Articolo di Benito Mussolini pubblicato su “Il Popolo d’Italia” il 7 febbraio 1920
Se opporsi ai «salti nel buio»; se richiamare al senso e sul terreno della complessa e formidabile realtà sociale e mondiale i demagoghi che vanno promettendo – in malafede specifica – i paradisi immediati; se gettarsi di traverso ai movimenti inconsulti e sproporzionati o pazzeschi; se sventare le anticipazioni pericolose, che si concludono negli aborti; se – infine – cercare di dare alle classi lavoratrici altri obbiettivi che non siano quelli del «bottino» da spartire per godersi un giorno. o una settimana di «bella vita»; se fare tutto ciò significa essere «reazionari», ebbene noi ripetiamo, alto e forte (non è la prima e non sarà l’ultima volta), che noi siamo reazionari, nettamente, tipicamente, scandalosamente reazionari, e ci vantiamo, come di un titolo d’orgoglio, di questo appellativo che sgomenta tanti imbecilli.
Si vedrà, poi, un giorno, a bufera passata, a crisi calmata, chi ha giovato meglio alla ascensione delle classi lavoratrici: se noi, i reazionari, o se i bagoloni del cosiddetto «nullismo» sedicente «sovversivo». Credevamo di essere soli o in pochi «aristocratici» della controcorrente a possedere il diritto di chiamarci «reazionari»; siamo, invece, in molti, e possiamo contare fra i nostri «irregolari» l’on. Filippo Turati. È un fatto innegabile che da qualche tempo l’on. Turati tiene testa, con giovanile vigore e con tanto di beffarda strafottenza, alle correnti e agli uomini dominanti nel Partito. Turati è più forte oggi di quel che non fosse sei mesi fa. Accettato nella lista dei candidati e presentatosi con un programma antibolscevico, le elezioni gli hanno dato ragione. Il suo nome ebbe il massimo dei suffragi.
Ma altri fatti, altri avvenimenti esteri e nazionali gli hanno dato – spaventevolmente – ragione. Si comincia a sapere oggi – anche attraverso le versioni dei socialisti – per quali cause di regime ‘bolscevico in Ungheria non poté consolidarsi. Si comincia, passando alla Russia, a vedere che il bolscevismo si è trasformato e si va trasformando in un «regime» niente affatto rassomigliante a quello sognato ed esaltato, per lungo volgere di mesi, dai cattivi pastori delle plebi italiane. Quel Cicerin, commissario agli Esteri, che proponendo la pace all’Italia, si ricorda e si preoccupa, dal lontano remoto Kremlino, delle propaggini della razza slava che dovrebbero passare all’Italia, non documenta il carattere nazionale e panslavista e – diciamo la parola – imperialista della rivoluzione russa? Ogni rivoluzione è fatalmente imperialista e tenta di espandersi per necessità di vita e di sicurezza. All’interno, dov’è il comunismo russo? Nel Peuple, quotidiano dei socialisti belgi, in data 31 gennaio, troviamo riportato un capitolo del volume del socialista tedesco Olberg e questa dichiarazione del professore russo Grinewesky:
«Mai come durante questa rivoluzione, la bandiera socialista ha coperto delle tendenze borghesi. Si può definire tutta la rivoluzione russa con una formula: socialista alla superficie, borghese nella sostanza. È il risultato di tutte quelle leggi e misure apparentemente così socialiste…».
Ecco il lontano paradiso moscovita che dilegua in ciò che aveva di beato, di celestiale, di perfetto, mentre si rivela in un’altra faccia capitalistica; nazionalista e guerriera, che – lo si nota già – non infiamma più i fedeli dell’Occidente.
All’interno dell’Italia sono i fatti di Mantova che hanno dato ragione – in un certo senso – a Turati; e nell’interno del Partito Socialista la palese o manifesta rettifica di tiro ha spostato i massimalisti verso la frazione turatiana, che ha ripreso a «frondeggiare» con maggiore ardimento.
Se per Lenin Kautsky è un «rinnegato»; per i piccoli Lenin italiani Turati è indubbiamente un «reazionario».
