Lettera di Mazzini a Carlo Alberto

Lettera aperta di Mazzini a Carlo Alberto

A CARLO ALBERTO DI SAVOIA

UN ITALIANO.

Se no, no!
Sire,
S’io vi credessi re volgare, d’anima inetta o tirannica non vi indirizzerei la parola dell’uomo libero. I re di tal tempra non lasciano al cittadino che la scelta fra l’armi e il silenzio. Ma voi, Sire, non siete tale. La natura, creandovi al trono, v’ha creato anche ad alti concetti ed a forti pensieri; e l’Italia sa che voi avete di regio più che la porpora. I re volgari infamano il trono su cui si assidono, e voi, Sire, per rapirlo all’infamia, per distruggere la nube di maledizioni, di che lo aggravano i secoli, per circondarlo d’amore, non avete forse bisogno che d’udire la verità: però, io ardisco dirvela, perché voi solo estimo degno di udirla, e perché nessuno tra quanti vi stanno attorno può dirvela intera. La verità non è linguaggio di cortigiano: non suona che sul labbro di chi né spera, né teme dalla potenza.
Voi non giugnete oscuro sul trono. E vi fu un momento in Italia, Sire, in cui gli schiavi guardarono in voi siccome in loro liberatore; un momento che il tempo v’era posto dinnanzi, e che afferrato, dovea fruttarvi la gloria di molti secoli. E vi fu un altro momento, in cui le madri maledissero al vostro nome, e le migliaia vi salutarono traditore, perché voi avevate divorata la speranza e seminato il terrore. Certo furono momenti solenni, e voi ne serberete ancora gran tempo la memoria. Noi abbiamo cercato sul vostro volto i lineamenti del tiranno; e non v’erano; né l’uomo che avea potuto formare un voto santo e sublime potea discendere a un tratto fino alla viltà della calcolata perfidia. Però abbiamo detto: nessuno fu traditore fuorché il destino. Il principe lo intravide da lunge, e non volle affidare all’ostinazione la somma delle speranze italiane. Forse anche, l’alto animo suo rifuggì dalla idea che la calunnia potesse sfrondare il serto più immaculato; e mormorare: il principe congiurò la libertà della patria per anticiparsi d’alcuni anni quel trono che nessuno potea rapirgli.
Così dicemmo: ora vedremo, se c’ingannammo: vedremo se il re manterrà le promesse del principe.
Intanto le moltitudini non s’addentran nell’intenzioni: afferrano l’apparenza delle cose, e insistono sulle prime credenze. Ora quel tempo è passato; ma le speranze, i rancori, i sospetti e le simpatie vivono tuttavia. Non v’è cuore in Italia, che non abbia battuto più rapido all’udirvi re. Non v’è occhio in Europa che non guardi a’ vostri primi passi nella carriera che vi si apre davanti.
Sire, è forza il dirlo: questa carriera è difficile. Voi salite sul trono in un’epoca, della quale non saprei scorger la più perigliosa pe’ troni negli annali del mondo.
Al di fuori l’Europa divisa in due campi. Dappertutto il diritto e la forza, il moto e l’inerzia, la libertà e il dispotismo a contrasto. Dappertutto gli elementi del vecchio mondo, e quei di un nuovo mondo serrati a battaglia ultima, disperata, tremenda. I popoli e i re han rinnegato i calcoli della prudenza; han gettata la spada nelle bilancie dell’umanità: han cacciata via la guaina. Quaranta anni addietro i re dominavano i popoli col solo terrore delle baionette, e i popoli non guerreggiavano i re se non coll’armi del pensiero e della parola. Ora siamo a’ tempi ne’ quali la parola s’è fatta potenza, il pensiero e l’azione son uno, e le baionette non valgono, se non son tinte di sangue. Da entrambe le parti è forza e immutabilità di proposito; ma i re combattono per conservare le usurpazioni puntellate dagli anni, i popoli combattono per rivendicare i diritti voluti dalla natura. Per gli uni stanno l’arti politiche, le abitudini, la ferocia, e, per ora, gli eserciti. Per gli altri l’entusiasmo, la coscienza, una costanza a tutta prova, la potenza delle memorie, dieci secoli di tormenti e la santità del martirio. I gabinetti diffidano l’uno dell’altro, i popoli si affidano ciecamente, perché i primi vincola l’interesse, i secondi affratella la simpatia. Al fondo del quadro una guerra inevitabile, perché tutti gli altri modi di controversia sono oggimai esauriti: universale, perché ai popoli e ai re la causa è una sola: decisiva e d’estinzione, perché guerra non d’uomini, ma di principj.
Al di dentro un fremito sordo, un’agitazione indistinta, un disagio in tutte le classi, perché la miseria di molti non è che velata dalla opulenza de’ pochi; e i pochi si stanno anch’essi diffidenti del presente, e incerti dell’avvenire. Le intraprese commerciali si arrestano davanti a un orizzonte che muta ad ogni istante; il commercio marittimo vuol pace al di dentro, e securità al di fuori, e noi non abbiamo certezza né dell’una né dell’altra. Quindi le sorgenti della circolazione e della vita sociale interrotte, come la circolazione del sangue si aggela per terrore ne’ corpi umani; quindi una forte tendenza a’ mutamenti, perché ogni mutamento cova sempre l’idea del meglio, e a’ popoli come agl’individui l’incertezza è morte continua; stato violento da cui conviene uscire a qualunque patto. Tra noi come tra gli altri l’ardore di nuove cose s’appoggia su bisogni innegabili; l’aspettazione è rinforzata dalle antiche promesse. E le promesse son dimenticate da’ principi, non mai dai popoli. Poi la potenza degli esempj, le fresche speranze, i rancori novissimi, e l’ira stan presso a ridurre il desiderio all’azione.
