Per il suffragio universale e per la repubblica
Articolo di Leonida Bissolati pubblicato nel 1896 su “Critica Sociale”
Nella lotta che si svolge in Francia, e che noi seguiamo ammirando e trepidando, non si tratta già sol tanto dell’applicazione di quella riforma democratico borghese che è la imposta progressiva sul reddito, proposta dal Ministero radicale, approvata dalla Camera e non votata dal Senato: non si tratta soltanto della permanenza al potere del partito radicale: ma si tratta di qualcosa di ben più largo o più alto: si tratta cioè di sapere se la Repubblica deve essere veramente la repubblica, ossia un assetto politico nel quale e pel quale la volontà della grande maggioranza abbia completa facoltà di farsi valere e di imporsi, o se dentro alla forma che si intitola repubblicana, se sotto le parvenze di questo che si dice «governo di popolo» debba mantenersi un potere che ha per ufficio di paralizzare lo sforzo della volontà popolare, di eludere ogni sua imposizione, rendere vana ogni sua conquista. Si tratta, in altre parole, di sapere se il popolo, e quindi il proletariato che ne costituisce la maggioranza, debba trovare nel suffragio universale un’arme e uno strumento per combattere le sue battaglie e trasformare gli ordina menti sociali nel modo che conviene ai suoi interessi, o se una classe che rappresenta la minoranza sfruttatrice debba avere a sua disposizione anche un privilegio politico con cui difendere i suoi privilegi economici da ogni possibile attacco delle maggioranze sfruttate.
Questo privilegio politico è rappresentato, in Francia, dal Senato. Assemblea che esce dal suffragio ristretto – dal suffragio che rappresenta il privilegio – essa ha il potere di paralizzare qualunque azione della Ca mera che esce dal suffragio universale. Il Senato francese è la istituzione monarchica dentro la forma re pubblicana. Come i re, nelle monarchie costituzionali, hanno diritto di veto alle decisioni delle assemblee, e possono, quando vogliono, diventare gli arbitri della situazione politica del paese, così il Senato – nella repubblica borghese – può sbarrare la via a qualunque iniziativa che risponda ai bisogni e alla volontà della nazione. L’ufficio vero di questi meccanismi di sicurezza, che le classi privilegiate mantennero nelle costituzioni degli Stati moderni, poteva venire in luce solo in virtù di un conflitto tra gli interessi delle maggioranze affermantisi col suffragio universale, e quelli delle minoranze che di quei meccanismi hanno la padronanza esclusiva.
Sinché il conflitto non vi era, finché le maggioranze non avevano coscienza dei propri interessi opposti a quelli della minoranza sfruttatrice; finché la funzione del suffragio universale serviva a ribadire l’oppressione giustificandola e legittimandola coll’apparenza di un consenso che gli sfruttati dessero al proprio sfruttamento, i meccanismi, a dire così, di arresto della macchina rappresentativa parevano accordarsi con tutto il meccanismo complesso dello stato e parevano compiere una azione integratrice e solidale. Ma quando, col delinearsi degli antagonismi di classe, avvenne che ciascuna classe cercasse di adoperare quegli arnesi di battaglia che le erano offerti e avvenne perciò che la massa lavoratrice cominciasse a convertire il suffragio universale – come è detto nel programma dei socialisti francesi – da istromento di inganno e di oppressione in istromento di libertà e di redenzione, allora fu che le classi privilegiate dovettero affrettarsi a mettere in moto i freni conservatori e adoperare il Senato per paralizzare la Camera, opponendo la più sfacciata negazione al diritto di rappresentanza, proclamando apertamente la propria dittatura, disvelando il meccanismo monarchico sotto la forma repubblicana.
Il fenomeno è analogo a quel che si vede negli altri Stati dove è in vigore il sistema rappresentativo. Per ogni dove le classi dominanti, dopo avere conquistato i diritti politici e averli allargati alle masse nella fiducia di poterle sempre sfruttare politicamente come le sfruttavano economicamente; come si avvidero che queste, formata la coscienza di sé, del proprio stato e dei propri bisogni in opposizione a quelli dei loro padroni, cercavano di usare contr’essi il diritto di suffragio, ricorrono allo spediente di mutilare e sopprimere il diritto medesimo; di abolire la famosa «sovranità popolare», e ridurre tutto il potere nelle proprie mani, Più volte in Germania fu ripetuta la minaccia contro il suffragio; e in Italia avemmo recentemente le modificazioni restrittive del diritto di voto e le in dimenticabili epurazioni delle liste elettorali.
Queste minacce e questi attentati si verificarono sempre in seguito a lotte elettorali o a manifestazioni che indi cavano lo sviluppo della coscienza di classe nel proletariato.
Anche in Francia la reazione contro il suffragio uni versale non è che il contraccolpo di battaglie e di vittorie proletarie. La prima causa della crisi istituzionale che la Francia attraversa è dovuta al grave sciopero di Carmaux, e risalendo più oltre, alla organizzazione dei sindacati operai. Fu quella organizzazione che formò il naturale terreno da cui trasse ali mento la lotta dei vetrai contro l’assoluto diritto padronale. Fu, anzi, per la necessità di conquistare e agevolare il loro diritto di organizzazione che gli operai si decisero a scendere in campo contro chi, non pago di impadronirsi della loro forza di lavoro, pretendeva precludere loro le vie per cui si indirizzavano alla loro emancipazione.
Il gabinetto radicale Bourgeois fu la conseguenza della vittoria operaia di Carmaux. Il meraviglioso spettacolo di forza, presentato dai proletari di tutta la Francia, decise una parte della borghesia – piccola e media, schiacciata dal feudalismo capitalista – a mettersi al servizio di questa forza e adoperarla, al tempo stesso, per i propri interessi. Non appena venuto al potere, il gabinetto Bourgeois dovette da una parte atteggiarsi a tutore della libertà d’organizzazione proletaria proponendo disegni di legge per l’arbitrato obbligatorio e per punizioni da infliggersi ai padroni che avessero tentato di rinnovare le violenze del Rességuier contro i sindacati, nonché difendendo, a oltranza, il diritto di resistenza e di sciopero per gli operai alle dipendenze dello stato. D’altra parte – quasi a compenso di quest’opera data alla difesa della organizzazione proletaria – esso ebbe l’appoggio dei socialisti per la riforma tributaria con cui mirava a scaricare sopra la grande proprietà la parte maggiore delle pubbliche spese.
La classe conservatrice vide il pericolo imminente e ricorse al mezzo estremo di salvezza, manovrando il Senato contro la Camera che era diventata la difesa dietro cui l’organizzazione proletaria minacciava di prepararsi per gli attacchi definitivi. Essa si decise a far saltare la nave dello Stato rappresentativo, visto che su quella nave i nemici erano saliti ed erano vicini a mettere la mano sul timone. Alle deliberazioni degli eletti a suffragio universale essa oppose il proprio veto. Al Gabinetto Bourgeois, emanazione diretta della Camera e del paese, essa intimò di dimettersi. Ciò equi valeva a proclamare lo spodestamento della Camera, e negare i diritti del suffragio universale. Era quanto dire che il paese non ha diritto di far valere le sue volontà se queste urtano gli interessi della piccola classe di cui il Senato è la esclusiva rappresentanza. Era, allargata a tutto l’insieme della vita politica, la ripetizione dell’attentato di Rességuier contro i sindacati. Era il colpo di Stato contro la repubblica a favore del cesarismo proprietario.
Gli è perciò che, quando il gabinetto Bourgeois annunziò alla Camera le proprie dimissioni, la Camera prese essa il posto abbandonato dal Ministero e raccolse il guanto di sfida lanciatole dal Senato. Il radicalismo avea dimostrato, colla pusillanime ritirata del suo Ministero, di non aver fede nelle forze rivoluzionarie che lo avevan sospinto al potere. Queste forze entrarono allora in lotta direttamente.
