parlamento, o meglio la sua maggioranza, che adopera la Corona nella propria lotta contro le correnti democratiche del paese. Se quindi la istituzioni hanno potuto far causa comune con una pìccola casta parassitaria, la colpa risale alla indifferenza del paese, il quale non ha ancora sperimentata l’utilità della lotta politica: verità questa che non può porsi in dubbio, e va solo temperata nel senso che, non solo a colpa degli antichi partiti democratici, ma altresì ad altre cause molteplici e imprescindibili deve ascriversi la. facile vittoria di una casta organizzata sopra l’informe massa di tutte le altre.
Di qui il compìto che si propongono i radicali.
Poiché la reazione deriva in ispecial modo dalla volontà della maggioranza parlamentare e poiché questa maggioranza è eletta dal paese, bisogna diffondere nel paese una maggiore educazione politica, una maggiore coscienza dei suoi bisogni, una maggiore sensibilità dei suoi dolori e sopratutto una maggiore fiducia nel regime rappresentativo.
È questa appunto l’opera che può essere comune con noi, perché in quest’ora nessun’altra opera è più importante anche pei partiti estremi, di quella di .risvegliare il paese dalla atonia e dalla insensibilità e di educarlo a, sentire i grandi problemi della vita moderna. E in quest’azione, perfetta mente identica pei socialisti, pei repubblicani, pei radicali, che sta la ragione delle nostre recenti alleanze: nessun altro carattere di somiglianza potrebbe giustificarle.
Perché, all’infuori di questo punto di contatto, bastevole però a tutta quanta una lunga azione di apostolato e di lotta, ogni partito riprende la fisonomia propria e compie la sua funzione specifica. La quale funzione, per i partiti socialista e repubblicano, mi pare debba essere questa: dimostrare l’aiuto che il potere esecutivo presta alla maggioranza parlamentare nella sua resistenza alle correnti democratiche e radicali.
A ciò può giovare appunto il carattere non apertamente rivoluzionario del partito radicale.
Infatti ogni volta che la propaganda dei radicali viene repressa, ogni volta che il potere esecutivo interviene ad impedire che i propositi di riforme democratiche trovino un seguito non soltanto platonico nel paese, i partiti sovversivi potranno cavarne argomento a dimostrare come non sia sol tanto la loro speciale propaganda quella che si reprime, ma sia anche e a maggior ragione ogni tentativo di schiudere lo Stato ai partiti giovani e nuovi. Ossia il carattere oligarchico dello Stato italiano apparirà in tutta la sua tristissima luce.
Il conflitto fra le istituzioni ed i bisogni del paese, quel conflitto che non .appare quando si formula un programma di riforme economiche, scoppierà inconciliabile sul terreno delle libertà pubbliche. I radicali, dopo esser diventati forti nel paese, dopo essersi atteggiati a uomini di Governo, si troveranno certo impediti nella loro marcia dagli alti poteri dello Stato, sospinti e consigliati dal l’istinto di conservazione e di difesa della casta a cui sono legati.
E allora la attuale propaganda socia lista e repubblicana sarà vicina a cogliere i suoi frutti.
La discontinuità storica, necessaria ai radi cali per attuare il loro programma, apparirà una necessità ineluttabile anche a tutti coloro, che prima si fermavano soltanto al desiderio delle riforme. Così quella gran massa di borghesia grossa e minuta senza la quale nessun mutamento politico è possibile, si troverà un bel giorno contro la occulta impalcatura dello stato, condottavi inconsciamente da bisogni economici imperiosi e improrogabili. Questa massa poderosa, che non avrebbero potuto smuovere né repubblicani, né socialisti, potrà. essere solo sospinta dal partito radicale, entro a cui, come dicevo prima, occorrerà si fondano anche gli elementi vitali dell’antica Sinistra.
* * *
Quanto sopra spiacerà certo a quanti concepiscono i mutamenti politici come semplici vittorie di un partito, preparato di lunga mano all’evento desiderato e affrettato. Per costoro la preoccupazione di avere con sé tutta la borghesia produttrice ed intellettuale parrà una diminuzione, quasi una profanazione, di quell’ideale che attendono condotto a realtà dalle sole energie rivoluzionarie. Come pensare ad un Governo di gente timorata, se il popolo nella sua vittoria deve fare giustizia di tutte le viltà, di tutte le abili transazioni? E non troverà esso stesso, nel suo seno, gli uomini, oggi oscuri, ma domani del tutto degni del supremo potere al quale saranno chiamati?
Purtroppo nei mutamenti politici questo bel sogno di purificazione, questa salutare bufera che deve abbattere e rimuovere tutti gli uomini e tutte le cose, è un’utopia. L’elemento umano non obbedisce, come le cifre, alla sapiente volontà del matematico: un popolo non è un’equazione. Si è tentato trasformare violentemente la Francia dell’89, ed essa si è trovata monarchica dopo pochi anni di vita rivoluzionaria. Molto più tardi, dopo il 1870, la Francia si trovò repubblicana, ma coi monarchici nelle sue assemblee, ma coi monarchie al Governo. Dopo la caduta di Thiers, Enrico V sarebbe entrato a Parigi, se la questione della bandiera bianca non avesse diviso i suoi fede li nel supremo momento, e più tardi, sotto la presidenza di Mac Mahon, la maggioranza monarchica continuò il suo dominio. Gli è che non ancora la borghesia francese si era affezionata alle nuove istituzioni, non ancora essa aveva compiuta la propria rivoluzione psicologica. Solo da pochi anni essa ha mostrato dì saper resistere alle lusinghe monarchiche, e di voler di schiudere lo Stato a tutte le classi sociali: solo oggi la repubblica è democratica.
Se quindi occorre preoccuparci fin da ora perché la parte più moderna e più colta della borghesia cooperi in Italia al mutamento che si prepara, non è tanto per la maggiore probabilità che il muta mento si compia, quanto e più perché, una volta compiuto, esso sia duraturo.
Preparare nelle file della borghesia il Governo nuovo, assicurarsi che il suo programma sia per essere schiettamente democratico, è impedire alla Vandea di risorgere sotto altra forma e di riafferrare il potere.
I partiti estremi non devono perciò pretendere dalla borghesia, che li segue, atteggiamenti e nomi apertamente rivoluzionari, ma devono soltanto assicurarsi che essa cammini fin là dove bisogna giungere, e sappia, appena giunta, assumere la responsabilità del potere. Ad ogni partito l’opera propria: a noi, avanguardie estreme, l’attacco impetuoso ed audace, al nuovo partito radicale-democratico, che va sorgendo in Italia, la funzione del l’esercito che si avanza lento ed occupa e munisce le posizioni conquistate.
IVANOE BONOMI