Per circostanze sì fatte, voi salite sul trono; sopra un trono che né prestigi di gloria, né memorie solenni fanno venerato o temuto; sopra un trono composto di due metà ostili l’una all’altra, congiunte a forza, e tendenti pur sempre a separazione.

Che farete voi, Sire?

Volete essere uno de’ mille? Volete che il vostro nome passi fra i molti che ogni secolo consacra all’esecrazione o al disprezzo?
Due vie vi si affacciano. Due vie fra le quali i re si dibattono da quaranta anni. Due sistemi tra i quali oscilla tuttavia il dispotismo, rappresentati da gran tempo in Europa da due potenze di primo rango, l’Austria e la Francia, e che nel Piemonte importano anche oggidì l’alleanza coll’una o coll’altra.
La prima è la via del terrore.
Terrore, Sire! Il vostro cuore l’ha già rinnegato. La è carriera di delitto e di sangue; né voi vorrete farvi il tormentatore dei vostri sudditi. Dio vi ha posto al sommo grado della scala sociale, v’ha cacciato al vertice della piramide. I milioni stanno d’intorno a voi, invocandovi padre, liberatore. E voi! voi darete ad essi dei ferri? porrete il carnefice accanto al trono? innalzerete la mannaia tra il presente e l’avvenire, e ricaccierete l’umanità nel passato?
Sire! l’umanità non si rispinge col palco e la scure. L’umanità si arresta un istante, tanto che basti a pesare il sangue versato, poi divora i satelliti, il tiranno e i carnefici.
Pure talvolta, nell’uomo che si mette per sì fatta via, i cortigiani nutrono una speranza che il solo apparato del terrore basti a soffocare i germi della resistenza: mostratevi forte, dicono, e gli altri saranno vili.
Sire! Un tempo, quando l’ignoranza e la superstizione incatenavan le menti e nessuno guardava al passato o nell’avvenire, e la causa dei popoli non contava trionfi, il terrore agli occhi del volgo valea potenza. Ora ognuno sa che il terrore, eretto in sistema, è una prova di debolezza; un riflesso di paura, che rode l’anima a chi lo spiega; una necessità di uomo disperatamente perduto, che non ha se non quest’una via di dubbia salute. Oggimai la minaccia non basta. È d’uopo essere e mostrarsi scellerato: vivere e morire tiranno, porsi la benda sugli occhi, e innoltrarsi rotando la sciabola a destra e a sinistra. È d’uopo cacciar la maschera d’uomo e tuffarsi nel sangue.
Sire, farete voi questo? e facendolo, riuscirete? e per quanto? E vi son uomini, Sire, che han giurato di non riposarsi che nel sepolcro, o nella vittoria. Li spegnerete voi tutti? Soffocherete colle baionette i moti popolari, ch’essi vi susciteranno?
Sire! il voto di Nerone tradiva l’impotenza della tirannide. Il sangue vuol sangue. Ogni vittima frutta il vendicatore. Mozzerete dieci, venti, cinquanta teste; insorgeranno a migliaia; l’idra della vendetta non si spegne ne’ popoli, come negl’individui; e il ferro del congiurato non è mai sì tremendo, come quando è aguzzato sulla pietra sepolcrale del martire.
O tenterete ridurli all’impotenza coll’arte? Dura e difficile impresa. Or comprate la plebe coll’oro, la milizia co’ gradi! Cacciate i delatori nelle famiglie; addormentate col lusso e la corruttela le classi agiate de’ cittadini; tenete viva la dissenzione tra l’uomo d’arme e l’uomo del popolo; esplorate i moti, le parole ed i gesti; ma indefessamente senza rallentare un istante, senza arrestarvi d’un passo davanti all’ombra de’ traditi, perché dove un minuto conceda agli schiavi d’intendersi, voi siete perduto. Ma, e l’anime di ferro che non riconoscono despota abbastanza potente per atterrirle, né abbastanza ricco per comprarle; l’anime che non respirano se non un’idea, che non si vendono se non alla morte, non sono esse? Pochissime, è vero; pur sono, e consacrate dalla sciagura ad una santa missione, e tremende d’influenza e di forza, perché la vera energia è magnetismo sulle moltitudini. Le baionette che oggi si appuntano al loro petto, domani si ritorcono al vostro; né dovete obbliare che sotto l’assisa del soldato battono cuori di figlio, di fratello, d’amico. Pur conterrete le masse, struggerete le rivoluzioni ne’ loro principj! Ma, Sire! è parola dura a udirsi, e durissima a pronunziarsi da chi abborre il delitto. Pure soffrite ch’io la pronunzj questa parola: chi vi salverà dal pugnale? – Deludete anche questo; siate immortale, Sire! e la esecrazione delle generazioni? e la infamia ne’ secoli? Chi vi salverà dal pugnale dell’anima? Le censure, le proscrizioni, gli esigli? Ma il mondo è troppo vasto perché non rimanga un angolo allo scrittore; ma né potenza di tirannide, né viltà di servaggio può spegnere la memoria, o sotterrare sotto le rovine del presente la voce dell’avvenire. Il senato mandava al rogo le storie di Cremuzio Cordo, e la grand’anima di Tacito raccoglieva da quelle fiamme la scintilla che fe’ viva ne’ suoi annali l’infamia de’ tiranni di Roma. Oh! è essa l’infamia un peso divenuto così leggiero per la testa de’ re, che non degnino di metterla in calcolo?
