Progetto di legge per l’Assemblea Costituente della Lombardia

Pubblicazione e motivazione di un Progetto di Legge sulla convocazione di un’Assemblea Costituente per la Lombardia

9 maggio 1848.
Al Governo provvisorio Centrale della Lombardia
Il Decreto 8 aprile prossimo passato di questo Governo provvisorio istituiva una Commissione speciale, composta dei signori Alessandro Porro, commissario governativo, Presidente, Gioachimo Basevi, Paolo Bassi, Giovanni Berchet, consigliere Giuseppe Borghi, Carlo Cattaneo, Filippo De Boni, avvocato Costantino Mantovani, Giovanni Martinengo Villagana, prete Andrea Merini, prevosto di san Francesco da Paola, Giuseppe Negri, e consigliere Pietro Robecchi, Questa Commissione venne incaricata di studiare senza dimora e proporre un progetto di legge per la convocazione delle Assemblee primarie, non che pel modo di riunirle e di raccoglierne e verificarne i voti.
Lo scopo di quella convocazione ed il soggetto degli studi che le venivano commessi indicavano alla Commissione i doveri che aveva ad adempiere. Essa li ha sentiti in tutta la loro pienezza, e vi si sottopose volonterosa.
Destinate a formare la Rappresentanza nazionale, la Commissione doveva aver cura che le Assemblee primarie, la loro riunione, il loro meccanismo, le cautele nella loro azione valessero ad assicurare la vera espressione della nazionale volontà; doveva comporle in guisa che si effettuasse per esse il voluto appello a tutti i cittadini, e s’interrogasse il loro voto come conveniva ad un popolo che aveva operata con prodigi di valore e doveva compire con prodigi di sapienza la sua gloriosa rigenerazione.
Tali erano i doveri della Commissione, tali le viste che la guidarono, e colle quali procedette né suoi lavori.
Riunitasi la prima volta nel giorno 11 aprile, ha dovuto dare il suo primo pensiero alla propria composizione, Il Decreto 8 aprile poneva in di lei facoltà il chiamare nel di lei seno altri membri, il determinare l’ordine delle proprie sedute ed il giudicare se avessero ad essere pubbliche.
La questione della pubblicità influiva pure su quella della composizione della Commissione. Sulla prima il signor Carlo Cattaneo, uno dei membri nominati con quel Decreto, aveva manifestata la propria opinione col Foglio 9 aprile diretto al Governo provvisorio, col quale dichiarò di accettare l’incarico a condizione che le discussioni fossero fra una seduta e l’altra pubblicate, perché ognuno abbia la responsabilità delle proprie opinioni. né eravi alcuno degli altri membri che la ricusasse. Tuttavia, chiamata così a fissare il grado e modo di pubblicità che avrebbe dato a suoi lavori, la Commissione fu unanime nell’avviso che le sue discussioni, assumendo forma di studi, ai quali d’altronde non tutti gli occorrenti materiali statistici erano pronti, dovevano conservare quella libertà massima che non era conciliabile né colla presenza del pubblico alle sue sedute né colla pubblicazione quotidiana.
La Commissione pensò inoltre che tanto questa pubblicazione quotidiana quanto l’intervento del pubblico alle proprie sedute avrebbe impegnati i Commissarii a discorsi di apparato, male adatti a studi preparato rii, ne quali giova piuttosto la pronta e confidenziale manifestazione del pensiero su ciascun principio, quasi su ciascuna frase proposta a meditarsi. Pensò pure che l’uno come l’altro di que due metodi poteva scemare la libertà delle opinioni e creare osta colo a quelle coscienziose modificazioni di esse, di cui volevasi avere la facoltà ogni qual volta il seguito della discussione traesse gli animi a convinzioni diverse.
La Commissione non voleva evitare la pubblicità; amava anzi che i suoi lavori la ottenessero; che tutta la Nazione potesse giudicare i motivi dai quali sarebbero state determinate le disposizioni della Legge che era per proporre; ma non voleva adottare un modo di pubblicità che avesse potuto pregiudicare la essenza stessa de’ suoi studi, e quell’ordine, quell’andamento di essi che meglio potesse garantirne il risultato.
Deliberò quindi unanimemente che, compiuto il lavoro, vi si sarebbe data pubblicità con una relazione finale che riassumesse l’intera discussione in corrispondenza al progetto di legge che sarebbe stato formulato, e ne porse avviso per mezzo del proprio Presidente al signor dottor Cattaneo, facendogli ad un tempo esprimere il desiderio e la persuasione della Commissione che, se essa non aveva acconsentito se non in modo diverso alla pubblicità da lui voluta, egli non avrebbe tuttavia ricusato di prestarle il concorso de’ suoi lumi e di sedere nel di lei seno; ma egli se ne astenne.
Quanto alla propria composizione, la gravità dell’argomento di cui doveva occuparsi e le stesse sue deliberazioni sulla pubblicità facevano sentire alla Commissione il bisogno e la convenienza di accrescere il numero de’ suoi membri, a maggior garanzia della maturità delle sue discussioni. Bramava essa sopra tutto che le provincie Lombarde e gli Stati, non ancora costituiti, che potessero fondersi in avvenire con esse, fossero in essa rappresentate; e quindi si aggregò i signori Giulio Beccaria di Milano, Faustino Sanseverino di Crema, Lorenzo Curtani di Cremona, Luigi Torelli di Sondrio, Gerolamo San Gervasi di Brescia, ingegnere Pier Antonio Pagnoncelli di Bergamo, Emiglio Usiglio di Modena; ai quali si aggiunsero poscia i signori Prospero Marchetti ed avvocato Giuseppe Piroli, i quali cominciarono ad intervenire alle sedute della Commissione nella terza sua tor nata, il giorno 15 aprile. Esso signor avvocato Piroli venne inviato officialmente ad assistervi dal Governo provvisorio di Parma.
Finalmente nella tornata 19 aprile cominciò pure ad intervenirvi il signor avvocato Ca lucci, inviato dal Governo provvisorio della Repubblica Veneta.
Nella stessa seduta preparatoria del giorno 11 aprile la Commissione prese a deliberare sul metodo col quale doveva procedere né suoi lavori.
Era opinione di alcuni membri che si seguisse passo passo la Legge 5 marzo prossimo passato, promulgata dal Governo provvisorio di Francia per la convocazione di quella Assemblea nazionale, a fine di applicarla o variarla a norma del principii fondamentali che si sarebbero adottati o se condo esigessero le forme diverse della nostra amministrazione.
Pensavano altri che quella Legge fosse di soverchio scarsa nelle sue disposizioni, talchè venne poi completata colle posteriori istruzioni pubblicate dal Governo di Francia col Decreto 8 aprile, le quali contengono molte disposizioni di massima che reputa vano più conveniente di collocare nella Legge anziché nel Regolamento destinato alla di lei esecuzione.
Ad ogni modo la Legge francese offriva una prima traccia che poteva fissare l’ordine della trattazione, e la Commissione stabili di attenervisi, salvo di regolare poi l’ordine della Legge e delle sue disposizioni con quel sistema che le venisse legando con giusto processo e facesse trovare nella Legge tutte le misure essenziali, sia che riguardino i principii, sia che li sviluppino e guidino alla pratica esecuzione, riservando alle Istruzioni da promulgarsi contemporaneamente le sole disposizioni di modalità o di schiarimento.
Le suaccennate deliberazioni, prese dalla Commissione nella seduta preparatoria, vennero confermate ad unanimità nella sua se conda tornata del 14 aprile, cui intervennero i nuovi membri, eccetto i signori Marchetti, Piroli e Calucci, i quali, come già si è accennato, non presero parte a di lei lavori che successivamente.
Adottato il metodo della trattazione, la Commissione la intraprese e la compì in quattordici sedute, nelle quali, dietro accuratissima discussione, fissò i principii ai quali la Legge doveva essere informata, e ne dedusse le disposizioni.
Queste vennero anche in parte formulate dalla Commissione. Conoscevasi però il bisogno che il testo sì della Legge e sì delle Istruzioni venisse meditato profondamente con quel raccoglimento che non può ottenersi in un’assemblea numerosa. Quindi la Commissione nella sua seduta del giorno 20 aprile elesse nel suo seno una sub-Commissione incaricata di redigere il progetto di Legge e d’Istruzioni, e la compose dei signori Antonio Basevi, avvocato Mantovani, consigliere Borghi, Paolo Bassi, e consigliere Robecchi.
Tosto che la discussione delle massime fu compiuta, la sub-Commissione diede opera alla commessale redazione, e nelle due sedute del giorno 9 maggio sottopose all’intera Commissione il progetto di Legge e d’Istruzioni che sulle norme già stabilite essa aveva coordinato e formulato. Il progetto, dietro nuovo esame, fu approvato e firmato da tutti i Commissarii intervenuti alla seduta.
Il presente Rapporto renderà conto delle discussioni che lo prepararono, come delle ragioni che lo hanno fatto adottare dalla Commissione.
Nel fissare l’ordine della Legge parve alla Commissione che essa dovesse cominciare dalla principale delle sue disposizioni, cioè dal proclamare la convocazione dell’Assemblea nazionale nel giorno e luogo da stabilirsi dal Governo, perché tutte le disposizioni della Legge concernenti le Assemblee primarie non sono che mezzi destinati a quel fine.
Assai fu discusso il punto se, nell’accennare l’Assemblea nazionale da convocarsi, dovessero indicarsene gli attributi.
Alcuni Commissari erano d’avviso che questi avessero a dichiararsi in relazione allo scopo pel quale l’Assemblea nazionale veniva radunata, cioè di comporre lo Stato, decretare la forma del di lui Governo, e fondarne la Costituzione. Oltreché reputa vano pur necessario lo esprimere che l’Assemblea medesima avrebbe avuta la podestà legislativa ordinaria, perché in di lei presenza ogni altro potere veniva a cessare, ed era impossibile che, nel lungo intervallo dal giorno della sua convocazione a quello in cui la Costituzione da lei decretata avesse potuto attuarsi ed i poteri destinati al regime dello Stato avessero potuto entrare in funzione, non fosse nato il bisogno di decretare parecchie leggi, come quelle concernenti l’esercito, le finanze, e le varie leggi che sono indispensabile complemento della Costituzione.
Vero è che l’Assemblea creata a rappresentare la Nazione ha in sé stessa e nella sua rappresentanza la somma di tutti i poteri, sì che sarebbe più presto impossibile il limitarli che necessario il dichiararli. Gli stessi membri però credevano opportuno di esprimerli, non già per attribuirli all’Assemblea, alla quale naturalmente appartengono, ma per farne avvertiti gli elettori affinché, conoscendo esattamente le alte attribuzioni dei deputati a comporre l’Assemblea nazionale e la estensione delle medesime, potessero far cadere la loro scelta sopra quei cittadini che meglio reputassero capaci di sostenerle.
Altri membri della Commissione ritene vano all’invece che, secondo il testo del Decreto 8 aprile, l’Assemblea da convocarsi dovesse essere destinata unicamente a decidere i destini della Patria, e quindi a pronunciare sulla composizione e sulla forma di governo dello Stato, per cui ogni altra attribuzione che si fosse menzionata sarebbe escita dai limiti del mandato con ferito alla Commissione.
Questa però, posti i partiti, decise a gran de maggioranza che il Decreto 8 aprile doveva largamente interpretarsi. Se non che varii membri pensarono e sostennero che quando all’Assemblea nazionale si fosse aggiunta la denominazione di Costituente, questo appellativo raccoglieva in sé solo e ba stava ad indicare tutti i poteri di cui era rivestita. né i primi opinanti ne dissenti vano; soltanto preferivano che l’ampio concetto, rappresentato compendiosamente da una sola voce, venisse distintamente espresso, perché anche gli elettori meno capaci di apprezzarne l’estensione potessero trovare nelle parole della Legge tutta l’ampiezza del mandato che col loro voto sono per conferire agli eletti; la quale opinione avendo prevalso, venne di conformità formulato l’articolo 1 della Legge, e seguendo lo stesso principio si stabili in fine del 2 che fino all’attuazione della Costituzione, da decretarsi dall’Assemblea Costituente, ella eserciterà il potere legislativo, L’articolo 2 era una conseguenza naturale e necessaria del carattere dell’Assemblea e della posizione del paese. Scosso il giogo straniero, il paese posto in balia di sé stesso si trovò ed è tuttavia governato da un Potere temporario che trae il suo mandato dal bisogno supremo dell’ordine e della salvezza pubblica e dal tacito con senso del popolo, consenso che non può tradursi oltre i confini di questa stessa temporarietà, ossia del tempo necessario a radunare una Rappresentanza della Nazione che, esercitandone la sovranità, provveda al proprio regime.
Convocata l’Assemblea Costituente, essa rappresenta la Nazione sovrana, ed i poteri provvisorii nati dalla necessità cessano avanti di lei. A lei spetta, dal punto in cui è costituita e può regolarmente funzionare, il procedere all’ordinamento ed all’esercizio del potere esecutivo. Coll’articolo 2 non si fece così che prenunziare un fatto necessario.
Ma quest’Assemblea come doveva essere composta? Qui si affacciavano tutti i principii diversi che, secondo le varie dottrine politiche e la diversa pratica delle nazioni, potevano dar norma a quella composizione, e vennero largamente discussi ed esaminati dalla Commissione.
Niun dubbio poteva insorgere sul primo e fondamentale. Trattavasi di eleggere un’Assemblea Costituente che doveva fissare i destini della Nazione. La Nazione intera doveva dunque concorrere con universale suffragio a nominare i cittadini che dove vano rappresentarla nell’esercizio di un diritto dal quale dipendevano le sue sorti.
Poteva piuttosto dubitarsi se il suffragio dovesse essere diretto od a due gradi.
Quando un’Assemblea nazionale ordinaria si fa scaturire dal suffragio universale, molti argomenti possono consigliare il doppio grado nella elezione; né può essere bisogno di qui rammentarli. Ma nella speciale situazione del nostro Stato, e quando trattasi di nominare una Costituente la quale non è preceduta che dai poteri del popolo, dai quali trae i proprii, ed investita di questi, deve dargli in di lui nome quel regime a cui il successivo suo movimento si coordini, la tesi non poteva essere dubbia. I mandatarii del popolo dovevano essere da lui nominati.
L’anello intermedio di una doppia elezione avrebbe allontanato l’eletto dalla sua base.
Conveniva che la Nazione riguardasse come proprii i decreti dell’Assemblea; conveniva quindi che i deputati a comporla fossero di rettamente nominati dalla Nazione, ossia dagli elettori, e questo sistema fu quindi preferito dalla Commissione.
Si volle inoltre che il suffragio fosse segreto, perché nel segreto sta una delle principali guarentie della libertà del voto e quindi della sincerità delle elezioni.
Queste massime furono piuttosto discusse che controverse nel seno della Commissione, che le adottò unanimemente.
Con eguale unanimità ella adottò la massima che la elezione dovesse essere determinata dalla maggioranza relativa dei voti. Fu soggetto di lungo esame il decidere se alla maggioranza relativa dovesse combinarsi un numero minimo, come necessario a ritenere effettuata la elezione di un Rappresentante. La Commissione inclinò dapprima a stabilire questo numero minimo. Ma quando nel progresso de’ suoi lavori e delle sue decisioni sui principii regolatori delle elezioni ella stabilì che queste avessero ad effettuarsi per Provincie, vide rimosso il pericolo che avrebbe potuto incontrarsi in una elezione per Distretto; il pericolo cioè che la maggioranza relativa su di un limitato numero di voti mandasse all’Assemblea nazionale dei Rappresentanti i quali non fossero che gli eletti di una piccola ma compatta minorità.
Grave d’altronde era la difficoltà che si offriva nello stabilire rettamente questo minimo. Se ne è meditata la misura sotto più aspetti; cioè sul dato di un numero fisso o della proporzione. Ma l’uno e l’altro, stante la grande differenza di popolazione nelle nostre Provincie, i di cui estremi sono quella della provincia di Milano con 574,738 abitanti nazionali e quella di Sondrio con 96,447 abitanti, non era conciliabile colla desiderata uniformità. Quel numero fisso che sarebbe stato giustamente proporzionato per Milano, e commisurato alla probabilità che potesse raggiungersi nella sua grande popolazione, sarebbe stato soverchio per quella di Sondrio. La proporzione poi, prendendo per base popolazioni sì diverse in numero, avrebbe dato nelle parti aliquote che si fossero adottate, cioè di un quinto, di un decimo del numero totale dei voti, un minimo sommamente diverso. Così, supposto il ventesimo, nella provincia di Milano si avrebbe avuto bisogno di circa 6500 voti per costituire la maggioranza relativa sufficiente alla elezione, mentre nella provincia di Sondrio vi sarebbero bastati 850 voti.
D’altra parte, se nelle nomine per provincia era meno a temersi l’inconveniente che la semplice maggioranza relativa risultasse dal voto di una piccola minorità ben unita, il determinare in qualunque modo un minimo avrebbe addotto un altro pericolo, quello cioè di far mancare molte elezioni.
Esso non poteva possibilmente fuggirsi se non fissando il minimo in un numero di voti si tenue che avrebbe messo in evidenza ciò stesso che volevasi evitare, cioè la no mina operata da una debole minorità. E quando il numero di voti necessario alla elezione si fosse innalzato a cifra elevata, sarebbe stato frequente il caso in cui la elezione fosse mancata; il che avrebbe prodotto un inconveniente gravissimo, obbligando tutti i Comuni di una provincia a ripetere le operazioni elettorali che esigono assai tempo. E frattanto le popolazioni, per le quali fossero mancate le elezioni, non sarebbero state rappresentate, o non lo sarebbero state nel prefisso numero di Deputati, alla Assemblea costituente. L’Assemblea nazionale deve essere quanto sia possibile completa fino dal suo primo momento. D’altronde il tempo delle elezioni è tempo di agitazione in tutti gli Stati, ed è opportuno che non si riproduca senza assoluto bisogno.
L’articolo 3 della Legge contiene l’espressione di questi principii e li raccoglie compendiosamente nella sua disposizione.
Stabiliti questi principii regolatori dell’elezione, era a determinarsi il numero dei Rappresentanti che avevano a comporre l’Assemblea nazionale.
Ella deve deliberare sui più alti interessi della Patria, fondare la sua grandezza, gettare le basi della sua prosperità, assicurare la sua libertà comperata al prezzo di tanti sacrifizi, di tanto sangue, garantire il suo progresso, prepararle quello splendido avvenire cui è chiamata dalla sua posizione e dal valore come dall’ingegno de’ suoi figli.
Una missione di tanta importanza non poteva essere confidata ad un’Assemblea poco numerosa. Il paese non poteva essere soddisfatto, e le opinioni che non avessero prevalso difficilmente potevano adagiarsi alle diverse e contrarie, quando il trionfo di queste fosse stato decretato da una maggioranza formata da pochi individui. Non sorse nella Commissione verun dissentimento sul principio generale che l’elezione avesse per base la popolazione. Le discussioni si aggirarono sul rapporto numerico della popolazione ai Deputati da eleggersi. Questo rapporto non ha e non può avere una legge fissa. Esso deve anzi variare secondo la popolazione che deve essere rappresentata nell’Assemblea nazionale. Due norme agenti in senso opposto e che devonsi contemperare, accordare fra esse, concorrono a determinare quel rapporto. L’una esige che l’Assemblea sia abbastanza numerosa perché trovi in sé stessa potenza, libertà, indipendenza, e perché la Nazione veda raccolta in lei tale una copia di civile sapienza che la faccia sicura della maturità, anzi della eccellenza delle di lei deliberazioni. L’altra consiglia a non dare un soverchio riguardo al numero dei Deputati; perché in un’Assemblea troppo numerosa è malagevole il mantenere l’ordine nella discussione, la calma nelle decisioni. Quindi il rapporto del Deputato alla popolazione, piegando ad un tempo a quelle due regole, si innalza o si abbassa secondo che l’Assemblea deve rappresentare un piccolo od un grande Stato.
La Commissione aveva a proporre la legge elettorale per la Lombardia. Ciò solo era certo. Doveva, giusta il Decreto 8 aprile, aver cura che il suo progetto fosse pur suscettivo di essere adottato anche dagli altri paesi d’Italia che ora si stanno costituendo, e la ebbe. Ma quanto al numero dei Deputati, ella non poteva determinarlo sul dato di aggregazioni incerte perché, allora quando la sola Lombardia avesse avuto a trovarsi rappresentata nell’Assemblea, il numero de’ Rappresentanti sarebbe stato troppo scarso.
Perciò, nell’opinione che la Costituente lombarda avesse a comporsi di un numero di Deputati che si avvicinasse ai 300, la Commissione adottò il rapporto da uno a dieci mila; per cui, sulla popolazione della Lombardia risultante dal censo dell’anno 1847, il numero dei Deputati componenti la di lei Assemblea è di 267.