/ 5
Grazie per aver votato!

References

References
1 Non è, a dir vero, che le manchino gli stimoli. E le vengono non soltanto dalla parte nostra. Ancora teste, Andrea Cantalupi, in uno dei suoi forti e nitidi articoli, il cui assieme è una vera campagna pel conseguimento di un Governo intelligentemente, e non pagliaccescamente, conservatore (Mattino di Napoli, 11 novembre), additava appunto alla nostra Opposizione costituzionale l’esempio delle Opposizioni non meno costituzionalmente ortodosse del l’Austria e dell’Ungheria, che non temettero di unirsi, nel più risoluto ostruzionismo, la prima con pangermanisti come Schoener e Wolf e con socialisti come il Dazinsky per far rigettare l’ordinanza sulle lingue, la seconda coi Kossuthiani per punire il Ministero Banffy delle sue violenze elettorali, in ambo i casi l’Imperatore intervenne per dar ragione alle minoranze ostruzioniste: ma quello è un monarca per sola «grazia di Dio»!
Il Cantalupi prosegue: «La conclusione è questa: anche la no stra Opposizione costituzionale non dovrebbe limitarsi a fare, circa il decreto, la semplice questione di forma; essa dovrebbe affrontare energicamente la stessa questione di sostanza della incostituzionalità dei provvedimenti, non solo per ciò che furono emanati d’arbitrio del potere esecutivo, ma perché contravvengono a disposizioni essenziali, e non modificabili in senso restrittìvo, della legge superiore dello Stato. Ora, affrontare energica – mente la questione di sostanza non vuol dire certo limitarsi a sfoghi di oratoria e a negazioni sonore di appelli nominali; vuol dire anche non temer di adoperare armi più efficaci; vuol dire non arretrarsi anche davanti alla necessità dell’ostruzionismo. È soltanto così che una Opposizione, la quale miri davvero a rag giungere il suo intento, può dire d’aver fatto quanto era in poter suo per non allontanarsene. A difesa del diritto in parte attaccato, in parte minacciato, le Opposizioni costituzionali nostre dovrebbero essere da meno di ciò che furono le loro consorelle a Vienna e a Budapest?».
Lo Stato reagirà sconfinando sempre più dalla Costituzione? ponendosi più apertamente contro la legge? .Ma è appunto sforzandolo a questo che l’Opposizione austriaca ha finito per vincere. L’ostruzionismo è l’arme più efficace di persuasione con cui la ragione dei meno può combattere la violenza dei più; esse sta all’estremo limite della legalità, ma è ancora nella legalità; e in dati momenti politici e la salvezza dello Stato; di gran lunga preferibile alle congiure e rivolte di corridoio, dove grosse minoranze, ugualmente eterogenee, tentano il colpo di abbattere, con ardimenti estranei, i ministri che non hanno saputo abbattere colla discussione e col voto.

Be First to Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *