L’industria cinematografica in Cina: passato e presente

L’industria cinematografica in Cina: passato e presente

Titolo originale: The Film Industry in China: Past and Present
Autore: Ainhoa Marzol Aranburu
Pubblicato su: “Journal of Evolutionary Studies in Business”, JESB, Volume 2, Number 1, 1-28, January-June 2017 doi: 10.1344/jesb2017.1.j021

Categoria: Saggi tradotti di Cinema

Indice

L’industria cinematografica in Cina: passato e presente

Dall’apertura della Cina nel 1978, il paese ha attraversato riforme graduali in tutti i settori dell’economia, oltre a modernizzare e liberalizzare quasi tutte le industrie che erano precedentemente di proprietà del governo. Sebbene i principali motori dell’economia fossero le industrie dietro la produzione di beni di consumo, altre industrie secondarie sono emerse da uno stato di degrado e uno dei migliori esempi è l’industria cinematografica. In soli 30 anni, l’industria cinematografica si è evoluta da un livello quasi inesistente fino a diventare il secondo mercato cinematografico più grande del mondo.
Nel dicembre del 2015, il governo degli Stati Uniti ha pubblicato un rapporto che mostrava preoccupazione per le misure protezionistiche del cinema cinese. A quanto pare, il motivo principale di preoccupazione era che nel febbraio di quello stesso anno e per la prima volta dalla creazione del cinema, un altro paese – la Cina – aveva ottenuto un box office mensile più alto di Hollywood. Ma dietro c’era un grande caso di inosservanza delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio e un complesso caso di forze che hanno dettato le sorti di un mercato che si prevede supererà quello americano in soli due anni.

La storia del cinema cinese: una linea temporale

La storia del cinema cinese può essere fatta risalire al 1905, quando il Beijing Fengai Photo Studio e Tan Xinpei hanno adattato un’opera di Pechino chiamata La battaglia di Dingjunshan.
Prendendo in considerazione che il primo “film” mai creato in tutto il mondo è stato Viaggio nella Luna di Georges Méliès, appena tre anni prima che il primo film cinese fosse realizzato, si potrebbe dire che la Cina era sulla buona strada verso la creazione di un’industria cinematografica. Tuttavia, si ritiene che l’industria in Cina sia iniziata con il film nel 1913, film intitolato La coppia difficile, realizzato dai registi Zheng Zhengqiu e Zhang Shichuan. Seguendo il percorso e lo stile della Hollywood di recente costituzione, gli studi hanno iniziato ad apparire principalmente nella zona di Shanghai e Hong Kong, dove hanno posto le basi dei propri canali di distribuzione e un canale di contatti.[1] http://dfat.gov.au/trade/agreements/chafta/Documents/cfta_submission_6se05.pdfhttp://www.nationalmediamuseum.org.uk/~/media/Files/NmeM/PDF/Collections/Cinematography/AveryShortHistoryOfCinema.pdf
L’industria cinematografica cinese si è mossa così velocemente da avere due età dell’oro prima della rivoluzione comunista del 1949 che ha cambiato il modo di produrre film e alla fine lo ha chiuso completamente. La prima età dell’oro risale agli anni ’30, quando l’industria era ancora in maturazione. Durante questo periodo sono stati prodotti circa 60 film ogni anno, e sono stati fortemente influenzati da un aumento del senso di identità nazionale, dato che i giapponesi avevano appena invaso la Manciuria. La seconda età dell’oro si ebbe negli anni ’40 quando l’industria crebbe e fiorì.
Quando il Partito Comunista salì al potere nel 1949, l’industria iniziò ad essere di proprietà statale, cosa che sarebbe ripresa dopo la Rivoluzione Culturale. Durante i 17 anni che seguirono la rivoluzione e fino alla Rivoluzione Culturale, lo stato ha prodotto un totale di 603 film e 8.342 bobine di documentari.
Dopo la morte di Mao Zedong, Deng Xiaoping iniziò con l’apertura economica, che incluse riforme nell’industria cinematografica che sarebbero un riflesso dei cambiamenti complessivi che il paese avrebbe attraversato negli anni successivi. Le prime pietre che indicherebbero il sentiero di dette riforme furono indicate nel dicembre del 1978, nella 3° Riunione Plenaria dei Cinesi Partito Comunista. Questo incontro è stato seguito dalla creazione della China Imports & Exports Company l’anno successivo, che ha simboleggiato l’apertura politica di Xiaoping nel settore.
Dopo essere stati chiusi per la Rivoluzione Culturale, anche gli studi cinematografici hanno iniziato a riaprire nel 1978, con un totale di 12 studi che realizzano in tutto 46 lungometraggi. Durante quei primi anni il sistema degli studio funzionerebbe allo stesso modo del sistema degli studio americano negli anni ’30 e gli anni ’40, il che rifletteva chiaramente come la Rivoluzione culturale avesse lasciato le industrie creative del paese in una condizione di sottosviluppo (Semsel e Xia1990).
La domanda ha risposto con positività alla fine della Rivoluzione Culturale, e nel 1979, le presenze nelle sale hanno raggiunto i 29,3 miliardi. Considera che a quel tempo la Cina aveva una popolazione di un miliardo; questo significava che in media ogni persona andava al cinema più di 29 volte all’anno. Considerando che in questo dato vengono conteggiate aree rurali e molto povere, è statisticamente sorprendente. Tuttavia, questo è stato spinto dalla novità offerta dalla nuova scena, perché subito dopo quell’anno, gli spettatori hanno iniziato a diminuire costantemente. Entro il 1991 il numero di ingressi alle sale sarebbe diminuito del 50 percento (Ni 1994; Gomery e Paford-Overduin 2011).