Tali sono le considerazioni che guidarono a proporre l’articolo 4 nel quale, sul numero complessivo dei Deputati, venne pur assegnato a ciascuna Provincia il numero speciale che le compete e che è da eleggersi da lei in ragione della sua popolazione. Nel quale assegno, siccome ogni provincia offriva nel complesso della sua popolazione una frazione eccedente l’ultima diecina di migliaia, era necessità assoluta di adottare per queste frazioni una misura media, come quella che nell’adequato delle medesime veniva a raggiungere prossima mente la proporzione generale. L’assegno perciò venne regolato in guisa che, trascurate le frazioni minori di cinque mila, quelle che toccavano questa cifra avessero un Deputato. Nel fatto e nella applicazione poi le provincie di Milano, Como e Mantova sono le sole che offrono al di sopra dell’ultima diecina di migliaia una frazione minore di cinque mila. In tutte le altre le frazioni sono maggiori, e quindi nell’assegno ebbero un Deputato.
Fissato il numero dei Rappresentanti al l’Assemblea nazionale lombarda, era pensiero di molti membri della Commissione che venisse modificato a misura che colle effettuabili aggregazioni si accrescesse la massa della popolazione da rappresentarsi.
Ma da un lato si trovò sconveniente d’introdurre nel Progetto disposizioni troppo eventuali; dall’altro lato si pensò che, trattandosi d’una Costituente, era mestieri che la Nazione fosse in ogni caso largamente rappresentata. Quindi la Commissione stabilì unanimemente quel rapporto senza farlo dipendere da eventualità più o meno incerte e remote.
Premesse al Capo I queste disposizioni, che riguardano la convocazione dell’Assemblea costituente, la enunciativa delle sue alte funzioni e le basi della sua composizione, il Progetto tratta al Capo II delle Assemblee primarie, dalle quali l’Assemblea nazionale deve escire.
L’articolo 5 ne ordina a tale uopo la riunione nel giorno che sarà stabilito dal Governo.
Il principio prestabilito del suffragio uni versale offriva la norma necessaria della loro composizione, e dettava l’articolo 7, giusta il quale le Assemblee primarie sono composte da tutti i cittadini maschi che avranno compiti gli anni 21 nel primo giorno delle elezioni, senz’altra condizione di capacità, e colle sole esclusioni successivamente indicate. L’età degli elettori fu posta in de liberazione, e non fu adottata senza discussione. Tenevano i più che tale età non po tesse non essere stabilita in consonanza al detto principio fondamentale, fissato il quale, ne era naturale conseguenza che tutti i capaci dell’esercizio dei diritti civili fossero pur chiamati all’esercizio di questo eminente diritto politico e quindi a comporre le Assemblee elettorali, tanto più dacché trattasi di eleggere un’Assemblea costituente.
Lo voleva l’esempio delle altre Nazioni già inoltrate nella via della libertà; lo consigliava non meno l’indole svegliata delle nostre popolazioni, nelle quali è sì pronto lo sviluppo intellettuale; lo comandavano gli alti servigi che il valore del nostri giovani aveva reso e rendeva alla causa della italiana indipendenza.
Veniva obbiettato però che per le elezioni politiche richiedesi età più matura di quello che per liberamente disporre de’ privati civili negozi. Che perciò non mancavano Costituzioni politiche straniere le quali avevano portata l’età maggiore per la trattazione delle cose politiche ai 25 anni. Che il Governo provvisorio, nell’anticipare la maggior età ai 21 anni, non ebbe in vista le funzioni politiche ma solo gli oggetti privati. Le due diverse opinioni vennero poste ai voti, e la prima venne approvata da diciassette contro due.
Stabilita così l’età degli elettori, venne mosso un altro dubbio, sul momento cioè in cui tale età dovesse essere compita. Da un lato propendevano alcuni a volerla compita nel giorno in cui si chiudono le liste elettorali, perché ritenevano che il diritto degli elettori deve verificarsi al momento in cui sono ammessi fra i cittadini riconosciuti dalla legge inscrivibili nelle dette liste e non nel giorno delle elezioni, nel quale il diritto di eleggere non fa che essere posto in esercizio, ma doveva preesistere per rendere i cittadini inscrivibili. Il fissare pel compimento dell’età il giorno dell’elezione ingenererebbe complicazione e duplicazione di operazioni, dacché, essendo chiuse le liste, si dovrebbe far luogo con grande difficoltà a liste suppletorie, con successivi termini e rettificazioni.
Sostenevasi d’altra parte che il diritto de gli elettori si verifica al momento in cui la elezione ha luogo. Perciò la loro capacità non deve misurarsi all’epoca dell’esercizio del diritto nel suo cominciamento, ma a quella della elezione. Che sarebbe cagione d’inconvenienti, per gl’individui che raggiungono l’età di 21 anni nel tempo intermedio tra la formazione delle liste ed il giorno delle elezioni, il vedersene esclusi.
Questa subalterna questione fu decisa da 13 voti contro 6 pel primo partito, e venne conformemente redatto l’articolo 7 del Progetto.
Ma queste Assemblee primarie come e dove avevamo a raccogliersi, come e dove avevano a funzionare per effettuare le elezioni? Dovevano quindi gli elettori comprendere nel loro voto tanti nomi quanti erano i Deputati da eleggersi pel loro Distretto, ovvero quel numero maggiore che corrispon desse al numero dei Deputati da eleggersi per l’intera Provincia?
Su queste due tesi la Commissione si trovò discorde. Le più opposte opinioni erano in presenza, accuratissimo ne fu l’esame, prolungata la discussione.
Il suffragio universale, chiamando gran numero di cittadini all’esercizio del diritto elettorale, non comporta le norme colle quali sono composti per consueto i collegi nei Paesi le di cui Costituzioni lo restringono a determinate classi e secondo certe condizioni.
Conveniva dunque nella opinione di alcuni membri della Commissione formare le assemblee elettorali in guisa che il numero soverchio non ne rendesse troppo malagevoli le operazioni. Il quale bisogno ci traeva al sistema, adottato dalla Legge francese, di una prima votazione e di un successivo ricensimento, da farsi a quel centro che sarebbe stato stabilito.
Riguardo alla prima tesi, le opinioni si divisero tra la votazione per Distretto e la votazione in un minore collegio o circondario.
I sostenitori della prima movevano dalla considerazione che la votazione in piccole assemblee porgeva troppi mezzi di azione alle locali influenze; che nelle piccole assemblee la corruzione è assai più facile che nelle grandi; che gli elettori riuniti al capo luogo di Distretto collo scambio delle idee e delle notizie delle persone e delle cose potevano istruirsi, illuminarsi e, sottratti alle meschine influenze di Comune o di Parrocchia, deporre i loro voti a favore di persone più degne di rappresentare la Nazione; che non conveniva ricusare questi eminenti vantaggi per il disagio degli elettori obbligati a trasferirsi al capoluogo di Distretto, o per la spesa di tale trasferimento, la quale ai bisognosi sarebbesi potuta rimborsare.
Opponevano gli altri che la legge non dovea creare difficoltà all’esercizio del diritto elettorale; che dovevasi anzi facilitarlo in ogni modo, segnatamente in un paese nuovo a queste forme, più nuovo ancora nell’applicazione del sistema del suffragio universale. Pensavano che nei Comuni rurali più o meno lontani dal capoluogo di Distretto, la dislocazione di molti elettori per recarvisi era pressoché impossibile. Alcuni Comuni ne sono distanti molte miglia, e segnatamente nel paese montuoso sono necessarie molte ore per recarvisi. Spese queste, impiegatene molte altre nelle operazioni dell’assemblea distrettuale, il ritorno degli elettori ai loro Comuni nella stessa giornata diveniva in molti casi affatto impossibile. Chi li avrebbe frattanto ricoverati? Chi avrebbe sopperito alle spese del loro alloggio, cui sarebbe mancato il mezzo pel più gran numero in un borgo o villaggio capoluogo di Distretto, ed a quelle del loro mantenimento? Se essi stessi avevano a sopportarle, i poveri, e sono i più, si sarebbero astenuti dal trasferirsi al collegio.
Se avevano a rimborsarsi, sia dallo Stato, sia dai Comuni, si sarebbe imposto a quello od a questi un aggravio enorme in tempo in cui l’erario loro non basta a gran pezza alle spese necessarie.
Ed anche a non voler tener conto di questo ostacolo, riguardavamo impossibile in pratica che tutti gli uomini maggiori di anni 21 abbandonassero per uno o due giorni il loro Comune, la loro casa, la custodia delle loro famiglie, dei loro averi, per trasferirsi contemporaneamente al capoluogo di Distretto. Molti avrebbero dovuto quindi astenersene; e per questi che sarebbe divenuto del diritto loro? Il modo posto dalla legge all’esercizio di esso glielo avrebbe rapito. Il diritto sarebbe divenuto per essi una finzione. I propugnatori di questa seconda opinione volevano invece che fosse una realtà, e perché lo fosse, volevano che l’esercizio del diritto fosse possibile e facile a ciascuno.
Oltreché per loro avviso la riunione di assemblee distrettuali non poteva produrre i vantaggi che la contraria opinione se ne prometteva, perché la momentanea riunione di una moltitudine di elettori nel capoluogo di Distretto avrebbe bensì complicate e rese malagevoli le operazioni, non avrebbe effettuate quelle comunicazioni e quella opportuna diffusione di lumi che potessero ispirare gli elettori ad una miglior scelta. La Legge francese raduna gli elettori al capo luogo di Cantone. Ma, forse prevedendo gli inconvenienti gravissimi di assemblee elettorali troppo numerose, non li pone tutti in presenza, non li chiama ad operare contemporaneamente. Non formano un corpo unico, non vi sono possibili né discorsi tendenti a guidare il criterio degli elettori (ed a ragione, perché prolungherebbero oltre misura la durata dell’assemblea e potrebbero divenire eccitatori di funesti conflitti), né comunicazioni da Comune a Comune se non accidentali e di niun frutto. La Legge francese chiama gli elettori di ciascun Comune a presentarsi separatamente, col loco maire alla testa, all’Ufficio dell’assemblea cantonale per deporre il loro voto. Col quale metodo non si può raccogliere alcun vantaggio dalla loro riunione al capoluogo di Cantone. Forse questo radunamento fu prescritto per scemare le difficoltà nella composizione degli Uffici di moltiplicate assemblee primarie. Ma in tal caso meglio è studiarsi di superarle che annullare di fatto in gran numero di elettori il diritto, obbligandoli per esercitarlo ad un viaggio che i deboli, gl’impediti ed, ove esiga dispendio, i poveri non potrebbero intraprendere.
A queste riflessioni contrapponevano ancora i membri fautori della prima opinione che lo spostamento degli elettori per recarsi dal rispettivo Comune al capoluogo di Distretto nel maggior numero de casi non avrebbe ecceduta una sola giornata, che viene impiegata sì di frequente dai contadini per trasferirsi all’immediato centro dei negozi per l’interesse loro privato, e non trae seco gravi difficoltà. Che questo spostamento non poteva incontrare ostacolo nemmeno per la spesa, minima per l’individuo, minima per l’erario comunale, quando pur avesse a rimborsarsi ai pochi cui fosse uopo di rimborsarla, e doveva credersi che il patriotismo degli elettori non ne sarebbe stato trattenuto, come dai disagi molto maggiori del trasferimento in contrade alpestri, e talvolta in rigidissima stagione, non sono ritenuti gli elettori del Cantone di Berna e delle altre Repubbliche svizzere dal recarsi per le elezioni ai rispettivi loro centri elettorali.
Aggiungevano che nella riunione degli elettori ad un centro distrettuale, prima di presentarsi alla votazione, avviene col con tatto degl’individui la comunicazione del pensiero, colla quale s’istruiscono, s’illuminano a vicenda. Ivi i comitati elettorali di Distretto possono far conoscere ai radunati le persone che fossero preconizzate per la Deputazione, i loro antecedenti, le loro opinioni, affinché gli elettori ne abbiano ragione nel voto. Ivi possono far conoscere le persone degne della Deputazione, che vivono fuori del Comune o del Distretto, ignote ai piccoli Comuni. Ivi possono porre in avvertenza gli elettori sugl’intrighi che si fossero posti in opera per agire sulle elezioni.
La riunione degli elettori al Distretto è il solo mezzo di effettuare il sistema di votazione per liste di Provincia, perché a portarle a cognizione degli elettori tale loro riunione è necessaria.
Le assemblee distrettuali in fine corrisponderebbero meglio al concetto delle Assemblee primarie indicate nel Decreto governativo, per le quali non si debbono in tendere le assemblee del primi circondarii comunali, ma la riunione degli elettori di circondarii primi, dopo gl’inferiori ed elementari di Comune o Parrocchia.
In risultato di questa discussione la Commissione rigettò alla maggioranza di quattordici contro cinque la proposta di formare assemblee elettorali distrettuali, e deliberò di attenersi a circondarii minori e tali che non rendessero necessaria la dislocazione degli elettori. Questa deliberazione non la sciava altra scelta se non che tra i Comuni e le Parrocchie, poiché era pur forza adattare la legge a circoscrizioni già esistenti.
Fra le due anzidette vi fu chi l’una preferiva, chi l’altra. Pareva ad alcuni che il circondario parrocchiale e l’idea che vi è annessa potesse rimuovere, segnatamente ne Comuni foresi, il pericolo dell’apatia.
Volevano i più che la legge si servisse unicamente di ripartimenti e denominazioni civili, perché non si sospettasse che si volesse introdurvi l’influenza speciale di un elemento diverso; e questo partito fu adottato alla maggioranza di tredici contro sei.
Anche la circoscrizione per Comuni però non evitava in Milano e nelle altre città e grosse borgate l’inconveniente di Assemblee primarie troppo numerose. Ovunque pertanto s’incontravano questi grandi centri di popolazione era mestieri dividerli in varie sezioni, e se ne adottò l’idea, regolandole in corrispondenza ai circondarii parrocchiali.
L’articolo 6 del Progetto riassume il risultato di queste discussioni sulla tesi summentovata, e dispone che vi sarà un’Assemblea primaria per ogni Comune dello Stato e che nei Comuni aventi più di sei mila abitanti e comprendenti più parrocchie le Assemblee primarie si divideranno in altrettante sezioni quante sono le circoscrizioni parrocchiali.
L’altra tesi, quella riguardante il centro in cui dovevano radunarsi i voti delle Assemblee primarie per effettuare le elezioni, non fu meno diligentemente discussa e combattuta.
Il maggior numero delle Assemblee primarie rappresenta una popolazione minore di diecimila abitanti. I Deputati non pote vano quindi escire direttamente dal voto di ciascuna di esse, anche quando altre considerazioni appartenenti più al principio che alla pratica attuazione non vi si fossero opposte. Era forza pertanto che i voti di ciascuna Assemblea concorressero con quelli di altre per produrre congiuntamente la nomina de’ Rappresentanti, e che a tale uopo i loro voti fossero chiamati ad un centro comune. Doveva questo annodare un maggiore od un minor numero di Comuni? E poiché era impossibile dipartirsi dalle esistenti divisioni territoriali per formare subitaneamente dei centri nuovi, dovevano questi fissarsi al capoluogo di Distretto od a quello della Provincia? Le elezioni dove vano così effettuarsi per Provincia o per Distretto?
I due sistemi divisero fortemente l’opinione della Commissione.
I fautori dell’elezione per Distretto erano d’avviso che essa meglio servisse la sincerità delle elezioni, poiché gli elettori, segnatamente ne Comuni rurali, non possono conoscere un numero sì considerevole di cittadini capaci e meritevoli di sostenere le alte funzioni di Deputato all’Assemblea nazionale quanto bisognerebbe perché diano con istrutta coscienza il loro voto, ove questo abbia a comprendere tanti nomi quanti sono i Deputati da eleggersi per un’intera Provincia. Quindi avverrà di certo, in loro senso, che moltissimi elettori voteranno a suggerimento altrui per individui che non conoscono e non possono sapere quale opinione rappresentino, quale malleveria porgano, in sé stessi, nelle loro abitudini, nelle loro tendenze politiche, ai veri e più vitali interessi della Patria.
Col suffragio universale e con la elezione immediata di primo grado si è mirato ad avere Deputati che siano conosciuti dagli elettori ed abbiano veramente il voto del maggior numero di essi. La elezione per Provincie all’incontro, oltre il portare gran numero di voti sopra persone ignote ai votanti, garantisce assai meno che la scelta sia il prodotto di una maggioranza reale, poiché le assemblee rurali divideranno i loro voti, e quelle delle città diverranno le vere arbitre della elezione, radunando su determinati individui voti bastevoli a creare la maggioranza relativa.
Molti notabili per attitudine, per ingegno, per istruzione, dimorano nelle città, e sono sconosciuti nel contado. Ma la civiltà è troppo avanzata nel nostro paese perché anche nei distretti rurali non sianvi persone probe, modeste, capaci, conosciute nel Distretto in cui vivono, benché sconosciute alla città; e queste persone, che pur godono la fiducia e la stima del loro Distretto, difficilmente otterranno l’onore della Deputazione quando il metodo di elezione per Provincia assicuri alle città la prevalenza che scaturisce dal forte numero delle loro Assemblee primarie, pel quale diviene molto più probabile il concentrare sopra dati no mi un tal numero di voti che produca a loro favore la maggioranza in confronto dei candidati dei Distretti.
Che se è vero che nelle città più facilmente che nei Distretti rurali si trovano e possono essere eletti uomini forniti di più vasta istruzione, è vero altresì che nelle Assemblee costituenti non è punto necessario che tutti i loro membri siano uomini politici e pubblicisti. Basta all’ufficio di queste Assemblee che alcuni di tali uomini vi seggano, illuminino i meno dotti, e sottopongano la loro opinione al giudizio di una massa imponente di persone dotate di buon senso e retta coscienza; e uomini siffatti sarebbero senza dubbio mandati alla Assemblea dai Distretti foresi.
Quando si costringano gli elettori di ciascun Distretto a concorrere alla nomina dei Deputati di tutta la Provincia, converrà che si limitino a votare per un numero minore, se pur vogliono dare il voto a persone da essi non conosciute. Essi verrebbero quindi a trovarsi in parte spogliati, almeno moralmente, del loro diritto, per esercitarlo improvvidamente a favore di candidati ignoti; il che accadrà viemaggiormente in quei Distretti (e parecchi ne esistono) che hanno il loro centro di affari e quindi le loro conoscenze cittadine, le loro relazioni personali, non al capoluogo della Provincia cui appartengono, sibbene in altra città.
Adottatosi per effettuare la elezione il principio della maggioranza relativa, scompagnata dal vincolo di un minimo necessario di voti, se gli elettori rurali obbedendo alla loro coscienza si limitassero a porre in lista i soli candidati da essi conosciuti ne deriverebbe l’assurdo che la elezione fosse realmente fatta dai soli in grado di esercitare completamente il loro diritto e di riempire le loro schede col numero di nomi corrispondente a quello de Rappresentanti da eleggersi.
Osservavano altresì i membri della Commissione che preferivano la nomina per Distretto, essere assai maggiore la responsabilità morale degli eletti verso gli elettori quando sono nominati da più ristretti circondarii elettorali. Questi Deputati, in loro senso, rappresentano e difendono assai meglio la vera opinione del paese, senza che possa temersi in essi la influenza degli interessi locali, che non possono farsi strada e non hanno nemmeno soggetto e sede di trattazione in una Assemblea costituente.
Il riparto per Distretti offre, è vero, maggior numero di frazioni di popolazione alla di cui sorte deve provvedersi. Ma può giungersi ad una facile soluzione di queste difficoltà, sia trascurando le frazioni che non toccano la metà dei diecimila e concedendo un Deputato a tutte le frazioni eccedenti, sia aggregando in ciascuna Provincia più Distretti per menomare il numero delle differenze.
Gravi all’incontro e più malagevoli a superarsi saranno le difficoltà di esecuzione nello spoglio de’ voti quando si adotti la elezione per Provincia, tanto più che il rapporto stabilito da uno a diecimila eleva i Deputati per la provincia di Milano a cinquantasette.
