Memorandum del Governo Toscano del 1859

Memorandum del Governo Toscano alle Corti di Europa relativo alle deliberazioni dell’Assemblea Nazionale Toscana del 24 agosto 1859

Categoria: Risorgimento

Le cagioni che hanno prodotto in Toscana il movimento nazionale del 27 Aprile, e le circostanze in mezzo alle quali si verificò l’abbandono dello Stato per parte del Principe allora regnante e di tutta la famiglia granducale sono oramai troppo note perché sia necessario di qui ricordarle.
Ciò che qui importa di constatare si è la unanimità perfetta di tutti i Toscani nel sentimento nazionale, l’ordine meraviglioso serbato in tempi difficilissimi, la concordia dignitosa e costante di tutte le volontà, sia nello scopo preso di mira, sia nei mezzi riputati più atti a conseguirlo. Questo da un lato; dall’altro una tenacità insuperabile dapprima nell’avversare i desiderj più nobili e più legittimi della Toscana, e successiva mente un disprezzo dei medesimi e della opinione nazionale, spinto al punto di cercare asilo nel campo de’ nostri nemici, e di combattere al loro fianco contro le armi italiane.
Questi fatti erano già conosciuti, allorché giunse in Toscana la nuova della inattesa pace di Villafranca. Il paese intiero ne provo grave sconforto, non solo perché di fronte alle grandi speranze concepite ne sentiva detrimento la causa generale d’Italia, ma anche perché taluno dagli articoli di quel patto ispirava il timore d’una probabile restaurazione in Toscana della Dinastia di Lorena. Gli spiriti più calmi e più versati nelle materie politiche procurarono di calmare l’ansietà generale, ricordando le generose simpatie dell’Imperatore Napoleone III pe’ popoli italiani, le sue nobili parole intorno al rispetto de’ loro legittimi voli, e conchiudendone essere assurdo di temere che il Governo francese, il quale coll’associare alla guerra da lui combattuta l’armata toscana sotto gli ordini di un Principe imperiale aveva sanzionato la esautorazione della Di nastia Lorenese, sanzionando il movimento che l’aveva rovesciata dal trono, volesse poi operare una restaurazione colla forza o tollerare che altri la operasse. Queste savie parole furono ascoltate, ed il paese rientrò nella calma più completa, e tutti ripresero animo a non diffidare de’ destini della patria. Ma non per questo era a dissimularsi che le nostre sorti future volge vano in grande incertezza. Cessava con la pace il protettorato di S. M. il Re di Sardegna, ed il Commissario abbandonava Firenze trasferendo la suprema autorità nel Ministero, nella guisa istessa che l’aveva in lui trasferita il Governo Provvisorio col suo decreto del di 11 Maggio.
In cosi grave condizione di cose, il Governo della Toscana si penetrò immediatamente del dovere e della necessità di convocare la Rappresentanza nazionale. La Carta costituzionale del 1848 rappresentava incontestabilmente sempre il diritto pubblico della Toscana, imperocchè non fosse menomamente dubbiosa la illegalità del Decreto granducale del 1852, che consumando un colpo di Stato, l’aveva abolita. Perciò fu stabilito che con la Legge del 3 Marzo 1848 dovesse procedersi alle elezioni.
Era la Legge istessa abbastanza larga e liberale anco al mo mento in cui fu decretata; il successivo incremento della tassa di famiglia l’aveva resa in fallo più liberale ancora, aumentando in considerevole maniera il numero degli elettori. Questa legge presentava eziandio l’altro vantaggio che, essendo essa una emanazione del Governo granducale, i partigiani di questo, al di dentro come al di fuori, non avrebbero potuto rimproverarle di dare resultati non corrispondenti allo stato vero della pubblica opinione.
Tante e cosi importanti considerazioni determinarono il Governo della Toscana a convocare l’Assemblea ai termini della Legge elettorale del 3 Marzo 1848, anziché decretarne una nuova.
Poteva temersi da alcuno, ed altri forse sperava, che un popolo il quale trovavasi da lungo tempo disavvezzo da ogni atto della vita politica, ed era adesso chiamato a compierne uno cosi grave in mezzo a circostanze capaci di eccitare ogni ansietà ed ogni passione, soccombesse alla prova. Ma il popolo toscano ne usci invece con una luminosa prova di patriottismo e di senno. Or dine stupendo, affluenza grandissima d’elettori, concordia delle elezioni, nomina di Rappresentanti che sono, chi per un riguardo chi per l’altro, la illustrazione della Toscana, dimostrarono eloquentemente all’Europa, come essa sia degna di quella indipendenza e di quella libertà che dalla giustizia dell’Europa reclama.