Gli anni ’80

Durante un breve periodo di tempo durante gli anni ’80, la Cina ha vissuto una terza età dell’oro del cinema.
Fu qui che iniziarono a essere realizzati film di tutti i tipi: film drammatici, film satirici, film di fantascienza e persino film di kung-fu che non erano così comuni nella storia dei film cinesi come potrebbe sembrare. Sebbene il pubblico cinese avesse le proprie tendenze e gusti, gli impulsi internazionali cominciarono a farsi sentire nel continente. Il miglior esempio è che come risultato di quanto erano diventati famosi i film di “Star Wars” dopo la sua uscita nel 1977, è stato realizzato il primo film di fantascienza cinese: “Dead Light on the Coral Island” (1980) (Sazatornil e Alonso 2012).
La maggior parte di questi film sono stati prodotti da pochi studi che avevano il predominio del mercato: Beijing Studio, Changchun Studio e Shanghai Studio produssero in media da dieci a ventuno film all’anno, dato che era al di sopra della produzione combinata del resto degli studi. Di fronte a questa disuguaglianza, gli studi più piccoli hanno dovuto ritirarsi nella produzione di un variegato catalogo di generi specifici, come film sull’agricoltura, film scientifici e didattici, documentari o animazioni (Semsel e Xia 1990).
All’interno degli studi più piccoli, il Xi’an Studio è risultato essere uno dei più importanti del 1980, e uno dei pochi che è stato in grado di competere in ambito internazionale. Per lo studio la svolta avvenne nel 1983, quando Wu Tianming ne assunse la guida. Ha iniziato a produrre film di registi piuttosto sperimentali usciti direttamente dal Beijing Film Institute: Chen Kaige, Tian Zhuangzhuang o Zhang Yimou. Questi registi sarebbero poi stati considerati come “la quinta generazione” di registi cinesi e quelli che avrebbero aiutato il resto del mondo, collocando la Cina nella mappa del cinema internazionale vincendo dozzine di premi in diversi festival cinematografici. Come strategia per rendere possibile questo investimento, anche lo studio di Xi’an produceva un gran numero di film di intrattenimento all’anno, che sovvenzionavano i film d’arte (Zhang 2004).
La principale ridefinizione del settore è arrivata nel 1984, quando lo Stato ha sostenuto, per la prima volta, che il cinema fosse parte integrante delle industrie culturali e non solo uno strumento per rafforzare l’ideologia del governo. Questa dichiarazione incorporava un nuovo sistema chiamato “sistema di auto-responsabilità”, che ha ritirato l’aiuto finanziario del governo agli studios e li ha lasciati in cerca di sostegno finanziario all’esterno. Tuttavia, in questi studi che funzionavano con una struttura istituzionale che ricordava lo stile sovietico, i risultati di questa riforma furono paralizzanti. Prima della riforma, gli studi cinematografici cinesi stavano ancora realizzando film secondo i piani annuali progettati dai vertici del Film Bureau, e ha ricevuto una tariffa fissa di 700.000 RMB[2]renminbi, la valuta della Repubblica Popolare Cinese, NdT. per titolo dalla China Film Corporation per i diritti (Xiao e Zhang 2002).
Dopo questo, gli studios hanno ottenuto i loro profitti dalla China Film Corporation, venendo pagati 9.000 RMB per stampa o dividendo le entrate per una percentuale prestabilita, che mette molto sotto pressione gli studi (Song 2009; Zhu 2003).
Sotto la pressione di questi cambiamenti, l’inefficienza degli studi ha iniziato a venire alla luce: essere imprese statali avevano problemi di produttività molto bassi. Ogni studio era pieno di membri dello staff, che fossero scrittori, registi, direttori della fotografia, disegnatori o tecnici. Molti studios avevano anche un gruppo fisso di attori ed erano estremamente ben attrezzati rispetto a altri settori statali, ma almeno questi hanno risparmiato un po’ di soldi assumendo il cast extra nel luogo della location di ogni film (Semsel e Xia 1990).
Nel gennaio del 1985 il China Film Bureau tenne una conferenza in cui furono annunciate due sottoriforme: una riforma dei prezzi che consisterebbe nell’adeguamento di ogni singolo film al suo valore di mercato, e una riforma d’impresa, che mirava a dare autonomia gestionale e incentivi finanziari per aumentare la produzione delle aziende coinvolte (Zhu 2003). Lo stato ha anche trasferito la responsabilità della distribuzione dalla China Film Corporation ai distributori locali che hanno iniziato a funzionare come intermediari.
Nel gennaio dell’anno successivo la direzione del Film Bureau fu trasferita dal Ministero della Cultura al Ministero della Radio, del Cinema e della Televisione di nuova creazione, noto anche come la RFT (Xiao 2004). Le lotte di potere arrivarono subito dopo, a causa del fatto che la riforma era stata fatta solo a livello statale, lasciando incustodite le istituzioni provinciali e causando disguidi e conflitti burocratici. Gli unici che non sono stati toccati da questa confusione manageriale erano gli studi nazionalizzati (Zhu 2002). Invece di aiutare ad alleviare il caos, il Ministero della RFT ha fatto un passo avanti e ha emesso il “Documento 975”, che era incentrato su una riforma della distribuzione che ha permesso agli studios di condividere i profitti al botteghino con i distributori (Zhu e Rosen 2010).
L’instabilità potrebbe essere già rilevata nel 1985, quando nel primo trimestre dell’anno il numero di biglietti venduti era inferiore del 30% rispetto allo stesso periodo nel l’anno prima. Il risultato di quei primi tre mesi fu una perdita di fatturato di 9,36 milioni RMB, o 1,17 milioni di dollari. Tutti i settori dell’industria – produzione, distribuzione e proiezione – persero soldi a causa di ciò, questo ha spinto l’ulteriore attuazione di misure da parte del governo e la corsa alle trattative da parte degli studios con la China Film Corporation (Zhu 2003). Le perdite quell’anno erano presenti anche nel pubblico rurale, che fino ad allora sembrava essere in controtendenza. Nel 1986, oltre 40.000 squadre di proiezioni mobili si erano arrese e avevano chiuso i battenti (Zhang 2004).
Alla fine del 1986, la confusione organizzativa e il continuo restringimento del mercato domestico cinematografico ha portato a una perdita di fatturato di un terzo di tutte le società di distribuzione cinesi.
Per questo motivo, molte di queste aziende sono state costrette a espandersi cercando ricavi da altre iniziative commerciali. Tuttavia, gli studi statali che erano completamento sotto il controllo governativo erano ancora immuni da questo caos manageriale (Zhang 2004).
Shanghai Studio e Xi’an Studio hanno fatto eco a questo problema avviando una trattativa con il China Film Corporation con l’obiettivo di condividere gli incassi al botteghino. La loro trattativa fu un successo; entrambi ottennero quello che volevano, ma i risultati, non furono allaltezza. Entrambe le società non riuscirono a realizzare profitti reali quell’anno. Shanghai Studio ha scoperto che i loro film erano totalmente fuori sincronia con i gusti mutevoli degli spettatori cinesi. Xi’an Studio d’altro canto, ha prodotto film che hanno avuto un grande successo nel mercato cinese, ma ha anche scoperto che i profitti dal botteghino non erano così veloci e liquidi come vendere direttamente al CFC.
Per alleviare la situazione, il governo ha iniziato a finanziare la produzione presso questi principali studi di “melody film”, meglio conosciuti in occidente come “film di propaganda”. Il governo ha dato tra uno e due milioni di RMB all’anno per produrre questi film, questo ha finito per essere fino al 25 percento della produzione annuale totale dei film (Zhu 2003).
Nel 1988 i limiti sono stati spinti ancora oltre con un simposio noto come “Strategic Planning for the Film Industry” per un ulteriore allentamento dei controlli sui prezzi. L’unica riforma che negli anni ’80 prevalse fu quella riforma dei prezzi: mentre nel 1980 le stampe dei film potevano essere acquistato a 9.000 RMB. Nel 1989, il loro costo era di 10.500 RMB. Tuttavia, invece di collegare il prezzo di un film al suo valore di mercato, l’adeguamento del prezzo del 1989 ha ripiegato su un limitò sistema obbligatorio centralizzato, in contraddizione con l’obiettivo generale della riforma di raggiungere una economia di mercato (Zhu 2002, 2003).
Nel complesso, durante questo primo decennio, il governo cinese ha continuato ad adeguarsi passivamente e in parte alle riforme economiche che il Paese stava affrontando, e concentrandosi solo nei settori della esposizione e distribuzione, dimenticando quasi del tutto il settore produttivo.