Conchiudevano i sostenitori di questa opinione che il voto è certamente più valido quando vi concorra un maggior numero di elettori, ma che in faccia a riflessioni di tanta importanza era impossibile il non supporre che quel maggior numero fosse per riescire in parte fittizio, meglio del quale vale il minor numero nel quale possa aversi fede di maggiore sincerità.
I membri della Commissione che sostene vano doversi fare la elezione per Provincia procedevano innanzi tutto dal principio po litico e dalla necessità di seguire un metodo che assicuri la migliore composizione della Assemblea nazionale. E bisogno, e non può non essere universale desiderio, che essa sia composta di uomini dotati di quelle cognizioni che sono indispensabili alla formazione delle leggi. Il centro ove più nume rosi si raccolgono e dimorano gli uomini di alta intelligenza, sviluppata da forti studi, attivata dalla discussione ed ampliata dalla comunicazione, è la città; quindi ivi principalmente, e più che altrove, esistono e si conoscono gli uomini idonei a rappresentare degnamente la Nazione; ivi più che altrove possono essere eletti e lo potranno essere con vera cognizione, anche dai Comuni rurali, perché dalle città se ne diffonderà la conoscenza ai raggi più remoti dal centro.
Alcuni Distretti esterni hanno un capo luogo popoloso, dove esistono estesi commerci, ricchezze, mezzi d’istruzione, e dove in conseguenza possono trovarsi uomini ben degni delle alte funzioni di Deputato. Hannovi pure parecchie città che non sono capoluogo di provincia, e niuno dubiterà che vi si rinvengano cittadini meritevoli di esservi eletti; e lo saranno se vi godono la confidenza de’ loro concittadini, perché anche in queste città le Assemblee primarie saranno abbastanza numerose per produrre la concentrazione su di essi di tal numero di voti che assicuri a loro favore la maggioranza.
Ma nel maggior numero i Distretti non hanno che villaggi, ove la dottrina solitaria di un sapiente che vi dimori è piuttosto una eccezione che un fatto ordinario; ove l’uomo che accoppii a bastevole istruzione quel senso pratico che si acquista nel consorzio e nella discussione cogli altri uomini educati alle civili dottrine e nella trattazione de’ più gravi interessi è un fatto ancora più raro. Quindi l’elezione per Distretto cosa manderebbe nel più de’ casi? Molti uomini probi potrebbero certamente escire dall’urna elettorale; ma sforniti i più, sia di baste voli cognizioni, sia di quelle viste eminenti e generali che si devono desiderare nei Rappresentanti della Nazione.
Non è perciò che si voglia allontanarli, né concedere una prevalenza alle città. I propugnatori di questa opinione rispettano quanto altri mai la perfetta eguaglianza del diritto e negli elettori e negli eleggibili.
Intendono solo ad impedire che le città sia no vinte quasi interamente in questo nobile concorso delle più elevate intelligenze a creare il nostro edificio sociale; che i molti e molti capaci siano esclusi; che le maggiori potenze intellettuali siano lasciate in disparte e se ne perda l’azione a danno della cosa pubblica. E credono che tutto ciò avverrebbe ove si adottasse l’elezione per Distretto, perché anche gli uomini più eminenti della città vi sono sconosciuti, segnatamente dai contadini e l’elezione loro cadrebbe esclusivamente, o poco meno, sugli uomini del Distretto medesimo.
Quand’anche l’Assemblea da eleggersi fosse una pura Costituente, non pensava questa parte della Commissione che fosse meno importante la di lei composizione.
Grande, suprema è la di lei missione. Tutto l’avvenire della patria deve essere preparato da lei; tutte le istituzioni politiche e civili devono scaturire e svolgersi dall’ordine politico che essa fonderà. La Costituente non ha bisogno di minor sapienza che una ordinaria Assemblea legislativa. Ma tale deve essere altresì la nostra Assemblea nazionale. In un Paese in cui la legislazione era stata imposta da un Governo straniero e dispotico e tutte le istituzioni erano coordinate allo scopo di favorire la tirannide, molti provvedimenti legislativi sono urgenti e non possono essere differiti ad altra legislatura. Converrà quindi che la Costituente, appena decretata la Costituzione, studii e sancisca molte leggi, alla di cui elaborazione certo non basta il solo buon senso e la retta coscienza. Niuna Assemblea nazionale pertanto avrà mai bisogno, più di questa prima, di raccogliere nel suo seno gli uomini più illuminati e più capaci di trattare e decidere le più ardue questioni sociali.
Ma se queste considerazioni guidano a preferire l’elezione per Provincia, questo sistema è imposto non meno dalle viste di una necessaria cautela e da un principio eminente di sociale giustizia.
Da viste di prudente cautela, perché le elezioni per Distretto sono circoscritte entro un angusto circolo, dentro il quale l’intrigo elettorale, le influenze d’ogni specie possono fortemente operare. Escludere l’intrigo onninamente, è forse più desiderabile che possibile quando si apre un’arena nella quale le passioni politiche naturalmente si agitano e le opinioni fanno ogni studio per l’una all’altra prevalere. La più nobile ambizione, quella di rappresentare il proprio paese, non isdegna di sollecitare gli elettori.
Ma se l’onesta sollecitazione è lecita, deve cercarsi ogni via per escludere l’intrigo, che agisce col timore, colla seduzione dei cupidi e degli inesperti. I quali mezzi essendo più attivi ed efficaci in una piccola circoscrizione, tanto basta per farci adottare quella più vasta, nella quale la seduzione, se pur volesse tentarsi, si perde nel numero e si paralizza. Può essere benissimo che molti elettori del contado non conoscano sufficiente numero di uomini capaci sotto ogni aspetto e degni di essere gli eletti del popolo, quando molti sono quelli che ciascun elettore deve comprendere nel proprio voto. Ma questa conoscenza non mancherà forse assai volte ed in molti delle città? Non mancherebbe spesso in molti sì delle città che del contado quando pure colle elezioni per Distretto non avessero a pronunciare che po chi nomi? Spetta alla stampa, è ufficio di tutti i buoni cittadini d’istruirli, d’illuminare le masse degli elettori, di guidarli a buone scelte. Numerosi comitati elettorali si formano sempre ovunque devono farsi le elezioni. Essi preparano, dirigono le menti; né la loro morale influenza può divenire pericolosa al segno di falsare le elezioni, perché i varii comitati nelle varie loro tendenze personali rappresentano le varie opinioni.
Le influenze quindi nella eguaglianza dei mezzi di cui possono disporre si pareggiano, ed in fine, siccome la loro forza è tutta nella opinione, se l’uno prevale sull’altro, quale conclusione si potrà dedurne? Niun’altra se non la prevalenza della opinione vincente, ossia la di lei maggiore estensione; e nei Governi popolari il di lei trionfo è legittimo; è il decreto della maggioranza, sola e giusta soluzione delle questioni sociali.
Si disse inoltre che l’elezione per provincia è voluta da un eminente principio di giustizia, perché è la sola che non offenda il principio supremo della eguaglianza nel l’esercizio del più prezioso fra i diritti dei cittadini.
La Lombardia è divisa in 127 Distretti i quali, riuniti a diversi centri, formano nove Provincie.
Queste come quelli hanno popolazioni che offrono al di sopra della diecina di migliaia frazioni più o meno rilevanti. Dieci nove Distretti hanno anzi una popolazione minore di diecimila abitanti. Nel riparto distrettuale hannosi pertanto centoventisette frazioni, delle quali conviene tener conto nell’assegnare ai Distretti il numero dei Rappresentanti da eleggersi. Per quanto si studii di ragguagliarle, ne escirà sempre lo sconcio più o meno grave che un Distretto di popolazione molto maggiore nominerà un numero di Rappresentanti eguale a quello di un Distretto di popolazione assai minore.
È impossibile regolare il diritto di quelle frazioni altrimenti che prendendo una quantità fissa, cioè la metà della diecina di migliaia; al disotto della quale debbano essere trascurate nell’assegno ed oltre la quale debbano avere un Rappresentante. Si figuri un Distretto di 5001 abitanti, ed eleggerà in tal caso un Deputato come un Distretto di 14,999 abitanti; col quale riparto è evi dente che il primo avrà triplo diritto del secondo perché col terzo di popolazione manderà, come il secondo, un Deputato alla Assemblea nazionale. La parità del diritto fra le popolazioni e fra gli elettori non potrebbe essere più mostruosamente offesa, e l’Assemblea sarebbe viziata nella sua base.
Vero è che anche nelle elezioni per Provincia hannosi frazioni a cui provvedere, ma in molto minor numero; e se è inconveniente inevitabile, deve almeno ridursi così al minimo possibile. Esso è poi anche grandemente minore, nel rapporto della frazione alla popolazione generale, quando l’e lezione si effettui per Provincia. La frazione minore di cinquemila, che in ogni Provincia è pur forza di trascurare nel calcolo dell’assegno, rappresenta una ben tenue parte aliquota della sua popolazione complessiva.
Quella di Milano, di tutte la più popolosa, ha 574,738 abitanti nazionali. La sua frazione trascurabile è quindi meno dell’uno per cento. All’estremo della scala nell’ordine numerico della popolazione sta la Provincia di Sondrio con 96,447 abitanti. La sua frazione, superando i cinquemila, deve avere pur essa un Deputato; quindi uno sbilancio in più; ma che è al disotto del quattro per cento. In complesso, tre sole Provincie, Milano, Como e Mantova, perdono le loro frazioni. Quelle di Cremona, di Lodi e Crema sono assai prossime alla diecina di migliaia, e quindi il vantaggio è per esse di poco momento. Nelle altre tutte, meno Sondrio, il rapporto della frazione alla popolazione complessiva è tale che la quantità perduta od in vantaggio nel calcolo ha per estremi termini il quarto all’uno e mezzo per cento. E queste differenze comparativamente si piccole sono 9, mentre le rilevantissime che si verificano nei Distretti sono 127. Come permetterebbe dunque la giustizia che nel fissare il modo della elezione si scegliesse quello appunto che produrrebbe sì numerose ed importanti disparità nell’esercizio del diritto elettorale ed in ciò che potremmo chiamare il suo valore sì nelle varie popolazioni che nei singoli elettori?
Con queste ragioni sostenevasi da molti la elezione per Provincia; ma, appunto perché alcune di esse erano desunte dalla difficoltà di regolare la sorte delle frazioni, si che questa tesi importantissima venne ripetutamente discussa, la Commissione nominò un Comitato speciale, composto del signori Bassi, Torelli, Pagnoncelli, incaricato di studiare e proporre il miglior modo di conguaglio fra i Distretti a fine di verificare se si potesse sciogliere le difficoltà che esso offriva e che potevano influire nella scelta del principio.
Quel Comitato consacrò a questo oggetto studi accuratissimi. Non si uni per altro in un solo pensiero. Quegli studi avevano presentato dei risultati che giustificavano le argomentazioni desunte anteriormente da cifre ipotetiche. Eccole né massimi estremi. – Il sistema di elezione per Distretto e dell’assegno de’ Rappresentanti a ciascun Distretto, calcolato in guisa che si trascurassero le frazioni minori di cinquemila e si conce desse un Deputato alle frazioni maggiori, produceva nella provincia di Milano, pel Distretto di Melzo, una perdita del 24 per cento, per quello di Melegnano un guada gno del 29 per cento. Nella provincia di Como, pel Distretto di Maccagno, un gua dagno del 54 per cento, e per quello di Luino una perdita del 31 per cento. Nella provincia di Bergamo, pel Distretto di Al meno, la perdita del 33, per quello di Caprino il guadagno del 32 per cento. Nella provincia di Sondrio, pel Distretto di Morbegno, il guadagno del 30, e pel Distretto di Chiavenna la perdita del 29 per cento.
Nella provincia di Pavia, pel Distretto di Bereguardo, la perdita del 32, e pel Distretto di Belgioioso il guadagno del 17 per cento. Nella provincia di Lodi e Crema, pel Distretto di sant’Angelo, il guadagno del 23, e pel Distretto di Zelo buon Persico la perdita del 24 per cento. Nella provincia di Mantova, pel Distretto di Volta, la perdita del 30, e pel Distretto di Castel Goffredo il guadagno del 48 per cento. Nella provincia di Brescia, pel Distretto di Adro, il guadagno del 30, e pel Distretto di Vestone la perdita del 24 per cento.
Le differenze in più ed in meno devono sommarsi per conoscere il grado comparativo di valore elettorale che con queste norme si darebbe ai Distretti posti a confronto. Colla quale addìzione avrebbesi questa differenza massima da Distretto a Distretto: nella provincia di Mantova del 78 per cento, in quella di Como dell’85 per cento, ossia di poco meno del doppio; le altre minori erano comprese fra quei termini estremi.
Farle sparire era impossibile. I membri del Comitato studiarono dunque di attenuarle con metodi ingegnosi. Alcuno di essi propose che, fatto ai Distretti l’assegno di un Deputato per ogni diecimila abitanti, tutte le eccedenti frazioni di una Provincia si sommassero; che si assegnasse poi un Deputato a ogni diecimila contenuto in questa somma delle frazioni, e che questi Deputati si eleggessero per Provincia. Altri propose, a modificazione di questo metodo, che i Distretti minori di diecimila abitanti si riunissero ai più vicini per determinare il numero dei Deputati da eleggersi da essi congiuntamente; che poscia si sommassero tutte le frazioni minori di diecimila, come nel sistema precedente, a fine di far eleggere per Provincia i Deputati da assegnarsi, nello stabilito rapporto da uno a diecimila, alla somma di quelle frazioni.
Credevasi così di rimuovere in parte l’obietto della disparità tra i varii gruppi di popolazione e tra i varii elettori, conseguenza necessaria della elezione per Distretto. Ma di quei due metodi, entrambi ingegnosi, il secondo formava delle agglomerazioni di Distretti, il che, quantunque in una scala minore, conduceva a circoscrizioni più larghe delle distrettuali esistenti; come la proposta di alcuni membri di organizzare altre aggregazioni distrettuali per conguagliare o diminuire le frazioni confessava, a credere di altri, gl’inconvenienti che scaturivano dalla nomina per Distretto e non faceva che sostituire alle Provincie più estese altre provincie più ristrette, senza avere il vantaggio di appoggiarsi ad una organizzazione attuale. Entrambi poi quei metodi conducevano, in senso degli opponenti, all’inconveniente ancora maggiore 1° di crear Deputati quasi di due ordini, gli uni con mandato dei Distretti, gli altri con mandato delle Provincie; 2° di rendere necessario un doppio sistema di ricensimento, l’uno per distretto, l’altro per provincia. E poiché i proposti mezzi di conguaglio non erano adottabili, risorgeva in tutta la sua forza l’obietto della ineguaglianza inerente alla elezione per Distretto, e la necessità di trasportare i centri elettorali ai capoluoghi di Provincia, ove è pure il centro principale dei lumi e dove gl’interessi politici eminenti e generali possono aversi più in mira ed essere meglio protetti nelle elezioni senza nuocere ai molti interessi di località; i quali, se non debbono essere anteposti ai primi, si può essere certi che non manche ranno mai di opportuna rappresentanza nel seno dell’Assemblea.
Ultimata questa importante discussione, la Commissione si pronunciò alla maggioranza di undici contro otto per la elezione per Provincia. La minorità non era meno profondamente convinta di quello che lo fosse la maggioranza. Chiese quindi che il proprio voto e le ragioni dalle quali moveva non solo si registrassero nel proto collo della seduta ma si esponessero particolarmente nel presente Rapporto, il che venne consentito senza veruna difficoltà dal presidente e dalla maggioranza. La minorità credette altresì di formulare su questa decisione una protesta che nella successiva seduta della Commissione venne presentata e si dichiarò doversi unire al processo verbale. La minorità medesima dichiarò pure che non voleva dividere in questa parte la responsabilità della maggioranza, e chiese quindi che i membri dei quali era composta si enunciassero nel processo verbale e nel Rapporto. La maggioranza non esitò ad aderirvi, poiché, forte pur essa delle sue convinzioni, non ricusa la responsabilità della propria opinione. La Commissione è quindi in dovere di far conoscere che nella decisione di questa importantissima tesi la maggioranza che pronunciò per la elezione per Provincia è costituita dai signori Robecchi, Beccaria, prevosto Merini, Marchetti, San Gervasio, Calucci, Borghi, Mantovani, Torelli, De Boni, Usiglio; e che i membri i quali votarono per la elezione per Distretto sono i signori Sanseverino, Berchet, Negri, Bassi, Pagnoncelli, Martinengo, Curtani, Basevi.
È in forza di questa decisione che l’articolo 39 del Progetto dispone che la scheda da presentarsi da ciascun elettore all’Ufficio della propria assemblea deve contenere tanti nomi quanti sono i Deputati che hanno ad eleggersi per la sua Provincia.
I principii fondamentali che avevano pro dotti gli articoli 3 e 7 del Progetto reggevano essenzialmente anche i Capi III e IV che trattano degli elettori e degli eleggibili.
Il principio del suffragio universale chiamava tutti i cittadini ad esercitare il diritto elettorale. La loro età era già stata stabilita; niuna qualità o condizione speciale poteva essere richiesta negli elettori quando volevasi che i Rappresentanti fossero vera mente gli eletti del popolo e che il loro mandato procedesse dalla intera Nazione.
Se non che le condizioni speciali della Lombardia, della Venezia e degli altri Stati non ancora costituiti, ai quali pel caso della loro unione volevasi che la legge potesse essere applicata, esigevano che la disposizione generale abbracciasse tutte queste vedute, o certe fin d’ora od eventuali.
Lo Stato Lombardo-Veneto non aveva dalla occupazione austriaca in poi una legge di cittadinanza sua propria, che potesse offrire il dato di partenza per riconoscere nell’individuo la nazionalità e quindi il diritto elettorale. Stretto per trentaquattro anni ad un corpo eterogeneo dalle catene che ora ha infrante, la sua nazionalità erasi abolita studiosamente non solo nella ragione politica ma persino nelle leggi civili. Al suo popolo era imposta la sudditanza austriaca. I suoi cittadini chiamavansi cittadini austriaci come l’Austriaco, lo Stiriano, il Moravo, cittadinanza mentita e fittizia, di cui non erano men reali i pesi e non portavano che i ceppi.
Per trovare né cittadini mostri il vero elemento nazionale, conveniva risalire ad un’epoca anteriore all’ultima dominazione austriaca, al momento cioè in cui le Provincie lombardo-venete vi erano state sottoposte progressivamente, il che avvenne parte nel 1813, parte nel 1814.
Né ciò bastava ancora: perché gli altri Stati che eventualmente si aggregassero alla Lombardia ed alla Venezia erano servi bensì alle austriache sorti ed alla politica di quell’Impero, ma non erano direttamente sotto l’austriaca dominazione, né tutti ave vano fatto parte del Regno d’Italia; per cui il richiamarsi, come erasi proposto, alla cittadinanza di cui gli abitanti godessero durante la vita di quello Stato non soddisfaceva alle varie esigenze di queste disparate posizioni.
La formola della legge doveva dunque concepirsi in guisa che prendesse per base la nazionalità preesistente in tutti questi Stati, mantenuta in essi col successivo domicilio del cittadino o de’ suoi discendenti.
Questa formola fu quindi lungamente studiata e discussa, acciò comprendesse tutti questi concetti e servisse a tutti questi riguardi. Quella che costituisce la prima parte dell’articolo 8 sembrò adagiarsi a questi bisogni diversi, e venne adottata all’unanimità.
Il principio della nazionalità per altro, se era inevitabile che ricevesse qui una applicazione speciale perché il diritto elettorale non poteva concedersi ai cittadini di altri Stati, sebbene italiani, non doveva essere talmente stretto ed esclusivo che lo negasse agli Italiani o stranieri naturalizzati.
Molti hannovene in questo Stato appartenenti per origine a popoli liberi, a nazioni amiche. Molti vi sono benemeriti per industrie istituite od ampliate, per estesi commerci; molti vi coltivarono con amore le scienze, le arti belle, le arti utili; molti in fine tra i naturalizzati hanno ben meritato della Patria nostra nel momento supremo in cui spezzava i suoi ferri e riacquistava a prezzo del sangue di tanti valorosi il diritto imprescrittibile di ricomporsi a Nazione. E questi stranieri d’origine, che avevano nei varii Stati di cui parliamo acquistata la cittadinanza mediante la naturalizzazione ed avevano continuato a dimorare nella loro patria adottiva, di cui molti divisero i pericoli e tutti concorrono a sostenere i pesi, dovevano pur goderne i diritti. La prerogativa elettorale non avrebbe loro potuto negarsi senza ingiustizia, e ad essi provvede la seconda parte dell’articolo 8, destinata ad impedire che non ne fossero privati dalla stretta specialità cui le circostanze nostre avevano vincolata la prima parte.