Il reazionarismo di Filippo Turati è – sembra un paradosso! – più «estremista» del nostro! Noi siamo semplicemente enfoncés. Nella lettera mandata alla sezione milanese e pubblicata nel fascicolo odierno della Critica Sociale, sentite, o brava gente, che cosa dice Filippo Turati, onusto e grave di quarant’anni di dottrina e di pratica socialista, a proposito dei recentissimi scioperi:
«Suppongo – dice Turati – che uno di questi motivi debba essere il mio antico ed aperto dissenso da quella che è l’espressione pubblica e ufficiale dei dirigenti del Partito (dei discorsi privati e delle confidenze all’orecchio non mi è qui dato occuparmi) di fronte ai due ultimi grandi scioperi e, in genere, di fronte a quegli scioperi che investendo i servizi pubblici essenziali alla vita della collettività si risolvono – a mio avviso – non già nella lotta politica contro Io Stato borghese (che, al postutto, anche se si arrende non paga di suo e contro il quale tali scioperi tutt’al più si intenderebbero quando fossero proclamati a fini di immediata rivoluzione politica, e non ad effetti sindacali o corporativi, perseguibili più efficacemente per altre vie), e neppure in una lotta di classe contro la borghesia o il capitalismo (che hanno troppe automobili e istituti e risorse d’ogni genere per impensierirsene di soverchio); ma si risolvono in una lotta di categoria contro la Nazione e soprattutto contro la classe, le quali poi – nazione e classe – sono le sole:; a doverne pagare le spese. Spese che, a tener conto d’ogni lucro cessante e d’ogni danno emergente, nei rifornimenti, nel cambio, nel credito, negli apparecchi militari, nelle ripercussioni internazionali ecc., ammontano a milioni od a miliardi lire, che dovranno spremersi dal sudore dei lavoratori, i quali, secondando quella forma di moti, diventano, incosciamente, i crumiri di se stessi.
Or qui è una questione di tattica, essenziale, mi sembra, alla dottrina ed al divenire del socialismo, il quale tende a sopprimere· ogni sopraffazione di classe, ma anche e più di categorie dentro la classe proletaria; essenziale agli interessi immediati dei lavoratori in genere, e di quegli stessi servizi pubblici».
Fin qui Turati.
Diciamo ch’egli è più «reazionario» di noi, perché noi non escludiamo a priori – in modo assoluto – lo sciopero dei funzionari pubblici. Se il Governo avesse risposto con un «no» pregiudiziale a qualsiasi domanda di miglioramento, noi avremmo compreso ed appoggiato lo sciopero dei dipendenti delle aziende statali. L’on. Turati, invece, è più esplicito e più reazionario di noi: egli esclude in tesi di principio lo sciopero nei servizi pubblici.
Non addentriamoci, ora, in una discussione che ci porterebbe molto lontano: ci basta constatare e documentare il fatto.
Quando noi ci siamo dichiarati avversi allo sciopero dei postelegrafonici e dei ferrovieri,· non per lo sciopero in sé, ma per le circostanze di tempo, di luogo, di ambiente e di uomini che lo caratterizzavano, la solita gente che bela se il Partito Socialista bela, che raglia se il Partito Socialista raglia, che incretinisce se il Partito Socialista incretinisce, che va in bestia di pari passo e sempre invariabilmente col Partito Socialista, ci ha accusato di «reazionarismo». Ce né siamo, naturalmente, infischiati. Ma oggi, senza averlo cercato e senza nemmeno esserne eccessivamente lusingati, ci troviamo in compagnia di Filippo Turati, che ha sulla schiena e sulla…. coscienza quarant’anni, diconsi quarant’anni di socialismo.
E allora, per l’avvenire della nazione italiana, che vogliamo – a qualunque costo – prospera e grande; per la maggiore libertà, per il maggior benessere e per la elevazione indefinita di tutte le classi lavoratrici, è tempo di lanciare un grido che ferirà o spaccherà parecchi timpani incatramati: «Reazionari» di tutta Italia, a noi!