La liquidazione sottocosto del PSI di P. Nenni

La liquidazione sottocosto del PSI di P. Nenni, articolo apparso sull'”Avanti!” nel 1923

Categoria: Socialisti

Nessun compito mi fu mai più penoso di quello che mi comanda oggi un senso elementare di dovere verso il partito, verso gli ottimi compagni che mi sollecitano a uscire dal riserbo, verso me stesso. Se alcuni mesi fa – vorrei dire alcune settimane fa – mi si fosse detto che col mio direttore mi sarei trovato in contrasto nel valutare la direzione che conveniva imprimere al nostro movimento, avrei risposto con una scrollata di spalle. Quello che però non mi pareva prevedibile, oggi è un fatto e di fronte ai fatti non resta che inchinarsi e prendere posizione.
Io penso che se la nostra delegazione a Mosca, la Direzione del partito che ne ha convalidato l’operato, avessero ricevuto l’incarico di procedere alla liquidazione sotto-costo del partito socialista, senza alcun beneficio né per l’Internazionale, né per il proletariato, non si sarebbero comportate diversamente.
Si dice: la deliberazione di Roma comportava come conseguenza logica la fusione dei due partiti. È esatto, per quanto con le dichiarazioni che si affrettarono a fare sull’Avanti!, subito dopo il Congresso, i compagni Maffi, Ridolfi e Serrati, si faceva il possibile per disperdere questa impressione. In un commento dell’Avanti! Alle deliberazioni congressuali esplicitamente si affermava: “Questa della fusione col Partito comunista, dettata da Mosca, accettata incondizionatamente da noi, è una delle solite frottole che si fanno correre a scopi borghesi, collaborazionisti.”
Si aggiunge: con la costituzione in Italia di un Partito socialdemocratico e l’esistenza di un Partito comunista, la funzione di un Partito di centro è quanto mai difficile e sterile. Può darsi che sia vero. La fine ingloriosa del Partito indipendente tedesco, che aveva suscitato tante speranze, non costituisce un precedente molto incoraggiante.
Ma l’una e l’altra affermazione non hanno un valore assoluto. Evidentemente due Sezioni alla terza Internazionale non potrebbero essere tollerate; evidentemente un Partito di centro che non fosse appoggiato ad una salda dottrina e ad una tradizione di un prestigio indiscusso, avrebbe difficoltà gravissime da superare; evidentemente è nell’interesse della classe lavoratrice e del proletariato rivoluzionario, che si costituisca una larga concentrazione di forze a sinistra. Ma giunti a queste conclusioni una folla di problemi si affaccia: attorno a chi questa concentrazione si deve fare? Sotto quale bandiera? Sotto quale divisa? Trascuro questi problemi, per venire alla sostanza della discussione: con le deliberazioni di Mosca la concentrazione a sinistra è facilitata o non è aggravata, la fusione è avviata ad una logica soluzione o è una resa pensosa e difficile?
Per me non c’è dubbio, che la tattica scelta da Mosca è sbagliata. La fusione di due Partiti non può essere imposta dall’alto, essa deve maturarsi dal basso. Non può essere improvvisata, ma lentamente preparata. Era l’opinione questa della intera delegazione nostra a Mosca a nome della quale due mesi fa il compagno Serrati scriveva da Riga: “Il deliberato del Congresso di Roma circa la nostra adesione alla III Internazionale è tassativo; ma le modalità dell’adesione restano tuttavia da stabilirsi. Dalla scissura di Livorno un grande fossato si è aperto tra i comunisti e noi, fatto più aspro e diruto per le polemiche sempre violente, troppo spesso scioccamente personali. In talune località la violenza comunista è giunta a tanto che ogni rapporto anche cogli elementi più radicali del nostro Partito fu completamente rotto. Pensare a colmare d’un tratto questo profondo fossato è pensare l’impossibile: forse coloro che propugnassero ed accettassero una immediata fusione potrebbero essere accusati di poca sincerità.
Se il deliberato di Roma è venuto dopo assai lunga preparazione, portata a maturazione più dai fatti che dalle stesse nostre volontà, un secondo deliberato, che stabilisce la fusione social-comunista, sarebbe una improvvisazione, un artificio. Ciò è nella mente e nella convinzione di tutti noi.
Noi vogliano trovare – in piena libertà e con grande coscienza – tutti gli elementi naturali e spontanei che rendano possibile ed affrettino la fusione in un solo organismo di tutte le forze rivoluzionarie; noi non intendiamo creare nulla di artificiale e di affrettato. Pensiamo anzi che quanto più l’avvenimento sarà spontaneo, tanto maggiormente sarà vitale.