L’Assemblea nazionale regolarmente convocata, regolarmente riunita, e regolarmente deliberando, ha emesso due voti i quali non ne formano in sostanza che un solo, perché riuniti corrispondono allo scopo della sua convocazione, provvedendo all’ordinamento definitivo del paese.
Essa ha emesso un primo voto, dichiarando irrevocabilmente finito in Toscana il regno della Dinastia Austro -Lorenese.
Essa ha emesso un secondo voto, dichiarando esser volontà del popolo toscano di far parte d’un forte Regno italiano sotto lo scettro costituzionale di Re Vittorio Emanuele II.
Di ambedue questi voti crediamo necessario tenere partita mente parola, dimostrando non solo il diritto pienissimo che l’Assemblea nazionale toscana aveva di emetterli, ma le imponenti ragioni di politico interesse che ne raccomandano l’accoglienza alla saviezza di tutti i Governi.
Che la Toscana, abbandonata a se stessa e lasciata senza governo, avesse il diritto di provvedere a se stessa, e di eleggerne uno ed il più conforme ai suoi sentimenti ed ai suoi interessi, è verità talmente intuitiva che non abbisogna di dimostrazione.
Sarà sufficiente a tal uopo un’autorità che nel caso presente non può incontrare obiezione, ed è quella dello stesso Granduca Leopoldo II. Questo Principe, nel suo Decreto del 12 Maggio 1848, deliberando l’aggregazione alla Toscana delle provincie di Massa, Carrara, Garfagnana e Lunigiana, proclama solenne mente il principio da noi invocato, e lo proclama fondandosi sui medesimi falli e sulle stesse ragioni.
L’animo ostile di un Sovrano contro il paese da lui governato, costituisce secondo il gius pubblico di tutti i tempi e di tutti i popoli civili, un altro motivo gravissimo per privarlo de’ diritti della sovranità. La sovranità è tutela di un popolo, non è odio o guerra contro di lui. Di questo animo ostile della Dinastia Lorenese contro la Toscana non mancano pur troppo le prove. Belvedere, l’asilo cercato in Austria durante la guerra, Solferino, lo dicono abbastanza; lo dicono cosi altamente, che noi per amore di moderazione e per legge di convenienza, rinunziamo ad insistere più a lungo su tale argomento. Che dire infine della violata fede chiamando nello stato soldatesche forestiere, e rompendo con l’abolizione dello Statuto il patto fondamentale che insieme legava Principe e Popolo?
Ma se innegabile è il diritto de’ Toscani di non più volere il regno della Dinastia lorenese, non meno evidenti sono le ragioni di politico interesse, non solo per loro quanto pure per la tranquillità generale dell’Italia e del mondo, le quali imperiosamente consigliano a tutti i Governi di Europa d’accogliere e sanzionare i loro voli. Le conseguenze di un ripristinamento della Dinastia Lorenese in Toscana sarebbero politicamente cosi fatali, che ogni uomo di Stato non può a meno di rifuggirne sgomento.
La condotta e le tendenze della dinastia di Lorena durante l’ultimo decennio, e sopratutto i fatti compiutisi dal principio dell’anno fino a questo giorno, hanno elevato fra lei e la Toscana una barriera insuperabile. Se un Sovrano della Dinastia caduta ritornasse in Toscana, vi tornerebbe, non è mestieri illudersi, con profondi ed invincibili rancori contro il paese intiero, ed avvolgendo nella sua avversione tutte le classi sociali, le più alte, come le più umili. Il paese lo sa, e ricambierebbe tali sentimenti con sentimenti anco più ostili. Pronfonde animosità da una parte, incurabile diſſidenza dall’altra; ecco quali sarebbero i vincoli fra governanti e governati. Le ripugnanze poi e le divisioni personali renderebbero ogni governo impossibile. La Toscana diventerebbe il focolare della rivoluzione permanente, e ridurrebbe ad un sogno la pace d’Italia. Dove sarebbe del Governo restaurato la forza, dove il punto di appoggio, donde trarrebbe egli l’autorità ed i mezzi di governare?