La seconda via che i cortigiani vi proporranno, è quella delle concessioni.
Mutamenti nelle amministrazioni, riduzioni economiche, miglioramenti nei codici, distruzioni d’alcuni abusi, allentamento di freno; una riforma insomma lenta, temperata, insensibile; ma senza guarentigia d’istituzioni, senza patto fondamentale, senza dichiarazioni politiche, senza una parola che riconosca nella nazione un diritto, una sovranità, una potenza.
Così voi non vi appoggiate sovra alcun dei partiti, che dividono la nazione, né sovra i tristi che speculano sul re tiranno, né sui buoni che invocano il re cittadino. Così voi vi inimicate il Tedesco senza riconciliarvi l’Italiano. Così voi mostrate che non avete né l’energia del delitto, né la coscienza della virtù.
Sire! non basta: voi differite forse di alcuni momenti la vostra rovina, ma la fate più certa, isolandovi.
E vi conviene, seguendo codesta via, conciliare a un tempo colla illimitata potenza del trono i diritti del popolo e le pretese dell’aristocrazia, perché voi avete bisogno del concorso di tutte le volontà, e un solo de’ grandi elementi sociali non può mancarvi all’impresa, che non vi si attraversi nemico. Vi conviene trovar mezzo di far rivivere la confidenza ne’ governati senza dar pegni di stabilità. Vi conviene procedere per mezzo a minuzie infinite, a interminabili particolari, a ostacoli speciali e di mille generi senza poter ricorrere a regole generali, e pur costretto a spendervi tanta somma di attenzione e di forze, che basterebbe a gettar le basi di un edifizio immortale. Vi conviene far guerra minuta, eterna, individuale a molti abusi introdotti nelle amministrazioni, e nei modi governativi, e rinascenti sempre sotto altre forme, senza troncarli tutti e d’un colpo alla sorgente. Vi conviene illuder i popoli a stimarsi liberi senza fondar libertà, far sentire gli effetti senza dar vigore di legge alle cause, sciogliere insomma il problema difficile di appoggiarsi sovra tutte quante le molle sociali, di giovarsi d’ognuna d’esse, di concertarle a uno scopo senza che alcuna preponderi un sol momento sull’altra, senza che alcuna acquisti attività per sé stessa, e coscienza d’attività.
E tutto questo perché? perché un incidente non preveduto, una imprudenza, un grido proferito da un’anima fervida e intraprendente vi sconvolga l’edifizio, che avrete penosamente innalzato? perché un colpo di fucile tirato imprudentemente sul Reno, o sull’Alpi, rovini i vostri progetti, precipitando le cose e gli uomini a circostanze violenti, a condizioni di rapidità incalcolabile? Sire, il tempo mancò a Bonaparte. Chi può afferrare il tempo ed imporgli: Tien dietro a me? Questa vostra, Sire, è opera di pace; e v’è potenza umana o divina in Europa, che possa oggimai decretar pace d’un anno, d’un mese, d’un giorno solo?
Sire, non vi lasciate illudere da’ cortigiani. Essi vi dipingeranno lo stato questo al di dentro, sicuro al di fuori. Essi mentono al re; voi passeggiate sopra un vulcano. Guardatevi intorno; scendete nel vostro cuore. Voi non potete fidar nel presente; voi siete incerto dell’avvenire. Voi avete a temer di tutto e da tutti; non avete speranza che in voi medesimo; non potete aver salute che in una forza fisica e morale dipendente dall’opinione.
Or come conquisterete voi l’opinione? Come farete a non conculcare il popolo, innalzando d’un grado l’aristocrazia, e a non irritare l’orgoglio dell’aristocrazia mescolando il popolo ne’ suoi ranghi, e ne’ suoi favori? Come farete a sradicare gli abusi, e a non crearvi nemici implacabili tutti coloro, e son molti, che ingrassano negli abusi? Sperate compensar l’odio loro coll’amore delle moltitudini? – Gli amori delle moltitudini sono brevi e mutabili, quando non poggian sopra qualche cosa di determinato e di certo, che vegli perenne alla loro tutela, che parli a’ loro sensi ogni giorno. Le moltitudini vi applaudiranno un momento, e nel secondo grideranno contro di voi, perché in fatto di riforme l’universale ha nome di sapiente giustizia, il particolare ha nome e carattere di arbitrario; perché i mutamenti, le riduzioni, le destituzioni d’impiegati prevaricatori che sotto libere leggi arridono al popolo, assumono apparenza di parzialità e di capriccio, ogni qual volta mancano al popolo le sole vie di verificazione, norme certe invariabili di giudizio a’ casi particolari, e pubblicità di processo.
Sire, i governi camminano sui principj non sulle eccezioni.
Non vi è esistenza senza un modo certo d’esistenza. Non vi è sistema durevole, se non poggia sopra una serie d’idee ordinate, e vincolate l’una all’altra, atte a ridursi a dichiarazione. In altri termini, i governi un tempo posavano sopra una volontà disordinata, aiutata da una cieca potenza, ora vivono di logica.
