Legge sulla stampa del 1847 dei Domini Pontifici

Disposizioni sulla revisione delle opere da pubblicarsi colla stampa 15 marzo 1847

Categoria: Domini Pontifici

EDITTO
Pasquale del titolo di S. Pudenziana della S.R.C. prete Cardinale Gizzi della Santità di Nostro Signore Papa Pio IX. segretario di Stato.
La stampa, siccome quella tra le moderne invenzioni che doveva di tanto ampliare la potenza della parola e moltiplicare i beni e i mali, le verità e gli errori, fu fin dai primi suoi principii argomento ai sommi pontefici di gravissime sollecitudini, sì per favorirne gli utili incrementi, e sì per toglierne i pericoli. Di che sono illustri monumenti le tipografie venute a grandissima celebrità in Roma sotto la protezione del pontefici, e fuori per quella dei vescovi; e le leggi con cui si vennero frenando gli abusi di quest’arte nobilissima, affinché mentre volevansi per essa giovare ed arricchire gl’ingegni, non si corrompesse la fede né si guastassero i costumi de popoli.
La forma però di queste leggi ebbe di mano in mano a mutarsi, secondo che crescendo il numero degli autori e il lavoro dei tipografi, riusciva troppo lenta o imperfetta la revisione per opera di quei soli censori a cui era stata dapprincipio raccomandata. Quindi fu provvido consiglio della santa memoria di Leone XII. il rendere la censura più spedita e più sicura, mediante l’editto pubblicato dall’eminentissimo cardinal suo vicario il 18 agosto 1825; il quale è mente della Santità di Nostro Signore felicemente regnante che rimanga in vigore per quanto si appartiene alla censura scientifica, morale, e religiosa.
Ma per quanto è della censura politica, disponeva l’editto medesimo nel §. 8 del titolo I, che dove le scritture da mettersi a stampa po tessero dar cagione di lamento agli esteri governi, o suscitare nello Stato pericolose controversie, si avesse a chiedere dalla segreteria di Stato la facoltà di pubblicarle. Ora in tanta copia di produzioni, a cui dà occasione la qualità dei tempi, e in cui direttamente o indirettamente, in tutto o in parte, si viene a parlare di cose che alla politica si riferisco no, è divenuto impossibile che la segreteria di Stato soddisfaccia a tutte le richieste con la prontezza dagli autori desiderata. Volendo adunque la Santità Sua che non per questo si scemasse la onesta libertà dello stampare, né per altra parte si lasciasse degenerare in dannosa licenza, inteso il parere delle competenti autorità, ci ha ordinato di costituire così in Roma come nelle provincie un consiglio di censura, al quale i revisori ecclesiastici ordinarii dovranno d’ora in poi rimandare tutte le scritture di politico argomento, dopo di averle esaminate essi stessi per conoscere se alcuna cosa vi si contenga contraria alla religione, alla sana morale, ed alle leggi della Chiesa.
In escuzione pertanto dei sovrani voleri e con sovrana approvazione abbiamo stabilito il seguente regolamento.

TITOLO I. Del Consiglio di Censura.

1. In Roma il consiglio di censura sarà presieduto dal padre maestro del sacro palazzo, e composto di non più che cinque membri, nominati dalla Santità Sua fra gli uomini cospicui per lettere.
2. Nei capi luoghi delle provincie il consiglio sarà composto di due censori, eletti parimenti da Sua Santità a proposta del capo della provincia il quale sosterrà le veci di presidente.
5. I consiglieri si rinnoveranno per metà ogni cinque anni. La prima volta a sorte.
Potranno però essere per sovrano beneplacito confermati.
4. I membri del consiglio ripartiranno fra loro i vari argomenti scientifici o politici di ciascun giornale o d’altra opera soggetta al loro giudizio, con l’ordine e il metodo che dal presidente sarà determinato. E dal voto di un consigliere, quando tocchi la sostanza delle scritture proposte ad esaminarsi, si potrà appellare all’intero consiglio: come pure sarà libero a ciascuno del consiglieri di pro porre all’intero consiglio quelle cose che non credesse di poter sicuramente giudicare da se solo.
5. Il consiglio di censura in Roma risolverà inappellabilmente con le norme spiegate qui appresso, e sotto la propria responsabilità verso il governo, le domande che gli saranno presentate.
6. Il voto dei censori delle provincie sarà sottoposto in caso di disparità al giudizio del preside, il quale sarà inappellabile quando si tratti di articoli di giornali o di opuscoli: ove poi si tratti di opere di maggiore importanza, il preside medesimo darà l’appello dal suo consiglio a quello di Roma.
7. Uno scritto disapprovato dal consiglio di Roma non potrà essere presentato ad alcuno dei consigli di provincia, e sarebbe nulla l’approvazione che si ottenesse in questo modo.

TITOLO II. Regole da seguirsi dal consiglio di censura.

1. Il consiglio di censura non potrà approvare un giornale o altra pubblicazione periodica nuova senza prima farne relazione alla direzione generale di polizia, la quale darà per iscritto le necessarie facoltà quando siano dichiarati gli argomenti del giornale, i nomi dei principali collaboratori, i modi di pubblicazione, i modi da sostenere l’impresa, e quando un editore responsabile assicuri con proporzionata cauzione l’adempi mento delle leggi sopra la stampa.
2. Sarà lecito di trattare ogni argo mento di scienze, lettere, ed arti; la storia contemporanea, e le materie appartenenti alla pubblica amministrazione, con le cautele qui appresso spiegate; e tutto ciò che giovi a pro muovere l’agricoltura, l’industria, il commercio, la navigazione, le imprese di opere pubbliche. Sarà lecito ancora di riprodurre gli atti di governo, quando siano già pubblicati nel giornale ufficiale, e d’inserire gli annunzi delle feste religiose, di pubblici spettacoli, della pubblicazione di opere a stampa, o altri annunzi (non però giudiziarii) conformandosi per altro esattamente al disposto dal regolamento sul bollo, e registro del 29 dicembre 1827 art. 219: per la esecuzione del qua le articolo, veglieranno le competenti autorità.
5. E vietato non solamente ogni cosa che torni in dispregio della religione, della Chiesa, delle sue dignità, e de’ suoi ministri;
ma tutto ancora che offenda l’onore de magistrati, della milizia, delle private famiglie e dei cittadini, dei governi e delle potenze estere, delle famiglie regnanti e dei loro pubblici rappresentanti.
4. E vietato parimenti ogni discorso per cui direttamente o indirettamente si rendano odiosi ai sudditi gli atti, le forme, gl’istituti del governo pontificio, o si alimentino le fazioni, o si eccitino popolari movimenti contro la legge.
5. E vietato di riprodurre a stampa i discorsi tenuti in adunanze non legalmente autorizzate.
6. Il consiglio sarà in obbligo d’informare il governo ogni volta che le stampe non riescano conformi ai manoscritti da esso approvati. Secondo queste relazioni del consiglio e sentite le difese degli accusati, si procederà dal ministero politico all’applicazione delle pene, o contro l’editore responsabile se si tratti di giornali autorizzati, o contro gli stampatori e distributori negli altri casi. Le quali pene consisteranno nella confisca degli esemplari, ed in una multa che potrà variare fra i dieci e i cento scudi;
aggiuntovi una temporanea sospensione della loro industria, se i rei sieno recidivi.
E ciò senza pregiudizio dell’azione cri minale e civile, che in forza delle vigenti leggi e secondo la natura della delinquenza le parti offese volessero esercitare contro i colpevoli avanti i tribunali competenti.


Dalla segreteria di Stato il 15 marzo 1847.
P. CARD. GIZZI

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