In ogni paese, allorché si teme di agitazioni rivoluzionarie, custode naturale della pubblica quiete e natural difensore del Governo è l’esercito. Ma in Toscana è appunto l’esercito che più d’ogni altra classe di cittadini si trova compromesso di fronte alla Dinastia di Lorena; che più energicamente di tutte ha di mostralo di riprovarne la condotta antinazionale; che più di tutte ba attivamente contribuito alla sua caduta. Da ciò è facile argomentare quali ne sarebbero le tendenze e lo spirito. Bisognerebbe adunque che la Dinastia avesse ricorso ad eserciti ausiliari, ad interventi forestieri. E qui ricomincierebbe allora con più terribile intensità quella serie di violenze da una parte, di complotti rivoluzionari dall’altra, d’oppressioni e di vendette, che hanno richiamato su questa misera Italia l’attenzione del mondo, e fatto sentire la necessità di porre un rimedio a tanti dolori.
Né può trascurarsi di considerare che l’Austria, sebbene dalle vicende della guerra costretta ad aderire alla pace di Villafranca, non l’accetterà però mai di buon animo, né sinceramente. Essa starà sempre spiando l’occasione, sia di ricuperare la Lombardia, sia di riprendere l’antica sua posizione nel rimanente d’Italia, profittando con questo intendimento d’ogni complicazione europea che fosse per sorgere. Di già il linguaggio de’ giornali più devoti a quel Governo non fa mistero di tali disegni. Quando questo accadesse, l’Italia dovrebbe di nuovo, e vorrebbe fare un grande sforzo nazionale per mantenere gli acquisti dovuti al valore delle armi italo -franche, alla prodezza di Re Vittorio Emanuele, ed alla Possente e generosa cooperazione di S. M. l’Imperatore de Francesi. Con una Dinastia austriaca in Toscana, eccoci tornati di nuovo al 27 Aprile. Ora nessuno può pretendere che un paese avventuri ad ogni istante i suoi destini e la sua prosperità al giuoco d’una continua alternativa di rivoluzioni e di restaurazioni.
La questione che si agita adesso fra la Toscana e la Dinastia lorenese si riduce a questi termini. Si tratta di sapere se il vinto potrà imporre la legge al vincitore; se un popolo civilissimo, che ha dato prove di tutte le virtù cittadine, dovrà esser sacrificato a chi mostro di tenerle tutte in nessun conto; se l’ambizione e l’interesse d’una famiglia dovranno prevalere contro; l’interesse e la volontà di due milioni d’uomini. L’Europa e la coscienza pubblica pronunzino.
Il Governo della Toscana, sebbene manchi in proposito di comunicazioni officiali, non ignora però che si darebbe nelle sfere diplomatiche una grande importanza ad un’asserta abdicazione di Leopoldo II, e ad un asserto programma del figlio Ferdinando, contenente larghe promesse d’istituzioni liberali e di politica italiana. A questa abdicazione ed a queste promesse si sono principalmente appoggiati i consigli d’un Governo amico, onde non si rifiutasse la Toscana dal consentire una reintegrazione della caduta Dinastia. Per condiscendere a siffatti suggerimenti bisognava pero che la Toscana avesse dimenticato tutta la sua storia degli ultimi tempi, e le tante violazioni della fede giurata; bisognava che avesse dimenticato essersi quella dinastia tutta intiera infeudata talmente agl’interessi ed alle passioni dell’Austria, da essersi resa incompatibile co’ sentimenti e con gl’interessi del paese; bisognava finalmente che avesse dimenticato la presenza in Modena dello stesso Arciduca Ferdinando ivi aspettando, pieno d’impazienza e di trepidazione, l’esito della battaglia di Magenta per ritornare in Toscana alla testa degli Austriaci, se la battaglia fosse stata vinta da loro; bisognava per ultimo che fosse cancellato dalle pagine della storia il nome di Solferino. Singolare esempio, invero, di pubblica moralità sarebbe questo! Un Principe che cerca asilo nel campo de’ nemici del suo paese, che pugna contro di esso al loro fianco, e che, quando gli Alleati da lui prescelti son vinti, dice a quei mendesimi che jeri combattevano e di cui anelava la sconfitta Adesso io sono con voi! – Né il sentimento della sicurezza, né quello della reciproca dignità poteva permettere alla Toscana di sottoscrivere questa umiliante capitolazione, strappata dalla disfatta e frutto di troppo tardi pentimenti.
