Manifesto dell’Assemblea romana

Manifesto dell’Assemblea costituente romana del 2 marzo 1849

Categoria: Risorgimento

REPUBBLICA ROMANA. A TUTTI I POPOLI L’Assemblea Costituente. Un Popolo novello vi si presenta a dimandare e ad offrire benevolenza, rispetto, fratellanza. Novello vi si presenta quel Popolo che era già il più il lustre della terra! Ma fra l’antica grandezza e questa risurrezione, stette per mille anni il papato! Popoli d’Europa ! Noi ci siamo conosciuti quando il nome del popolo di Roma faceva terrore; noi ci siamo conosciuti quando il nostro nome faceva pietà. Voi potete aborrire la memoria di quell’età di dominazione e di forza; ma non potete condannarci a meritare la pietà del mondo interminabilmente. Quale di voi preferirebbe di essere compatito? Il Popolo dello Stato Romano ha voluto riformare la propria associazione politica, e ha fatto Repubblica; e innanzi a questo grande atto della imprescrittibile sovranità del Popolo tutto il passato si consuma e svanisce. Il Popolo ha voluto. Chi sopra il Popolo? Iddio soltanto: ma Iddio creava i Popoli per la libertà. Il Popolo ha voluto, e la sua volontà non ha bisogno di chiedere giustificazioni dal passato: la sua ragione è antecedente ad ogni fatto umano. Ma se pure volgiamo indietro lo sguardo, noi possiamo contemplare le ruine del Papato tranquillamente, e assai più che non fosse tranquillo il papato allorché si piantava sulle ruine della nostra antica grandezza politica. Era piena di lagrime la storia d’Italia, e al Papato ne veniva ascritta gran copia. E nondimeno, allorché si fece innanzi al Papato, e mise la Croce sulla cima del Vessillo Nazionale, vide il mondo che gli Italiani erano presti ad obliare sue colpe: e a nome di un Papa iniziava la rivoluzione. Ma quella fu appunto la prova di quanto potesse il Papato, e di quanto non potesse. I Predecessori dell’ultimo Regnante erano stati troppo cauti per non impegnarsi a tal prova, e la loro potenza non fu misurata che dalle sciagure accumulate sui Popoli. L’ultimo Regnante si avventurava primo nel l’opera, e volle ritrarsene quando si fu accorto che egli aveva rivelato una terribile verità, cioè l’impotenza del principato Papale a far libera, indipendente e gloriosa la Nazione italiana, volle ritrarsene, ma fu tardi. Il Papato aveva giudicato sé stesso. Ecco perché la decadenza del Papato è stata così vicina alla sua gloria: la gloria del Papato era l’aurora boreale che precedeva le tenebre. Sperammo tuttavia; ma un sistema di reazione fu la risposta che venne dal Papato. Cadde la reazione. Il Papato dapprima dissimulò: vide la pace del Popolo, e fuggì. E nel fuggire portò seco la certezza di destare la guerra civile; violò la costituzione politica; ci lasciò senza governo; respinse i messaggi del Popolo; fomentò le discordie; stette in braccio del più feroce nemico d’Italia, e scomunicò il Popolo! Questi fatti mostrarono abbastanza che il Principato Papale né voleva, né poteva modificare sé stesso, e non restava che o subirlo, o distruggerlo. Venne distrutto. Se liberalità di regnanti o tolleranza di popoli avevano posto il Papato nella Città de Scipioni e de’ Cesari, invece che nel mezzo della Francia e sulle rive del Danubio o del Tamigi, doveva esser per questo che gl’Italiani perdessero i diritti comuni a tutti i popoli: La Libertà e la Patria? E se è pur vero che alla potestà spirituale del Pontificato sia necessario il possesso d’una sovranità temporale, quantunque non a questa condizione fosse promessa da Gesù Cristo l’immortalità alla sua Chiesa, era dunque serbato a Roma di divenire il Patrimonio del Papato, e divenirlo per sempre? Roma, patrimonio di una sovranità che per sussistere aveva bisogno di opprimere, e per essere gloriosa aveva necessità di perire? E come patrimonio del Papato, farsi cagione della ruina d’Italia? Roma di cui le tradizioni, il nome e fin le ruine parlano sì forte di libertà e di patria? Provocati e abbandonati a noi stessi, abbiamo compiuto la rivoluzione senza versare una stilla di sangue: abbiamo riedificato senza che appena si sentisse strepito della distruzione: abbiamo spiantato la sovranità de’ Papi, dopo tanti secoli di sciagure, non per odio del Papato, ma per amore di Patria. Quando si è saputo compiere una rivoluzione con questa moralità di proponimento e di mezzi, si è insieme dimostrato che questo Popolo non meritava di servire al Papato; ma era degno di signoreggiare sé stesso, degno di Repubblica ! Esso è degno perciò di esser fratello nella grande famiglia delle Nazioni, e di ottenere la vostra amicizia, e la vostra stima. La Repubblica Romana terrà l’impronta della sua origine. Metterà un Popolo libero in difesa dell’indipendenza religiosa del pontefice, al quale, ben più che pochi palmi di territorio padroneggiato, varrà la religione di un Popolo repubbicano. La Repubblica Romana si accinge a tradurre le leggi di moralità e carità universale nella condotta che si propone, e nello svolgimento della sua politica. Roma, 1 marzo 1849. PER L’ASSEMBLEA Il Presidente G. GALLETTI.

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