Proclama di Francesco II da Gaeta del 1860

Proclama di Francesco II da Gaeta per dare ragione della resistenza e suscitare i suoi partigiani a levarsi in arme per li suoi diritti.

Categoria: Risorgimento

Gaeta, 2 Decembre 1860.
POPOLI DELLE Due Sicilie,
Da questa Piazza, ove difendo più che la mia corona, l’indipendenza della patria comune, il vostro sovrano alza la voce per consolarvi nelle vostre miserie, e per promettervi tempi più felici. Traditi egualmente, parimenti spogliati, ci alzeremo insieme dai nostri infortunj. L’opera dell’iniquità non è mai durata lungamente, e le usurpazioni non sono eterne.
Ho lasciato cader nel disprezzo le calunnie, ho guardato con disdegno i tradimenti, tanto che tradimenti e calunnie si sono attaccati solamente alla mia persona. Ho combattuto non per per me, ma per l’onore del nome che portiamo. Ma quando veggo i miei amatissimi sudditi in preda a tutti i mali della dominazione straniera; quando li veggo, popoli conquistali, por lare il loro sangue, i loro beni in altri paesi, calpestati da un popolo straniero; il mio cuore napoletano bolle d’indignazione nel mio petto, e son consolato soltanto dalla lealtà della mia brava armata, dallo spettacolo delle nobili proteste, che da tutti i punti del Regno s’innalzano contro il trionfo della violenza e della furberia.
Io sono Napoletano, nato fra voi, non ho respirato un’altr’aria, non ho visto altri paesi non conosco altro suolo, che il natale. Tutte le mie affezioni sono nel Regno; i vostri costumi sono i miei costumi, la vostra lingua è la mia lingua, le vostre ambizioni sono le mie ambizioni. Erede di un’antica dinastia, che per lunghi anni regno su queste belle contrade dopo averne ricostituita l’indipendenza e l’autonomia, io non vengo, dopo avere spogliato gli orfani del loro patrimonio e la Chiesa de’ suoi beni, ad impadronirmi con la forza straniera della più deliziosa parte dell’Italia. Sono un Principe che è il vostro, e che ha tutto sacrificalo al suo desiderio di conservare fra i sudditi, la pace, la concordia e la prosperità.
Il mondo intero l’ha visto; per non versare sangue ho preferito rischiar la mia corona. I traditori pagati dal nemico straniero, sedevano nel mio consiglio, a fianco ai fedeli servitori; nella sincerità del mio cuore non poteva credere al tradimento.
Mi costava troppo di punire, soffriva di aprire dopo tante sventure un’era di persecuzioni; e cosi la slealtà di certuni, e la clemenza han facilitata l’invasione, che s’è operata col mezzo
degli avventurieri; poi paralizzando la fedeltà de’miei popoli ed il valore de’ miei soldati.
In mezzo a continue cospirazioni, non ho fatto versare una goccia di sangue, e si è accusata la mia condotta di debolezza.
Se l’amore più tenero per i miei sudditi, se la confidenza naturale della gioventù nell’onestà di altrui, se l’orrore istintivo del sangue, meritano tal nome, si, certo io sono stato debole.
Al momento in cui la ruina de’miei nemici era sicura, ho fermato il braccio de’ miei Generali per non consumare la distruzione di Palermo.
Ho preferito abbandonar Napoli, la mia capitale, senza essere cacciato da voi, per non esporla agli orrori di un bombarda mento, come quelli che hanno avuto luogo più tardi a Capua e ad Ancona. Ho creduto di buona fede che il Re di Piemonte,
che si diceva mio fratello, e mio amico, che mi protestava disapprovare l’invasione di Garibaldi, che negoziava col mio Governo un’alleanza intima per i veri interessi dell’Italia, non avrebbe rotti tutti i trattati, e violate tutte le leggi per invadere tutti i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazione di guerra. Questi sono i miei torti. Preferisco i miei infortunj ai trionfi degli avversarj.