Non era necessario, a dir vero, lo escludere appositamente i sudditi austriaci, perché quelli di essi che vivono tra noi non avevano bisogno di naturalizzazione e non la chiesero. Nondimeno la Commissione volle che niuno, benché meno istruito de legali rapporti degli austriaci in queste Provincie, potesse lasciarsi inclinare a dubbio veruno in questo sì grave argomento, e quindi pronunciò la espressa loro esclusione dalla classe de’ naturalizzati ai quali il diritto di elezione si concedeva.
Allorché la prima volta erasi discusso nella Commissione questo articolo, ella vi aveva aggiunto un paragrafo con cui, togliendo riguardo ai condannati ed emigrati politici la ostativa che potesse procedere dalle leggi del cessato Governo, leggi che di fatto si trovavano cancellate dalla nostra vittoria, li chiamava all’esercizio del diritto elettorale. Ma nel corso della trattazione sopravvenne il Decreto 18 aprile di questo Governo provvisorio, e da quel punto non occorreva più per la eletta schiera di coloro che per l’amore della patria avevano sostenuti i tormenti di una dura e crudele cattività o le amarezze di un lungo e doloroso esiglio se non che di rimuovere per essi la condizione del continuato domicilio; ed è ciò che si fece colla parte ultima dell’articolo 8.
Provveduto così all’applicazione del principio nella sua generalità ed ampiezza massima, la Commissione s’interrogò se la sua stessa utilità non richiedesse che vi si re cassero alcune poche eccezioni. Tutte le leggi elettorali, anche le conformate ai principii più larghi e liberali, ne ammisero.
Alcune sono naturali, altre sono richieste da quella legge universale di moralità che non consente l’esercizio del diritto elettorale a chi la violò con azioni turpi e criminose, Appartengono alla prima categoria quelle che riguardano le persone che non ebbero mai o perdettero la integrità della mente.
In esse non è intelletto, non è ponderata volontà. Incapaci all’esercizio dei diritti più comuni, che riflettono il solo interesse privato, come non lo sarebbero all’esercizio di un diritto dal quale dipendono i più alti interessi dello Stato? Quindi nell’articolo 9, che enumera le eccezioni, si vollero primieramente esclusi i scemi di mente. Non con veniva però affidarsi né a presunzioni né a prove incerte, le prime non ammissibili contro la presunzione naturale, le seconde impossibili a valutarsi nella rapidità delle operazioni elettorali. La giudiziale interdizione è la sola che dietro un’accurata disamina constati questa abnorme condizione mentale dell’individuo. Si esclusero quindi gl’interdetti. Questa eccezione però, quando era pronunciata con tale formola, esigeva essa medesima una limitazione riguardo agl’in terdetti per prodigalità. La Commissione ha considerato che le spese disordinate, dalle quali si desume il concetto della prodigalità, non sono assai volte che l’effetto di tendenze generose, benché mal contenute, e che in generale esiste nel prodigo tutta la integrità della mente. Altre leggi lo protessero contro le proprie inclinazioni alla dissipazione, sottoponendolo ad una dipendenza che gli vieti lo sperdimento delle sue fortune senza togliergli perciò l’esercizio dei diritti civili. La legge tuttora qui vigente lo col pisce d’interdizione; ma nell’aspetto morale egli non poteva essere parificato nemmeno lontanamente agl’interdetti per altro titolo.
La sua capacità mentale sussiste nella sua interezza; sarebbe stato ingiusto perciò il privarlo del diritto elettorale, e gli venne conservato.
Il Progetto esclude poi, al pari degli interdetti, gl’individui in istato di prorogata tutela perché riguardo ad essi esiste, ed in maggior grado, la ragione escludente i minorenni, ai quali dovevano almeno essere parificati. Questi individui non sono ammessi ad esercitare personalmente i diritti civili. La prorogazione della tutela è misura che si adotta o perché il minore che sarebbe per toccare la maggiore età è sì addìetro nello sviluppo intellettuale che non è abile a reggersi da sé medesimo, ovvero perché la di lui idoneità sia paralizzata da funeste e provate inclinazioni ad abusare del suo patrimonio. Nel primo caso è ancora in difetto di mente, e gli manca la capacità necessaria per essere elettore. Nel secondo questa capacità gli è menomata da sfrenate passioni, e la di lui esclusione è quindi giustificata in entrambi.
Tutte le leggi elettorali ammisero del pari le eccezioni della seconda categoria.
Coloro che hanno violata la legge con azioni criminose hanno demeritato il diritto sia di rappresentare la società che offesero e contristarono col delitto, sia di eleggerne i Rappresentanti. L’esercizio del diritto elettorale, perché sia volto a beneficio della patria, esige più che mai probità incorrotta ed intemerata coscienza. La società non de ve affidarlo a chi, avendola oltraggiata con fatti criminosi, autorizza a credere che ne farebbe mal uso.
Questa massima non trovava dissenti mento nella Commissione. La sola difficoltà consisteva nell’applicarla in guisa che conciliasse la maggiore possibile libertà, e quindi il più ristretto circolo di esclusioni, col giusto ossequio dovuto alla moralità pubblica. Questa difficoltà sorgeva special mente dalla nostra legislazione penale, la quale con una viziosa classificazione delle azioni punibili molte ne trasportò improvvidamente alla categoria delle gravi trasgressioni di polizia, mentre per la loro in dole appartengono a quella dei veri delitti; e corrompendone così il concetto, talvolta per la ragione dell’età del colpevole, tal volta per la semplice misura del danno, non permetteva alla Commissione di qualificare colla semplice allocuzione delitti le azioni escludenti dal diritto elettorale, poiché quella voce avrebbe lasciate al di fuori molte azioni non meno immorali, non meno turpi, ma che nella erronea terminologia legale non sono denominate crimini o delitti.
Vi fu chi propose di colpire colla esclusione coloro che subirono pene afflittive od infamanti. Ma si è dovuto osservare che questa formola aveva il doppio inconveniente 1º di essere troppo estesa, se consideravasi disgiuntamente, perché ogni pena che cade sulla persona, compreso il carcere ed il semplice arresto, anche a breve tempo, è afflittiva, ed avrebbe quindi gettato l’interdetto elettorale anche sugl’individui tra scorsi a leggiere colpe, effetto talvolta di semplice trascuratezza od imprudenza, e che non recano il minimo torto alla moralità del candidato ed alla sua estimazione; 2° di essere impossibile, se consideravasi congiuntamente, perché il Codice penale impostoci dall’Austria non conosce pene infamanti, ossia tali non le dichiara. La pena cessa, se è temporaria, col finire del termine assegnato alla sua durata, e non lascia più ve runa traccia legale, non segue più l’individuo con veruna conseguenza.
Volevasi una formola che servisse precisamente al concetto fondamentale suesposto; che perciò, senza estendere di soverchio le esclusioni, abbracciasse tutti i delitti, così qualificati dalla legge penale, sulla natura de quali non poteva sorger dubbio, e quelle azioni le quali, benché annoverate impropriamente fra le gravi trasgressioni di polizia, provano nel colpevole la profonda corruttela dell’animo e la tendenza a lucro inonesto, segnatamente pericolosa nella materia elettorale.
La Commissione crede che il testo della legge serva esattamente a queste viste molteplici, escludendo i condannati ed in qui siti per delitti, non che per reati commessi con offesa del pubblico costume o per cupidigia di lucro; significando così quelle azioni di tale matura di cui è pure evidente l’immoralità, benché la legge in determinate circostanze di persone e di quantità non le abbia qualificate come delitti, sibbene come trasgressioni di polizia.
Fu esaminato se doveva introdursi una limitazione pei delitti politici e pel duello; ma venne ricusata; perché ai primi appartiene giusta la vigente legislazione la pubblica violenza e le disposizioni che la riguardano sono destinate a proteggere la pubblica e la privata proprietà; e perché il secondo è azione eminentemente contraria alla odierna civiltà ed al dovere che ha il cittadino di conservare tutte le forze della patria al di lei servigio, di non ispendere la sua vita che nella di lei redenzione e difesa. Privilegiare il duello sarebbe stato come scemare quella riprovazione di cui la pubblica morale deve colpirlo. La legge non deve nemmeno indirettamente autorizzarlo. Tutto deve anzi farsi concorrere a sradicare dai nostri costumi un abuso fune sto del valor personale che aggrava spesso l’ingiuria di cui vorrebbe vendicarsi. Il duello è la lesione del diritto della città di decidere per mezzo del tribunali e del giurati i conflitti d’onore fra i cittadini. L’onore sta nell’adempimento dei propri doveri. Farne vindice il duello è ricondursi alla barbarie.
Quanto poi ai delitti meramente politici anteriori al 18 marzo, si osservava che tutti gli effetti ne erano già rimossi dal citato Decreto 18 aprile.
Le Istruzioni sull’esecuzione della Legge francese hanno pure esclusi i falliti quando il fallimento non sia stato susseguito da concordato. Aveva ad imitarsi quest’esempio? La Commissione non lo ha fatto senza profondo esame e convenienti modificazioni.
l’oberato, sui beni del quale è aperto il concorso dei creditori, trovasi in istato di sospensione dall’esercizio dei diritti civili.
Nondimeno questa speciale condizione, che tante volte può dipendere da circostanze non imputabili, non sembrò che dovesse bastare per sé sola a produrre la incapacità elettorale. Grande è il rispetto che si deve al credito, alla fede, cui genericamente può ritenersi che il fallito abbia mancato; ma non meno grande è il rispetto che si deve alla libertà, al diritto naturale del cittadino, al pensiero che deve aversi di scemare il meno possibile colle esclusioni la massa de gli elettori, se vuolsi essere fedele al principio prestabilito del suffragio universale.
Quindi, riferendo il fallimento alle varie classi nelle quali può distinguersi fra noi ed a norma della nostra legislazione, si considerò che il vero fallimento doloso è annoverato fra i delitti e che perciò coloro che se ne resero colpevoli erano già compresi nella esclusione stabilita pei condannati in causa di delitto.
Quanto ai fallimenti semplici, si distinsero gli effetti di quelli già chiusi, perché ne fosse già ultimata la procedura o perché fossero stati troncati da un patto pregiudiziale, da quelli tuttora aperti. Guidata sempre dalla vista di scemare la esclusione, la Commissione non volle applicarla alle prime due categorie di falliti perché nella seconda il concorso venne a cessare in forza di un accordo che esige il consenso almeno della maggioranza del creditori, ed in entrambe il fallito è restituito nel pieno esercizio dei suoi diritti civili; che se non ha intera mente saldati i suoi debiti, non può tuttavia essere trattato dalla legge diversamente degli altri debitori.
Nei fallimenti ancora pendenti erano pure a distinguersi quelli prodotti da incolpevole infortunio da quelli cui il fallito aveva dato causa, sia col giuoco sfrenato di speculazioni pericolose, sempre illecite per sé stesse allorché si mette a repentaglio con esse l’avere dei creditori, sia col disordine delle operazioni e coll’eccesso inconsiderato nei dispendi. I primi non sono che sventure, e lo sfortunato che ne rimane vittima non deve essere punito, come il colpevole, colla perdita di un diritto prezioso. I suoi stessi creditori per lo più lo compiangono, e non lo vorrebbero degradato da una punizione immeritata. I secondi sono inescusabili. Lo sono ancor più se al fallimento si associa alcuna delle circostanze aggravanti contemplate dalla legge, benché non sufficienti ancora per imprimervi il carattere delittuoso. Il mezzo per discernerli ed accertarli era pronto nella legge stessa. Esiste un Regolamento che, assai dilatando l’azione del giudice concorsuale nella sfera che era tracciata dal § 92 del Regolamento generale del Processo civile, gli commette d’indagare i motivi del fallimento, determina le circostanze che lo rendono colposo, ed affidando allo stesso giudice civile una specie di giurisdizione mista, pone in di lui podestà di punire il fallito con arresto che può protrarsi fino ad un anno, benché non siansi rinvenute nel fatto circostanze di tale natura per le quali dovesse aprirsi un’inquisizione penale, Questa indagine s’intraprende d’ufficio in ogni fallimento. Quindi nella cognizione e nel decreto che la chiude può aversi una norma sicura per giudicare se il fallito è innocente o colpevole. Era anzi la sola cui la legge elettorale potesse abbandonarsi come ad un dato legalmente certo, e la Commissione la seguì. Alcuno fra i di lei membri notava con ragione i vizi di una Legge che introduceva un vero giudizio penale in una indagine del giudice civile e poteva condurre ad una condanna senza le forme, le cautele, le garanzie, benché scarse ed imperfette, della procedura penale.
Ed a questa censura della legge partecipava la intera Commissione. Nondimeno, nella impossibilità di adottare altri mezzi di prova, essa non poteva non vedere nella condanna pronunziata secondo la legge stessa una prova bastevole a ritenere che il fallito non avesse potuto purgarsi da ogni colpa, e questo individuo che aveva mancato alla fede, alla probità, e sul quale la condanna anche civile imprime un’onta incancellabile di vergogna e di immoralità, non poteva, non doveva sedere in un’assemblea elettorale al fianco di cittadini immacolati. Ecco il fallito che ne fu escluso.
Il relativo paragrafo del Progetto offre chiaramente queste due idee: attualità di falimento aperto; condanna del fallito all’arresto in via civile. Il fallito che fosse reo ci più gravi colpe era già compreso, come si disse, fra i delinquenti contemplati nel paragrafo antecedente.
Un’altra esclusione consigliata da altri riguardi venne pronunciata dalla Commissione. Essa colpisce tutti i cittadini che hanno accettato da uno Stato estero all’Ita lia un pubblico impiego civile o militare, qualora non provino di avervi rinunciato.
Questa disposizione non ha bisogno di essere giustificata, e non lo ebbe di essere discussa. Chi è vincolato ad uno Stato estero da un impiego qualsiasi, oltre che priva la patria dei servigi proprii, è soggetto a straniere influenze, e deve essergli impedito di portarle nelle elezioni.
Fu riclamata però da alcuni membri della Commissione una eccezione a favore dei cittadini rivestiti del carattere di Consoli di estere Potenze, i quali sono d’ordina rio negozianti residenti nelle piazze in cui reggono il consolato di cui sono incaricati.
Le loro funzioni vennero analizzate per determinare se la loro natura consentisse la proposta eccezione. Venne osservato da alcuni che molti Consoli sostengono un vero ufficio politico, dipendente dalla diplomazia.
Ma si notò che, se l’incarico loro viene esteso per tal modo oltre la sua propria sfera normale, limitata alla protezione degli interessi mercantili, ciò accade riguardo ai Consoli mandati dai rispettivi Governi, e che sono quindi loro impiegati. Non trattasi allora più di cittadini, ma di esteri. I cittadini che possono trovarsi rivestiti di queste funzioni le esercitano entro i loro naturali confini. La loro indole non era tale che potesse creare una ostativa all’esercizio del diritto elettorale, e la Commissione adottò la eccezione proposta a loro riguardo.
L’articolo 9 del Progetto riassume tutte le esclusioni di cui si è finora discorso. Esse vennero adottate dalla Commissione ad unanimità. Lo fu egualmente il 10, che esclude i cittadini naturalizzati in altro Stato. Col farvisi naturalizzare essi divennero stranieri, e non possono aver conservato il diritto più eminente del cittadino. Se non che le infelici condizioni nelle quali durò la Lombardia per sì gran tempo richiamavano la Commissione a speciali considerazioni. Alcuni emigrati politici, che avevano fuggito il paese per non incorrere le pene di cui si colpiva ogni segno di patria carità, possono aver chiesta ed ottenuta la naturalizzazione presso la nazione che gli ebbe generosa mente ospitati. Altri possono essere stati indotti a farsi naturalizzare all’estero, sdegnosi di qui portare più a lungo i ferri della straniera tirannide. Gli uni e gli altri erano pur degni figli d’Italia, e ne mantennero nell’animo il culto e l’amore. Dovevasi dunque rendere ad essi potestativo il rientrare nel paese nativo e l’esercitarvi i diritti di cittadino, ora che il cittadino vi ha dei diritti, colla sola condizione di rinunciare all’acquistata cittadinanza di altro Stato e di provare questa rinuncia; colla quale sola si riterranno ammessi alla nostra cittadinanza, senza soddisfare alle condizioni ordinarie volute dalla legge per gli stranieri che vogliono ottenerla.
Le stesse norme di capacità e di esclusione dovevansi applicare agli eleggibili. Niuna condizione di censo o di capacità speciale sarebbe stata conciliabile colla dottrina del suffragio universale, coi diritti di un popolo che aveva riacquistata la propria libertà e con essa il diritto di eleggere, come di essere eletto. Le distinzioni colle quali si de terminasse il secondo dividerebbero la Nazione in due classi, v’introdurrebbero il privilegio, e con esso il seme fatale della discordia, quando ella ha bisogno di essere e vuole essere una e concorde. Perciò il Capo IV, articolo 11, a significare breve mente questo pensiero ed a consacrare la eguaglianza fra i cittadini, stabili che tutti gli elettori sono eleggibili alle funzioni di Rappresentante della nazione, e questa eleggibilità venne sciolta dall’articolo 12 da qualunque vincolo di località per consacrare questo altro principio che il Deputato, ovunque sia eletto, rappresenta la Nazione, non la Provincia, e deve sottrarsi ad ogni considerazione di località per curare e difendere gl’interessi generali dello Stato.
Una sola condizione si richiese nell’eleggibile più che nell’elettore: quella di una età maggiore.
L’intera Commissione sentiva la somma differenza che esiste tra quelle due funzioni.
Quella dell’elettore consiste unicamente nel conferire un mandato secondo la propria opinione, al che basta il criterio ordinario e quel grado d’istruzione che in ogni situazione l’uomo può avere acquistato ai 21 anni. Quella dell’eletto consiste nell’esercizio di quel mandato, esercizio che per l’alta sua importanza e per la gravità dell’oggetto esige maggiore estensione di cognizioni e maturità di pensiero. La Commissione quindi fu dapprima concorde nella massima che per l’eleggibile si avesse a de terminare un’età più inoltrata. Ella si divise unicamente quando si trattò di fissarla.
Opinavano molti che si avesse a stabilire negli anni 30; citavano le molte Costituzioni che ne avevano dato l’esempio, e si fondavano molto più sulle ragioni che lo avevano prodotto e dovevano riprodurlo.
Nel loro avviso, le funzioni gravissime di Rappresentante all’Assemblea nazionale, considerata sia come costituente, sia come legislativa, quale non potrebbe a meno di essere, esigono che il Deputato possegga quelle estese cognizioni che non si possono supporre di leggieri nei giovani minori d’anni 30, e che le abbia maturate coll’esperienza.
Esigono inoltre che nel Deputato la calma della ragione sia già subentrata alla tempesta delle passioni. Certo possono esservi, e vi sono, uomini passionati in età matura, e uomini pieni di calma in età giovanile.
Qualità sì diverse in senso opposto all’ordinario sono però più presto eccezionali che comuni. La legge considera le condizioni universali, i casi più ordinarii; ed è indubitato che nel più dei casi il giovine è bollente d’animo, ed il suo giudizio non maturato dalla pratica può essere facilmente trascinato, sedotto da idee che alcuni anni di più non mancherebbero di modificare.
Oltreché l’opera immensa di questa prima Assemblea, destinata a creare tutto l’edificio sociale ed a formare tante leggi d’ordine sì diverso fra esse, esige maturità di consiglio e di dottrina politica e civile, quale appena può presumersi nell’uomo giunto al trentesimo anno.