Gli anni ’90

All’inizio degli anni ’90, con l’entrata in vigore della nuova normativa sulla compartecipazione del reddito, il sistema di distribuzione ha preso il controllo degli studi. La China Film Corporation era ancora quella che decideva quante stampe avrebbe dovuto essere distribuite, e poi dava queste copie alle agenzie provinciali e locali che avevano lavorato come subordinate della società. A queste le stampe erano vendute a un prezzo fisso di 10.500 RMB, indipendentemente dalle aspettative o dal costo del film. Le filiali delle agenzie stipulavano i contratti di distribuzione con le unità di proiezione, che non avevano alcun controllo sui titoli offerti a livello locale. Gli studi sono stati tenuti fuori dagli accordi per far fronte ai rischi, mentre i profitti venivano prelevati da altre parti del canale. Le proiezioni hanno causato solo perdite alle unità di proiezione, che possono essere dedotte dal confronto dei costi elevati di una proiezione (costi in aumento, dai 51 RMB che costarono nel 1983 ai 99 RMB per ogni singola proiezione nel 1988), con il bassissimo costo dei biglietti (circa 0,2 RMB) (Pickowicz 2012).
Con questi alti livelli di spese quasi nessuna unità di proiezione ha ottenuto profitti, e se ne ha fatti, le agenzie regionali della CFC raccoglievano i fondi per pagare i loro costi. Quindi, queste agenzie hanno dato i profitti all’ufficio di Pechino, e dopo di questo, i profitti sono stati divisi: il 29 percento del denaro andava agli studi cinematografici e il 71 per cento era tenuto dalle corporazioni. Ma non era finita qui: se gli studios avessero ottenuto qualche profitto dopo, avrebbero dovuto pagare un’alta tassa industriale del 55 percento, il che significava che durante gli anni ’80, solo due o tre studi sono stati in grado di mostrare un saldo positivo ogni anno (Pickowic 2012).
Tuttavia, e contro ogni previsione, nel 1991 il botteghino ha iniziato a migliorare, ma ancora a un velocità molto bassa. Per spingere questa crescita, nel 1993 il governo ha permesso l’ingresso di film stranieri per la prima volta nelle sale cinesi. Ben presto, questi film hanno iniziato a superare in numero le controparti cinesi, sia per numero di film proiettati che per vendita dei biglietti. Anche se il gli studi cinesi non guadagnavano quasi nulla direttamente dai film stranieri, la novità quell’anno ha portato più persone che mai al cinema, anche alle proiezioni del locale film.
La riforma che era stata emanata l’11 ottobre 1992 avrebbe potuto anche avere qualcosa a che fare con quel calo del botteghino. Questa riforma ha dichiarato che ora il prezzo del biglietto deve riflettere meglio il prezzo di mercato di ogni singolo film essendo i proprietari dei film che fissano i prezzi dei biglietti stessi (Nilsson 2015). Questi nuovi prezzi variavano da 2 RMB fino a 80 RMB, a seconda della zona geografica e del teatro.
Durante gli anni ’90 l’obiettivo del governo divenne più chiaro che mai: eliminare il processo di distribuzione multistrato sottostante al vecchio sistema burocratico che avrebbe dragato il canale di distribuzione ormai intasato e incoraggiare la concorrenza tra distributori e studi.
Nel 1993, a seguito della citata riforma del 1992, il Ministero della RFT ha emanato il “Documento 3 – Suggerimenti per l’approfondimento della Riforma istituzionale dell’industria cinematografica cinese”, considerato il nuovo culmine della riforma distributiva, che ha collegato anche i prezzi della stampa e i prezzi dei biglietti al mercato (Zhu 2003; Su 2016). Il documento è stato proseguito da un altro regolamento l’anno successivo, che ha eliminato l’obbligo dei produttori di vendere i loro film alla China Film Corporation e tentò di normalizzare il transito tra Cina, Hong Kong e Taiwan (Zhu 2002).
Nel gennaio del 1995 il Ministero della RFT ha emanato una riforma che ha avuto un impatto diretto sul boom dei nuovi film che coinvolgono gli investimenti privati, allentando la politica delle licenze di produzione.
Da questo momento in poi, qualsiasi investitore, anche al di fuori dell’industria cinematografica, potrebbe avere il diritto di coprodurre se dovesse coprire il 70 per cento dei costi di produzione. Nel tentativo di imitare il metodo di distribuzione occidentale, il governo ha anche introdotto una divisione degli utili e perdite tra il produttore, il distributore e chi si occupa della proiezione al pubblico.
Tutti gli sforzi per aprirsi a un cinema internazionale hanno funzionato in entrambe le direzioni: non solo i film stranieri stavano spingendo i botteghini cinesi verso il profitto, ma anche i film cinesi stavano diventando un successo all’estero. Apparentemente anche i registi cinesi avevano scoperto cosa attraeva il spettatori stranieri, aumentando i profitti di questi film artistici. I migliori esempi di questo ciclo sono The Wedding Banquet (1993), che solo cinque mesi dopo la sua uscita aveva guadagnato 6,5 milioni di dollari, ovvero Farewell My Concubine, solo dopo tre mesi dall’uscita ha già venduto 4,2 milioni di dollari di biglietti, e solo nel circuito commerciale statunitense.
A quel punto tutto andava verso l’apertura del mercato del settore, e in il percorso di creazione dell’Hollywood cinese che potrebbe facilmente essere grande come Bollywood in a pochi anni. Ma nel marzo del 1996, il Ministero della Radio, del Cinema e della Televisione tenne ciò che è noto come Incontro di Changsha. Scandalizzati dalla letteratura osé, il politicamente esplicito e la sfruttabilità delle opere d’arte e la musica rock pirata, lo stato ha lanciato un programma per criticare quello che chiamavano “inquinamento spirituale”. Per questo motivo, il governo ha iniziato a sponsorizzare visioni pubbliche di biografie di eroi socialisti e membri comunisti modello. Il 15 percento del tempo sullo schermo sarebbe ora dedicata anche a film importanti (Nilsson 2015), specialmente selezionati dal ministero che rappresentavano i valori dei principali “Main melody film”[3]I film di propaganda cinesi finanziati dal governo (NdT).. Questi film sarebbero particolarmente incentrati su eventi storici, principalmente per l’educazione dei bambini, dei contadini e dell’esercito. Il coinvolgimento del governo nella sponsorizzazione del cinema ha portato i film totali del 1995 ad aumentare a 146, rispetto ai 133 film usciti nel 1990, ma poi sono tornati a 83 entro il 2000.
Un altro grosso problema dell’incontro è stato che il governo, abbastanza spaventato dal successo che i film stranieri stavano avendo nel paese – il botteghino dei film di produzione nazionale era diminuito a un record del 20 percento quell’anno – e temendo che avrebbero offuscato il buon spirito dei cinesi, ha iniziato a vietare il loro ingresso. Il tentativo di controllare l’ingresso di film stranieri andò anche oltre quando il Ministero della RFT emanò il “progetto 9550”, che stabiliva che la Cina avrebbe lasciato entrare nel mercato 10 film stranieri di alta qualità ogni anno tra il 1996 e 2000 (Hemelryk Donald, Hong e Keane 2014). Collegava anche le importazioni di queste “pellicole di qualità domestica”, conferendo i diritti – e i profitti – di una sola importazione allo studio che ha prodotto una pellicola di qualità. Tutto questo ha allontanato gli investitori privati che, essendo questo molto più redditizio, si erano spostati alla produzione di fiction televisive. (Zhang 2008; Zhu 2002)
Tuttavia, ciò non ha fermato la tendenza negativa e la diminuzione della quota del cinema nazionale nel mercato interno. Solo a partire dal 1999 la quota nazionale ha iniziato a migliorare un po’, ma ancora una volta, questo è stato solo un risultato del calo che stava avendo l’intero mercato.
Durante gli anni ’90 i film hanno iniziato ad avere budget più adeguati al mercato internazionale per potervisi adattare. Nel 1991, il budget medio per un film di produzione nazionale era di 1,3 milioni di RMB, una cifra che è aumentato a 3,5 milioni di RMB entro il 1997 (Zhu 2003). Con l’avvicinarsi del nuovo millennio, i gusti locali stavano cambiando e il pubblico si aspettava film con budget molto più alti e con un look più hollywoodiano. Questi film a grandi budget sarebbero stati realizzati con l’aiuto del governo adottando i valori del “main melody film” e basati su alcuni eventi storici che hanno lasciato il paese in buona luce.
Nel marzo del 1998 fu soppresso il Ministero della Radio, del Cinema e della Televisione, e al suo posto sono state create due nuove autorità sul cinema: l’Amministrazione statale della radio, del cinema e Televisione (la SARFT) e il Ministero dell’Industria dell’Informazione. Questo presupponeva una fine.

