Petizione pro suffragio femminile del 1906

Petizione al parlamento presentata dal comitato nazionale pro suffragio femminile nel marzo 1906

L’ammissione all’esercizio del voto, che per noi ed in rappresentanza di tutte le italiane, domandiamo al Parlamento, è il prodotto naturale e ormai maturo della crisi economica, della trasformazione delle industrie e delle disposizioni del Codice civile patrio, elementi che, disparati alle singole origini, conversero però tutti ad un solo fatto – sottrarre la donna alla casa per buttarla nella lotta per l’esistenza.
La meccanica, sostituendo il lavoro a mano, soppresse le industrie casalinghe e queste passarono nelle mani dei capitalisti, che soli potevano procurarsi il macchinario. Le lavoratrici dovettero quindi lasciare la casa per lavorare negli opifici, aggiungendo ai legami e agli interessi della famiglia i legami, i rapporti e gli interessi creati dalla collettività del lavoro.
Quanto alle borghesi – dacché il Codice civile dispensò i padri dall’obbligo di dare la dote alle figlie, soppresse la inalienabilità della dote, impose alle mogli di contribuire con tutte le loro forze alla famiglia in aiuto del marito, ed in sostituzione di esso ove del caso, ed esonerò i più o meno prossimi parenti dal mantenere le vedove e zitelle – come sancivano le leggi anteriori – la legge ha detto come logica conseguenza alle donne della classe borghese – studiate e lavorate.
Le operaie non si lagnano della trasformazione delle industrie, che allargò il loro campo d’azione e le tolse da una condizione poco dissimile da quella dell’utile animale domestico – né le borghesi rimpiangono il parassitismo legale, economico donde scendeva per esse inevitabile la ignoranza e la servitù. Le une e le altre si sono buttate al lavoro ed allo studio, affrontando coraggiosamente il problema della vita, irto per esse di triboli e di spine che gli uomini non conobbero mai – ma reclamano contro l’assurdo crudele che le ha gettate nella lotta per la esistenza disarmate della sola arma efficace nei paesi retti a regime rappresentativo – il voto.
Il vecchio idillio del focolare non esiste più che pei poeti e per una categoria di privilegiate – quelle che posseggono, o i cui padri e mariti posseggono, o guadagnano quanto basta alla vita.
La massa delle donne lavora oggi con la mente e col braccio, e lotta per l’esistenza per sé, pei figli, e in aiuto ai genitori ed ai mariti, nell’agricoltura, nelle arti e mestieri, negli esercizi e nel commercio, nelle industrie e nell’insegnamento, nelle professioni e negli impieghi pubblici e privati, e sforza penosamente ad uno ad uno gli ostacoli, che l’ingeneroso monopolio universale dell’uomo le oppone, ad ogni passo che spinga al di là della stretta cerchia del lavoro meno retribuito e dell’impiego più umile e sacrificato.
Né ci si opponga che i padri, i mariti, i fratelli sono i rappresentanti naturali degli interessi delle donne nei corpi amministrativi e legislativi.
In 45 anni di vita legislativa nazionale abbiamo imparato a memoria ed apprezziamo al suo valore questa rappresentanza rettorica ed onoraria. Il Codice civile, che ci tolse gli appoggi economici e ci buttò disarmate nella lotta per la vita – le leggi amministrative che tolsero alle lombarde, alle venete ed alle toscane il voto – la legge elettorale che ci pone a fascio con gli incapaci e i delinquenti – la nuova legislazione sociale che con la legge di protezione del nostro lavoro ci inferiorizzò come operaie, rendendoci ancora più penosa la concorrenza con gli uomini nelle industrie comuni – i disegni di legge riguardanti la donna e la famiglia subito soffocati, o lasciati cadere per chiusura di sessione e non più ripresi, – tutto ci ha ormai persuaso che la giustizia, che suona così alto nei discorsi elettorali, non riguarda che gli elettori e non si estenderà fino a noi se non quando, e in quanto saremo elettrici.
Nel corso delle sessioni degli anni 1861, 63, 71, 80, 83 e 88, ben sette volte furono presentate al Parlamento delle proposte, tendenti a riconoscerci l’esercizio del voto amministrativo comunale e provinciale.
