Manifesto delle popolazioni degli Stati Romani

Manifesto delle popolazioni degli Stati Romani ai Principi e ai popoli d’Europa del 1845

Categoria: Risorgimento

Allorquando il Pontefice Pio settimo veniva restaurato nel dominio di questi stati, dava fede colle parole mandate innanzi al Motu-proprio del 1816 di stabilire una maniera di reggimento, che ritraesse da quello del cessato regno d’Italia, e fosse accomodato ai bisogni della progrediente civiltà. Ma non andò guari, che essendosi pubblicato il Codice civile e criminale, si parve manifesto lo studio di fare copia di un passato odioso anzichè mantenere le date promesse, e seguire i consigli che il Congresso di Vienna aveva’dati alla Romana Corte. Nulladimeno, per quanto fosse amara alle popolazioni la delusione delle concepite speranze, e per quanto andassero poco a’versi delle medesime la signoria non solo, ma la privilegiata podestà e fortuna del ceto chiericale, che teneva lontano il laicale dai principali onori e ministerii, pure il malcontento non si tradusse in atti violenti, sebbene correndo gli anni 1821 e 1822 Napoli e Torino levassero grida ed insegne di libertà. Ma posciachè gli Austriaci ebbero compressi i moti di quelle provincie italiane, la Corte pontificia, lungi dal rimanersi paga della quiete serbata in mezzo a tanto bollore di desiderii, e concitamento di animi, volle prendere vendetta dei pensieri, degli affetti e dei sentimenti, e rialzatasi dalla sofferta paura diè mano ad inquisizioni politiche, le quali gittarono le semenze di quegli odii di parte, onde si colsero nell’avvenire tanti frutti di sangue.
Moriva Pio settimo nel 1823, e montava sulla catteci dra di San Pietro Leone duodecimo, il quale essendo di natura prona agli estremi, gridò la croce sugli amatori del vivere libero e civile, e mandò a governare le Romagne un Rivarola, che ne fu accusatore e giudice e molti ne fece sostenere, molti ne dannò al carcere e molti all’esiglio senza riguardo di età, di condizione, e di onorata vita. E nel tempo che il nuovo Pontefice travagliava in questa guisa le opinioni, e le coscienze de’sudditi, poneva la scure sulle radici della civiltà, ampliando i privilegi delle mani-morte e locupletandole, abolendo i Tribunali collegiali, ridonando nuovo vigore a quello del Santo Officio; concedendo facoltà agli ecclesiastici di ricercare e giudicare delle cause dei laici; imponendo l’uso della lingua latina nelle Curie, nei Collegi, e nelle Università e mettendo in soggezione dei Preti la pubblica istruzione, ed ogni pio stabilimento. Poi, quasichè il Rivarola non avesse oppresse e contristate abbastanza le provincie romagnole, gli mandava dietro una così detta Commissione costituita di preti e di soldati, la quale per anni ed anni stanziò nelle medesime, le insanguinò e le tribolò così fattamente, che la memoria e l’astio ne durano ancora vivi e solenni. A Leone morto successe Pio ottavo, il quale camminò sulle orme dello antecessore, e lungi dallo studiare modo per sanare le gravi ferite, procaccionne di nuove, e ricolmò la misura della sofferenza. Il rivolgimento avvenuto in Francia nell’anno i 830, e gli altri che accaddero in quell’epoca in altri stati d’Europa, furono occasione a ciò, che passato di vita Pio ottavo, e vacante l’Apostolica Sede, le popolazioni dello Stato Romano avvisassero potere scuotere o rendere più lieve il giogo della Pontificia soggezione. Ne’primi di febbraio del 1831, il governo ne cadde da Bologna fin presso la capitale e cadde senza sforzo e senza violenza, nè certamente sarebbesi rialzato di quella caduta, se l’Austria non fosse sollecitamente accorsa colle sue truppe a sollevarlo, e fargli puntello. Ma nel tempo, che codesta Potenza comprimeva il moto popolare, si univa alla Francia, all’Inghilterra, ed alla Prussia per esortare il nuovo eletto Pontefice Gregorio decimosesto a mutare in meglio il reggimento di guisa da potersi sperare una durevole pace; per la qual cosa li rappresentanti delle quattro potenze presentavano il 21 maggio del 1831 una nota diplomatica, nella quale, fra le altre riforme, proponevano: fossero i laici preposti a tutte le dignità, e a tutti gli uffici civili, amministrativi e giudiziarii; il popolo eleggesse li Municipali consigli, questi nominassero li Provinciali, da cui