Proclama del Governo Provvisorio Lombardo

Proclama del Governo Provvisorio Lombardo del 25 giugno 1848

GOVERNO PROVVISORIO DELLA LOMBARDIA
Lombardi!
Era nei decreti della Provvidenza educatrice che la risurrezione d’Italia, sospiro di tanti secoli, segreto struggimento di tante generazioni infelici, non avesse a compiersi solo per inusato concorso di favorevoli eventi o per impeto d’entusiasmo miracolosamente concorde. Quella libertà, la quale da principio parve piuttosto dono divino che umana conquista, sta per ritemprarsi a prove più difficili e più gloriose. Giovanilmente vincemmo, ed ora siamo posti alla necessità d’usar virilmente della vittoria né voi certo, o Lombardi, lamenterete questa necessità, voi che già sperimentaste quante inspirazioni di concordia, di coraggio, d’amore rechi ai nobili cuori l’ora suprema del pericolo! Benché da lunghi anni divezzi dal armi e quasi dalla speranza, un sacro furore ci trasumanò nei giorni eternamente memorabili del Marzo. Abbracciandoci, amandoci, ed insieme affrontando con gara pietosa la morte, trovammo il senno, trovammo il coraggio, inventammo una guerra nuova, la guerra delle Termopili cittadine, e dalla lotta temeraria uscimmo soldati, veterani, vincitori.
Ed ora, o Lombardi, guardiamoci in faccia: ancora siamo quelli del Marzo! L’inesperienza politica, il fascino della fortuna, la novità degli eventi, l’insolita vivacità delle idee, delle passioni, delle speranze ridestatesi ad un tratto dal secolare assopimento, la mole crescente d’un amministrazione che bisognava insieme e crear dal nulla e spingere come già fosse forte e matura, l’impazienza di animi a cui già il maraviglioso era divenuto connaturale, le esitanze insuperabili per chi muove su una via inesplorata, ponno averci condotto a qualche errore, ponno averci dato il tristo diritto di dubitare di molte cose. Ma siamo pur sempre quelli, ma di questo possiamo e dobbiamo renderci sicura testimonianza, che tutti abbiamo posta lietamente la vita per la patria e che di nuovo siamo pronti ad offrirla.
E a nuovi sacrifici, a nuove vittorie ci chiama il Signore: sacrifici necessarii, vittorie sicure. Il nemico, coperto tra l’Adige e il Mincio dai baluardi ch’egli da tanto tempo studiosamente si preparava per ultimo rifugio,ingrossa d’uomini ed aizzando gli istinti barbarici rinfiamma i suoi soldati, se non al coraggio vero, almeno all’avido furore del saccheggio e della strage! Sfuggendo le invitte schiere piemontesi, egli si volse con improvviso impeto sulle città della Venezia, che, soverchiate dal numero e dalle artiglierie, ricaddero sotto il dominio di milizie inferocite le quali dagli antichi Barbari non differiscono se non per l’ironica ipocrisia dei loro condottieri.
Quelle orde, che ancora ben non si sa in nome di chi combattano, diedero di piglio agli averi de privati come agli erarii del pubblico; vuotarono le casse dei Comuni, tassarono le famiglie, spogliarono i Monti di pietà, rapirono i depositi commessi alla pubblica fede, profanarono le chiese e fecero inverecondo sperpero de’ sacri arredi, di strussero le opere inapprezzabili dell’arti belle, intimarono confische, e forzarono quegl’infelici italiani che non avevano potuto morire per la patria a vestire l’assisa straniera ed a distribuirsi nelle schiere austriache, ostaggi vigilati e carne preparata a ricevere i primi colpi del cannone italiano.
Queste cose soffrono i nostri fratelli del Veneto, queste cose Radetzky prepara per quella divina gemma delle italiane città, per quell’unica Venezia che, confidando in noi, decretò di congiungere le sue con le nostre sorti È là sulle lagune, ove gia un eletto battaglione Lombardo