Si contrappose da molti che, se hannovi Costituzioni le quali fissano l’età nell’eleggibile agli anni 30, hannovene pure altre non poche, italiane e straniere, che la determinano agli anni 25, e segnatamente la Legge elettorale francese, basata pur essa sul principio del suffragio universale e dalla quale meglio che dalle altre devesi per la parità del principio regolatore prendere esempio. Questa età volevano quindi gli opponenti che venisse fissata anche da noi come condizione della eleggibilità. Alcuni di questi non tacevano che, ove si fosse trattato di un’Assemblea ordinaria legislativa, la varietà e l’estensione delle cognizioni necessarie nel Deputato per concorrere alla formazione delle leggi gli avrebbe persuasi a stabilire la proposta età maggiore. Ma trattandosi invece di una Costituente, crede vano bastanti nel Deputato le nozioni di cui può essere fornito ai 25 anni, perché a scegliere la forma di un Governo e l’ordinamento di lui, a decretare in somma una Costituzione, non esigonsi astruse dottrine, ma bastano le nozioni che a tale età si sono già acquistate, il sentimento del bene ed un patriotismo caldo e verace. Essi non te mono nell’Assemblea l’impeto giovanile, raffrenato naturalmente dalla parola e dal voto degli uomini più provetti, che non possono mancare di trovarvisi in abbondanza. Amano invece che la gioventù vi si trovi, perché nella gioventù il pensiero è generalmente più puro e generoso, perché maggiore è in essa la potenza del concetto, la energia della volontà, più grande il disinteresse, più vivo l’amore, più intenso il culto di quelle idee che presiedono alla vita di un popolo libero; perché la presenza della gioventù nell’Assemblea rappresenta quasi la fede nell’avvenire che a lei appartiene e che è dicevole perciò che essa concorra a fondare; perché in fine è principalmente alla gioventù che è dovuta questa meravigliosa rivoluzione, preparata nel di lei pen siero, operata col di lei sangue.
I proponenti l’età più matura non vede vano però come i loro argomenti cedessero a quelli della contraria opinione. Non disconoscevano i meriti della nostra gioventù, la nobiltà, l’energia, la purità dei di lei senti menti. La ammirarono nel conflitto, l’ammirano tuttora nello slancio generoso che la conduce ad esporre la vita nella lotta osti nata e sanguinosa dalla quale escirà compiuta l’italiana indipendenza e libertà; ma non consentono che a lei sola si dia merito della prima vittoria, né dell’opera, molto meno del pensiero di questa rivoluzione gloriosa, cui fu preparata essa medesima dai cittadini magnanimi che da tanti anni lo maturavano, lo diffondevano, ne tentarono l’effettuazione, benché allora infelice mente, e preludettero così al rivolgimento cui i giovani diedero e senno e braccio, ma non soli; chè braccio e sangue, e sacrifici di ogni maniera, e direzione operosa, animosissima, vi consacrarono pure i cittadini d’età matura, ai quali niuno dubiterà che ne sia dovuta la gloriosa iniziativa.
D’altronde il valore, per quanto portentoso, non supplisce la sapienza civile che deve desiderarsi nel Deputato, tanto più che non possono ammettere che si tratti di una pura Costituente; benché pensino che, se tale pur fosse, la fondazione tutta intera del nuovo Stato e la creazione de’ suoi ordini è tale opera alla quale vuolsi assai più che sentimento generoso, purità d’intenzioni e corredo di principii astratti non per anche tradotti al senso pratico.
L’esempio di Francia non può essere opportunamente applicato fra noi in questa parte. Quella nazione è in possesso d’istituzioni libere da oltre mezzo secolo, e la generazione vivente venne educata alla libertà ed a quelle forme di civile reggimento che ne sono ad un tempo la cauzione e l’effetto. Le dottrine che reggono queste forme vi sono quasi incarnate. Esse vi formano oggetto di studio dalla prima giovinezza, ed i giovani vi si preparano presto a poter degnamente rappresentare la nazione nei Corpi deliberanti.
Le condizioni della Patria nostra all’invece furono sin’ora affatto contrarie a quelle di Francia. Dopo un breve periodo di apparente libertà e di forme corrispondenti, più nominali che reali, questa parte d’Italia ricadde sotto il giogo austriaco, e ne durò l’oppressione trentaquattro anni. In questo lungo intervallo non studii, non libere scritture che sviluppassero gl’ingegni in senso morale e patriotico, li fecondassero, li rendessero prontamente idonei per conveniente istruzione alla trattazione della cosa pubblica.
Il pensiero italiano vi era soffocato, schiava la stampa, serva non meno la parola; ogni idea generosa vi era colpita di proscrizione ed era obbligata a chiudersi gelosamente nel segreto delle menti. L’istruzione era tutta ordinata ad insterilirle, a corrompervi ogni buon seme, e teneva sì a lungo occupata l’adolescenza nelle scuole preparatorie che ben tardi poteva aprire l’intelletto alle più elevate ed utili dottrine politiche. E se queste nondimeno si coltivarono con amore nella Patria nostra, era questa una coltura non diffusa coi buoni libri, che non pote vano avere circolazione, non avviata coll’insegnamento, che operava in direzione contraria, non sostenuta dalla parola e dalla discussione, cui era tolto ogni campo. Era studio occulto, che preparava le menti e nodriva i principii fecondi perché non perissero e potessero produrre il loro frutto nel giorno in cui la Provvidenza avrebbe chiamato il Paese a risorgere. Ma convien pure confessare che, nella infelice condizione in cui egli giacque prostrato si a lungo, le attitudini dell’uomo al regime politico ordinato a libertà non potevano pronunciarsi pronta mente come nelle nazioni presso le quali la cosa pubblica è il soggetto ordinario dello studio e della discussione in ogni circolo, in ogni famiglia. Il nostro Paese è nuovo alla libertà ed alle istituzioni che devono fondarvisi; tutto è a farsi, ad ordinarsi, a consolidarsi, e tutto ciò richiede negli uomini chiamati ad effettuare questa immensa creazione quel senno illuminato da lunghi studi, maturato dalla esperienza, che non può trovarsi in troppo giovane età.
Perciò i membri che parteggiavano per questa opinione, anziché acconciarsi a quella degli altri membri che riterrebbero necessaria piuttosto l’età dei trent’anni nei Deputati ad una futura Assemblea legislativa che alla prima e vicina Costituente, soste che l’età più inoltrata sia assai più desiderabile nel caso attuale che per le future Assemblee, per le quali avranno ad eleggersi i Rappresentanti in un tempo in cui l’educazione politica avrà fatti quei progressi che saranno certamente rapidi e verranno sollecitati dall’esempio stesso di una prima Assemblea.
A trent’anni, dicevano essi, l’uomo è pur giovane ancora, e della gioventù conserva l’energia e la generosità; ma unisce a queste doti quelle altre che il solo tempo può dare. Quando adunque desideriamo questa età nell’eleggibile, non facciamo un privilegio alla vecchiaia; non escludiamo dall’Assemblea le giovani forze della nazione; in tendiamo unicamente a combinarle colla maturità indispensabile a deliberare sui di lei più grandi interessi.
Soggiungevasi d’altra parte in contrario che lo scopo ed ufficio principale della Costituente era il determinare la forma del politico nostro reggimento, al che come alla formazione delle leggi complementarie della Costituzione non esigevasi un vasto corredo di cognizioni positive che il giovane di 25 anni non potesse ancora aver acquistate, sibbene quelle semplici nozioni sulle forme governative che tutti posseggono a quella età, nella quale i giovani hanno d’ordinario compiti già da più anni gli studi universi tari. L’istruzione era inceppata, è vero, falsificata, sviata durante la dominazione austriaca, dal più retto e nobile suo scopo.
Ma, se tale era l’istruzione ufficiale, non vi corrisposero per ventura i frutti. La gioventù scioglievasi dalle scolastiche pastoie, studiava le dottrine politiche sulle opere de grandi maestri, istruivasi quanto alle attualità colla stampa estera, seguiva avidamente il corso delle grandi contestazioni e discussioni politiche e tutte le loro fasi presso le nazioni libere, ispiravasi ai moderni loro esempi, agli antichi d’Italia, e maturava la mente a quelle grandi idee che ora è pienamente capace di applicare, Quando i membri che difendevano questa opinione parlavano del coraggio dei giovani, come autori principali della rivoluzione, non vollero accennare soltanto alla prodezza dei molti che combatterono sì valorosamente e combattono tuttora la battaglia della libertà;
bensì a quella eletta parte della gioventù, compresa in gran numero fra i 25 e i 30 anni, che l’andò preparando cogli scritti, coll’opera, colla diffusione dei principii che dovevano effettuarla; e questa gioventù non vogliono esclusa dal diritto di sedere nell’Assemblea nazionale. Il grado d’istruzione e di attitudine è al certo infinitamente vario in quella età come nella più provetta;
ma spetta poi agli elettori lo scegliere tra i giovani eleggibili i più idonei a quelle alte funzioni, come è pur uopo che facciano nella scelta fra i più attempati; né il buon senso delle masse elettorali cadrà di leggieri in fallo.
Anzi quest’ultima considerazione veniva tratta assai più innanzi da un membro della Commissione. Gli elettori sono il corpo attivo della nazione, diceva egli, e la rappresentano nella elezione. Questa è un fatto sovrano, al quale non si possono imporre confini. Quindi, mentre prima si agitava la questione dell’età fra i due estremi dei 25 e dei 30 anni, egli propose che venisse fissata ai 21, perché credeva che, quando gli elettori avessero nominato un Deputato di 21 anni e lo avessero così reputato capace, la legge non poteva dire il contrario. Gli veniva risposto però che la sovranità risiedeva nella nazione, non nelle singole porzioni o gruppi di elettori dai quali ciascuna nomina proveniva. Che l’esercizio del diritto dei singoli doveva necessariamente essere regolato nella vista del bene universale.
Che a ciò la legge era destinata e che, se le di lei disposizioni dovevano essere determinate dietro il principio della onnipotenza, che lo stesso opinante verrebbe ad attribuire agli elettori, la legge diveniva inutile, il legali e vane sarebbero riuscite tutte le di lei disposizioni relative alla capacità, e quando fosse accaduto che un gruppo di elettori avesse fatta cadere la sua scelta su di un individuo che niuna Assemblea riceverebbe dovrebbesi nondimeno ammetterlo in forza di quel principio. Anche il fissare i 21 anni come condizione di eleggibilità sarebbe stato in contraddìzione con esso. Che se ammettevasi la possibilità, la podestà nella legge di assegnare un’età si per l’elettore che per l’eleggibile, la ragione voleva che quella si scegliesse nella quale secondo la naturale presunzione e l’elettore e l’eleggibile fossero capaci delle funzioni che avevano rispettivamente a sostenere.
Posti cosi in campo tre partiti, si deliberò prima se avevasi a fissare l’età nell’eleggibile agli anni 27, termine medio, cui nel corso della discussione avevano aderito i membri che riputavano insufficienti gli anni 25, ovvero ad un’età minore; e quest’ultimo partito fu vinto da 11 voti contro 8. Re stava allora a scegliersi fra gli altri due partiti; e l’età di anni 25, adottata alla maggioranza di 15 contro 4, fu scritta nel l’articolo 11 del Progetto.
Il Capo V del Progetto determina il luogo ove il diritto elettorale deve essere esercitato.
L’articolo 5 aveva già stabilito che debba esservi un’Assemblea primaria per ogni Comune dello Stato. Essa non poteva essere dunque composta che dagli elettori appartenenti al Comune ove si radunava, e quivi dovevano essere chiamati gli elettori ad esercitare il loro diritto.
La Commissione aveva piuttosto ad esaminare se quella appartenenza dovesse farsi risalire ad un tempo anteriore, come fece la Legge francese (la quale all’articolo 5 delle Istruzioni stabilì che per essere in scritto come elettore in un Comune si deve avervi residenza da sei mesi, derogate tutte le disposizioni anteriori relative al domicilio politico separato dal domicilio reale), e come la appartenenza medesima si avesse a riconoscere, Varii membri convenivano nel pensiero che si dovesse prendere per base la residenza o dimora reale, che alcuni volevano fosse anteriore di trenta giorni alla pubblicazione della legge. Non già per distinguere il domicilio reale dal diverso domicilio politico che le leggi esistenti non conosce vano; ma per attenersi ad un dato positivo che permettesse di regolare l’inscrizione, escludendo quelle subitanee traslocazioni che potevano rendere assai più complicata e difficile la formazione delle liste.
Venne però osservato che molti cittadini, o per elezione o per l’arte che professano, sogliono dimorare parte dell’anno in un luogo, parte in luogo diverso; che per molti il determinare fra più luoghi quello del domicilio reale e prevalente, secondo la regola generale che lo fissa nel luogo ove l’individuo ha il suo principale stabilimento e la somma de’ suoi affari, sarebbe stato malagevole e di ardua prova, mentre nel corso delle operazioni elettorali è necessità che le prove siano semplici e pronte; che perciò la teoria assoluta della residenza reale poteva generare nella pratica numerose complicazioni. Molti membri della Commissione pensarono quindi che fosse migliore spediente il prendere per base il ruolo di popolazione il quale, comunque in molti luoghi imperfetto, offre pure un dato esistente, ed il solo cui poter attenersi se non si voleva gettarsi nell’imbarazzo di prove più difficili. E quantunque altri membri avvertissero che questo sistema poteva produrre la perdita di molti voti perché molti individui non sono inscritti in alcun ruolo di popolazione, fu adottato senza dissentimento perché questi casi speciali, che sono in opposizione alla legge, non devono impedire che si adotti una massima conveniente alla generalità, e perché d’altronde sì a questi casi di assoluto difetto di inscrizione come a quelli di pluralità ossia di inscrizione in più ruoli poteva facilmente ripararsi.
Vi si provvide infatti, e mentre coll’articolo 13 del Progetto si dispose che l’elettore eserciterà il suo diritto nel Comune nel di cui ruolo di popolazione si trova inscritto all’epoca della pubblicazione della legge, si stabili ad un tempo che, dove si trovasse inscritto nel ruolo di popolazione di due o più Comuni, dovrà esercitarlo in quello dell’ultima sua inscrizione. E quando al tempo della detta pubblicazione un elettore non si trovasse inscritto in verun luogo, non avrà, giusta l’articolo 14, che a farsi inscrivere nel ruolo del Comune ove ha il suo domicilio reale, per ivi esercitare il suo diritto.
Niun termine anteriore di inscrizione credette la Commissione di prescrivere, perché desso poteva essere necessario ove, come in Francia, si fosse commesso alle Autorità comunali di formare d’ufficio le liste degli elettori senza che questi si presentassero previamente e si medesimi a farsi inscrivere; nel qual caso l’Autorità non avrebbe avuto fra noi altra scorta che i ruoli di popolazione, le cui recenti variazioni non avrebbero potuto essere compiute e registrate per norma della Autorità quando ella avesse dovuto partire nello spoglio dei ruoli dal giorno stesso della pubblicazione della legge. Ma, dacché l’Autorità comunale mancava qui di tutti gli elenchi elettorali di cui era munita in Francia e de’ quali doveva servirsi secondo quella Legge per la formazione delle liste; dacché, incaricando le nostre Autorità comunali di compilare le liste col solo sussidio de ruoli, si sarebbe loro imposto, segnatamente nelle città popolose, un lavoro enorme, che avrebbe prolungate grandemente le operazioni elettorali; dacché si doveva quindi preferire il principio della spontanea inscrizione degli elettori nell’apposito registro; non esisteva più verun bisogno di esigere ch’essi fossero inscritti un tempo qualunque prima della pubblicazione della legge nel ruolo della popolazione del Comune alla cui Assemblea primaria dove vano appartenere.
Pei militari in congedo non eravi ragione d’introdurre nella legge veruna eccezione, poiché non sono chiamati dai doveri del servizio a mutare dimora. L’articolo 15 del Progetto applica per ciò ai medesimi le nor me precedentemente stabilite per il luogo ove devono esercitare il loro diritto di elettore.
L’inscrizione nel registro elettorale testé mentovata è regolata dal Capo VI del Progetto. Il metodo d’inscrizione volontaria era consigliato dalle circostanze già addìtate.
Fu nondimeno il soggetto di alcuni obietti.
Si temette principalmente che questo sistema potesse scemare il numero degli elettori ove per indifferenza, per apatia, molti avessero ommesso di farsi inscrivere. Sembrò per altro alla Commissione che questa indifferenza non possa nemmeno figurarsi quando siamo ancora al domani di una rivoluzione che scosse profondamente tutti gli animi, e ci troviamo nel momento in cui la Nazione deve trarne il frutto. Si dubitò che molti si facessero inscrivere senza averne il diritto, tentando così una usurpazione delle funzioni elettorali di cui l’Autorità comunale non potrebbe facilmente avvedersi nei Comuni popolosi, quando collo spoglio del registro aveva a formare le liste. Si rispose che questa audacia non sarebbe supponibile che in pochi, e che per questi pochi, la di cui in capacità fosse sfuggita all’Autorità comunale, la legge poteva offrire il riparo concedendo a tutti gli elettori di un Comune il riclamo contro l’inscrizione nelle liste di un individuo incapace.
La Commissione quindi adottò unanime mente l’articolo 16. Esso determina che ogni Autorità comunale aprirà nel giorno da stabilirsi un registro, nel quale tutti i cittadini aventi la capacità elettorale dovranno farsi inscrivere; locuzione imperativa che rimane bensì senza sanzione, ma che fu usata per far conoscere ai cittadini il dovere morale che ne hanno, poiché a niuno è lecito il ri manersi indifferente nell’esercizio di un diritto politico dal quale dipendono i più gravi interessi della Patria.
A questo stesso effetto l’articolo 16 ordina che l’Autorità comunale avvisi preventiva mente gli elettori del Comune del giorno in cui sarà aperto il detto registro, il quale, a facilità delle operazioni successive, si di spose che debba essere diviso per sezioni ne Comuni che hanno più sezioni elettorali.
Il bisogno di identificare le persone fece adottare le indicazioni che l’articolo 17 prescrive doversi dare dagli elettori all’atto in cui si presentano per essere inscritti. Il termine pel quale il registro dovrà rimanere aperto fu stabilito dall’articolo 19, con riguardo al tempo occorrente né grandi centri di popolazione affinché tutti gli elettori potessero farsi inscrivere.
Al principio però dell’inscrizione volontaria era dovere che la legge facesse una eccezione pei militari in attività di servizio.
Mentre essi stanno a fronte del nemico per la salute del paese, era impossibile che si trasferissero, sia per l’inscrizione come per la votazione, al Comune cui appartengono, e questa impossibilità non doveva privare in fatto del diritto elettorale quel medesimi il cui valore ne assicurava agli altri l’esercizio. Il Progetto prescrisse quindi col l’articolo 18 che gli elettori militari siano inscritti d’ufficio, e che questa inscrizione si faccia in un registro particolare affinché essi medesimi, se per avventura si rechino al loro Comune, o per essi i loro parenti o qualunque altro incaricato, possano facilmente verificare se vi sono compresi e riparare l’ommissione loro, quando fosse in Corsa.
Sulla base del registro elettorale, chiuso che sia, l’Autorità comunale procede alla formazione delle liste, della quale tratta il Capo VII. L’ordine alfabetico fu in esse ingiunto perché ciascun elettore, e l’Autorità stessa al bisogno, potesse istituire la necessaria verificazione sull’inclusione od ommissione degli individui di cui si contestasse il diritto.
A prevenire le usurpazioni della qualità elettorale da parte d’individui incapaci che si fossero fatti inscrivere, la Commissione pensò che poteva conferirsi all’Autorità stessa un primo giudizio e darle facoltà di escluderli dalle liste, salvo riclamo.
Compiute e chiuse le liste nel termine stabilito, dovevasi dare facoltà a qualunque cittadino di prenderne ispezione perché po tesse conoscere se vi si trovava compreso, e riclamarne in caso contrario; come pure affinché ciascun elettore potesse conoscere se altri vi era stato compreso indebitamente ed in tal caso riclamarne. A questo stesso effetto, e per la facilità delle ispezioni cui deve essere pronto e molteplice il mezzo se non vuolsi cadere nella necessità dei lunghi termini, il Progetto dispone che le liste siano redatte in due esemplari, che uno di questi sia affisso nel Comune, e che siano inoltre stampate onde poterne avere una quantità sufficiente di esemplari che permetta la con temporaneità di molteplici ispezioni in quei Comuni i di cui registri offrissero un numero di inscritti maggiore di tremila. Tali sono le modalità e le cautele stabilite per questa importante operazione cogli articoli 20, 21 e 22 del Progetto, adottati tutti senza contraddìzione.