venisse eletta una corte suprema da avere sede in Roma, ed autorità di regolare le civili e militari bisogna, e di sovraintendere al debito pubblico. I sudditi pontificii aprirono il cuore a dolci speranze, posciachè ebbero conoscenza di simigliante atto; molto più che il Pontefice annunziava pubblicamente ch’ei sarebbe per fare tali mutamenti da segnare lo incominciamento di un’Era Novella. E sebbene non ponessero molta confidenza nella sincerità delle promesse della Corte, che di recente ancora aveva fatto segno di solenne malafede, dichiarando nulla ed irrita la capitolazione Anconitana accordata dal Benvenuti Cardinale munito d’illimitati poteri, pure quetarono nell’aspettativa di giorni migliori. Ma a poco andare le speranze svanirono, perchè nell’Editto pubblicato alli S luglio non era motto nè di popolare elezione de’municipali consigli, nè della istituzione del supremo Consiglio di Stato, nè di alcun’altra di quelle provvisioni, che si convengono al vivere civile nelle temperate monarchie. Intanto gli Austriaci sgombravano dalle Legazioni alla melà del mese stesso, e la custodia delle leggi, e dell’ordine pubblico rimaneva affidata ad una guardia cittadina approvata dal governo. Ma quantunque le popolazioni male soddisfatte rimanessero in balìa di sè medesime, non solo rispettarono la sovranità, ma fornirono certe prove di amore alla quiete, e di moderati pensieri e desiderii. Fra quali & merita di venire principalmente memorato, l’essersi verse mandatiprovincie a Romafradeputati li più specchiati alcuni cittadini per onestà, delle di- ri putati per sapere, e riveriti per grado, affinchè rappresentassero al Sovrano li bisogni, implorassero i provvedimenti e studiassero di porre il suggello ad una vera concordia fra governanti e governati. Ma la Corte, che manifestamente astiava il Corpo della guardia cittadina, e tutti i novatori per temperanti che fossero, non solo rifuggiva dal pensiero di fare ragione ai reclami, ma le pareva mill’anni di punire coloro che li avanzavano, e nel tempo in cui ora molciva, ora bravava i deputati e tenevali a bada con usate ambagi, veniva raggranellando quanti uomini d’armi potesse; e cumulava in Rimini una truppa costituita nella maggior parte di banditi e di scherani sotto il comando di Albani Cardinale, al quale affidava lo incarico non di pacilicare, ma di invadere e conquistare le Legazioni; non di accomodare il reggimento ai pronunciati bisogni ed alle assegnate volontà, ma di instaurare il dispotismo in tutta la sua pienezza. E così mentre da un lato vedevansi i sudditi supplichevoli offrire pace a ragionevoli patti, dall’altro notavansi di ribellione, e si andavano forbendo le armi che dovevano essere tinte nelle vene dei cittadini in nome di Colui che rappresenta in terra un Dio di mansuetudine e di amore. Le bande raunaticcie dell’Albani mossero improvvisamente all’impresa in sul cominciare dell’anno 1832, e le guardie cittadine commosse all’annunzio vennero accorrendo a Cesena per far fronte anche cogli inermi petti a coloro che di voglie ladre e sterminatrici già avevano fatte prove in Rimini, e che dal condottiero erano spronate a violenze inaudite colla promessa de’ premii temporali e spirituali. Ma i Tedeschi non lasciarono tempo e comodità alla difesa, perché entrarono nelle provincie di Bologna e Ferrara nel di stesso in cui i Papali si avanzavano in quella di Forlì; laonde accadde che imbaldanziti gli assalitori dalla facilità e sicurezza della vittoria, saccheggiassero Cesena, e le circostanti chiese, poi giunti a Forlì facessero orrido macello di venticinque fra vecchi, fanciulli e femmine, mentre altri mossi da Ferrara spargevano sangue a Lugo, a Bologna ed a Ravenna; e così incominciavano in fatto la promessa Era Novella del Pontificato di Gregorio decimosesto. Noi lasciamo alla storia l’ufficio di tramandare ai posteri infinite. dolentissime memorie, temendo che dai presenti venga a disamore e risentimento imputata la libera e vera narrativa, e ci contentiamo di segnare i sommi capi delle accuse che le popolazioni fanno al Governo del regnante Gregorio; accuse, ciascuna delle quali è soverchia per dare il diritto di altamente protestare contro la tradita fede, la conculcata giustizia, la straziata umanità e l’mprontitudine della tirannide.