Nel tracciare questo rapido quadro delle conseguenze che una restaurazione partorirebbe in Toscana, ci siamo astenuti dal contemplare la ipotesi che essa potesse venir compiuta con stranieri interventi. Ce ne siamo astenuti, perché assicurazioni altamente autorevoli per diverse vie pervenuteci ne garantiscono non esser possibile tanta calamità; ce ne siamo astenuti, perché dopo gli avvenimenti verificatisi in Toscana da quattro mesi in poi, un intervento forestiero per ristabilire colla forza delle bajonette un Arciduca d’Austria sopra un trono italiano, sarebbe cosa siffattamente enorme, che il solo mostrare di preoccupar sene ci è sembrato non solo assurdo, ma stoltamente ingiurioso per un Governo amico.
Non ignora il Governo della Toscana che, rigettato ed escluso come impossibile il mezzo degl’interventi, v’ha chi crede poter arrivare per altra strada al medesimo fine. In questo concetto si parla di non riconoscere il voto della Toscana, e d’abbandonarla, come si dice, a se stessa, fintantoché il suo stato di po litica incertezza e tutte le conseguenze di questa non abbiano in un modo qualunque ricondotto la bramata restaurazione. Sarebbe questo atto di giustizia? Sarebbe atto di politica prudenza?
Noi abbiamo fermo e profondo convincimento che il piano non riuscirebbe, perché la Toscana non mancherebbe, a se stessa rimanendo ordinata e concorde; ma qualora accadesse per mala ventura il contrario, si è ben sicuri che l’agitazione della Toscana non si propagasse ad altre parti d’Italia e non diventasse motivo di nuove e terribili complicazioni? Si è fatta una guerra sanguinosissima per rendere all’Italia la tranquillità e spegnere un fomite d’incessanti pericoli per la pace d’Europa, e si farebbe poi assegnamento sullo stato rivoluzionario di un paese italiano per ricondurre una condizione di cose che racchiuderebbe in sé il germe e la ragione neccessaria di nuovi sconvolgimenti!
Le Romagne, le provincie di Modena, quelle di Parma si trovano in posizione uguale alla nostra, e naturalmente si applicherebbe loro lo stesso sistema. Ecco dunque, se certe lusinghe venissero a verificarsi, nel bel mezzo d’Italia quattro milioni e più d’Italiani agitati dal disordine rivoluzionario, e l’Europa che indifferente, impassibile assiste a questo spettacolo. E se, ad onta di tutto ciò, i popoli si ostinassero nel non voler richiamare i Principi detronizzati, e il disordine diventasse anarchia, che farebbe l’Europa? Lascerebbe che l’anarchia consumasse tutti i suoi eccessi, e i popoli si dilaniassero? Interverrebbe?
E in questo caso chi interverrebbe? Austria? Francia? Ambedue insieme? Ognuna di queste ipotesi è una politica impossibilità, Il Governo della Toscana perciò, raffidato dal senno e dall’equità delle grandi Potenze, ha ferma fiducia che, ponderato pacatamente il sistema qui sopra discorso, è ravvisatine gli effetti o inutili o disastrosi, Esse tutte si troveranno d’accordo nel giudicarlo impraticabile.
Ma dichiarando alla unanimità finito in Toscana il Regno della Dinastia Austro-Lorenese, l’Assemblea nazionale non avea intieramente compiuto il suo ufficio, in quanto che non bastava un tal voto per provvedere all’ordinamento difinitivo dello Stato.
Perciò ha essa emanato un secondo voto, unanime anch’esso, dichiarando esser volontà della Toscana di far parte di un forte Regno costituzionale sotto lo scettro del Re Vittorio Emanuele.
Già le Rappresentanze comunali, interpreti de’ pubblici desideri, avevano in epoca non remota pronuziato un voto del tutto con forme. Le deliberazioni municipali relative a questo gravissimo argomento appartengono a 225 Comunità, fra cui si comprendopo le città di Firenze, di Livorno e le altre tutte più cospicue della Toscana. E per dare un’idea dell’immensa maggiorità
che un tal volo ha riunito, ci limiteremo a dire che sopra 1350 suffragi 1297 sono stati affermativi, e negativi soltanto 53. II voto pertanto dell’Assemblea nazionale ha già, come espressione della pubblica opinione, un precedente che ne pone in luce tutta la portata e lutto il valore.