A garanzia del diritto degli elettori, ed a circondare la composizione delle Assemblee primarie di quelle severe cautele che val gamo ad assicurarne la legittimità, il Capo VIII del Progetto diede modo e forma cogli articoli 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34 e 35 ai riclami per le indebite esclusioni od inclusioni nelle liste elettorali, e ne ordinò le giurisdizioni di prima e di seconda istanza, confidando la prima alle Autorità comunali e la seconda ad un Consesso composto di sette consiglieri comunali del Consiglio dello stesso Comune, se vi esiste.
Dove poi non vi esiste, la varietà che si incontra in questa parte nella nostra amministrazione comunale non permetteva di fissare in modo costante il Consiglio incaricato del giudizio di seconda istanza. Si commise quindi a quello del capoluogo di Distretto, quando vi si trovi. In caso di verso, apparterrà al Consesso di sette scelto nel Consiglio comunale più vicino al Comune dalla di cui decisione di prima istanza si riclama. I termini de varii riclami, la pubblicazione del giudizio sui primi per la cognizione occorrente a fine di aprire la via ai secondi, i termini entro i quali devono pronunziarsi, ed il chiudimento delle liste definitive in seguito alle rettificazioni che fossero emerse da que giudizi, furono pure oggetto de’ citati articoli. Essi vennero esaminati bensì e discussi per recarvi la conveniente precisione, ma non si ebbe su di essi divisione di opinione.
Si noterà soltanto che gli stessi riguardi dovuti ai militari in attività di servizio, e come conseguenza della eccezione già fatta a loro favore quanto alla inscrizione sul registro, comandavano la disposizione dell’articolo 26, col quale si permise che i riclami per la loro esclusione vengano presentati tanto da essi quanto dai loro parenti e da qualunque loro mandatario.
Il Capitolo IX provvede cogli articoli 36, 37 e 38 alla tenuta delle Assemblee primarie ed alla composizione del loro Ufficio.
Questa composizione può essere prestabilita dalla legge o commessa alla scelta della stessa Assemblea. Tutti concordarono nel principio che aveva regolata la destinazione o composizione delle Magistrature in caricate delle precedenti operazioni, e vole vano che l’Ufficio fosse costituito unica mente dall’elemento popolare. In ciò solo differivano che gli uni lo volevano prestabilito, gli altri volevano che fosse il pro dotto della elezione. Questi dicevano che il principio elettivo doveva dominare tutto il sistema, e che l’importanza come la verità delle operazioni dell’Assemblea esigevano quella garanzia la quale non può trovarsi che nella direzione di un Ufficio eletto.
Quelli partivano da una vista pratica. Stabilito che ogni Comune debba avere una Assemblea primaria, si avranno molte Assemblee numerose, alcune numerosissime, e molte più di scarso numero, le quali tutte offrirebbero nell’applicazione del sistema elettivo difficoltà gravissime in senso in verso. Nelle numerose abbonderanno gli eleggibili alla presidenza ed alle altre funzioni dell’Ufficio; ma la elezione loro importerebbe precisamente di raddoppiare la operazione, perché vi vorrebbe egual tempo a scrivere, raccogliere e spogliare le schede per la composizione dell’Ufficio come per la elezione del Rappresentanti. Quindi un grande ritardo a quest’ultima, e la difficoltà che gli elettori stiano presenti ad una duplice operazione che dovrebbe durare più giorni. Quindi i migliori, cioè gli occupati, impediti per fatto della legge di esercitare il loro diritto.
Nelle piccole invece, quali saranno per la massima parte quelle de’ Comuni rurali, gli eleggibili saranno scarsissimi, ed è quasi necessità che siano presiedute dai pochi idonei che possono esservi, i quali nei più de’ casi sono i membri della Amministrazione comunale, In questi Comuni medesimi non si saprebbe nemmeno come costituire l’Ufficio provvisorio. Se si assegnasse la presidenza al seniore, cadrebbe assai probabilmente su di un vecchio contadino affatto incapace di dirigere le prime operazioni. E posciachè era pur mestieri di procedere con un metodo uniforme, le difficoltà diverse che nel l’applicazione del principio si offrirono al pensiero pei Comuni piccoli e pei popolosi, e più ancora per i primi che pei secondi, rendevano preferibile il sistema dell’Ufficio prestabilito.
A cansare le difficoltà nascenti dal maggior tempo richiesto dalle due operazioni nel caso che l’Ufficio debba essere elettivo, fu proposto che all’atto dell’ingresso all’Assemblea gli elettori deponessero una scheda contenente i nomi delle persone che dove vano comporlo; ma si oppose che l’operazione sarebbe di poco abbreviata, e che inoltre molti elettori, segnatamente delle campagne, non sapendo scrivere, avrebbero avuto il bisogno di ricorrere ad altri, e si sarebbero quindi accresciute a loro riguardo le difficoltà. Fu proposto pure che l’Ufficio fosse proclamato nell’Assemblea per acclamazione; ma l’acclamazione suppone unanimità, e se questa non esiste, o sorgerà un conflitto pericoloso fra gli acclamanti nomi diversi, ovvero i timidi e tranquilli saranno soverchiati dai più audaci, e si riceverà così come unanime quell’acclamazione la quale può essere invece non più che il voto di un’ardita minorità. Venne discusso pur anche un sistema misto, consistente nel comporre l’Ufficio 1° dei membri dell’Autorità comunale, 2º di altri membri da nominarsi dall’Assemblea, commettendo alla prima l’Ufficio provvisorio. Ma venne rifiutato perché riuniva gl’inconvenienti attribuiti dalle varie opinioni ai due metodi, invece di evitarli, e non rimoveva che l’imbarazzo inerente alla prima costituzione di un Ufficio interinale.
La Commissione quindi decise ad unanimità, meno due membri che si astennero dal votare, di demandare la presidenza delle Assemblee primarie all’Autorità comunale, quale nei Comuni delle diverse classi è costituita, aggiungendole per compire l’Ufficio il Deputato alla tassa personale, ove esiste, e varii elettori nel numero non minore di tre, non maggiore di sette, a misura del bisogno, benché le sue basi non siano quali sarebbero in un paese che già godesse libere instituzioni. Il Deputato alla tassa personale né Convocati rappresenta il principio democratico, perché raccoglie nella sua rappresentanza anche tutti i non possidenti.
Gli elettori finalmente chiamati a completare l’Ufficio vi rinforzano l’elemento po polare. Nella determinazione pertanto di dare la presidenza dell’Assemblea ad un Ufficio destinato dalla legge, come pur fece la Legge francese che vi prepose il Giudice di pace, funzionario dipendente dal Governo, la Commissione credette di comporlo in quel modo migliore che fosse per messo dalla nostra organizzazione municipale, e valesse ad inspirare agli elettori ed alla massa della Nazione la più grande fiducia. D’altronde i recenti avvenimenti provarono pure quanta è la fede delle nostre popolazioni nelle loro Autorità municipali, né minore poteva essere quella della Commissione, che doveva studiare per ogni rispetto di appoggiare la legge ai sentimenti del popolo.
Perciò ella commise pure all’Autorità comunale la scelta degli elettori destinati a far parte dell’Ufficio: né si sarebbe potuto fare altrimenti poiché, escluso il metodo dell’elezione, non sarebbe rimasto fuori di quella scelta che il sistema della sorte o quello dell’età; l’uno e l’altro egualmente pericolosi nei Comuni rurali perché poteva chiamare all’Ufficio uomini illetterati ed affatto inetti a sostenere le funzioni di scrutatore.
Quella scelta fu vincolata in un solo senso. Ove le Assemblee devono essere divise in sezioni, l’Autorità comunale non poteva presiedere che la prima di esse. Per le altre era indispensabile di comporre un Ufficio cui ella non poteva appartenere, e si volle costituito da sette elettori, di cui pure si lasciò la scelta all’Autorità comunale, ma obbligandola a preferire in quanto sia possibile i Consiglieri comunali. Un doppio pensiero guidava la Commissione a questa preferenza: l’assicurare cioè che questi Uffici destinati a presiedere assemblee si importanti e numerose, quali saranno le sezioni di città, fossero composti di persone rivestite pel loro carattere della pubblica fiducia, ed il farli procedere pur essi dal principio elettivo, dal quale derivano egual mente, benché troppo autonomicamente, i Consigli comunali. né la Commissione accolse il timore espresso da alcuno de’ suoi membri, che si cadesse con ciò nel privilegio, dando una preferenza ai possidenti, perché i Consigli sono composti parte d’estimati, parte d’industriali.
Siccome poi il Progetto aveva già stabilito che ogni elettore avesse ad esercitare il proprio diritto nel Comune cui appartiene, principio che deve operare anche per l’elezione, così a non privare ingiustamente del modo d’esercitare il diritto medesimo que gli elettori i quali, come membri di un’Autorità comunale o come Consiglieri, fossero obbligati per ragione dell’ufficio loro a rima nere in un’assemblea diversa da quella di cui dovrebbero far parte per ragione della loro dimora, s’introdusse a loro favore col l’articolo 38 una eccezione al principio anzidetto, e si dispose che potranno votare nell’Assemblea al di cui Ufficio saranno ascritti, facendosi trasferire previamente nelle liste della medesima.
Il Capo X del Progetto regola nelle Assemblee primarie la votazione per ischede, e stabilisce cogli articoli 39 al 43 tutte le discipline essenziali all’ordine, alla sicurezza, alla lealtà della votazione ed alla custodia delle schede per effettuarne poscia la verificazione e lo spoglio.
Niuna di queste disposizioni poteva offrire soggetto di grave dubbio. La discussione si impegnò unicamente riguardo alla scheda dell’illetterato, il quale è costretto di farla scrivere da altri. Volevasi premunirlo contro l’errore, francarlo dalla mala fede, e si presero in esame varii mezzi diretti ad impedire che la di lui confidenza fosse abusata dall’intrigo o da qualunque specie d’inganno. Alcuno credeva opportuno che l’elettore illetterato facesse scrivere la sua scheda dal l’Ufficio delle Assemblee, ad esempio di quanto disponeva la Costituzione di Spagna dell’anno 1812, dettando all’Ufficio i nomi da inscriversi nella scheda. Ma questo mezzo, che diveniva necessario ove si volle che la scheda fosse scritta nella sala dell’Assemblea, violava il principio fondamentale del segreto, che si era adottato come garanzia suprema della libertà del voto. Altri voleva almeno che si lasciasse in facoltà dell’elettore di far riempire la sua scheda dal l’Ufficio; ma non si convenne in questa proposta, perché era da attendersi che tutti o quasi tutti gli illetterati avrebbero usata questa facoltà, e le operazioni dell’Assemblea ne sarebbero state rallentate oltre misura. Del che andrà convinto chiunque pensi quanto tempo sarebbe abbisognato nelle grandi sezioni di città, nelle quali possono trovarsi a centinaia gl’illetterati, perché ognuno di essi chiamato alla tavola dell’Ufficio, invece di deporre la sua scheda già pronta, indichi i nomi da inserirsi nella scheda, che per Milano sono 57, e l’Ufficio ve li scriva.
Venne finalmente proposta una controlleria, che si faceva consistere nel rilascio all’elettore di un bollettino di riscontro, riferito alla sua scheda numerizzata, affinché potesse richiamarla e verificarne la fedeltà.
Anche questo mezzo però conduceva alla violazione del segreto, quando fosse stato impiegato. Era poi praticamente impossibile, perché, appena compiuta la consegna delle schede, doveva cominciarsene lo spoglio, operazione che non si sarebbe potuta intraprendere quando avesse dovuto aspettarsi che gli elettori illetterati avessero a verificare se la loro scheda corrispondeva alla loro volontà.
Era da ultimo strumento facile a mutazioni, forse determinate da posteriore seduzione, perché l’elettore che avesse voluto cambiare il voto poteva allegare che la sua scheda era stata scritta difformemente dalla sua intenzione, senza che di questa intenzione anteriore si potesse in alcuna guisa accertarsi.
Convenne quindi abbandonare questi presidii, come dannosi piuttosto che utili ed opportuni, e lasciare all’interesse, alla diligenza dell’elettore illetterato di far iscrivere fuori dell’Assemblea la propria scheda dalla persona nella quale avesse maggior fede, avvertendolo a maggior cautela nell’Avviso di convocazione, da formularsi giusta le Istruzioni esecutive che accompagnano la legge, che era obbligo suo di accertarsi della perfetta conformità tra i nomi da lui indicati allo scrivente, da inserirsi per di lui incarico nella scheda, ed i nomi contenuti in questa. Potrebbe accadere senza dubbio ch’egli venisse ingannato. Ma, volendo premunirsi di soverchio contro il pericolo d’infedeltà che potrebbe falsare in alcuni pochi casi il voto dell’elettore illetterato, si offendeva la libertà in tutti. Tra la sicurezza della fedeltà ed il principio fondamentale della libertà del voto garantito dal segreto, la Commissione non poteva esitare, e scelse la libertà.
L’esercizio del diritto elettorale non può essere che personale. Quindi l’articolo 40 del Progetto dispone che nessun elettore potrà farsi rappresentare nell’Assemblea primaria. Ma le eccezioni già introdotte riguardo ai militari sì per la inscrizione che per la verificazione delle liste e pei riclami sarebbero state vane se non avessero ricevuto il loro complemento da speciali disposizioni per la votazione. I militari assenti in servizio della patria non potevano presentarsi alle rispettive Assemblee primarie per deporre il loro voto. Lo stato di guerra in cui ci troviamo li tiene talvolta divisi in piccioli distaccamenti, assai volte in cammino. Era dunque impossibile il riunirli a giorno fisso in corpi elettorali divisi per provincia, come fece la Legge francese pel proprio esercito. Si ritennero quindi addetti alle Assemblee de rispettivi loro Comuni e, per eccezione alla regola generale, si con ferì loro il diritto di far presentare alla loro Assemblea la loro scheda chiusa per mezzo di un loro incaricato munito di apposito mandato.
Gli articoli 45, 46 e 47, che formano il Capo XI del Progetto, e gli articoli 48, 49, 50, 51, 52, 53 e 54 del Capo XII offrono le discipline colle quali deve procedersi nelle Assemblee primarie allo spoglio delle schede ed alla verificazione del di lui risultato, che deve essere immediatamente proclamato e registrato nel processo verbale, indi al ricensimento dei voti per Provincia, per riassumere i risultati de processi verbali e proclamare i Deputati che emergeranno eletti dalla maggioranza relativa de’ voti dell’intera Provincia.
In queste disposizioni la Commissione recò lo spirito della massima cautela combinato col desiderio della possibile facilità e semplificazione delle operazioni al centro della Provincia.
Immaginò di formare dei centri minori ove i processi verbali delle singole Assemblee dovessero radunarsi, perché il concorso de’ presidenti e segretarii di esse tutte al capoluogo della Provincia, mentre obbligava gli Uffici del Comuni ad incomode e dispendiose dislocazioni, avrebbe creato un grave imbarazzo al capoluogo. Gli Uffici delle Assemblee comunali recheranno quindi i loro processi verbali a quello del capoluogo di Distretto. I presidenti e segretarii delle Assemblee dei Comuni capoluoghi di Distretto porteranno poscia al capoluogo della Provincia tutti i processi verbali de’ Comuni del Distretto, e quivi se ne farà il generale ricensimento.
Ma questo a chi doveva affidarsi? La Commissione, fedele al principio di fondar si ovunque e per quanto è possibile sull’elemento dell’elezione, compose a tal uopo al capoluogo d’ogni Provincia un Ufficio che pel numero de’ suoi membri, tutti di origine elettiva, quali sono i Deputati delle Congregazioni provinciali, gli Assessori delle Congregazioni municipali, ed i Consiglieri municipali, e per la qualità loro valesse ad inspirare la maggior fiducia, avvalorata dalla garanzia della pubblicità.
Questo Ufficio così composto, eseguito lo spoglio generale di tutti i processi verbali della Provincia ed il ricensimento complessivo dei voti, proclamerà i Deputati che risulteranno eletti dalla maggioranza. Pel caso in cui più individui riunissero egual numero di voti, la Commissione, attenendosi al sistema generalmente adottato quando non può procedersi a successive votazioni, diede la preferenza al seniore, ed in caso di pari età fra essi affidò la scelta alla sorte, nella quale non vide pericolo quando essa aveva a decidere fra individui che gli elettori avevano reputati egualmente degni di rappresentare la Nazione.
Pel caso poi di opzione dei Deputati che risultassero scelti in più Provincie, e per le nuove elezioni che di conseguenza si credessero necessarie o fossero richieste dal l’annullamento di altre, spettava all’Assemblea nazionale il deliberare, come a lei sola apparteneva il riconoscere la validità delle elezioni, per giudicare delle quali il Progetto dispose all’articolo 54 che tutti i pro cessi verbali saranno conservati ed a lei trasmessi.
Discusso e deliberato tutto ciò che riguardava le elezioni ed i mezzi per ottenerle con certezza, con lealtà, rimaneva al l’esame della Commissione un ultimo argo mento: il vedere cioè se l’ufficio degli eletti avesse ad essere gratuito o retribuito.
Non era in alcuno dei membri della Commissione il pensiero che a queste funzioni nobilissime dovesse essere assegnato uno stipendio. Funzioni sì elevate richiedono abnegazione e disinteresse assoluto, ed assai volte il sacrificio degli interessi personali.
Uno stipendio non può che scemar dignità ai Rappresentanti della nazione. Può anche produrre talvolta che la deputazione venga optata per una bassa vista di lucro piuttosto che per l’onore di servire il proprio paese. Ma non trattavasi qui di stipendio, sibbene d’indennità. Alcuni membri la ricusavano perché la indennità non fosse uno stipendio mal velato sotto altro nome. Avrebbero tutto al più lasciato ai Comuni l’incarico di dare una modica indennizzazione a quelli che ne avessero provato il bisogno.
Ma questa indennità speciale, che recava una spesa ai Comuni, poteva in senso di altri favorire i ricchi in quanto esimevano i Comuni da quel dispendio, e questo pensiero poteva farli prevalere nella elezione. Consideravano all’opposto che la mancanza assoluta d’indennità faceva della deputazione un monopolio a favore dei ricchi, perché i poveri non potevano sostenerne il peso, segnatamente quando l’Assemblea nazionale si raduna in luogo lontano dal loro abituale domicilio. Pensavamo che le più elevate intelligenze, le capacità più distinte si trovano spesso in persone prive di patrimonio.
Che senza un risarcimento ai Deputati, la Nazione si sarebbe trovata priva del servigi importanti che siffatte persone potevano prestare nell’Assemblea costituente. Sopratutto credevano che la scelta fra i due partiti non fosse libera. Dacché erasi ammesso il principio della eleggibilità generale e senza condizioni, non potevasi paralizzarlo, sovvertirlo nel fatto, ricusando quella indennizzazione senza la quale l’accesso dell’Assemblea sarebbe stato indirettamente interdetto a tutti gli eleggibili privi di rendite loro proprie ed obbligati a trarre la loro sussistenza dai frutti del lavoro.
La massima di assegnare ai Deputati una indennizzazione durante le sessioni dell’Assemblea venne quindi ammessa dalla Commissione alla pluralità di 12 contro 6, ed acciò non mutasse carattere, acciò non ce lasse uno stipendio, e fosse realmente nulla più che una indennizzazione nel caso di più evidente bisogno, la Commissione decise alla maggioranza di 16 contro 2 che sarebbe concessa ai soli Deputati non dimoranti nel luogo dell’Assemblea, e coll’articolo 55 ne fissò alla unanimità la misura in dieci lire italiane al giorno.
Le Istruzioni compilate dalla Commissione per servire alla esecuzione della legge non contengono che schiarimenti del di lei testo e disposizioni speciali di modalità. Basate su quelle fondamentali contenute nella legge, non potevano esser tema di nuova discussione.
Coll’una e colle altre la Commissione ha compiuto l’incarico che le era stato affidato, come col presente Rapporto ella scioglie il debito che di buon grado ha incontrato di renderne ragione e di dare la bramata pubblicità ai suoi lavori, alle sue discussioni.
Le resta or solo a desiderare, e ne esprime il voto più ardente e più sincero, che la Legge di cui si offre qui il Progetto, pro duca intero l’effetto ad ottenere il quale la Commissione diresse costantemente e coscienziosamente i proprii studii; che valga cioè a radunare col mezzo della elezione una Costituente, vera mandataria della Nazione, e che questa Assemblea ne fissi le sorti con ispirito di vera sapienza, affinché ne sia per sempre assicurata la potenza e libertà, con giunta all’ordine ed alla massima prosperità morale e materiale.