Gli anni 2000

Gli anni 2000 sono stati il periodo di quelli che gli occidentali chiamavano “i film di propaganda”. La tendenza menzionata in precedenza di utilizzare gli aiuti governativi per realizzare “i film di propaganda” con un look hollywoodiano si era accentuato nel corso degli anni. Uno dei più famosi di questi, realizzato dallo stesso Zhang Yimou che ha realizzato “Red Sorghum”, è stato “Hero” (2002), un dramma storico che è costato 250 milioni di RMB e da solo ha rappresentato il 42,2 percento del totale del botteghino del tutto il paese nel 2002 (Zhang 2012). Hero ha anche stabilito una nuova tendenza nel budget per la promozione, che non era mai stato troppo importante per i produttori cinematografici cinesi. In un periodo in cui in media 10.000 RMB sono stati spesi nella pubblicità per ogni film, il budget di Hero ha superato i 15 milioni di RMB.
Ci sono stati alcuni grandi cambiamenti che hanno portato all’attuale industria cinematografica con l’ingresso nel nuovo millennio. Nel 2002, la SARFT ha annunciato che il China Film Group avrebbe dovuto condividere la sua autorità sulla distribuzione con le società di distribuzione dei comuni[4]http://dfat.gov.au/trade/agreements/chafta/Documents/cfta_submission_6se05.pdf. L’anno successivo, il “Disciplinare Temporaneo per l’Accesso alla Produzione, Distribuzione ed Esposizione cinematografica” attribuiva alle imprese private gli stessi diritti e doveri degli studi statali, portando ad un aumento degli studi privati negli anni successivi (Song 2009; van der Berg 2013). Tali regolamenti hanno avuto un impatto diretto nella situazione attuale. Al giorno d’oggi, gli studi che un tempo dominavano il mercato cinese sono quasi scomparsi. Al loro posto, sono sorte altre società che oligopolizzano quasi completamente l’industria cinematografica cinese.
Sebbene il numero totale di studi sia rimasto più o meno lo stesso, il numero di film è quintuplicato. Questi dati non mostrano la disparità dei numeri: i quattro big studios producono la stragrande maggioranza dei film, che sono cresciuti alla grande grazie a fusioni e acquisizioni. Questi quattro studi si chiamano China Film Group Corporation, Huayi Brothers, la PolyBona Film Distribution Company e lo Shanghai Film Group.
La più grande di queste società è nata nel 1999 con il nome di China Film Group Corporation (il CFG), che è un conglomerato governato dallo stato. Ha la più grande e completa catena industriale di tutte, che assicura il suo evidente dominio nell’industria cinese dei film. Il CFG produce anche oltre il 30 percento della produzione cinematografica dell’intero paese anno dopo anno e possiede l’unico canale di film nello stato, chiamato CCTV-6. Questo conglomerato comprende anche un teatro di proprietà, il cui circuito assorbe fino al 40 per cento del botteghino nazionale totale. Dal 2004, il CFG ha una joint-venture con la Warner Bros e la Hengdian Group, proprietario degli Hengdian World Studios (Song 2009). Huayi Brothers è stata fondata nel 1997 ed è stata una delle prime e più grandi società cinematografiche private di Cina. Opera sia nella produzione che nella distribuzione cinematografica e controlla il 30-40 percento del mercato cinematografico.[5]http://www.prnewswire.com/news-releases/imax-and-chinas-huayi-bros-group-expand-film-partnership-169408446.html
PolyBona Film Distribution Company è, come dice il nome, una società di distribuzione che si è spostata nella produzione cinematografica negli ultimi anni. Poly Bona è ancora la più grande società di distribuzione per azioni, gestendo negli ultimi cinque anni 120 film nazionali e stranieri e fino al 20% della quota di mercato complessiva. Con il suo inserimento nella produzione cinematografica, nel solo 2006 ha prodotto e coprodotto oltre venti film (Song 2009). Infine, e integrato dal governo nel 2001, lo Shanghai Film Group è una delle prime cinque e più grandi imprese di produzione cinematografica e tra le prime quindici imprese produttrici di serie TV. Questo grande conglomerato possiede anche un canale di film chiamato Oriental Movie Channel e la più grande catena di teatri in Cina, lo Shanghai Lianhe Cinema Circuit. Detiene fino al 25 percento del botteghino.
Tuttavia, e sebbene la produzione di film ad alto budget da parte di questi pochi studi sia la tendenza maggiore, ce n’è una alternativa che è apparsa dall’impossibilità dei piccoli studi di competere con loro. Ci sono oltre 300 società cinematografiche private e altri 20 studi di proprietà statale che operano in modo indipendente senza avere alcuna integrazione verticale o orizzontale (Song 2009). Queste società cinematografiche hanno due modi per avere successo: il primo è lavorare sulla produzione di film artistici, solitamente affiancati da partner di Hong Kong o Taiwan, e con l’obiettivo di raggiungere mercati di nicchia esteri che richiedono film indipendenti in stile orientale. Il secondo modo è produrre “i film di propaganda” finanziati dal governo, un percorso che di solito seguono i piccoli studi statali.