Molte e potenti ragioni hanno ispirato questo voto, molte e potenti ragioni raccomandano alla saviezza dell’Europa di sanzionarlo.
Il carattere principale, anzi meglio diremo unico ed esclusivo, del movimento italiano del 1859 è il sentimento della nazionalità. Ciò è cosi vero, che nessuna questione di forme governative interne è venuta questa volta, come sventuratamente accadde nel 1848, a turbare lo slancio degl’Italiani per la conquista della nazionale indipendenza. Tutti i popoli italiani hanno, al contrario, applaudito alla momentanea restrizione delle costituzionali in Piemonte, perché hanno stimato questo savio provvedimento utile al buon andamento della guerra, scopo di tutti i loro pensieri.
Il voto profferito dall’Assemblea toscana nella sua seduta del 20 di questo mese è sopprattutto ispirato da questo sentimento di nazionalità, ed ha in mira ai soddisfarlo. Allorché l’Austria conserva una forte posizione in Italia, allorché questa posizione può diventare più temibile ancora, se la Confederazione di cui è parola nei preliminari di Villafranca venisse a concludersi, si fa ad ognuno manifesta la necessità di costituire in Italia uno Stato forte, il più forte che nelle presenti circostanze si può.
È per un lato necessità di difesa, per l’altro neccessità di equilibrio, senza il quale le proposta Confederazione non sarebbe mai possibile. Che questo pensiero di affetto alla causa nazionale e di patriottica previdenza abbia avuto gran peso nel voto emanato, e sia ora in tutte le menti cosi dentro come fuori del l’Assemblea, risulta chiarissimo da questa circostanza: che i partigiani dell’unione della Toscana al Piemonte si sono considerabilmente accresciuti dopo la pace di Villafranca. Mentre durava tuttora la guerra, e si aveva speranza che il Regno del l’Alta Italia, cacciati del tallo gli Austriaci dalla Penisola, si sarebbe fatto forte anche nel Veneto, l’autonomia toscana aveva i suoi difensori. Adesso sono spariti. Perché? Perché in Toscana il pensiero italiano domina su tutti gli altri. Vi è forse chi ce ne fa rimprovero. Ma se nelle attuali contingenze avesse esternato la Toscana aspirazioni diverse, quei medesimi che trovano adesso il nostro desiderio intemperante, ci avrebbero rimproverato allora le nostre vecchie rivalità municipali, le nostre gare di campanile, concludendone che gl’Italiani sono incorreggibili e non degni di esser nazione.
Rafforzare il Piemonte è, lo abbiamo già detto, necessità di difesa e necessità di equilibrio. Questo non è vero soltanto in un interesse italiano, ma lo è del pari in un interesse europeo.
Finché il Piemonte non sarà abbastanza forte da essere in grado d’opporre all’Austria una seria resistenza, l’Austria sarà sempre tentala di attaccarlo. Gli ultimi avvenimenti non possono che avere accresciuto il sentimento dell’antica ostilità. L’Europa sarà sempre perciò in continua apprensione di una nuova lotta in Italia; ed una lotta in Italia può compromettere un’altra volta la pace del mondo.
Come condizione di equilibrio nell’interesse europeo, la necessità di un accrescimento di forza al Piemonte apparisce manifesta, figurandosi il caso che la Confederazione; progettata a Villafranca si realizzi. Le tendenze di Roma e di Napoli sono conosciute; collegandosi con quei due Governi l’Austria, se il Piemonte non ha un gran peso da gettare nella bilancia contraria, può diventare un giorno padrona della Confederazione e disporre in un momento dato di tutte le forze dell’Italia con giungendole alle proprie. Allora non è più questione di equilibrio italiano, ma di equilibrio europeo. Può ella la Francia, può ella la Prussia, possono esse le altre grandi Potenze accettare di buon animo la probabilità di questo pericolo?