Gioachimo BASEVI – Filippo DE BONI
Giuseppe NEGRI – Andrea MERINI – F. SANSEVERINO
G. CALUCCI – P. A. PAGNONCELLI
Lorenzo CURTANI – A. Costantino MANTOVANI
G. BERCHET – G. BORGHI
G. MARTINENGO VILLAGANA – Paolo BASSI
Luigi TORELLI
P. ROBECCHI ff. di Presidente VALENTINI, Segretario

PROGETTO

IL GOVERNO PROVVISORIO
Decreta:

CAPO PRIMO Dell’Assemblea nazionale

Art. 1. È convocata nella città di pel giorno l’Assemblea nazionale costituente per deliberare sulla composizione dello Stato e sulla forma del suo Governo, e per determinare la Costituzione.
Art. 2. Radunata e costituita che sia l’Assemblea nazionale, il Governo provvisorio depone nelle di lei mani i suoi poteri, e l’Assemblea medesima provvede quindi al l’ordinamento ed all’esercizio del potere esecutivo finché non sia attuata la Costituzione.
L’epoca di tale attuazione sarà determinata dall’Assemblea costituente, la quale frattanto eserciterà il potere legislativo.
Art. 3. L’Assemblea nazionale è composta de’ Rappresentanti della Nazione eletti con suffragio universale diretto e con voto segreto dalle Assemblee primarie, a maggioranza relativa di voti, colle norme seguenti.
Art. 4. L’elezione dei Rappresentanti ha per base la popolazione nella ragione d’un Rappresentante ogni 10.000 abitanti. Quindi il numero dei Rappresentanti delle nove Provincie lombarde sarà di 267, giusta il seguente riparto:
Prov. di Milano Rappresentanti N. 57
Prov. di Como Rappresentanti N. 41
Prov. di Bergamo Rappresentanti N. 38
Prov. di Brescia Rappresentanti N. 36
Prov. di Mantova Rappresentanti N. 26
Prov. di Lodi e Crema Rappresentanti N. 22
Prov. di Cremon Rappresentanti N. 20
Prov. di Pavia Rappresentanti N. 17
Prov. di Sondrio Rappresentanti N. 10
Totale N. 267

CAPO II. Delle Assemblee primarie

Art. 5. Le Assemblee primarie per l’elezione dei Rappresentanti della Nazione si riuniranno nel giorno alle Ore del mattino.
Art. 6. Vi sarà un’Assemblea primaria per ogni Comune dello Stato.
Nei Comuni aventi più di 6000 abitanti, che comprendono più parrocchie, le Assemblee primarie si divideranno in altrettante sezioni quante sono le circoscrizioni parrochiali.
Art. 7. Ogni Assemblea primaria sarà composta da tutti i cittadini maschi appartenenti al Comune, che avranno compiti gli anni 21 nel primo giorno delle elezioni, salve le limitazioni stabilite all’articolo 9.

CAPO III. Degli Elettori

Art. 8. Sono ritenuti cittadini per l’esercizio del diritto elettorale tutti quelli che nei Paesi ai quali è applicabile il presente Decreto godevano il diritto di cittadinanza all’epoca nella quale negli anni 1813 e 1814 accaddero le mutazioni di Stato, e che vi hanno conservato il loro domicilio; e così i loro discendenti.
Per lo stesso effetto sono ritenuti cittadini gl’Italiani e gli stranieri d’origine, tuttora domiciliati nei suddetti Paesi, che duranti le cessate dominazioni hanno acquistata nei medesimi la cittadinanza, non che i loro discendenti, esclusi però i sudditi austriaci.
Quanto alla cittadinanza dei condannati ed emigrati politici, non osterà ai medesimi per l’esercizio del diritto elettorale l’interruzione del domicilio, provvedendo per essi il Decreto 18 aprile 1848.
Art. 9. Sono esclusi dal diritto d’elezione i cittadini in istato d’interdizione giudiziale, eccetto i prodighi;
i cittadini in istato di prorogata minor età;
quelli che furono condannati o che sono inquisiti per delitti, non che per reati commessi con offesa del pubblico costume o per cupidigia di lucro; nella quale seconda categoria però non si riterranno comprese le contravvenzioni boschive e le contravvenzioni di finanza e di caccia;
quelli sui beni dei quali è aperto il con corso del creditori, qualora pel fatto del loro fallimento sia stata contro di loro pronunciata in via civile condanna all’arresto;
i cittadini che hanno accettato da uno Stato estero all’Italia un pubblico impiego civile o militare, qualora non provino di avervi rinunciato, eccettuati i Consoli degli Stati esteri e loro addetti.
Art. 10. I cittadini che avessero ottenuta la naturalizzazione in altro Stato, per esercitare il diritto elettorale, dovranno provare parimenti di avervi rinunciato.

CAPO IV. Degli Eleggibili

Art. 11. Tutti gli elettori che nel primo giorno della elezione abbiano compiti gli anni 25 sono eleggibili alle funzioni di Rappresentante della Nazione.
Art. 12. Gli elettori possono scegliere i Rappresentanti della Nazione fra tutti gli eleggibili dello Stato.

CAPO V. Del Luogo ove il diritto elettorale deve essere esercitato

Art. 13. L’elettore eserciterà il suo diritto nel Comune nel di cui ruolo di popolazione si trova inscritto all’epoca della pubblicazione del presente Decreto.
on potrà esercitare il diritto medesimo che in una sola assemblea elettorale.
Quindi, ove si trovasse inscritto nel ruolo di popolazione di due o più Comuni, dovrà esercitarlo in quello dell’ultima sua inscrizione.
Art. 14. Quando un elettore al tempo della pubblicazione del presente Decreto non si trovasse inscritto in verun ruolo di popolazione, si farà inscrivere, entro il termine pel quale dovrà rimanere aperto il registro di cui al successivo articolo 16, nel ruolo di popolazione del Comune ove avrà il suo domicilio reale, ed ivi eserciterà il suo diritto d’elezione.
Art. 15. Le norme stabilite negli articoli precedenti saranno applicate ai militari in congedo.

CAPO VI. Dell’inscrizione degli Elettori nel Registro elettorale

Art. 16. Ogni Autorità comunale aprirà nel giorno un registro, nel quale tutti i cittadini aventi la capacità elettorale dovranno farsi inscrivere secondo le norme stabilite coi precedenti articoli 13 e 14 per essere compresi nelle liste elettorali.
La stessa Autorità comunale ne darà preventivo avviso agli abitanti del Comune mediante pubblico affisso.
Nei Comuni che hanno più sezioni elettorali, come all’articolo 6, parte seconda, il registro sarà diviso in ragione delle sezioni medesime.
Art. 17. I cittadini che si presenteranno per essere inscritti dovranno indicare il loro nome, cognome, paternità, età, luogo di nascita, e la parrocchia nella quale dimorano.
Art. 18. Gli elettori che siano militari, anche volontarii, in attività di servizio verranno inscritti d’ufficio in un registro particolare dell’Autorità del Comune cui appartengono.
Nondimeno i militari medesimi, o per essi i loro parenti o qualunque altra persona da essi incaricata, avranno diritto di verificare se siano stati inscritti, ed in caso di omissione di farsi inscrivere nel detto registro.
Art. 19. Il detto registro sarà chiuso alla mezzanotte del giorno quindecimo dopo il di lui aprimento.

CAPO VII. Della formazione delle Liste

Art. 20. Chiuso il registro delle inserzioni, l’Autorità comunale formerà in due esemplari per ordine alfabetico le liste degli elettori.
Nei Comuni aventi più sezioni elettorali le liste saranno divise secondo i comparti menti delle medesime.
Art. 21. Nella formazione delle liste ciascuna Autorità comunale escluderà coloro che riterrà incapaci o che si fossero fatti inscrivere contro le norme stabilite negli articoli 13 e 14, salvi i riclami, come al seguente Capo VIII.
Art. 22. Le dette liste saranno chiuse nel termine di quindici giorni, computabile dal giorno in cui sarà stato chiuso il registro d’inscrizione, ed un esemplare di esse liste dovrà conservarsi presso l’Autorità comunale, ove ciascun cittadino potrà prenderne ispezione, entro giorni sei successivi, alla presenza dell’Autorità stessa o del suo Delegato.
L’altro esemplare sarà esposto al pubblico nel luogo degli affissi.
Dove i registri offrano un numero di in scritti maggiore di 3000, le liste saranno stampate ed affisse in ogni sezione elettorale del Comune.

CAPO VIII. Dei Riclami sulla formazione delle Liste, e del loro giudizio

Art. 23. Qualunque cittadino creda di poter riclamare per essere stato escluso dalle liste, e chiunque inscritto nelle liste del Comune creda di poter riclamare perché vi siano stati indebitamente compresi uno o più individui, avrà diritto di presentare al l’Autorità del Comune il proprio riclamo entro giorni quattro decorribili da quello in cui, giusta l’articolo 22, devono essere chiuse e pubblicate le liste.
Art. 24. L’Autorità comunale deciderà sommariamente sui detti riclami, e farà conoscere mediante pubblicazione, entro altri giorni otto decorribili dalla scadenza del termine stabilito dall’articolo precedente per la loro pubblicazione, se e quali cambiamenti nelle liste verrebbero ad essere pro dotti dalle sue decisioni.
Art. 25. Contro le dette decisioni dell’Autorità comunale sarà lecito a quelli che non avranno ottenuta con esse la riclamata inclusione propria od esclusione di altri dalle liste, come pure ai cittadini elettori che credessero di poter riclamare contro la inclusione pronunciata in prima istanza d’individui che non erano stati compresi nelle liste, d’interporre nel termine di altri giorni quattro, decorribile dalla pubblicazione del giudizio di cui al precedente articolo 24, ulteriore riclamo.
Art. 26. Pei militari in attività di servi zio, anche volontarii, che non fossero stati compresi nella lista elettorale, i riclami potranno essere proposti tanto da essi quanto da qualunque loro mandatario od anche dai loro parenti.
Art. 27. Il detto ulteriore riclamo sarà presentato all’Autorità comunale che avrà proferita la prima decisione.
Art. 28. In tutti i Comuni che hanno Consiglio comunale il giudizio di seconda istanza sarà proferito da un Consesso composto da sette Consiglieri comunali tratti a sorte fra i presenti nel Comune, l’anziano de’ quali sette avrà la presidenza del Con sesso con voto deliberativo.
Art. 29. Negli altri Comuni, se appartengono ad un Distretto nel di cui capoluogo siavi Consiglio comunale, il giudizio di se conda istanza sarà pronunciato da sette membri del detto Consiglio comunale, scelti e riuniti in Consesso colle forme stabilite all’articolo 28.
Art. 30. Per quei Comuni invece che facessero parte di un Distretto il di cui capoluogo non abbia Consiglio comunale, il giudizio di seconda istanza apparterrà ad un Consesso di sette membri, formato, come al l’articolo 28, del Consiglio comunale più vicino.
Art. 31. I riclami che saranno presentati a norma dell’articolo 27 verranno immediatamente trasmessi dall’Autorità comunale che li avrà ricevuti all’Autorità destinata come sopra a pronunciare in seconda istanza.
Art. 32. L’Autorità di seconda istanza dovrà proferire il suo giudizio nel termine di giorni otto, decorribili dal giorno in cui i riclami saranno stati trasmessi, e rimetterlo prontamente all’Autorità comunale dalla quale le saranno pervenuti.
Art. 33. Il giudizio di seconda istanza sarà definitivo.
Art. 34. Spirati che siano i termini di legge sopra stabiliti, ciascuna Autorità comunale chiuderà le liste colle rettificazioni che fossero derivate dai giudizi sui proposti riclami, e ne avviserà il pubblico affinché gl’interessati possano prenderne cognizione presso l’Autorità medesima.
Art. 35. Coll’avviso medesimo l’Autorità comunale rammenterà agli elettori compresi nelle sue liste il giorno destinato per l’adunanza dell’Assemblea primaria, e li inviterà a recarsi presso di lei per ricevere il biglietto d’ingresso ed una scheda coi nomi in bianco.

CAPO IX. Della tenuta delle Assemblee primarie e della composizione del loro Ufficio

Art. 36. Ogni Assemblea primaria è presieduta da un Ufficio composto dall’Autorità comunale coll’aggiunta del Deputato alla tassa personale, ove esiste, e di alcuni elettori scelti da lei in numero non minore di tre e non maggiore di sette, secondo il bisogno.
Art. 37. Nei Comuni che hanno più sezioni elettorali l’Ufficio, composto come al precedente articolo 36, presiederà l’Assemblea primaria del Circondario elettorale, ove l’Autorità suddetta ha la sua residenza.
L’Ufficio delle altre sezioni elettorali sarà composto da sette elettori del relativo circondario, scelti dall’Autorità comunale, con preferenza, in quanto sia possibile, agli elettori che siano Consiglieri comunali.
Tali Consiglieri inoltre potranno essere destinati a comporre gli Uffici di sezione anche nei circondarii delle parrocchie ove non abitassero, qualora non abbiansi Consiglieri dimoranti nelle medesime.
Art. 38. Nelle Assemblee presiedute da un’Autorità comunale avente il carattere di Congregazione municipale, la presidenza dell’Ufficio apparterrà al Podestà od a chi ne fa le veci.
Nelle altre Assemblee l’Ufficio eleggerà il presidente fra i suoi membri. Dove però ne faccia parte un Consigliere comunale, a questo ne spetterà la presidenza, e quando più Consiglieri comunali facciano parte dell’Ufficio, ne spetterà la presidenza al seniore tra essi.
In ogni Ufficio uno de’ suoi membri sosterrà le funzioni di segretario.
Qualora il Podestà, gli Assessori municipali ed i Consiglieri comunali componenti l’Ufficio delle assemblee elettorali, a norma delle precedenti disposizioni, non dimorassero nel circondario elettorale ove si terrà l’assemblea medesima, potranno nondimeno darvi la loro scheda e voto, ed a tale effetto avranno cura di farsi trasferire provvisoriamente nelle liste del circondario del di cui Ufficio dovranno far parte.

CAPO X. Della Votazione nelle Assemblee primarie

Art. 39. Un’ora dopo quella fissata per l’apertura dell’Assemblea, l’Ufficio farà l’appello nominale degli elettori inscritti nella lista. Ogni elettore chiamato consegna la propria scheda chiusa, contenente tanti no mi quanti sono i Rappresentanti che devono essere eletti per la sua Provincia.
Art. 40. Nessun elettore potrà farsi rappresentare nelle assemblee elettorali, tranne quanto è disposto all’articolo 44 pei militari in attualità di servizio.
Art. 41. L’elettore non potrà inscrivere il proprio nome sulla scheda di una votazione, né votare in più assemblee elettorali, quand’anche per errore fosse stato compreso in liste di diverse Comuni o sezioni.
Art. 42. Esaurito l’appello degli elettori nell’ordine portato dalle liste, l’Ufficio farà il riappello di quelli che non avranno ri sposto e votato dietro la prima chiamata, e riceverà da ciascuno di essi la scheda che presentasse.
Art. 43. Le schede verranno consegnate al presidente, ritirate dagli scrutatori desti nati dall’Ufficio fra i proprii membri, e disposte in una o più urne.
Nel caso in cui alla fine del primo giorno non fosse terminato l’appello ed il riappello degli elettori, l’urna sarà chiusa a chiave, sigillata e custodita sotto chiave presso l’Ufficio a fine di riprendere l’operazione nel giorno successivo, e così di seguito. Essa però dovrà essere terminata al più tardi nel terzo giorno.
Art. 44. I militari in attività di servizio, che nel giorno della tenuta delle Assemblee elettorali si troveranno nel Comune nelle di cui liste fossero compresi, si presente ranno personalmente all’Assemblea come gli altri elettori per deporre la loro scheda.
All’incontro gli elettori militari assenti, anche volontari, avranno diritto di far presentare all’Assemblea elettorale la loro scheda chiusa per mezzo di un loro incaricato munito di mandato scritto, da esibirsi all’Ufficio delle assemblee medesime. A tale man datario verrà consegnato il biglietto d’ingresso e la scheda di cui all’articolo 25. I mandati saranno uniti al processo verbale.

CAPO XI. Dello Spoglio delle Schede

Art. 45. Ultimata la consegna delle schede, l’Ufficio ne eseguirà immediatamente lo spoglio, ne annuncierà il risultato ai presenti, e lo registrerà nel processo verbale;
dopo di che abbrucierà immediatamente le schede, ad eccezione di quelle sulle quali fosse emersa contestazione, che si uniranno al processo verbale.
Art. 46. Nello spoglio delle schede non si avrà riguardo ai nomi illeggibili od ai nomi che non identificassero sufficientemente la persona. Ove alcuna scheda contenesse un numero minore di nomi di quelli dei Rappresentanti da eleggersi nella relativa Provincia, i nomi stessi verranno contati nello spoglio. Quando all’incontro una scheda contenesse un numero di nomi eccedente quello dei Rappresentanti da eleggersi, si terrà conto nello spoglio dei primi nomi inscrittivi fino a raggiungere il numero dei Rappresentanti da eleggersi, ed ai nomi susseguenti non si avrà riguardo.
Art. 47. Ne’ Comuni aventi più sezioni elettorali gli Uffici di queste sezioni eseguiranno lo spoglio come ai precedenti articoli 45 e 46, indi porteranno immediata mente tutte le schede, chiuse a chiave in una o più urne, col loro processo verbale all’Ufficio della prima sezione elettorale del Comune medesimo, presieduta dall’Autorità comunale come all’articolo 37.
Questo Ufficio, riunite così le schede ed i processi verbali di tutte le sezioni elettorali del Comune, raccoglie in uno i risultati di tutti i processi verbali di sezione, forma un processo verbale complessivo, nel quale verifica e constata il complessivo risultato della votazione per tutto il Comune, lo proclama agli elettori presenti, indi abbrucia le schede, ad eccezione delle contestate, osservato in ogni cosa il disposto dall’articolo 43 pel caso in cui non si fosse potuta compire l’operazione in un solo giorno.

CAPO XII. Del Trasporto de’ Processi verbali delle Assemblee primarie al capoluogo di Distretto, indi a quello di Provincia, e del Ricensimento generale de voti.