Per quanto riguarda gli effettivi profitti dei film, dopo gli anni novanta le norme per il controllo dell’ingresso internazionale sul botteghino calava incessantemente al punto che nel 2003 i guadagni dalla vendita dei biglietti sono stati inferiori a 1 miliardo di RMB. Questo reddito è stato generato principalmente nelle grandi città e le loro catene di teatri che erano molto più usate dalle persone che dai piccoli teatri indipendenti.
Tuttavia, e in parte a causa degli accordi che la Cina ha iniziato ad avere con altri paesi e spinta dall’inclusione nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2001, durante la metà degli anni 2000 le cose hanno iniziato ad accelerare un po’, non avendo battute d’arresto annuali dal 2003. Nel 2007, in Cina le entrate al botteghino hanno raggiunto i 3,3 miliardi di RMB, 6,7 miliardi se contiamo l’intera catena dell’industria. Queste entrate continuavano a provenire dalle catene di teatri urbani, o almeno l’83,8 per cento di esso. L’anno successivo, i ricavi hanno raggiunto i 4,3 miliardi di RMB e per la prima volta nella storia della Cina, questo ha collocato il paese tra i primi 10 mercati del mondo per il cinema (Zhang 2012).
Questa tendenza è stata rafforzata con la creazione di produzioni più grandi. Uno dei migliori esempi della sua esuberanza è il film “Founding of a Republic” (2009) di Han Sampling. La pellicola, che è stata commissionata dal governo in occasione del 60° anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese è stata prodotta e diretta dall’Amministratore Delegato del Gruppo China Film, di proprietà statale. A causa dell’importanza dell’evento, il film include la comparsa di 177 star e registi cinesi di spicco, compresi quelli famosi in tutto il mondo come Jackie Chan, Jet Li o Zhang Ziyi. Il film ha ottenuto guadagni per oltre 400 milioni di RMB, il che ha rassicurato che il paese stava entrando nell’era dei “blockbuster commerciali di propaganda” (Tang 2015).
Il mercato del cinema era alle stelle. Nel 2009 i numeri erano salite a 6,1 miliardi di RMB, e nel 2010 è stato stabilito un nuovo record, con 10,17 miliardi di RMB in un solo anno, con una crescita del 43 per cento rispetto all’anno precedente (Su 2016). Nel 2009 è successo anche qualcosa di nuovo, un blockbuster americano chiamato 2012 ha vinto la vetta del botteghino, ma questo era ciò che poteva essere definito un “film di propaganda” americano, in cui solo la Cina può salvare il mondo. Il successo ottenuto con questo film ha sollevato molti problemi su come commercializzare il film e su come il pubblico ha risposto a certe trame di matrice patriottiche.
Con l’aumento vertiginoso degli incassi al botteghino, il numero di schermi ha iniziato a salire esponenzialmente. Prima del 2010 in tutto il paese veniva aperto poco più di uno schermo al giorno.
Ma dopo quell’anno, il numero raddoppiò, persino interi cinema furono costruiti a una velocità maggiore di uno al giorno. Le cose sono diventate più veloci solo dopo, dai 4,2 schermi al giorno che venivano inaugurati nel 2010, agli 8,3 schermi del 2011, fino ai 10,5 schermi aperti tutti i giorni nel 2012 (Leung e Lo 2015).
Dal 2010 in poi i film cinesi hanno iniziato ad avere sempre più una posizione di leadership nelle quote del botteghino. La maggior parte dei primi dieci film al botteghino ha iniziato ad essere delle produzioni o coproduzioni di studi cinematografici di proprietà statale e nel 2012 e nel 2013 i film numero uno sono stati prodotti esclusivamente dalla Cina. Solo negli ultimi quindici anni la quota nazionale è passata dal 33 per cento al 60 percento, che è considerata una quota elevata per un mercato (Nilsson 2015).
È anche importante riconoscere che il botteghino tende a concentrarsi nelle grandi città. Nel 2008, un ottavo del totale dei botteghini è stato incassato proprio a Pechino. Questo reintroduce l’idea che i modelli migratori delle persone dalle aree rurali a quelle urbane aumentino complessivamente il box office, che è aumentato di oltre 25 volte in meno di quindici anni.
E poi, nel febbraio del 2015 è successo un evento storico, il botteghino cinese ha superato quello americano per la prima volta nella storia (Brzeski 2016). Questo ha fatto scattare tutti gli allarmi.
Sembrava essere solo la punta dell’iceberg di ciò che stava effettivamente succedendo tra Cina e Hollywood, o almeno ciò che è venuto a galla. Negli ultimi 20 anni, la quota di i film internazionali che potevano entrare in Cina era cambiata molto poco, mentre l’ambiente che lo circondava si era evoluto verso una competizione assoluta tra il paese e il resto del mondo.