Nel 1 832 la setta de’sanfedisti reclutò fra più perduti individui delle più abiette classi della società una mano di gente cupida e facinorosa, la quale prese sacramento di fare sterminio de’liberali senza compassione de’pianti delle donne e delle strida dei fanciulli, ed in nome del Vicario di Cristo vennero benedetti i pugnali di questi centurioni dell’Apostolica Romana Sede, i quali si lordarono del battezzizato sangue de’fratelli. Più tardi scese il Governo alla vergogna di vestirli di uniforme, ed intitolarli volontarii pontificii e si videro ed udirono pubblicamente Vescovi e Preti predicare la novella crociata adescando gli incauti all’amo delle immunità e de’privilegi, avvelenando gli animi ed esasperando gli odii di parte. Centurioni e volontarii per lunghi e lunghi anni impunemente percossero, ferirono, derubarono, uccisero a tradimento i cittadini tranquilli; gli assassinii si noverarono a centinaia; a migiiaia e migliaia le ferite e le percosse, senza dire delle contumelie e dei soprusi d’ogni maniera: e quasichè l’impunità non bastasse, ne vennero agli operatori lodi dal Governo, avanzamenti di grado, e decorazioni di ordini cavallereschi. Non il Pontefice, non Roma, non i Cardinali governarono per otto o dieci anni i popoli delle Legazioni, ma una sanguinaria fazione di plebe imbestiata tenne le vesti ed il ministerio di governo. I consigli municipali e tutte le magistrature vennero invasi dagli acoliti o fautori della medesima; si chiusero le Università, e fu tolto a molta gioventù di continuare gli studi ed ottenere i gradi accademici, ed a molti che li avevano ottenuti non solo fu proibito di ottare ai pubblici impieghi delle comunità, ma perfino di esercitare le libere professioni. Il Bernetti Cardinaie Segretario di Stato scrisse lettere circolari alli Presidi de’tribunali ed ai governatori, nelle quali faceva precetto di applicare sempre ai liberali il massimo grado della pena portata dai Codici, ed il minimo ai fedeli, quando non si trovasse via di assolverli. E nei Codici era sancito, che i delitti politici fossero ricercati e giudicati da’tribunali speciali; che gli Ecclesiastici avessero non solamente un tribunale privilegiato per sé, ma eziandio giudicante delle cause de’laici contendenti co’ medesimi, ed era decretata la pena di morte per le più lievi colpe di Lesa Maestà, e colla pena di morte la confìsca de’ beni. La istruzione intanto non solo rimaneva in assoluta podestà del Clero ma i Gesuiti specialmente la presero a dirigere e ad amministrare, ed il mondo può immaginare il come, senzachè di commenti sia mestieri. La pubblica opinione ogni giorno più notava di perfidia e di stolidezza il Governo, a talchè gli stessi devoti alla Romana Sede non si tenevano dal vituperarla altamente; ma non per questo ella mutava consiglio, e posciachè si conosceva scaduta dall’universale amore e rispetto, e prevedeva con certezza che una volta abbandonata dalle austriache truppe occupanti le provincie, queste sarebbero novellamente insorte, assoldava due reggimenti di fanti stranieri, che venivano comperati nella Svizzera da avari mercadanti ingannatori e frodatori del Governo e dei reclutati. Così per sopperire alle ingenti spese dell’arruolamento e del mantenimento di cotesti Pretoriani, e per satollare la cupidigia de’gregarii fedisti, e per dare premio e favore alle congreghe delle spie ed alle masnade de’ sicarii e per mantenere la pompa lussureggiante della Corte, e gli ozii insolenti de’cortigiani veniva fatta necessità di contrarre prestiti ruinosi per lo Stato, di accrescere a dismisura i pubblici tributi imposti sopra un nuovo censimento pieno di erronei calcoli e falsi apprezzamenti, e di appaltare le dogane ed i pubblici balzelli a chi per usura anticipasse danaro. Da ciò l’insolente fortuna di pochi, le strettezze di tutti i possidenti, lo sfrontato lusso de’reggimenti svizzeri, l’abiezione e la nudità delle truppe indigene; da ciò una universale mala soddisfazione, un’ira, un odio in molti che ad irrompere aspettavano tempo ed occasione. I quali effetti dell’insano reggimento della Romana Corte erano stati con ammirabile sagacia predetti da Lord Seymur ambasciatore d’Inghilterra, allorquando ritirandosi dalle conferenze scriveva nel settembre del 1832 ai rappresentanti delle altre nazioni in questa sentenza.