Dopo tante agitazioni, dopo tanta incertezza la Toscana ha desiderio ardentissimo di tranquillità. La sua unione al Piemonte ne diventa la più certa e solida guaregtigia. Siccome è oramai fuori di controversia che questa unione è consentanea al desiderio di tutti o quasi tutti Toscani, cosi è fuori di dubbio che la soddisfazione universale renderà impossibile qualunque turbamento. Quello stato di perpetua agitazione più o meno latente, che nelle varie provincie d’Italia ha durato, e dura in alcune disgraziatamente pur sempre, come effetto di profondo dissenso fra le popolazioni e i governi, sparirà immediatamente in Toscana appena la Toscana sappia assicurate le sue sorti nelle mani di un Re ponente e leale, che ha pienissima tutta la sua fiducia e la sua riconoscenza come quella di tutti i po poli italiani.
Né sarebbe giusto o sapiente di privare i Toscani dei vantaggi che vengono dal far parte di un grande Stato. Ha ormai dimostrato l’esperienza che fuori delle grandi aggregazioni non può esservi per un popolo quel largo sviluppo morale o materiale che è uno dei caratteri distintivi della civiltà moderna.
La Toscana ha fatto abbastanza per la civiltà del mondo, per aver diritto di non essere esclusa dal goderne adesso i bene tizi. Non esercito, non marina, non diplomazia, languido commercio, languidissima industria, mancanza di movimento scientifico ed artistico; questi sono nel secolo decimonono i destini di un paese piccolo. Con qual diritto e con qual giustizia vorrebbe oggi rinchiudersi la Toscana in questo letto di Procuste? Altri e ragguardevoli vantaggi potremmo accennare, che la Toscana avrebbe fondato motivo di ripromettersi dal l’ entrare a far parte di uno Stato importante. E sarebbe sapienza dell’Europa e calcolo giudizioso non soffocare tanti germi fecondi di sviluppo morale e di prosperità materiale perché quella benefica solidalità che il progresso dei tempi ha dovunque creala, farebbe si che tutte le nazioni ne godessero il frutto.
Nell’emettere i suoi suffragj l’Assemblea toscana, dopo di avere espresse le particolari ragioni di speranza che dirimpetto a tutti i grandi Governi la confortavano a credere che i suoi voti sarebbero accolti e secondati, ba commesso al Governo di porre in opera ogni più efficace premura onde conseguirne l’adempimento. Ed il Governo, incoraggiato dalle ragioni medesime, ha di buon animo accettato il gravissimo ufficio.
Egli confida, come l’Assemblea, che il prode e leale Re, il quale tanto fece per l’Italia e protesse con particolare benevolenza la Toscana, non vorrà respingere l’omaggio di riconoscenza e di fede che un paese intiero lo scongiura di accogliere per la propria felicità e nell’interesse della patria comune.
Confida nella giustizia e nell’alto senno della Francia, del l’Inghilterra, della Russia e della Prussia.
Il magnanimo Imperatore dei Francesi, che con tanta generosità ha preso a difendere un popolo, oppresso, che ha detto e gloriosamente provalo coi fatti, ch’Egli sarebbe stato dovunque era una causa giusta da difendere; la saggia e liberale Inghilterra; la Russia, di cui la politica elevata e piena di grandezza fa adesso l’ammirazione dell’Europa; la valorosa Prussia, che cosi nobilmente rappresenta in Germania il principio della nazionalità, non vorranno né disconoscere, né conculcare il diritto di un popolo ordinato, tranquillo e concorde, il quale null’altro domanda che di provvedere alle proprie sorti nel modo che esso crede migliore per la sua pace e per la sua felicità.
Che se la giustizia umana ci facesse difetto, noi difenderemmo con ogni mezzo i diritti e la dignità del paese contro qualunque aggressione. E se gli eventi ci riuscissero contrari, non ci mancherebbe mai il conforto di pensare che tutti, Popolo, Assemblea, Governo, abbiamo fatto senza debolezza, come senza millanteria, il nostro dovere. Poi la coscienza pubblica e la storia giudicherebbero ove fosse il diritto, il senno civile, la temperanza; dove la ingiustizia, l’acciecamento, l’abuso della forza.


Firenze, 24 agosto 1859.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’interno B. RICASOLI.
Il Ministro della Pubblica Istruzione e Ministro interino degli Affari Esteri C. Ridolfi.
Il Ministro di Giustizia e Grazia E. Poggi.
Il Ministro delle Finanze R. BUSACCA.
Il Ministro degli Affari Ecclesiastici V. SALVAGNOLI.
Il Ministro della Guerra P. DE CAVERO.

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