Sapete voi qual suffragio otterrete? E v’è una gente in Italia, come in ogni contrada, che non sa, né cura di libertà consacrata da istituzioni. Una gente fredda, calcolatrice e paurosa per avarizia d’ogni rapido mutamento, che ama sovra ogni altra cosa la pace, fosse anche pace di cimitero. Né avrete il voto alla timida e lenta carriera che forse imprendete. Ma, Sire, è voto che non pesa nella bilancia dello Stato; voto sterile, nudo, impotente all’azione. E classe inerte per calcolo e per abitudine; non ha dottrine e non s’adopera a sostenerle; non compie rivoluzioni, ma non le strugge, non contende con esse. Voi ne avrete lodi ed adulazioni, finché le lodi non fruttan pericoli; ma né sagrifizj, né divozione a fronte di una potenza contraria. Una bandiera che sventoli all’aure, un grido che intimi: pronunciate: chi non è meco è contro di me; e questa gente si ritrarrà dall’arena ad aspettare il nome che la fortuna saluterà vincitore.
Sire! Da gente sì fatta non pende il destino della cosa pubblica. Il nerbo della società, l’azione, l’opera, la potenza vera sta altrove; nel genio che pensa o dirige, nella gioventù che interpreta il pensiero, e lo commette all’azione, nella plebe che rovina gli ostacoli che si attraversano.
Il genio, Sire, è scintilla di Dio, indipendente e fecondo com’esso; né si vende, né si stringe a individui, ma provvede alle razze, e interpreta la natura. La gioventù è bollente per istinto, irrequieta per abbondanza di vita, costante ne’ propositi per vigore di sensazioni, sprezzatrice della morte per difetto di calcolo. La plebe è tumultuante per abito, malcontenta per miseria, onnipotente per numero.
Or, genio, gioventù e plebe stanno contro di voi; non s’acquetano a poche concessioni, dono d’uomo, a cui niuna legge vieta rivocarlo il dì dopo; non s’appagano di riforme che fruttano ricchezza o potenza all’individuo che le promove; bensì voglion riforme che fruttino tutto alla nazione e null’altro che amore a chi le propone. Vogliono riconoscimento de’ diritti dell’umanità manomessi ad arbitrio per tanti secoli; vogliono uno stato ordinato per essi e con essi; uno stato la cui forma corrisponda ai bisogni ed ai voti sviluppati dal tempo; vogliono leggi, vogliono libertà. Il genio ne ha letto da gran tempo il precetto nella natura delle cose e nei principj di universale progresso sviluppati nella storia co’ fatti. La gioventù nel proprio cuore, nella coscienza di facoltà, che la tirannide condanna a giacersi inoperose, nella maestà degli esempli, sulla tomba dei padri. La plebe nella parola de’ buoni, nelle memorie, nell’istinto potente che la suscita a moto, nella propria tristissima condizione, e in certo suo intimo senso, davanti a cui impallidisce sovente l’intelletto del savio.
Vogliono libertà, indipendenza ed unione. Poiché il grido del 1789 ha rotto il sonno de’ popoli, hanno ricercato i titoli coi quali potevano presentarsi alla grande famiglia europea, e non hanno trovato che ceppi; divisi, oppressi, smembrati, non han nome, né patria; hanno inteso lo straniero a chiamarli iloti delle nazioni; l’uomo libero esclamare visitando le loro contrade: non è che polvere! Han bevuto intero il calice amaro della schiavitù; han giurato di non ricominciarlo.
Vogliono libertà, indipendenza ed unione; e le avranno, perchè han fermo di averle. Dieci secoli di servaggio pesavano sulle lor teste e non han disperato. Han guardato indietro ne’ tempi che furono, hanno rimescolata la polvere delle sepolture, e n’hanno dissotterrato memorie di grandezza da lungo tempo obbliate, memorie d’antiche imprese, di leghe terribili, alle quali non mancò che costanza. I bandi di Giovanni d’Austria e di Nugent, le bandiere di Bentink! 1809 e 1814 insegnarono ad essi il sentimento della loro potenza. Poi il cannone di Parigi, di Bruxelles, e di Varsavia ha mostrato che questa è potenza invincibile. Ora ad un popolo che ha fede e potenza che cosa manca per rigenerarsi fuorché l’occasione?
E pensate voi che poche concessioni addormentino i popoli, o non piuttosto ch’esse svelino la debolezza de’ dominatori? Pensate che rimovano per lungo tempo quell’occasione, o non piuttosto l’affrettino? Siete cinto da tutte parti di paesi italiani, che anelano il momento di ritentare le vie fallite una volta per inesperienza di cose, per tradimento straniero; e sperate che manchino occasioni? Ponete ch’essi afferrino il tempo, e o le armi tedesche non verranno a combatterli, e il contatto di terre libere sommoverà i vostri sudditi, o verranno, e chi vi assicura che i fratelli contempleranno inerti due volte la ruina de’ loro fratelli?