Su questo punto l’accordo è completo.”
ebbene, è contro l’improvvisazione, è contro l’artificio, che bisogna schierarsi. Si sono mai visti due Partiti passare improvvisamente da una fase di aspre polemiche teoretiche, oltre che tattiche, alla fusione? Si sono mai visti fondersi di improvviso due Partiti, le cui maggioranze sono contrarie alla fusione? Che risultati una simile fusione potrebbe avere? Quale coesione esisterebbe nel nuovo partito unificato? l’Internazionale non ne avrebbe giovamento, perché nell’atto stesso in cui la fusione, decisa dall’alto, si avrebbe, la pare forse migliore dei due Partiti si disperderebbe; non ne avrebbe vantaggio il proletariato, perché un equivoco sarebbe alla base del nuovo Partito. I comunisti italiani che si sono pronunciati contrari alla immediata fusione devono avere avuto come noi sotto gli occhi l’esempio di quel che è stato, di quello che è e continuerà ad essere, il Partito comunista francese, aggregato di tendenze diverse, sempre o quasi sempre d’accordo quando si tratta di votare delle tesi, ma impegnate in un aspro “combattimento nella notte”, ogni qual volta bisogna procedere alla elezione delle cariche direttive. Il Partito comunista francese, dal Congresso di Tours a quello ultimo di Parigi, per tre anni non ha fatto che esaurire ogni sua attività nella lotta intestina delle tendenze, ed ha proceduto fra espulsioni e beghe che hanno ridotto ad una misera cosa la sua influenza fra le masse. Nella migliore delle ipotesi questa sarebbe la sorte del Partito comunista unificato d’Italia.
La delegazione italiana a Mosca aveva un altro mandato. Non si liquida un Partito come un fondaco di mercante. Non si decide la fusione, senza che i due Partiti alla prova dei fatti, nel duro combattimento, abbiamo via via superato il ricordo delle antiche divisioni e dei superati dissensi, senza che fra le masse dell’uno e dell’altro Partito sia intervento quel cordiale affiatamento dal quale soltanto la fusione poteva derivare. Non basta nemmeno avere stabilito fra due Pariti uno stesso programma, è la forza mentis che in definitiva determina la convergenza su una medesima linea di battaglia.
Le condizioni di Mosca – (condizioni votate da un Congresso, quindi modificabili soltanto da un altro Congresso, non progetto dell’Esecutivo, come si vuole far credere) – non hanno tenuto conto di queste elementari considerazioni. Non si è pensato a Mosca che se il problema fosse stato così semplice da ridursi alla liquidazione del Partito socialista ed al passaggio dei suoi aderenti al Partito comunista, ognuno lo avrebbe da tempo individualmente risolto senza incomodare un Congresso mondiale.
Allo stato delle cose che si può fare? La Direzione ha sostanzialmente ratificato i 14 punti di Mosca ed autorizzando il Comitato dei sette a funzionare, di fatto ha già subordinato il Partito ad una superiore giurisdizione. Non poteva farlo. Non doveva farlo. Non si giochi per carità a chi + più furbo. La posta è troppo grossa. Il Partito deve essere interrogato subito, nel solo punto che interessa: la fusione immediata. Due o tre settimane al massimo sono sufficienti a questa consultazione che si può fare, com’era nei propositi del segretario del Partito, a mezzo di “referendum”. Lasciare il Partito nello stato di marasma in cui è piombato in queste ultime settimane, vuol dire assassinarlo. Se la direzione non va incontro a questa legittima volontà della grande maggioranza del Partito, essa si pone fuori delle delibere congressuali, essa si ribella al Partito, non il Partito alla necessaria disciplina, se si troverà costretto a prendere iniziative che spetterebbero alla Direzione.
Gli ultimi avvenimento hanno dimostrato che il Partito vuole e sa vivere, che esso è sinceramente con le tesi dell’Internazionale, che le sente, ne intuisce il valore storico. Esso potrà anche compiere il sacrificio dolorosissimo della sua organizzazione, ma questo quando la fusione si sarà spontaneamente operata nella linea del difficile combattimento, dove i buoni socialisti ed i buoni comunisti con lealtà, con reciproco rispetto potranno stringersi la mano e suggellare un’alleanza che tronchi netto con un nefasto passato di intestine polemiche. Una bandiera non si getta in un canto come cosa inutile. Si può anche ammainare, ma con onore, con dignità, per un processo spontaneo di sentimenti.
Pietro Nenni

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