La Cina contro il mondo

Fin dall’inizio, l’industria cinematografica è sempre dipesa dal rapporto tra diversi paesi a causa della domanda del pubblico per la varietà e della necessità dei produttori di ottenere il maggior profitto possibile. Le stampe sono facili da esportare, importare e girare e per questo motivo sono soggetti a grandi economie di scala, quindi il loro costo di esportazione tende ad essere molto inferiore ai possibili guadagni.
Per la Cina, avere un’economia chiusa fino al 1978 non ha reso le cose facili per l’adattamento alla velocità nell’importazione e nell’esportazione verso cui gli altri paesi stavano andando, né i tentativi della Cina di mantenere misure protezionistiche per promuovere la produzione interna.
Sebbene prima del 1979, solo gli Stati Uniti avevano inserito nella lista nera il dramma americano, The Salt of the Earth[6]Pellicola degli USA diretta da Herbert J Biberman e sceneggiata da Michael Wilson. (NdT) è stato importato in Cina (Sandhu 2014). Non è stato fino agli anni ’90 che lo stato ha iniziato ad affrontare seriamente la produzione cinematografica straniera, molto probabilmente perché prima della revisione strutturale gli studi cinesi erano troppo improduttivi per competere con i grandi studi di Hollywood.
Quindi il primo film che è stato importato in Cina dagli Stati Uniti con l’obiettivo di aprire il mercato locale era The Fugitive nel 1993. Ha incassato da solo 3 milioni di dollari in Cina, cosa che ha allarmato le autorità cinesi per il potere di questi film stranieri sugli spettatori locali (Tempest 1994).
Nel 1995, tra il 70 e l’80 percento degli interi incassi al botteghino proveniva da pellicole d’importazione (Zhu e Rosen 2010). Questo non significava solo guadagni per le pellicole straniere, ma anche ha dato un impulso ai grandi film nazionali. Il film cinese Red Cherry ha avuto un ottimo risultato al botteghino, superando altri film internazionali, e il rendimento totale è aumentato del 15%.
L’alto costo di produzione di Hollywood è stato fissato come misura standard per la qualità negli Studios cinesi, le aziende che avevano un budget media basso di 10 milioni di RMB per film a metà degli anni ’90. Con film come Nel calore del sole, Il re di Lanling, Red Cherry, o Shanghai Triad, l’industria cinese ha iniziato a effettuare alcuni investimenti record nella storia del suo cinema nazionale.
Il governo ha visto che era necessario regolamentare l’ingresso di questi film. È stato allora quando il Ministero della Radio, del Cinema e della Televisione presentò il “Progetto 9550” che è stato illustrato prima, e che stabiliva che un massimo di 10 film stranieri sarebbero stati importati annualmente dal 1996 al 2000. Questi film sarebbero stati quelli che il governo riteneva eccellenti e più importanti, la quota è stata riempita quasi interamente da film americani, seguiti da quelli realizzati ad Hong Kong, che ancora contava come cinematografia “straniera” (Hemelryk Donald, Hong e Keane 2014).
Il regolamento condivideva il diritto di distribuire queste pellicole estere con gli studi che erano coinvolti nella produzione dei “film di qualità” che il governo voleva sovvenzionare indirettamente per mostrare i buoni costumi della cultura cinese. Nel 1996 i tre grandi studios cinesi che hanno prodotto i 10 principali successi al botteghino, Beijing Studio, Changchun Studio e Shanghai Studio, hanno ottenuto i diritti di distribuzione di film come Toy Story, Waterworld o Jumanji, condividendo gli incassi al botteghino con Hollywood (Zhu e Rosen 2010).
D’altra parte, contemporaneamente, i film cinesi hanno iniziato a essere distribuiti nei paesi d’oltremare dagli studios locali. I profitti creati da queste importazioni non sono stati raccolti dagli studi. Queste importazioni sono state gestite dalla China Film Import and Export Corporation, e gli studios che hanno distribuito i film hanno finito per ottenere solo il 14% da questa società, che gestiva i diritti in esclusiva per gli acquirenti stranieri.
Quando negli anni 2000 la Cina è entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), il governo cinese ha accettato l’aumento della quota di importazione a 20 film stranieri con compartecipazione alle entrate annue, questo pero non sembrava ancora essere sufficiente per le autorità americane (Zhang 2008). Le cose hanno iniziato a cambiare nell’aprile 2007, quando gli Stati Uniti hanno vinto una causa contro la Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio per le restrizioni alle importazioni.[7]https://www.wto.org/english/tratop_e/dispu_e/cases_e/ds362_e.htm Ci sono voluti altri due anni prima che l’OMC considerasse i vincoli introdotti dalla Cina una violazione dei suoi diritti e obblighi come Stato membro, e le imponesse l’obbligato a conformarsi alle norme entro marzo del 2011.
Nel dicembre del 2009 l’OMC ha respinto l’appello della Cina contro la sentenza, ha affermato che la Cina dovrebbe smettere di costringere gli imprenditori degli Stati Uniti a utilizzare le aziende statali cinesi per distribuire film e libri, con questo ha rotto il monopolio che avevano il China Film Group e la Huaxia Film Distribution (parzialmente di proprietà di China Film). Tuttavia, questa sentenza ignora il ricorso contro la regola dei venti film stranieri compartecipanti agli incassi annui, e fu anche d’accordo con la Cina che le autorità cinesi avevano il diritto di vietare i film stranieri che i censori ritenevano discutibili (Zhang 2012).
Man mano che vengono definite le regole cinesi, anche con un aumento della quota, il futuro di ciascuno film straniero che entra nel mercato cinese è incerto. Il governo può prendere misure come preferisce e introdurre in diversi periodi dell’anno il divieto di proiettare i film stranieri.