Proposto volta a volta da Minghetti, Lanza, Peruzzi e Nicotera, fu nell’88 – unico caso! – discusso a lungo, e con eloquenza da Peruzzi, Ettore Ferrari, Pantano, Lucchini Edoardo, Ercole, Toscanelli ed altri. La Commissione era favorevole alla unanimità col relatore Marazzi, e la Camera era evidentemente conquistata. Ma bastò che il solo Crispi esprimesse una diversa interpretazione della legge elettorale, perché il Parlamento – come una folla qualunque – perdesse di vista tutti gli argomenti che l’avevano persuaso – e tutte quelle convinzioni svanissero come polvere innalzata dal passaggio di una corriera.
Insegnate da questa malinconica esperienza, noi non domandiamo più che il Parlamento studi per noi questa o quella legge – domandiamo unicamente che ci sia tolta la incapacità giuridica di esercitare il diritto al voto elettorale, amministrativo e politico, e che cessi quel supremo fra i molti assurdi (che non si trovano che per noi) di riconoscerci il diritto in teoria e sopprimercelo sistematicamente nella pratica.
Potrebbe venirci opposto il solito salto nel buio, argomento pauroso e cabalistico – incaricato di occupare il posto di tutti gli altri che mancano – ma che voltato in lingua piana, significa il timore che l’avvento improvviso di una massa di nuovi voti possa spostare la base dei singoli collegi elettorali.
Premettiamo che tutte le donne (come tutti gli uomini) hanno diritto al voto, con e senza l’alfabeto, il quale se è massimo strumento di coltura, non crea però né la intelligenza, né il buon senso, né la visione cosciente dei propri interessi. Vi abbiamo diritto perché siamo cittadine, perché paghiamo tasse ed imposte, perché siamo produttrici di ricchezza, perché paghiamo l’imposta del sangue nei dolori della maternità perché infine portiamo il contributo dell’opera e del denaro al funzionamento dello Stato.
Non possiamo quindi ammettere che alle donne si neghi l’esercizio del voto per altre ragioni da quelle, per le quali temporaneamente si nega all’uomo, sempre padrone per quanto sta in lui di acquistare i requisiti per esercitarlo.
Non possiamo pertanto non rilevare con quanta stridente ingiustizia e non senso – nella ristretta legge attuale – si neghi l’esercizio del voto alle donne maggiorenni che conseguirono un grado accademico o altro equivalente in una Università o in Istituti superiori del regno, o la licenza liceale, ginnasiale, tecnica, professionale o magistrale – o superarono il primo corso di un Istituto o Scuola pubblica di grado secondario, classica o tecnica, normale, magistrale, agricola, industriale, commerciale, d’arti e mestieri, di belle arti, di musica e in genere di qualunque Istituto o Scuola superiore alla elementare, governativa ovvero pareggiata, o riconosciuta o approvata dallo Stato (vedi per analogia i n. 3 e 4 dell’art. 2 della legge elettorale politica);
alle autrici di opere dell’ingegno, alle insignite di medaglie di qualsiasi Ministero, o membri effettivi, corrispondenti od onorari delle Accademie di scienze, di lettere, e di arti, costituite da oltre 10 anni;
alle direttrici o proprietarie di Istituti agrari, commerciali, industriali o educativi; alle componenti i consigli direttivi delle associazioni agrarie e dei comizi agrari;
a quelle che esercitano od hanno esercitato le funzioni di probi-viri;
alle fondatrici di Opere pie, e a quelle che sono o furono membri delle congregazioni di carità, o di qualsiasi altra Istituzione di pubblica beneficenza;
alle impiegate dello Stato, delle Province e dei Comuni, o di aziende commerciali, o industriali, o di amministrazioni private;
alle proprietarie di fondi e di case ed alle altre rispondenti ai requisiti indicati ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 dell’art. 3 e agli art. 4, 5, 6, 7. al capo dell’art. 8 e agli art. 9, 10 e 11 della detta legge elettorale politica: alle iscritte alle Camere di commercio ed arti;
alle donne che esercitano la patria potestà – a quelle che hanno la tutela dei loro mariti, fratelli o abbiatici ai sensi del Codice civile – o sono curatrici per provvedimento di giudice, o per atto inter vivos, o di ultima volontà.
È evidente quanto allo stato delle cose sia assurdo opporre l’idillio del focolare a tutta questa massa femminile, la cui capacità elettorale è incontestabile e che per necessità propria – o per utile altrui – porta la sua attività fuori della casa, dacché le leggi politiche sono leggi di opportunità e debbono – come e più che le altre – rispecchiare le realtà attuali della vita.