L’ordine del giorno, votato dalla Camera nella seduta del 25 aprile, pose netta la questione costituzionale affermando la «preponderanza»
degli eletti dal suffragio universale, chiedendo con ciò che la costituzione politica della Francia sia rinnovata nel senso che nessuna classe possa avere altre armi politiche fuorché quella del suffragio universale che è comune a tutte le altre. Ciò è quanto chiedere l’abolizione del Senato, è quanto chiedere che la macchina politica sia messa illimitata mente a disposizione del popolo. Non altrimenti, in uno stato monarchico, dove appunto la monarchia ha le stesse funzioni del Senato in repubblica borghese, i socialisti, che avessero acquistato nella rappresentanza parlamentare un posto decisivo, si troverebbero a cozzare contro il potere monarchico. È in questo senso infatti che i socialisti, negli Stati monarchici, si dichiarano repubblicani; e i socialisti, in repubblica, si assumono il compito di rivendicarne i veri uffici e di epurarla dalle contraffazioni monarchiche.
L’urto, a cui in Francia assistiamo, ricorda, nelle sue linee fondamentali, quello che determinò la rivoluzione borghese dell’89. Anche allora la classe rivoluzionaria, la borghesia, era padrona di uno dei meccanismi rappresentativi; ma non poteva usarne perché impedita dai contromeccanismi che erano in mano delle classi privilegiate. Il conflitto non poteva essere risolto che colla forza, e colla forza fu risolto. Dagli Stati Generali si passò alla Costituente. Dalla Pallacorda alla decapitazione del monarca.
Oggi le cose di Francia non sono a tal punto da farci credere vicina una rivoluzione proletaria decisiva. Le masse lavoratrici organizzate e coscienti non sono ancora in assoluta preponderanza. Ma è certo in ogni modo che la crisi attuale esclude una soluzione di accomodamento e di transazione. L’antagonismo, scoppiato e proclamato così apertamente tra il suffragio universale e il privilegio politico, non può essere eliminato che colla abdicazione o colla soppressione del l’uno o dell’altro.
O sulle rovine della repubblica oligarchica s’erigerà una repubblica in cui l’azione politica del proletariato potrà svolgersi con perfetta libertà sino alla conquista della sua emancipazione economica, e avremo una «république sociale»; o avremo il trionfo momentaneo della reazione, il dispotismo aperto e confessato del privilegio anche nel campo politico.
La solennità del momento è ben compresa dai nostri compagni di Francia. Essi, che colle loro agitazioni fra le masse lavoratrici seppero creare a tutto loro vantaggio la presente situazione politica, e manovrando nel Parlamento con insuperabile tatto riuscirono a condurre la crisi al suo punto più acuto, ben sentono che oggi l’azione parlamentare dev’essere fiancheggiata dall’azione della «piazza» e indicono meetings colossali, e organizzano imponenti dimostrazioni per le vie. E il popolo in persona che essi chiamano a prender parte alla lotta. Lo chiamano, ciò che è notevole e caratteri stico, a prendervi parte colla coscienza esatta di quel che esso possa ottenere in questo momento e in queste condizioni. Lo chiamano a conquistare completamente il diritto politico, a rivendicare i poteri illimitati del suffragio universale. In ciò consiste la caratteristica dei moti popolari che sono il frutto della agitazione socialista. Perché, mentre, negli avvenimenti politici che ebbero fin qui luogo nella storia, l’influenza delle agitazioni popolari fu indiretta e non corrispondente agli intenti ond’erano mosse le folle, oggi l’azione di queste viene di più in più diventando consapevole del fine a cui può e deve mirare. Il partito socialista, figlio della concezione positiva delle cose, riflette questo suo carattere anche nel suo periodo di preparazione, anche nel suo lavoro di approccio alla meta finale.
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