Sire! le vostre forze si logoreranno in una lunga e penosa guerra contro la vostra situazione; ma non farete retrocedere il secolo, non ispegnerete un partito, che niuna cosa al mondo può spegnere. Trascinandovi tra l’odio e l’entusiasmo, procederete in mezzo alla universale freddezza, noioso agli uni come riformatore imprudente, sospetto agli altri come perfidamente politico; e gli uni e gli altri vi accuseranno di debolezza; accusa mortale ai re, che non posson vivere se non di potenza o d’amore. Ogni concessione dà campo all’opre, speranza di meglio, coscienza delle proprie forze e del proprio diritto. Il popolo si avvezza a vedersi esaudito e la espressione dei bisogni e dei desiderj si fa più imperiosa ogni giorno. Intanto gli uomini della libertà spiano le circostanze, profittano d’ogni errore, di ogni incertezza, a screditarvi nelle moltitudini e trarvi a partiti estremi. Lasciateli fare, voi siete perduto. Opponetevi; siete tiranno, e tiranno tanto più increscioso ed esoso, quanto più le prime concessioni presagivano a’ cittadini moderazione. A qualunque via vi atteniate vi concitate addosso l’ira o il disprezzo, perché non potete concedere più che non vorreste senza debolezza, né retrocedere senza delitto; perché o v’abbandonate al torrente, e smarrite lo scopo, senza neppur raccogliere il merito dell’iniziativa, o tentate arrestarlo e Dio ha dato il moto alle cose, ma né Dio stesso potrebbe forse sospenderlo. Davanti alle esigenze e a’ pericoli, nella impossibilità di adottare determinazioni energiche e decisive, voi siete forzato a ordinare una lotta coperta contro l’opere vostre, contro le speranze suscitate da voi; ritorre coll’arte ciò che avete dato con vigore di volontà; contendere le conseguenze de’ principj sanciti tacitamente ne’ primi giorni del regno vostro. Ed è sistema in cui ricaddero necessariamente i re ogni qual volta non seppero essere tiranni, né liberatori; ma fruttò sciagure irreparabili a tutti, esilio ad alcuni; – a due il patibolo.
E allora, quando minacciato da ogni parte e spaventato dall’isolamento, in cui v’ha messo una politica incerta, vorrete salvarvi e null’altro, cercherete voi un rifugio nell’aiuto straniero? Invocherete le baionette tedesche a puntellarvi il trono vacillante? Fatelo: giurate sommession ad un nemico che avete sul principio sprezzato; fatevi schiavo dell’estero; ma badate, Sire! non tutte le provincie italiane son prive di mezzi per difendersi dalle aggressioni, come le popolazioni della Romagna; non tutte le occasioni troveranno il popolo inerte, e sviato da’ preparativi di guerra per fede cieca in un principio che i governi han mille volte violato; badate che i popoli imparano più da una sconfitta, che non i re dal trionfo; badate che quando la lotta è da nazioni ad eserciti, due vittorie non bastano ad assicurare la terza.
O forse cercherete una condizione di vita ne’ trattati che avrete stretti colla Francia? Sire, un’ora crea i patti, un’ora li rompe. Dacché tra i calcoli diplomatici e le risultanze, fra i trattati e la loro durata s’è frapposto gigante l’arbitrio d’un terzo elemento sociale, che giacque inerte per molti secoli, le alleanze, le convenzioni hanno perduta ogni realità di vigore. Stringetevi a lega cogli uomini che governano oggi la Francia; chi vi assicura che l’intervento popolare non rovescerà quegli uomini, e la vostra sicurezza con essi? Credete voi che i cadaveri di dieci mila martiri non abbiano a servire che a sorreggere lo sgabello di sette ministri? Il ministero Perier, Sire, ha stretto un patto coll’infamia, non coll’eternità. Ma la nazion francese non ha segnato quel patto; la nazione francese ha suggellata col proprio sangue l’alleanza de’ popoli. Iddio creò in sei giorni l’universo fisico; la Francia in tre ha creato l’universo morale. Come Dio, essa s’è riposata e riposa, perché l’immensa azione esaurisce per un tempo le forze; ma credete voi che il leone sia spento perché non n’udite il ruggito? Attendete un mese, e l’udrete; attendete un anno, e le associazioni che or passano inosservate avranno generata la grande federazion nazionale; le società popolari che or procedono mute, formeranno la montagna del secolo decimo nono; la Francia avrà avuto il suo 10 agosto. La rivoluzione francese, Sire, non è che incominciata. Dal terrore, e da Napoleone in fuori, la rivoluzione del 1830 è destinata a riprodurre, su basi più larghe, tutti i periodi di quella del 1789.