Sulla scorta di queste realtà affrontiamo una buona volta l’argomento mistico del salto nel buio.
Alcune diecine d’anni fa gli elettori erano una massa grigia e ondivaga – clientela ora di questo ora di quello – oppure infeudata per apatia, o per interessi singoli al solito deputato, facile conquista della rettorica dei partiti, o dell’affarismo mascherato, o di un piccolo interesse locale.
In quell’ambiente e con l’attitudine del Vaticano che teneva il partito clericale al di fuori d’ogni azione politica, nella quale tutti i partiti hanno diritto di esercitare la influenza e fare la propaganda, poteva supporsi che l’intervento di una massa di elettrici – nuovissima alla cosa pubblica – potesse determinare un imprevisto, davanti al quale l’esitazione era spiegabile.
Ma oggidì un imprevisto è impossibile per chi esamini obbiettivamente l’ambiente elettorale.
Le organizzazioni d’arti e mestieri, le associazioni agrarie, artistiche, commerciali, industriali e professionali hanno aggregato in gruppi tutti gli interessi omogenei e li hanno incanalati nelle loro correnti naturali.
Una massa elettorale femminile che altro potrebbe fare perché il suo voto sia efficace fuorché distribuirsi ed avviarsi per quelle stesse correnti?
Potrebbero le proprietarie di fondi non ispirarsi agli interessi della proprietà fondiaria e non metter capo ai Comizi e associazioni agrarie, alleati naturali? Le insegnanti potrebbero non affiatarsi con le associazioni locali magistrali e con la Federazione generale degli insegnanti? Le impiegate del Governo, delle Province e dei Comuni, evidentemente, pur esprimendo desideri e voti speciali, voterebbero colle rispettive collettività, e pel loro pane. E le commercianti, le esercenti, le industriali non potrebbero che sommare i loro voti coi voti degli elettori dei circoli di industriali e commerciali.
Né però si potrebbe credere concretarsi dunque l’elettorato femminile in una oziosa moltiplicazione di voti, dacché la cooperazione delle elettrici avrebbe la sua naturale penetrazione nei programmi dei candidati e quindi la non meno naturale ripercussione nella sollecitudine dei deputati, i quali oggi credono perdere il loro tempo, indugiandosi a studiare la soddisfazione di interessi non rappresentati.
Potrebbero per avventura preoccupare in vario senso i voti delle elettrici nelle questioni esclusivamente politiche. I partiti estremi temono l’influenza clericale; i partiti conservatori temono sulle donne l’influenza dei partiti estremi. Vogliamo quindi richiamare l’attenzione delle Camere sulla speciale missione della donna – non già quella nella quale l’egoismo dell’uomo l’ha circoscritta per conservare a sé stesso indisturbato il monopolio di tutti i benefici della convivenza sociale, ma quella che la natura con le sue manifestazioni imperiose, costanti e universali ci dimostra come una legge incontestabile.
Benché le donne al pari degli uomini siano accessibili agli entusiasmi ed alle grandi idealità – come ne sono documento i martirologi religiosi e politici – pure l’amore dei figli le fa generalmente ritrose ed esitanti di fronte alle manifestazioni della violenza con qualunque nome si chiamino. In questo istinto profondo e tenacissimo sta il segreto delle eroiche abnegazioni materne e quindi la più grande guarentigia della specie.
In esso sta la più efficace e sapiente provvidenza che possa proteggere l’umanità contro le ricorrenti ubbriacature di sangue e di distruzione che armano gli uomini gli uni contro gli altri.
Taluno potrebbe osservare essersi constatato come nei tumulti che afflissero nel maggio del 1898 varie regioni d’Italia, le donne alla testa delle folle insorgenti, sfidavano i fucili e le baionette tenendosi dietro gli uomini. Una falsa nozione di fatto fondata in logica (logica che il legislatore non ebbe) persuadeva allora il popolo addietrato del contado che le donne, non essendo contate nei diritti e benefici politici, non contassero neppure davanti alle responsabilità politiche e penali.
Forti di questa fede le donne proteggevano coi loro corpi i padri, i mariti ed i figli, persuase che difesi i loro cari dai fucili che non fanno processi – davanti ai giudici li avrebbe protetti una femminile irresponsabilità, figurando esse e non loro alla testa dell’insurrezione.