Aveva dato un amnistia, aveva aperto le porte a tutti gli esiliati, aveva accordalo ai miei popoli una Costituzione, e non ho mancato alle mie promesse. Mi preparava a garentire alla Sicilia istituzioni libere, che avrebbero consacrato, con un Parla mento separato, la sua indipendenza amministrativa ed economica, e messo da parte in un colpo tutti i motivi di diffidenza e di malcontento. Aveva chiamato nei miei consigli gli uomini che mi sembravano i più accettevoli dalla opinione pubblica in questa circostanza; e, per quanto me l’ha permesso l’incessante aggressione, di cui sono divenuto la vittima, ho travagliato con ardore alle riforme, al progresso, alla prosperità del nostro comune paese.
Non sono le discordie intestine che mi strappano il regno, ma son vinto dall’ingiustificabile invasione di un nemico straniero. Le Due Sicilie, ad eccezione di Gaeta e Messina, questi ultimi asili della loro indipendenza, si trovano in mano del Piemonte. Che cosa ha procurato questa rivoluzione ai popoli di Napoli e di Sicilia? Vedete la situazione che presenta il paese. Le finanze, non guari si fiorenti sono completamente ruinate; l’amministrazione è un caos; la sicurezza individuale non esiste; le prigioni sono piene di sospetti; in luogo della libertà, lo stato d’assedio regna nelle provincie, e un generale
straniero pubblica la legge marziale, decretando le fucilate istantanee per tutti quelli de’miei sudditi, che non s’inchinano innanzi la bandiera di Sardegna. L’assassinio è ricompensato, il
regicida ottiene un apoteosi, il rispetto al cullo santo dei nostri padri è chiamato fanatismo; i promotori della guerra civile, i traditori del lor paese ricevono pensioni, che paga il pacifico suddito. L’anarchia è dovunque. Gli avventurieri stranieri han messo la mano su tutto per soddisfare l’avidità, o le passioni dei loro compagni. Uomini, che non hanno mai visto questa parte dell’Italia, o che in lunga assenza ne hanno dimenticato li bisogni, costituiscono il nostro governo. In luogo delle libere istituzioni che vi avea date, e che desiderava sviluppare, avete avuto la dittatura più sfrenata, e la legge marziale rimpiazza ora la Costituzione. Sotto i colpi de ‘ vostri dominatori sparisce l’antica Monarchia di Ruggiero, e di Carlo III, e le due Sicilie sono state dichiarate provincie di un regno lontano. Napoli e Palermo saran governati da Prefetti venuti da Torino.
Vi è un rimedio a questi mali, ed alle calamità più grandi ancora che prevedo: la concordia, la risoluzione, la fede nell’avvenire. Unitevi attorno al trono de’ vostri padri. Che l’oblio copra per sempre gli errori di tutti; che il passato non sia mai il pretesto di vendetta, ma una salutare lezione per l’avvenire.
Ho fiducia nella giustizia della Provvidenza, e qual che sia la mia sorte, resterò fedele ai miei popoli, come alle istituzioni che lor ho acccordati. Indipendenza amministrativa ed economica tra le Due Sicilie, con parlamenti separati, amnistia completa per tutti i falli politici: ecco il mio proclama. Fuor di queste basi non resterà nel paese che dispotismo, ed anarchia.
Difensore dell’indipendenza della patria, sto, e combatto qui per non abbandonare un deposito si santo. Se l’autorità ritorna nelle mie mani; sarà per proteggere tutti i diritti, rispettare tutte le proprietà, garentire le persone, e li beni de’ miei sudditi, contr’ogni sorta di oppressione e di saccheggio.
Se la Provvidenza ne ‘ suoi profondi disegni permette che l’ultimo baluardo della Monarchia cada sotto i colpi di un nemico straniero, mi ritirerò con la coscienza senza rimprovero, con una fede stabile, e con una immutabile risoluzione; ed aspettando l’ora vera della giustizia farò voti i più fervidi per la prosperità della mia patria, per la felicità de’miei popoli, che formano la più grande, e la più cara porzione di mia famiglia.
Il Dio Onnipotente, la Vergine Immacolata, ed invincibile protettrice del nostro paese, sosterranno la nostra causa comune.

Firm. FRANCESCO.

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