Sire! a voler vivere d’una vita potente e sicura, voi dovete edificare, anziché sul presente, sull’avvenire, e l’avvenire è prima d’ogni altra cosa la guerra. Or sapete voi, che cos’è per la Francia la guerra? È guerra di propagazione, guerra altamente rivoluzionaria, guerra europea, lunga, feroce; guerra de’ due principj che da secoli si contendono l’universo; non v’è guerra possibile per la Francia ove non sia nazionale, ove non s’appoggi alle passioni delle moltitudini, ove non s’alimenti d’uno slancio comunicato a trentadue milioni che la compongono. Non v’è slancio possibile per la Francia se non si rinnovellano gli uomini, i sistemi e le cose, se non si commove la gioventù colla gloria; e il popolo con una vasta idea d’incremento e d’utile gigantesco. Ma la gloria de’ giovani sta nel grido che i loro padri bandirono al mondo: guerra ai re! libertà e pace ai popoli! E l’incremento che può sommovere la nazione è riposto nella fratellanza colle nazioni confinanti, nell’unità d’interessi collocata su basi perpetue, nel predominio politico consecrato dalla vittoria e dalla riconoscenza de’ beneficii prestati. Quindi la necessità di chiamare il popolo e la gioventù ad una parte più attiva nella somma delle cose, quindi inevitabilmente un ritorno, se non alle forme, almeno allo spirito repubblicano. E quando spinti dall’impulso di diffusione inerente allo spirito repubblicano, costretti dal prepotente interesse di guerra, gli eserciti francesi varcheranno l’Alpi ed il Reno; quando lo stendardo tricolore s’affaccerà alle vostre contrade promettendo rapida e intera quella libertà che voi avrete lasciato intravvedere soltanto da lungi, che farete voi, Sire? Darete voi allora come dono regale ciò che i popoli insorti potranno ritorvi coll’armi? O condurrete gli schiavi a combatter co’ popoli, colla Francia, e col secolo? Sire! guardate al 1798: ― e la libertà era allora in Italia opinione d’individui; ora è passione di moltitudini; la libertà sorgeva nuova a tutti, incognita a molti, sospetta a quanti nati, educati sotto condizioni contrarie, abborrivano da un mutamento, a cui non potevano, né sapevano partecipare: ora è sospiro di mezzo secolo, idea familiare, cresciuta, radicata negli animi per studj, per educazione paterna, e memorie dei primi anni, pensiero rinfiammato dalla vendetta, santificato dal martirio di mille forti, dal gemito di mille madri.
Riassumete, Sire! voi siete a tale, che il sistema del terrore vi uccide, dichiarandovi infame, ed il sistema delle concessioni v’uccide, svelandovi debole; siete a tale, che non potete durare esecrato, né cader grande.
Sire! sono queste le sole vie che vi avanzano? Siete voi tale da non poter mietere che l’odio o il disprezzo?
E v’ha una terza via, Sire, che conduce alla vera potenza e all’immortalità della gloria. V’è un terzo alleato più sicuro e più forte per voi che non son l’Austria e la Francia. E v’ha una corona più brillante e sublime che non è quella del Piemonte, una corona che non aspetta se non l’uomo abbastanza ardito per concepire il pensiero di cingerla, abbastanza fermo per consecrarsi tutto alla esecuzione di siffatto pensiero, abbastanza virtuoso per non insozzarne lo splendore con intenzioni di bassa tirannide.
Sire! non avete cacciato mai uno sguardo, uno di quegli sguardi d’aquila, che rivelano un mondo, su questa Italia, bella del sorriso della natura, incoronata da venti secoli di memorie sublimi, patria del genio, potente per mezzi infiniti, a’ quali non manca che unione, ricinta di tali difese che un forte volere e pochi petti animosi basterebbero a proteggerla dall’insulto straniero? E non avete mai detto: la è creata a grandi destini! Non avete contemplato mai quel popolo che la ricopre, splendido tuttavia malgrado l’ombra che il servaggio stende sulla sua testa, grande per istinto di vita, per luce di intelletto, per energia di passioni; feroci o stolte, poiché i tempi contendono l’altre, ma che son pur elementi dai quali si creano le nazioni; grande davvero, poiché la sciagura non ha potuto abbatterlo e togliergli la speranza? Non v’è sorto dentro un pensiero: traggi, come Dio dal caos, un mondo da questi elementi dispersi; riunisci le membra sparte e pronuncia: È mia tutta e felice; tu sarai grande siccome è Dio creatore e venti milioni d’uomini sclameranno: Dio è nel cielo e Carlo Alberto sulla terra!
Sire! voi la nudriste cotesta idea: il sangue vi fermentò nelle vene, quando essa vi si affacciò raggiante di vaste speranze e di gloria; voi divoraste i sonni di molte notti dietro a quell’unica idea; voi vi faceste cospiratore per essa. E badate a non arrossirne, Sire! Non v’è carriera più santa al mondo di quella del cospiratore che si costituisce vindice dell’umanità, interprete delle leggi eterne della natura. I tempi allora furono avversi; ma perché dieci anni e una corona precaria avrebbero distrutto il pensiero della vostra gioventù, il sogno delle vostre notti? Dieci anni e una corona avrebbero ricacciata nel fango l’anima che passeggiava sui re dell’Europa? Onta a voi! La posterità perdona ogni cosa a un re fuorché la viltà; e che cosa è l’uomo che può esser grande e non è? Quel concetto, Sire, è pur sempre il maggior titolo, l’unico forse, che voi abbiate alla stima degli uomini italiani; e voi rinneghereste la parte che aveste in esso? Tutta l’Italia non sarebbe che illusa? E mentre ognun crede che Carlo Alberto ambisce d’esser da più degli altri uomini, non avrebbe egli ambito che pochi anni di trono prima del tempo? Per Dio, Sire, che i dominatori de’ popoli abbiano ad esser diseredati dalla natura di tutte quante le generose passioni! Che un cuore di re non abbia a battere mai per quanto fa battere i cuori delle migliaia! Che il sole d’Italia non abbia a fecondare di affetti magnanimi che petti di cittadini! Che i tiranni stranieri abbiano soli accarezzata per secoli quest’idea e l’accarezzino tuttavia, un principe italiano non mai!