Che gli sforzi di più d’un anno e mezzo fatti dalle cinque Potenze per ristabilire la tranquillità negli Stati Romani erano stati inutili, che d’altronde non era stata accettata veruna delle raccomandazioni fatte nella Memoria del 1831 per rimediare ai principali vizi del governo papale, e che questi lungi dall’adoperarsi per calmare il malcontento, lo aveva accresciuto anche dopo le negoziazioni; per cui un corpo di Svizzeri non basterebbe a mantenere la tranquillità, la quale presto o tardi sarebbe stata turbata.
Ed infatti a mano a mano, che nel volgere del tempo si andava dissipando il terrore, gli spiriti della parte avversa al Governo si rialzavano minacciosi più, quanto più compressi erano stati, ed il covato risentimento niere, e principalmente si andava manifestando con qualcheinatroce diversefattoma-di riazione contro li più esosi persecutori. Infelicissima condizione, se ve ne è una al mondo, quella di popoli che da natura hanno sortito generosità di cuore ed impeto di affetti, lo essere trascinati dalle provocazioni e dalle improntitudini di una fanatica setta governante a stato permanente di sfida, di guerra e di insidie contro gli insidiatori ammantati delle sacre vesti della Religione e del Sovrano! É nella storia romagnola un grave ammaestramento pe’reggitori de’ popoli: chè quando in luogo della giustizia si pone lo spirito delle fazioni civili, il potere non è più conciliatore e giudice, ma ladro e omicida; è franto ogni vincolo della società civile, e la sola forza rimane arbitra delle sorti de’cittadini. Ed importa grandemente ripetere mille volte ai popoli ed ai potentati d’Europa, che le continue inquisizioni, e le inaudite persecuzioni politiche fatte negli Stati Romani dal 1820 fino ai giorni nostri e la guerra contro ai pensieri, alle dottrine, ed ai sentimenti che più onorano l’umana specie, ed i giudizii sommari, ed i moltiplici assassinii commessi in nome della legge, hanno inquinato e corrotto gli animi tutti coll’odio e colla vendetta e non solo hanno tolto ogni morale considerazione al Romano governo, ma lo hanno fatto considerare un nemico implacato ed implacabile della civiltà, spogliatore delle sostanze, insi ic diatore della libertà individuale e della vita, contro al quale ogni mezzo di difesa ed offesa si tiene lecito ed onesto dalle coscienze per cagione sua pervertite. A quel modo che noi notiamo di vituperio ed infamia le provocazioni, le menzogne e le arti perverse del cieco dispotismo romano, così non intendiamo adonestare i fieri corrucci, e le popolari vendette, perché questi e quelle offendono altamente il senso civile di tutti i popoli, la divinità e la società; ma intendiamo bensì di far ricadere la responsabilità degli uni e delle altre su coloro che vi diedero origine e fomento. Certo che negli anni più vicini a questo il partito contrario al Governo dava segni di spiriti restii, insubordinati e minacciosi; certo che nell’agosto del 184 5 nella provincia Bolognese si trascorreva ad atti di ribellione. La maggior parte della popolazione quantunque si tenesse allora dal seguire la rischiosa via dei rivolgimenti operati colla forza, plaudiva a quelle mostre, perché credeva che alla perfine fatto capace il governo dei bisogni universalmente sentiti e dei comuni desiderii, avrebbe dalla necessità preso il consiglio di accomodarvisi.