rappresenta onoratamente le nostre promesse, è la che il nemico tenta il supremo sforzo per di gregare l’unità italiana. Se, disgregati, noi fossimo costretti ad accettare una pace disonorata, incerta ed insidiosa, noi non saremmo liberi veramente; e i dolori della indivisibile Venezia sarebbero per noi una vergogna continua, un rimorso tormentatore!
Lombardi! Già lo dicemmo a noi stessi ed all’Europa che, ove sono mura di città italiane, ivi sono le nostre mura. Ripetiamolo ancora. In Venezia è ora il cuore di Milano, il cuore di Lombardia, il cuore d’Italia! E alle speranze e alle minaccie del nemico rispondiamo animosi coi fatti.
E coi fatti rispose il vostro Governo, o Lombardi, il giorno in cui all’Austria che offriva di riconoscere la indipendenza di Lombardia rispose non essere la guerra che combattiamo guerra Lombarda, ma guerra Italiana.
Coi fatti vorrebbe ora rispondere, levando, armando, spingendo ai confini un nuovo esercito il quale, aggiunto a quello che già si sta formando ed al glorioso Esercito piemontese (che dovette finora sostenere il principale sforzo della guerra), assicuri la Patria nostra perfino dai capricci della fortuna e dagli estremi e disperati impeti del nemico. Antica gloria de’ padri nostri è quella di forzare il destino e di mostrare che la virtù perdurante e provvidente guida la fortuna.
Sessanta mila Lombardi al Mincio, trecentomila nostre guardie nazionali che presidiino dietro le invincibili barricate le nostre città e i nostri borghi, che sieno preste ad accorrere alla riscossa, che custodiscano le gole delle valli e le vette dei monti: le nostre campane pronte a suonare a stormo e a intimare la morte o a noi od ai nemici:
le nostre donne, di cui per tutto il mondo è celebrata la magnanima pietà, ordinate in confortatrici, in amministratrici, in infermiere del soldato della patria: la Lombardia, in una parola, diventata un campo fortificato di guerra e recinto tutt’intorno dalle nuove schiere di Piemonte, di Toscana, di Roma e dei Napoletani fedeli alla bandiera d’Italia: ecco la risposta che il vostro Governo vorrebbe fare al rinnovato insulto, alla rinvigorita baldanza del Barbaro.
E quel che il vostro Governo vorrebbe, voi lo volete, o Lombardi; e con generose parole già ne avete espresso il generoso voto; e quanto voi lo volete, tanto la necessità lo comanda.
I sacrifici che il Governo vi chiede non sono la metà dei sacrifici che il nemico vittorioso v’imporrebbe: offrendo a tempo sull’altare della patria le vite e gli averi, voi salvate le vite, salvate gli averi, conquistate la gloria e la libertà. Esitando, rischiate perder tutto, disonoratamente, per sempre; oppure lasciate che una guerra lenta, ingloriosa, pericolosa, vi consumi a poco a poco, vi dissangui, vi rompa l’energia e la fede.
In questo grave momento il vostro Governo, invocando e pregando pace e concordia cittadina, sente il bisogno di chiamarsi d’intorno tutte le forze del paese e di chiedere il concorso, il consiglio, l’aiuto di tutti i buoni cittadini. Il sentimento della necessità accenderà negli animi di tutti un nuovo vigore, e mostrerà la vanità di certi dissentimenti che il tempo e l’opera concorde facilmente ponno cancellare. E il Popolo lombardo, questo popolo del buon senso e del buon cuore, si mostrerà eroico per riflessione come già fu eroico per entusiasmo. Innanzi ai folti battaglioni de’ nostri cittadini soldati si spunteranno i cavilli della diplomazia, che aveva rincominciato a sperare nelle vecchie arti della discordia; e il nemico comprenderà che in terra italiana non può trovare che un deserto o il sepolcro.
Lombardi! Ora, come la mattina del 18 marzo, vi ripetiamo:


ORDINE! CONCORDIA! CORAGGIO!
Milano, 25 giugno 1848

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