Sire! se veramente l’anima vostra è morta a’ forti pensieri, se non avete, regnando, altro scopo che di trascinarvi nel cerchio meschino de’ re che vi han preceduto, se avete anima di vassallo, allora rimanetevi; curvate il collo sotto il bastone tedesco e siate tiranno; ma tiranno vero, perché un sol passo che accenniate di movere al di là dell’orma segnata, vi fa nemica quell’Austria che voi temete. L’Austriaco diffida di voi; ma cacciategli ai piedi dieci, venti teste di vittime; aggravate le catene sugli altri; pagategli, colla sommissione illimitata, il disprezzo di che dieci anni addietro vi abbeverò! Forse il tiranno d’Italia dimenticherà che avete congiurato contro di lui; forse concederà che gli serbiate per alcuni anni la conquista, ch’ei medita dal 1814.
Che se leggendo queste parole, vi trascorre l’anima a quei momenti, nei quali osaste guardar oltre la signoria di un feudo tedesco; se vi sentite sorger dentro una voce che grida: tu eri nato a qualche cosa di grande; oh! seguitela quella voce; è la voce del vostro genio; è la voce del tempo che vi offre il suo braccio a salire di secolo in secolo all’eternità; è la voce di tutta Italia, che non aspetta se non una parola, una sola parola per farsi vostra.
Proferitela questa parola!
L’Austria vi minaccia i dominj, minaccia Italia intera colle pretese, colle congiure, cogli eserciti accumulati; a ingoiarvi essa non attende che una occasione.
La Francia vi minaccia coll’energia delle moltitudini, colla diffusione dei principj, coll’azione delle sue società, colla necessità prepotente che spingendola un dì o l’altro alla guerra, la caccerà nel bivio, o di perire o di eccitare i popoli alle insurrezioni, ed appoggiarle coll’armi.
L’Italia vi minaccia col furore di libertà che la investe, col grido delle infinite vittime, coll’ira delle promesse tradite, colle associazioni segrete che han due volte tentata la libertà della patria che proseguono all’ombra, che nessuna forza può spegnere.
Sire! respingete l’Austria, – lasciate addietro la Francia, – stringetevi a lega l’Italia.
Ponetevi alla testa della nazione e scrivete sulla vostra bandiera: Unione, Libertà, Indipendenza! Proclamate la santità del pensiero! Dichiaratevi vindice, interprete de’ diritti popolari, rigeneratore di tutta l’Italia! Liberate l’Italia dai barbari! Edificate l’avvenire! Date il vostro nome ad un secolo! Incominciate un’Era da voi! Siate il Napoleone della libertà italiana! L’umanità tutta intera ha pronunciato: i re non mi appartengono; la storia ha consecrato questa sentenza coi fatti. Date una mentita alla storia ed all’umanità; costringetela a scrivere sotto i nomi di Washington e di Kosciusko, nati cittadini: v’è un nome più grande di questi, vi fu un trono eretto da venti milioni d’uomini liberi che scrissero nella base: A Carlo Alberto nato re, l’Italia rinata per lui!
Sire! La impresa può riescir gigantesca per uomini che non conoscono calcolo se non di forze numeriche, per uomini che, a mutar gl’imperi, non sanno altra via, che quella di negoziati e d’ambascerie. È via di trionfo sicuro, se voi sapete comprendere tutta intera la posizion vostra, convincervi fortemente d’esser consecrato ad un’alta missione, procedere per determinazioni franche, decise ed energiche. L’opinione, Sire, è potenza che equilibra tutte le altre. Le grandi cose non si compiono co’ protocolli, bensì indovinando il proprio secolo. Il segreto della potenza è nella volontà. Sciegliete una via, che concordi col pensiero della nazione, mantenetevi in quella inalterabilmente; siate fermo, e cogliete il tempo; voi avete la vittoria in pugno.
I Polacchi, Sire, hanno insegnato al mondo la potenza d’un popolo che combatte per l’esistenza politica e la libertà. Suscitate l’entusiasmo e anche i sudditi vostri diverranno Polacchi. Cacciate il guanto all’Austriaco, e il nome d’Italia nel campo: quel vecchio nome d’Italia farà prodigi. Fate un appello a quanto di generoso e di grande è nella contrada. Una gioventù ardente, animosa, sollecitata da due passioni onnipotenti, l’odio e la gloria, non vive da gran tempo che in un solo pensiero, non anela che il momento di tradurlo in azione: chiamatela all’armi. Ponete i cittadini a custodia delle città, delle campagne, delle vostre fortezze. Liberato in tal guisa l’esercito, dategli il moto. Riunite intorno a voi tutti coloro che il suffragio pubblico ha proclamati grandi d’intelletto, forti di coraggio; incontaminati d’avarizia e di basse ambizioni. Inspirate la confidenza nelle moltitudini, rimovendo ogni dubbiezza intorno alle vostre intenzioni, e invocando l’aiuto di tutti gli uomini liberi.