Ma questo lungi dal vedere nel fatto della banda armata bolognese e nel concitamento degli animi di tutto lo Stato, il segno di quel malcontento universale che i più insofferenti cominciavano a tradurre in atto di ribellione, montò nell’ira di partito, prese consiglio da questa e dalla paura, operò sotto l’imperio di parosismi dell’una o dell’altra, persuase a se medesimo di poter dispensare l’infamia al pari dei colpi di moschetto e di mannaia, gridò al mondo, essere quel moto procacciato da disorbitanza delle ree passioni di pochi; i molti reputarsi felicissimi della sudditanza tranquilla, ed intanto costituì in pernianenza le commissioni militari giudicanti senza forma di processo e senza ufficio. di difesa: e collocò nelle medesime i soldati più rotti a libidine di sangue e di oro, ed i più efferati carnefici da toga. Vano il ricordare gli esigli e le carcerazioni innumerevoli, le morti e le confìsche, di cui il mondo ha conoscenza! Procedimenti e giudizii degni dei secoli barbari, nei quali la stolidezza e l’impudenza gareggiano colla crudeltà, ed addimostrano che, dove la passione e la più sfrenata delle passioni, trasmodando, fa velo agli intelletti, non solamente si trascendono i limiti del giusto e dell’onesto, ma quelli eziandio della ragione e del senso comune. Perché le sentenze che da due anni a questa parte si vanno pubblicando dalla così detta Commissione mista residente nelle quattro Legazioni sono tinte di immanità cotanto stolida da offendere il pudore de’Mussulmani giudici, ed anziché pronunciati di giustizia, appaiono al mondo mandati di sangue commessi al carnefice negli abusati nomi di Dio, della legge e del principe!
Il cuore rimane così serrato all’aspetto di queste miserie che l’intelletto viene meno all’ufficio di esporre le mille altre ha ormai da cui siamo travagliati. La consueludine ci ha ormai resi indifferenti a molte di queste; e minacciati ad ogni ora della vita, dell’esigilo, e della perdita della libertà individuale, è appena se poniamo attenzione ai crescenti tributi, alla malversazione del pubblico erario, alla cupidità fiscale provocante e perpetuante le liti civili, alle quotidiane violazioni di domicilio, all’impunità de’ calunniatori, alla necessità dei passaporti per dare un passo fuori del municipio, e ad altre innumerevoli calamità partorite dal dispotismo. Vogliamo soltanto che i Sovrani ed i popoli d’Europa considerino nella sagacia loro e sentano nella coscienza d’uomini battezzati in Cristo se questa nostra condizione sia sopportabile, e se in tanto spandimento di lumi, in tanto movimento di capitali e progresso delle industrie possa un popolo collocato nel centro d’Italia, in contatto d’altri stati che più o meno s’avanzano nella carriera del vivere civile, lasciarsi come bruto gregge condurre al carcere ed al patibolo, essere contento di una censura stolidamente inceppante gli a ingegni, e della gesuitica istruzione, sofferire che sia negato agli scienziati non solo di adunarsi in congresso, ma di usare a quelli che si adunano negli altri stati italiani, e che la stampa, il commercio de’libri, le strade ferrate, e perfino gli asili per l’infanzia sieno colpiti d’anatema!
Noi non ignoriamo, come in onta di tante gravissime ragioni taluno farà colpa alle popolazioni dello Stato Romano perché si recano le armi in mano protestando contro la tirannide, e reclamando riforme e guarentigie di vivere riposato e civile. Non l’ignoriamo e ce ne duole, perché abbiamo la coscienza a dei mali de’violenti rivolgimenti politici e della natura loro poco consentanea a quella della cristiana civiltà. Ma preghiamo tutti i Sovrani d’Europa, e tutti quelli che siedono ne’Consigli loro a considerare che tirati dalla necessità abbracciamo questo partito, perché impediti di manifestare i nostri bisogni e de siderii per mezzo di qualsivoglia rappresentanza costituita, e non solo privati del diritto di petizione, ma ridotti a tale che anche il chiedere, anche il lagnarsi è tenuto delitto di lesa maestà, non ci rimane altra via per ottenere la fine dei mali da cui siamo oppressi.