Ad esempio, senza preavviso, il 18 maggio 2004, le autorità hanno annunciato che i film sui quali si era già raggiunto un accordo sull’importazione sarebbero stati banditi dal cinema cinese nei mesi di luglio e ottobre in occasione dell’anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese il 1 ottobre, così come per l’anniversario degli eventi di Piazza Tienanmen il 4 giugno. Ciò tende ad accadere continuamente, come quando l’Amministrazione Statale di Radio, Film e Televisione ha annunciato che durante l’anno ci sarebbero state tre occasioni – dal 10 giugno al 31 luglio, dal 25 settembre al 10 ottobre e dal 1 dicembre al 20 dicembre – quando devono essere proiettati solo blockbuster nazionali.[8]http://dfat.gov.au/trade/agreements/chafta/Documents/cfta_submission_6se05.pdf Questi periodi hanno registrato i dati più bassi dell’anno al botteghino, ma la politica è continuata. Altri strumenti anche indiretti sono utilizzati dalle autorità cinesi per ridurre la presenza dei film americani nelle sale cinesi, come la riluttanza a mantenere questi film nelle sale una volta raggiunti i 100 milioni di RMB, ad eccezione di “super-blockbuster” e saghe, che potrebbero essere Harry Potter o James Bond (Zhang 2012).
Poiché il governo cinese non è riuscito a modificare le sue pratiche secondo quanto stabilito nella sentenza dell’OMC del dicembre del 2009, è stato costretto a raggiungere un accordo provvisorio con il governo degli Stati Uniti. Questo accordo tra gli Stati Uniti e la Cina, ufficiale dal febbraio del 2012, è stato chiamato Protocollo d’intesa, ha aumentato l’accesso dei film stranieri al mercato cinese. I numeri esatti sono di 34 film in confronto ai precedenti 20 all’anno, e una quota al botteghino del 25 per cento invece del 13 percento che era stato stabilito prima. L’accordo deve essere sottoposto a revisione di nuovo nel 2017, con l’obiettivo di produrre un accordo ufficiale entro il 1 gennaio 2018 (O’Connor e Armstrong 2015).
Anche se le barriere all’ingresso sono molto alte, i ritorni che i film americani possono ottenere dal mercato cinematografico cinese è ancora più alto. Gli esperti hanno continuamente affermato che al tasso attuale il mercato cinematografico cinese supererà quello americano entro il 2018 (Child 2015). L’aumento nella classe media cinese farà spendere più soldi ai cittadini per l’intrattenimento, e con un PIL che negli ultimi quindici anni è aumentato di otto volte il fatto che il mercato cinematografico cinese assuma la prima posizione sembra inevitabile.
Mentre il mercato cinese è in crescita, quello americano è stagnante. Il costo di produzione dei film di Hollywood continua a crescere poiché il costo medio di produzione attualmente è di circa 200 milioni di dollari, con ulteriori 50 o 100 milioni di dollari per il marketing, che è un aumento significativo rispetto ai numeri nel 1996 quando il costo medio era solo di 60 milioni di dollari. Questo costringe Hollywood a guardare ai mercati esteri solo per ottenere profitti, facendo sembrare il cinese il più succulento. Solo nel 2014, i 6 più grandi studi di Hollywood hanno ottenuto il 70 percento delle loro entrate dai mercati al di fuori del Nord America (O’Connor e Armstrong 2015).
Gli Stati Uniti sono al punto in cui la necessità di entrare nel mercato cinematografico cinese è così forte ed essenziale che gli sceneggiatori americani modificano le sceneggiature, le scene o il casting prendendo in considerazione i censori cinesi e il limite di 34 film. Per un film di Hollywood, a volte essere tra quei 34 film non è un privilegio, ma una necessità. Grandi successi come X-men sono stati ottenuti adattandoli per compiacere i cinesi. Il film ha anche aggiunto scene a Hong Kong e un cameo di una famosa boy-band cinese perché piacesse. Questo ha funzionato in effetti; il film ha ottenuto 116 milioni di dollari di fatturato lordo solo in Cina. Per altri film che includono programmi spaziali come Gravity o The Martian bisogna tenere in considerazione che alle autorità cinesi non piacciono i film che implicano la loro inferiorità in militari o astronavi, ed è per questo che entrambi hanno dovuto aggiungere scene in cui i cinesi li aiutavano –anche in minima parte – nello spazio. A questo proposito, Gravity ha ottenuto 71 milioni di dollari in Cina, il 10 percento del suo profitto lordo mondiale.
A volte questi cambiamenti sono imposti direttamente dai censori che danno vaghe linee guida su quello che è proibito alle sceneggiature americane e una volta fatto il film vietano intere scene.
In Mission: Impossible 3, ad esempio, doveva esservi una scena di stendibiancheria sui tetti piatti scena cancellata perché i censori indicavano che questo mostrava una rappresentazione negativa di Shanghai come a città dove nessuno possedeva delle asciugatrici: un segno di povertà (O’Connor e Armstrong 2015).
Un altro modo di fare investimenti in Cina, anche se meno popolare, prevedere di seguire un altro percorso, le autorità consentono agli investitori stranieri di investire in società cinesi fino al 49% nei film con compartecipazione agli incassi. In questo modo si lascia da parte l’attenzione del mercato cinese e ci si concentra nei fattori produttivi del paese. La legge consente inoltre agli investitori di investire denaro nelle sale, fino al 49% del costo del teatro, una cifra che arriva fino al 75% nelle città più grandi. Tuttavia, non possono creare delle proprie catene di cinema (Xu 2007). In questo modo le aziende straniere possono produrre film cinesi per il mercato cinese o per mercati stranieri, come è comune nel caso dei film artistici.