Gli uomini liberi, Sire, in Italia son molti; hanno pur potenza, confessatelo, di farvi tremare sul trono: hanno potenza di rovesciare tutti quei troni che non s’appoggiano sulle baionette straniere. Caddero, Sire, ma voi sapete il perché: caddero traditi, venduti, perché lottavano co’ governi, e combattevano coll’armi de’ generosi, e colla innocenza della virtù, mentre i governi pugnavano coll’oro, colle seduzioni, colla perfidia, coll’arti inique del delitto nascosto. Caddero perché mancanti di capi che reggessero coll’influenza d’un nome l’impresa, e la facessero legittima agli occhi del volgo. Or che sarebbe quando tutti gli ostacoli si mostrassero calcolati ed aperti, quando essi non avessero a contrastar col potere, bensì a riunirsi con esso? Che sarebbe quando tutti vi si annodassero intorno, quando tutti usassero la loro influenza a pro vostro, quando tutti vi cacciassero a piedi le loro vite per pagarvi del beneficio d’aver creata un’idea sublime, d’aver somministrato all’universo un nuovo tipo di grandezza, la virtù sul trono? Sire! a quel patto noi ci annoderemo d’intorno a voi: noi vi proferiremo le nostre vite: noi condurremo sotto le vostre bandiere i piccoli stati d’Italia. Dipingeremo ai nostri fratelli i vantaggi che nascono dall’unione; provocheremo le sottoscrizioni nazionali, i doni patriottici: predicheremo la parola che crea gli eserciti, e disotterrate le ossa de’ padri scannati dallo straniero, condurremo le masse alla guerra contro i barbari, come a una santa crociata. Uniteci, Sire, e noi vinceremo, perocchè noi siam di quel popolo, che Bonaparte ricusava di unire, poiché lo temeva conquistatore di Francia e d’Europa.
Questo faremo; ma voi, Sire, non ci mancate all’impresa: nel saper scegliere il momento è riposta la somma delle cose; ed ora è il momento: ora che la Russia spossata da una lotta sanguinosa, travagliata negli eserciti dalle opinioni, e da’ morbi, screditata in faccia all’Europa, ha d’uopo rifarsi col riposo e riordinarsi. ― Ora che la Prussia è agitata da terrori di sommosse all’interno, e costretta di serbar le sue forze per una guerra, che un colpo di fucile belgico può rompere da un momento all’altro. ― Ora che l’Inghilterra è condannata all’inerzia, finché non sia consumata la gran lite della potenza popolana, e della feudale aristocrazia. E la nazione francese è per voi. Or che temete? Il Tedesco? gridategli guerra: ardite guardar da vicino questo colosso, composto di parti eterogenee, minato in Gallizia, nella Ungheria, nella Boemia, nel Tirolo, nella Germania, e che non è forte se non dell’inerzia, e perché altri è debole. Gridategli guerra e assalite: l’assalitore ha immenso avvantaggio sul suo nemico. Una voce ai vostri, una voce alla Lombardia, e avanzatevi rapidamente. Là, nella terra lombarda hanno a decidersi i fati dell’Italia, ed i vostri: nella terra lombarda, che non aspetta se non un reggimento ed una bandiera per levarsi in massa: nella terra lombarda che divorerà i suoi nemici, come a’ tempi di Federico e triplicherà il vostro esercito! Ma siate forte e deciso: rinnegate i calcoli diplomatici, gli intrighi de’ gabinetti, le frodi dei patti. La salute, per voi, sta sulla punta della vostra spada. Snudatela e cacciatene la guaina. Fate un patto colla morte e l’avrete fatto colla vittoria.
Sire! e m’è forza il ripeterlo. Se voi non fate, altri faranno e senza voi, e contro voi. Non vi lasciate illudere dal plauso popolare che ha salutato il primo giorno del vostro regno: risalite alle sorgenti di questo plauso, interrogate il pensiero delle moltitudini: quel plauso è sorto, perché salutandovi, salutavano la speranza: perché il vostro nome ricordava l’uomo del 1821: deludete l’aspettazione; il fremito del furore sottentrerà ad una gioia che non guarda se non al futuro. Oggimai la causa del dispotismo è perduta in Europa. La civiltà è troppo oltre, perché l’insania di pochi individui possa farla retrocedere. I re della lega lo intendono, ma son troppo in fondo per poter risalire. Essi lottano disperatamente col secolo, e il secolo li affogherà. Han detto: chi nacque tiranno, morrà tiranno: e sia: vissero paurosi e colpevoli, morranno esecrati e deietti. Ma voi, Sire, siete vergine di delitto regale: siete degno ancora d’interpretare il voto del secolo. Davanti al voto del secolo che la grand’anima sua intravvedeva, impallidiva Napoleone, quando il diciotto brumaio, lo costituiva in contrasto colla libertà nella sala de’ cinquecento. Fu l’unica volta che Napoleone impallidì: ma pochi anni dopo egli commentava dolorosamente nell’isola di Sant’Elena quel pallore proferendo le memorande parole: j’ai heurté les idées du siècle, et j’ai tout perdu.
Sire! per quanto v’è di più sacro, fate senno di quelle parole. Volete voi morir tutto, e vilmente? La fama ha narrato che nel 1821 uno schiavo tedesco insultò al principe Carlo Alberto fuggiasco, salutandolo re d’Italia. Quell’onta, Sire, vuol sangue. Spargetelo in nome di Dio, e lo scherno amaro ripiombi sulla testa de’ nostri oppressori. Prendete quella corona: essa è vostra purché vogliate.
Attendete le solenni promesse. ― Conquistate l’amore de’ milioni. Tra l’inno de’ forti, e de’ liberi, e il gemito degli schiavi, scegliete il primo. Liberate l’Italia da’ barbari e vivete eterno!

Afferrate il momento.
Un altro momento; e non sarete più in tempo. Rammentate la lettera di Flores-Estrada a Fernando; rammentate quella di Potter a Guglielmo di Nassau!
Sire! io v’ho detto la verità. Gli uomini liberi aspettano la vostra risposta ne’ fatti. Qualunque essa sia, tenete fermo che la posterità proclamerà in voi. ― Il Primo tra gli uomini, o l’Ultimo de’ Tiranni italiani. ― Scegliete!

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