E non è di guerra lo stendardo che noi iniziamo, ma di pace, e pace gridiamo, e giustizia per tutti e riforma di leggi e garanzie di bene durevole. Non sarà per noi che una sola goccia di sancì cue si sparga. Noi amiamo e rispettiamo i soldati pontificii, noi li abbracciamo come fratelli che hanno comuni con noi i bisogni, i desideri! e le onte, e procacciando noi di torre il Pontefice dalle mani di una fazione cicca e fanatica, abbiamo in cuore di benemeritare di lui, e della dignità della Apostolica Sede nel tempo stesso in cui benemeritiamo della patria e della umanità. Noi veneriamo l’ecclesiastica gerarchia e tutto il clero, e speriamo che seguendo gli ammaestramenti del Vangelo, considererà il Cattolicismo nella sua vera e nobile essenza civilissima, e non sotto il meschino ed acattolico aspetto di una intollerante setta. E perché né ora, né mai sieno sinistramente interpretate le volontà nostre in patria, in Italia e fuori, proclamiamo altamente di rispettare la sovranità del pontefice come Capo della Chiesa universale, senza restrizione o condizione veruna; ma per rispettarlo ed obbedirlo come Sovrano temporale reclamiamo e dimandiamo:
1. Ch’egli conceda piena e generale amnistia a tutti i condannati politici dall’anno 1821 fino a questo giorno.
2. Ch’egli dia codici civili e criminali modellati su quelli degli altri popoli civili d’Europa, i quali consacrino la pubblicità dei dibattimenti, la istituzione dei giurati, l’abolizione della confisca, e quella della pena di morte per le colpe di lesa maestà.
3. Che il tribunale del Santo Officio non eserciti veruna autorità sui laici, né su questi abbiano giurisdizione i Tribunali Ecclesiastici.
4. Che le cause politiche sieno quind’innanzi ricercate e punite dai Tribunali ordinari! giudicanti colle regole comuni.
5. Che i Consigli Municipali siano eletti liberamente dai cittadini ed approvati dal Sovrano; che questi elegga i Consigli Provinciali fra le terne presentate dai Municipali, ed elegga il Supremo Consiglio di Stato fra quelle che verranno avanzate dai Provinciali.
6. Che il Supremo Consiglio di Stato risieda in Roma, sovraintenda al debito pubblico ed abbia voto deliberativo sui preventivi e consuntivi dello Stato, e lo abbia consultativo nelle altre bisogna.
7. Che tutti gli impieghi e le dignità civili e militari e giudiziarie sieno pei secolari.
8. Che l’istruzione pubblica sia tolta dalla soggezione dei Vescovi e del Clero, al quale sarà riservata la educazione religiosa.
9. Che la censura preventiva della stampa sia ristretta nei termini sufficienti a prevenire le ingiurie alla Divinità, alla Religione Cattolica, al Sovrano ed alla vita privata de’cittadini.
10. Che sia licenziata la truppa straniera.
11. Che sia istituita una guardia cittadina, alla quale vengano affidati il mantenimento dell’ordine pubblico e la custodia delle leggi.
12. Che in fine il governo entri nella via di tutti quei miglioramenti sociali che sono reclamati dallo spirito del secolo, ad esempio di tutti i governi civili d’Europa.
Noi riporremo le armi nel fodero, e saremo tranquilli ed obbedienti sudditi del Pontefice, non sì tosto che Egli, colla malleveria delle alte Potenze, abbia fatta ragione ai nostri reclami e concesso ciò che addimandiamo. In simigliante maniera ogni stilla di sangue nostro ed altrui che per mala ventura fosse sparso, non ricadrà su di noi, ma su coloro che ritarderanno od impediranno l’accordo. e se gli uomini faranno sinistro giudizio di noi, l’Eterno Giudice infallibile che inesorabilmente danna i violenti oppressori dei popoli, ci assolverà nella sua giustizia sapientissima, in faccia alla quale sono eguali i diritti ed i doveri degli uomini, ed è maledetta la tirannide che in terra si esercita. A Dio adunque, al Pontefice ed ai Principi d’Europa raccomandiamo la causa nostra con tutto il fervore del sentimento e l’affetto degli oppressi, e preghiamo e supplichiamo i Principi a non volerci trascinare alla necessità di addimostrare, che quando un popolo è abbandonato da tutti e ridotto agli stremi, sa trovare salute nel disperare salute!!!

/ 5
Grazie per aver votato!

Be First to Comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *