Lettera di Francesco II a Napoleone III sul ritiro della flotta

Lettera di Francesco II di Borbone all’Imperatore Napoleone III al momento della partenza della Flotta Francese da Gaeta.

Categoria: Risorgimento

MIO SIGNOR FRATELLO.
La Flotta di V. M. partirà fra pochi giorni e resterà cosi interrotta ogni comunicazione fra questa piazza e il resto della
terra. Mi permetta V. M. di giovarmi di questa ultima occasione per scriverle, e ringraziarla della premura che mi ha si nobilmente manifestata.
Io aveva promesso alla M. V. che quando avessi adottata una risoluzione definitiva, la mia prima cura, il mio primo dovere di riconoscente lealtà sarebbe stato di fargliela conoscere: mi faccio ora ad adempiere alla mia promessa.
Dopo la dichiarazione dell’Ammiraglio di Francia, ho lunga mente esitato, lo confesso, perciocchè da ogni lato io vedeva gravi inconvenienti, e le opinioni di coloro che ho creduto consultare erano divise in questa suprema alternativa. Se da una parte rimanendo qui, abbandonato dal mondo intero, io mi espongo a cadere nelle mani di un nemico sleale, a veder compromessa la mia libertà e forse anche la mia dignità, la mia vita; dall’altra parte ritirandomi io cederei una fortezza ancora intatta, avventurerei il mio onore militare, e per un eccesso di prudenza rinunzierei a tutte le eventualità, e a tutte le speranze dell’avvenire.
E come cedere, quando in tutte le Provincie del mio regno con sentimento spontaneo si insorge contro la dominazione del Piemonte ? come cedere, quando da tutte le parti mi si incoraggia alla resistenza; quando da tutti i punti d’Europa, uomini privati, e Governi mi animano a perseverare nella difesa della mia causa, che è in questo momento la causa dei Sovrani del diritto pubblico, dell’Indipendenza dei Popoli? Se le considerazioni politiche possono far sembrare temeraria la mia risoluzione, il cuore di V. M. che è grande e nobile saprà comprenderla ed approvarla.
Io sono stato vittima della mia inesperienza, dell’astuzia, dell’ingiustizia e dell’audacia di una Potenza ambiziosa; io ho perduto i miei Stati, ma non la fiducia nella protezione di Dio, e nella giustizia degli uomini. Il mio diritto è ora il solo mio patrimonio, ed è mestieri che per difenderlo io mi faccia seppellire se fa d’uopo, sotto le fumanti ruine di Gaeta.
Questa previsione dell’avvenire non mi ha fatto esitare un istante, ma il solo mio timore è stato di cader prigione, e vedere la dignità Reale avvilita nella mia Persona. Ma se quest’ultima prova ancora mi è serbata, se l’Europa permette ancora questo attentato, sia ben sicura la M. V. che io non proferirò un lamento, e saprò sopportare con rassegnazione e fermezza la mia sorte.
Ho fatto ogni forzo per persuadere S. M. la Regina a separarsi da me, ma sono stato vinto dalle tenere sue preghiere, e dalle generose sue risoluzioni. Ella vuol meco dividere sino alla fine la mia fortuna, consacrandosi a dirigere negli Ospedali le cure dei feriti e degli ammalati; da questa sera Gaeta conta nelle sue mura una suora di Carità di più.
Non sapendo se la M.V. riconoscerà il blocco, ed ignorando se i Piroscafi delle Messaggerie Imperiali potranno per l’avvenire recarmi notizie della M. V., mi sono affrettato a scriverle perché l’ultima nuova, che le arrivi dall’interno di questa piazza, Le apporti una testimonianza della profonda stima, della sincera riconoscenza, e della vera amicizia, colla quale ho l’onore
di essere, mio Signor Fratello di V. M.
Il buon Fratello
Firm. FRANCESCO.

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