Questo fatto pertanto rientra nel nostro assunto e prova insieme l’eroismo e la missione della donna, sentiti colla forza dell’istinto (senza opportune prediche) da quelle donne ignare, istinto di proteggere l’uomo contro la violenza propria e l’altrui.
In un tempo – in cui la coscienza dei popoli incivili sente e l’indirizzo delle scienze sociali comprende essere la misericordia tanta parte della giustizia, e reagiscono contro quei criteri ritardatari che affidano alla violenza organizzata ed alla barbarie delle leggi e delle pene d’ordine sociale – l’avvento della donna – che rappresenta l’amore e la tutela della umanità nella vita pubblica – sarebbe presagio di vittoria sulla residua barbarie e di rapida evoluzione verso una politica più umana e una legislazione più provvida e materna.
Potrebbe il legislatore esitare dubbioso sulla maturità della pubblica opinione intorno al voto femminile?
Il 10 febbraio 1881 il Comizio dei Comizi in Roma – riassuntivo di cento Comizi tenuti nelle cento città d’Italia pel Suffragio universale – e composto da ottocento Delegati della Democrazia italiana di tutte le gradazioni – votava un Ordine del giorno affermante il diritto nella donna ad esercitare il voto amministrativo e politico. Quella affermazione, che anticipava di 25 anni sui più stringenti argomenti che la evoluzione sociale ci fornisce oggidì, è documento incontestabile della opinione che la borghesia intellettuale professava fino da allora nella questione.
D’altro lato la evoluzione intellettuale del proletariato non ha maturato una diversa convinzione nelle masse popolari che si agitano oggi per la conquista del suffragio universale per i due sessi, non che in Italia, in tutta Europa. E documento anche più diretto è il risveglio delle donne stesse in tutte le classi sociali e al cui svilupparsi e dilagare, giorno per giorno, assistiamo.
La presente petizione non è perciò che la nota riassuntiva della gran voce pubblica.
Noi confidiamo infine che – considerando la legge universale di evoluzione, che tutto va trasformando, metodi e istituti, usi e costumi – i legislatori italiani si persuaderanno essere assurdo che solo la donna – la cui attività e interessi si vanno sempre più estendendo – rimanga perennemente inchiodata alla croce delle secolari esclusioni.

Roma, marzo 1906.
ANNA MARIA MOZZONI in Malatesta Covo, socia corrispondente dell’Accademia filotecnica di Torino, Redattrice.
VALERIA BENETTI, laureata in scienze naturali.
TERESA BONCOMPAGNI, principessa di Venosa, Presidente dell’Ambulatorio per i bambini poveri, EVA DE VINCENTIIS, scrittrice.
Marchesa ETTA DE VITI DE MARCO, Consigliera d’amministrazione della Società contro Vaccattonaggio.
TILDE FERRARI NARDUCCI, pittrice
MARIA GRASSI KOENEN, Presidente del Comitato nazionale femminile di soccorso per le vedove e gli orfani degli impiegati dello Stato non provviste di pensione.
CLEOFE LEONI, telefonista.
OLGA LODI, decorata della medaglia dei benemeriti della salute pubblica, giornalista.
Donna GIACINTA MARTINI MARESCOTTI, proprietaria.
ELENA MASSETTI PISANI, Presidente dell’Associazione magistrale femminile romana.
MARGHERITA MENGARINI, laureata in scienze naturali.
MARIA MONTESSORI, dottore in medicina e chirurgia.
Donna BICE MOZZONI, laureata in giurisprudenza.
CAROLINA PALMA, maestra elementare.
GIUDITTA PARBONI, maestra elementare.
Contessa MARIA PASOLINI, Presidente della Biblioteca circolante.
DELIA PAVONI vedova MAGNAGHI, proprietaria delle Terme di Salsomaggiore, LIA PREDELEA LONGHI, laureata in matematiche.
BEATRICE SACCHI, laureata in matematiche.
IDA SALVAGNINI BIDOLI, pittrice.
MARIA SANTARELLI, industriale.
Contessa MARIA ANNA SODERINI DE FRANKENSTEIN, Ispettrice scolastica.
ANNA STELLUTI, industriale e commerciante.
Contessa LAVINIA TAVERNA, Vice-presidente della Cooperativa industrie femminili italiane.
ROMELIA TROISE, telegrafista.

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