Aggirare la quota: la coproduzione

Il modo per aggirare la quota annuale dei film è facile ma compromettente, consiste nel trovare in Cina una società disposta a coprodurre un film. Questo modalità di realizzazione dei film è stata presente durante l’intero processo di apertura del settore. Sebbene abbia acquisito importanza dall’anno scorso, parecchi grandi nomi hanno scommesso su questo modo di fare film per assicurarsi l’ingresso nel paese del “drago rosso”.
La China Film Coproduction Corporation è stata fondata nel 1979, questo è un ramo statale che ha gestito gli studi cinematografici cinesi formando una joint venture con altri paesi e regioni – più comunemente con Hong Kong in quei primi anni, che è diventato il terzo principale produttore di film negli anni ’80, subito dopo Hollywood e Bollywood – (Cheung e Marchetti 2015).
Secondo la legislazione cinese, una coproduzione dovrebbe includere due o più parti come investitori, avendone uno cinese e l’altro almeno da un paese straniero. Si dovrebbe prendere in considerazione che l’investimento domestico potrebbe essere fatto dallo stato stesso, un caso che è accaduto in numerose occasioni, soprattutto nei primi anni dell’apertura.
Nel 1997 è stato introdotto un nuovo regolamento sulle coproduzioni, che stabiliva che un massimo del 25% dei film potrebbe essere realizzato attraverso il metodo della coproduzione internazionale. Cose sarebbe stato fatto in quel modo da quel momento in poi fino a circa il 2002, quando il governo ha istituito la Divisione Industrie Culturali del Ministero della Cultura. Questa divisione ha formalizzato l’idea di utilizzare la cultura come strumento per promuovere la Cina e l’agenda politica del governo cinese.
Ciò ha avuto molto a che fare con la firma del Closer Economic Partnership Arrangement (anche noto come CEPA) il 29 giugno 2003. L’obiettivo di questo accordo era rafforzare il commercio e la cooperazione in materia di investimenti tra la Cina continentale e Hong Kong. Tradotto in termini di industria cinematografica, questo significava che Hong Kong non avrebbe avuto bisogno di essere nel blocco della coproduzione e potrebbe realizzare liberamente film utilizzando i beni culturali cinesi (Peng 2015). Tuttavia, anche la Cina ha utilizzato questo accordo a proprio favore, potendo ora utilizzare registi di Hong Kong che avevano già fatto un film di alto profilo a Hollywood come proprio, per esempio, John Woo o Ang Lee.
Al giorno d’oggi, le coproduzioni sono organizzate attraverso la China Film Coproduction Corporation e assorbono fino al 43 percento delle vendite dei biglietti (Peng 2015). Questa società è di proprietà statale, e come altre imprese di produzione cinematografica, è controllata dal SAPRFT[9]Amministrazione Statale di Radio, Film e Televisione, NdT.. Le coproduzioni sono state sempre più comuni, ad esempio, dal 2002 al 2012 sono stati prodotti in totale 37 film tramite coproduzioni, mentre solo nel 2013 sono stati realizzati 5 film in questo modo (O’Conor e Armstrong 2015).
Tuttavia, per essere accettato come coproduzione, il film deve seguire certi requisiti minimi e linee guida. Il film deve avere almeno una scena girata in Cina, nel cast un attore cinese, avere almeno un terzo dell’investimento deve provenire da aziende cinesi e deve illustrare “caratteri cinesi positivi”.
La facilità di entrare nel mercato cinese semplicemente seguendo queste linee guida lo rende un buon incentivo e molti grandi registi stranieri sono disposti a soddisfare i requisiti pur di poter entrare. Il più recente e famoso è il nuovo film Avatar, che sarà completato attraverso una joint-venture tra Cameron Pace Group e il cinese Tianjin NorthFilm Group e Tianjin Hi-Tech Holding Group, che si occuperà degli effetti 3D del film e farà ottenere al film di James Cameron un maggiore accesso alla Cina nel suo prossimo film (O’Connor e Armstrong 2015).

Uno sguardo al futuro

Prevedere cosa accadrà nei prossimi anni nell’industria cinematografica cinese richiede di osservare le diverse forze coinvolte, è possibile prevedere che queste forze non andranno nella stessa direzione ma nemmeno in quella opposta.
Il boom dell’industria ha avuto più a che fare con la crescita costante della popolazione che con con l’intervento diretto del governo nel settore. I regolamenti hanno quasi sempre un effetto passivo e una conseguenza delle politiche economiche complessive piuttosto che una specifica volontà di riformare le industrie creative del paese. Il conflitto causato dal governo nel voler liberalizzare l’economia del paese e la volontà di continuare ad avere il monopolio ideologico attraverso le industrie culturali ha causato contraddizioni in passato, e non lo farebbe sarà raro averne di più in futuro.
Tuttavia, il vero motore del settore, il cambiamento nella demografia del paese, è ancora in divenire. Anche se l’economia soffrirà del fallimento a lungo termine delle politiche passate come la politica del figlio unico, che ha destinato il Paese a un inevitabile invecchiamento della popolazione che richiederà un cambiamento nella struttura fiscale e nell’economia generale. Le statistiche dicono che anche se la Cina cresce a un ritmo di un terzo del suo tasso di crescita passato, supererà le dimensioni degli Stati Uniti entro il 2030 e diventerà anche un paese ad alto reddito.[10]http://www.worldbank.org/content/dam/Worldbank/document/China-2030-complete.pdf L’aumento di gli standard di vita, insieme alla migrazione verso i centri urbani e verso la parte orientale della Cina fa salire le persone nella piramide dei bisogni di Maslow. Questo cambiamento, e la già enorme popolazione del paese consente di avere un mercato molto attraente che altri paesi non potrebbero nemmeno sognare. Oggi il cambiamento è rappresentato dalla creazione incrementale di catene di cinema e schermi di proiezione in tutto il paese. La verità è che la Cina è in grado di assorbire ancora più schermi e il rapporto abitanti per schermo è ancora molto alto rispetto ad altri paesi più modernizzati, il che significa che se questa tendenza continuerà, l’industria cinematografica cinese potrebbe facilmente raddoppiare le sue dimensioni in pochi anni.
Anche se, come è stato detto, l’intervento del governo nell’industria cinematografica è stato un po’ carente, la strategia che la Cina sta utilizzando per proteggere la sua produzione locale è interessante. Nella situazione di globalizzazione del mondo e partecipando a organizzazioni come l’Organizzazione Mondiale del Commercio, le misure protezionistiche sono difficili da applicare da sole. Tuttavia, la Cina ha trovato il vuoto giuridico che gli consente di usare la censura non come strumento ideologico ma come mezzo economico. L’OMC ha già dichiarato che la Cina dovrebbe allargare la quota di film internazionali che entrano nel paese, ma ha anche annunciato che la Cina ha ancora il diritto di censurare qualsiasi film voglia. Quindi se un film straniero supera certi quantità di incassi al botteghino, il governo può usare il suo diritto di bandirlo dalle sale adducendo motivi di censura.
Gli addetti ai lavori del settore hanno commentato che la quota verrà presto ampliata, ma la dichiarazione ufficiale non è stata ancora fatta. Si consiglia di tenere d’occhio la revisione del Protocollo d’Intesa che sarà annunciato nel 2017 e ufficializzato il 1° gennaio 2018. I passi necessari da compiere dopo il memorandum per placare il conflitto internazionale rimane incerto e dipenderà in larga misura da cosa sarà dichiarato in questa revisione.

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2 renminbi, la valuta della Repubblica Popolare Cinese, NdT.
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9 Amministrazione Statale di Radio, Film e Televisione, NdT.
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