Art. 48. Il presidente ed il segretario di ciascun Ufficio delle Assemblee primarie dei Comuni che non sono capoluoghi di Distretto, ed in caso d’impedimento del presidente e segretario o di alcuno di essi, due altri membri dell’Ufficio destinati da questo, compite che siano le operazioni sovra indicate, porteranno il processo verbale della rispettiva Assemblea all’Ufficio dell’Assemblea elettorale del capoluogo di Distretto.
Il presidente ed il segretario dell’Ufficio dell’Assemblea tenuta nel capoluogo di Distretto, od altri membri dell’Ufficio da lui eletti come sopra in caso d’impedimento del presidente e del segretario, porteranno tutti i processi verbali dei Comuni del Distretto alla Congregazione provinciale del capoluogo di Provincia.
Art. 49. Ciascuna Congregazione provinciale unita agli Assessori presso la Congregazione municipale dello stesso capoluogo di Provincia, e coll’aggiunta, a norma del bisogno, dell’occorrente numero di Consiglieri comunali del medesimo capoluogo, da eleggersi da lei, farà in seduta pubblica lo spoglio dei detti processi verbali ed il ri censimento generale dei voti dati dagli elettori della Provincia; compito il quale, proclamerà i Rappresentanti della Nazione che dalla maggioranza relativa dei voti risulteranno eletti nel numero rispettivamente stabilito per ciascuna Provincia.
Art. 50. Qualora nel numero de voti che determinasse la maggioranza relativa per essere eletto, si verificasse parità fra due o più individui, saranno preferiti e proclamati i seniori. Nel caso di pari età fra più individui aventi pari numero di voti come sopra, la Congregazione provinciale procederà fra essi all’estrazione a sorte e proclamerà quello che dall’estrazione risulterà eletto.
Art. 51. I membri degli Uffici elettorali de’ capoluoghi di Distretto, che avranno portati al capoluogo di Provincia i processi verbali delle Assemblee elettorali comunali, avranno diritto di assistere in luogo apposito all’operazione prescritta dall’articolo 50.
Art. 52. Le elezioni risultate dal ricensimento generale de’ voti e proclamate come all’articolo 49 verranno pubblicate da ciascuna Congregazione provinciale con avvisi a stampa da affiggersi nei luoghi consueti in ogni Comune della Provincia. A ciascun eletto Rappresentante la Congregazione provinciale darà notizia della sua nomina.

CAPO XIII. Disposizioni complementarie

Art. 53. Di tutte le operazioni prescritte agli articoli 49, 50, 51 e 52 la Congregazione provinciale terrà processo verbale.
Art. 54. Tutti i processi verbali delle Assemblee elettorali e delle Congregazioni provinciali saranno conservati e trasmessi al l’Assemblea nazionale nel giorno della sua convocazione.
Art. 55. I Rappresentanti non dimoranti nel luogo ove risiederà l’Assemblea riceve ranno una indennità di dieci lire italiane al giorno per tutta la durata della Sessione.
Art. 56. L’Assemblea nazionale, radunata che sia, delibererà sulla validità delle elezioni de’ suoi membri, e provvederà acciò siano fatte colle norme della presente Legge le nuove elezioni, rese necessarie pei casi di opzione di quelli che siano stati eletti in più Provincie, come pure pei casi di rinunzia degli eletti, e per le elezioni che non fossero state giudicate valide.
Art. 57. Le modalità particolari per la esecuzione del presente Decreto vengono determinate con separate Istruzioni.

Deliberato nella seduta della Commissione per il Progetto di Legge elettorale del giorno 9 maggio 1848.
ROBECCHI – G. BECCARIA
G. BERCHET – Gioachimo BASEVI – Paolo BASSI
Giuseppe NEGRI – F. SANSEVERINO – CALUCCI
USIGLIO – PAGNONCELLI – MARCHETTI
C. MANTOVANI – G. MARTINENGO VILLAGANA
Girolamo SAN GERVASIO – Avv. G. BORGHI
Lorenzo CURTANI – Filippo DE BONI
Alessandro PORRO, Presidente VALENTINO, Segretario

Istruzioni per l’esecuzione del Decreto portante convocazione dell’Assemblea nazionale e delle Assemblee primarie

§ 1. L’Autorità comunale destinerà il locale, e dove abbiano ad esservi in un Comune più sezioni, i locali né quali l’Assemblea primaria del Comune ovvero le di lei sezioni abbiano a radunarsi. L’Autorità comunale si servirà a tale uopo delle scuole, degli altri locali che fossero disponibili, ed in mancanza di altri locali, degli oratorii e delle chiese, presi previamente in quest’ultimo caso gli opportuni concerti coll’Autorità ecclesiastica.
§ 2. Questi locali saranno disposti opportunamente in proporzione del numero degli elettori. Nelle Assemblee o sezioni in cui il numero degli elettori sia molto considerevole l’Autorità comunale procurerà che il locale abbia un’escita diversa dall’ingresso, affinché possa effettuarsi con ordine l’ingresso e la escita degli elettori.
§ 3. Il registro, di cui si darà la modula, dovrà essere formato con le necessarie colonne per contenere tutte le indicazioni dei cittadini che vi s’inscrivono, cioè il loro no me e cognome, la paternità, l’età, il luogo di nascita, la parrocchia ove dimorano. Una colonna sarà destinata a contenere le indicazioni speciali, come per esempio quella della rinuncia alla naturalizzazione in estero Stato che l’inscrivente avesse ottenuta e del documento provante tale rinuncia. Un’ultima colonna sarà destinata alle osservazioni dell’Ufficio.
§ 4. Il registro sarà tenuto in ordine alfabetico affinché possano più facilmente colla scorta di esso formarsi successivamente coll’ordine medesimo le liste elettorali.
§ 5. Ne Comuni numerosi il registro dovrà essere diviso per lettere; nello stesso modo potranno essere divisi anche i distinti registri di sezione.
§ 6. Saranno ammessi ad inscriversi nel registro anche quei cittadini i quali, comunque non abbiano ancora compiti gli anni 21, andranno a compirli nel primo giorno stabilito per le elezioni.
§ 7. I cittadini che per esercitare il diritto elettorale devono provare, a sensi degli articoli 9 e 10, di aver rinunciato od all’impiego pubblico, civile o militare, che avessero accettato da uno Stato estero all’Italia, od alla naturalizzazione che avessero ottenuta in altro Stato, non potranno essere inscritti nel registro elettorale se non presentano la prova di tale rinuncia mediante documento autentico rilasciato dalla Congregazione provinciale.
§ 8. Tutti i fogli del registro d’inscrizione saranno firmati dalla Autorità comunale o da suoi speciali Delegati che lo avranno te muto. Almeno un membro della Autorità comunale dovrà assistere e presiedere continuamente alle operazioni della inscrizione.
L’Autorità comunale firmerà pure il registro in fine, all’atto di chiuderlo, annotandovi l’ora nella quale verrà chiuso.
§ 9. Per ottenere quella uniformità che è necessaria ad agevolare le operazioni, le liste saranno formate secondo la Modula che verrà diramata all’uopo.
§ 10. Nel caso in cui, a norma dell’articolo 22 della Legge, devono stamparsi le liste, se il Comune ha più sezioni elettorali, le liste dovranno stamparsi divisamente, una per ciascuna sezione.
§ 11. La scelta dei Consiglieri comunali componenti il Consesso destinato a giudicare in seconda istanza sarà fatta dall’Autorità comunale.
A tale effetto l’Autorità comunale, chiamati i Consiglieri comunali presenti, senza formale adunamento del Consiglio, procederà all’estrazione a sorte voluta dall’articolo 28 della Legge.
Questa operazione verrà eseguita in tutti i Comuni aventi Consiglio comunale entro il termine stabilito per le inscrizioni nel registro elettorale, affinché in qualunque de’ casi preveduti dagli articoli 28, 29 e 30 sia costituita e pronta l’Autorità destinata a giudicare in seconda istanza i riclami che venissero proposti contro la decisione di prima istanza.
§ 12. Il detto Consesso appena composto si costituirà, e gli verrà assegnato un locale, nella residenza della Autorità comunale affinché possa esercitarvi le sue funzioni.
Il Consesso medesimo nell’adempimento di queste verrà sussidiato dagl’impiegati comunali.
§ 13. I riclami di seconda istanza verranno trasmessi dalla Autorità comunale, la quale saranno stati presentati, al, Con sesso giudice di seconda istanza che sarà competente a giudicarne giusta gli articoli 28, 29 e 30 della Legge ossia Decreto elettorale.
§ 14. L’Avviso da pubblicarsi a termini dell’articolo 35 della Legge elettorale, giusta la Modula che sarà diramata, oltre il giorno nel quale giusta la Legge medesima dovrà tenersi l’Assemblea primaria, indicherà il locale ove questa dovrà radunarsi e l’ora precisa in cui verrà aperta; avvertirà che un’ora dopo si comincerà l’appello o chiamata a nome degli elettori per ordine alfabetico affinché si presentino a consegnare le schede; rammenterà agli elettori il numero dei nomi che ciascuna scheda deve contenere, corrispondente al numero dei Rappresentanti da eleggersi nella Provincia;
ricorderà loro che tali nomi devono nella scheda essere scritti a penna e non stampati o litografati; che possono scriverli nella sala dell’Assemblea o fuori di essa; che possono pure averli fatti scrivere da altri, ma fuori della sala dell’Assemblea; e che, nel caso in cui li facciano scrivere da altri, devono procurare di accertarsi che i nomi scrittivi corrispondano precisamente a quelli dichiarati dall’elettore allo scrivente.
L’Avviso medesimo infine ammonirà gli elettori della importanza delle elezioni, come quelle dalle quali dipende la sicurezza, la libertà e la prosperità dello Stato.
§ 15. La scheda da distribuirsi agli elettori conterrà l’indicazione del Comune o sezione per la di cui Assemblea dovrà servire, il giorno e luogo ove questa dovrà tenersi, e tanti principii di linea in bianco, segnati con numeri progressivi, quanti sono i Rappresentanti da eleggersi nella Provincia.
Le Congregazioni provinciali avranno cura di distribuire a ciascun Comune l’occorrente numero di schede stampate colle indicazioni precedenti.
§ 16. Il locale dell’Assemblea dovrà essere disposto a cura dell’Autorità comunale in guisa che l’Ufficio vi sia collocato in luogo distinto, e separato dal rimanente della sala per mezzo di sbarra affinché, penetrandovi gli elettori, non rechino impedimento o ritardo alle di lui funzioni.
§ 17. Quando dalle liste emerga che l’Assemblea debba essere numerosa, si procurerà che il locale abbia una escita distinta dal l’ingresso.
§ 18. Almeno tre giorni prima di quello in cui dovrà tenersi l’Assemblea, l’Autorità comunale designerà ed avvertirà gli elettori che vorrà scegliere a far parte dell’Ufficio, ed avrà cura di destinare alcuni elettori supplementari affinché, in caso di impedimento de primi eletti, non abbia mai a man care il numero prefisso per comporre l’Ufficio.
Tale numero verrà stabilito nei limiti dell’articolo 36 della Legge elettorale, con riguardo al bisogno determinato dal numero degli elettori che hanno diritto d’intervenire all’Assemblea.
§ 19. L’Autorità comunale dei Comuni aventi più sezioni elettorali designerà pari menti ed avvertirà, tre giorni prima di quello destinato per la tenuta dell’Assemblea, i Consiglieri comunali e gli altri elettori che dovranno comporre l’Ufficio delle varie sezioni, non che i supplenti eventualmente destinati a completarlo.
§ 20. Nei Comuni ove non avvi Congregazione municipale l’Autorità comunale che deve far parte dell’Ufficio – potrà essere composta tanto dai Deputati, all’amministrazione comunale quanto dai loro sostituti.
Nei Comuni sovra contemplati, che abbiano più sezioni, il Deputato alla tassa personale, se vi esiste, farà parte della sezione presieduta dall’Autorità comunale.
§ 21. Nelle Assemblee molto numerose l’Ufficio avrà la facoltà di aggiungersi, oltre gli elettori destinati a far parte di esso, quel numero di altri elettori che reputerà conveniente per sollecitare l’operazione dello spoglio delle schede.
§ 22. Per entrare nella sala dell’Assemblea, l’elettore che vi appartiene deve presentare il suo biglietto d’ingresso, che previa verificazione gli verrà riconsegnato e sarà da lui conservato. Niuna persona che non sia elettore avente diritto di votare nel l’Assemblea potrà entrarvi. Ove alcun estraneo vi si fosse intruso, il presidente lo farà allontanare.
§ 23. Nelle Assemblee elettorali è vietato qualunque atto, fatto, proposta o discussione estranea agli oggetti pei quali l’Assemblea è convocata. Niuna mozione estranea al di lei oggetto potrà essere registrata nel pro cesso verbale.
Prima che si proceda all’appello, il presidente ne farà l’avvertenza all’Assemblea ed inviterà gli elettori a mantenere l’ordine più perfetto.
§ 24. Il presidente avvertirà altresì l’Assemblea che è interdetto qualunque atto e segno di approvazione o disapprovazione, ed inviterà i di lei membri a rimanere al loro posto finché siano chiamati, onde prevenire qualunque movimento che produca disordine.
§ 25. Il presidente è incaricato di mante nere l’ordine nell’Assemblea, e potrà richiamarvi coloro che se ne allontanassero e lo turbassero. L’individuo chiamato all’ordine, che persistesse in atti turbativi, potrà dal presidente, udito l’Ufficio, venir espulso dal l’Assemblea.
§ 26. Sono atti contrarii al buon ordine dell’Assemblea elettorale l’interrompere l’elettore che abbia avuta dal presidente l’autorizzazione di parlare;
il proferire ingiurie o personalità contro taluni degli elettori o contro altri cittadini;
l’impedire l’accesso degli elettori chiamati al banco dell’Ufficio per deporvi le schede;
e generalmente qualunque atto contra rio alla libertà del voto ed all’esercizio delle funzioni dell’Assemblea e del di lei Ufficio.
§ 27. Nessuna forza armata, nemmeno cittadina, potrà stanziare in prossimità del luogo dell’Assemblea.
Il solo presidente, udito l’Ufficio, potrà chiedere alla Autorità pubblica l’appoggio e la protezione della Guardia nazionale allorché lo riconosca necessario alla sicurezza ed al buon ordine dell’Assemblea.
§ 98. Niun membro dell’Assemblea potrà presentarvisi rivestito di insegna qualunque di pubblica autorità, né munito di armi o di bastoni.
Gli elettori militari potranno però entrar vi vestiti delle loro assise, ma senz’armi.
§ 29. Nessuno, tranne l’Ufficio dell’Assemblea, potrà esercitare verun potere nella medesima.
§ 30. Nel caso che, costituito l’Ufficio medesimo, prima che si apra l’Assemblea o durante la di lei sessione, il presidente si trovasse impedito di assumerne o continuarne la presidenza, verrà supplito dal membro più anziano dell’Ufficio. Nel caso di impedimento del segretario, verrà indilatamente sostituito dall’Ufficio, destinando altro de’ suoi membri a sostenerne le funzioni.
§ 31. Le contestazioni che eventualmente emergessero nella Assemblea sulla regolarità delle singole di lei operazioni saranno decise sommariamente dall’Ufficio, e se ne farà menzione nel processo verbale.
§ 32. Premesse le avvertenze accennate ai §§ 23 e 24, il presidente farà procedere per mezzo del segretario all’appello degli elettori.
Mano mano che l’elettore chiamato risponde all’appello e si presenta all’Ufficio per consegnare la sua scheda, uno dei membri dell’Ufficio porrà al nome dell’elettore un segno chiaramente visibile sulla lista elettorale.
Il presidente riceverà dalle mani dell’elettore la scheda presentata, verificherà, senza leggerne il contenuto, che sia unica, e la passerà agli scrutatori che la porranno in un’urna, come è stabilito all’articolo 43 della Legge elettorale.
§ 33. Nel caso in cui alla fine del primo giorno non si fosse terminato l’appello e riappello, per cui, dovendo l’operazione riprendersi nel secondo o terzo giorno, si dovesse frattanto a norma dell’articolo 43 chiudere, sigillare e custodire le urne contenenti le schede già deposte, dovrà farsi di tutto ciò espressa menzione nel processo verbale dell’Assemblea.
§ 34. Nelle Assemblee numerose le schede saranno deposte in un numero proporzionato di urne. L’Ufficio dividerà gli scrutatori, compresi quelli che si sarà aggiunti a nor ma del precedente § 21, in guisa che un proporzionato numero di essi prenda ad eseguire lo spoglio delle schede contenute in una delle urne.
Tutti gli scrutatori intraprenderanno con temporaneamente le operazioni dello spoglio.
Terminate che siano queste operazioni distinte, si raccoglieranno in un solo risultato di spoglio complessivo e verrà annunciato il risultato stesso; dopo di che le schede verranno abbruciate, come all’articolo 45 della Legge.
L’operazione dello spoglio sarà vigilata continuamente e colla massima attenzione dal Presidente.
Disposizioni generali § 35. L’Ufficio di ciascuna Assemblea o sezione elettorale redigerà un processo verbale che ne riferirà fedelmente tutte le operazioni.
Questo processo verbale accennerà segnatamente il Comune o sezione in cui l’Assemblea si tiene;
il presidente e tutti i membri del di lei Ufficio;
il titolo pel quale tali membri saranno chiamati a comporlo, cioè sia per l’anteriore uffizio loro in quanto appartenessero ad una Autorità comunale, sia per la no mina avuta dalla Autorità medesima;
il nome degli scrutatori che l’Ufficio avesse creduto di aggiungersi;
la destinazione del segretario;
l’ora dell’aprimento dell’Assemblea;
la menzione che il presidente abbia fatte all’Assemblea le ammonizioni prescritte ai §§ 23 e 24;
l’ora nella quale sarà cominciato l’appello ed il riappello;
l’ora nella quale sarà stata chiusa la sessione, che non potrà protrarsi oltre il tramonto del sole;
i diversi documenti che saranno stati prodotti, segnatamente i mandati del militari;
tutti gli incidenti che fossero emersi durante la sessione, e la decisione che sarà stata presa su di essi.
Il processo verbale dovrà menzionare altresì che il presidente siasi accertato della unicità di ciascuna scheda e che, all’atto della consegna di questa, il membro dell’Ufficio a ciò destinato abbia segnato sulla lista il nome di chi l’avrà presentata affinché non possa essere più compreso nel riappello.
Farà menzione parimenti della chiusura, sigillamento e custodia delle urne nel caso in cui l’operazione non si fosse compita nel primo e secondo giorno, nel qual caso accennerà che al termine della sessione di un giorno il presidente abbia avvertita l’Assemblea che la sessione sarebbesi riaperta nel giorno successivo all’ora stabilita pel primo.
Nel caso istesso il processo verbale accennerà che al riaprirsi della seduta del secondo o terzo giorno il presidente abbia fatte por tare le urne contenenti le schede ricevute nel giorno o giorni precedenti e che tutto l’Ufficio abbia verificata la integrità de’ suggelli, i quali non saranno tolti, quanto alle urne già piene, che all’atto d’incominciare lo spoglio. Alle non piene saranno tolti immediatamente per riporvi le altre schede che si andranno ricevendo, e di ciò pure si farà menzione nel processo verbale.
Finalmente il processo verbale riferirà fedelmente il numero de’ bullettini o schede trovati in ogni urna, la di lui corrispondenza al numero degli elettori chiamati a votare, le schede che saranno state contestate, il numero delle schede consegnate da ciascun gruppo di scrutatori, il modo con cui si sarà eseguito lo spoglio delle schede, il di lui risultato e la proclamazione di esso.
§ 36. Il processo verbale sarà tenuto dal segretario, e sarà firmato da lui e dal presidente, da tutti i membri dell’Ufficio e da.
gli scrutatori che questo avesse creduto di aggiungersi.
§ 37. In ciascuna Provincia la Congregazione provinciale destinerà l’occorrente numero di Commissarii speciali, presi fra i più zelanti cittadini, destinati, uno per Distretto o per più Distretti vicini, a sollecitare la spedizione degli atti e l’attivazione delle pratiche necessarie alla tenuta delle Assemblee elettorali comunali.
§ 38. Questi Commissarii riferiranno senza ritardo alla Congregazione provinciale gl’inconvenienti che verificassero ed ai quali non avessero potuto riparare, e tutte le infrazioni della Legge che venissero a scoprire, affinché vi si possa prontamente provvedere.
I Commissarii medesimi però non avranno veruna autorità sulle Assemblee elettorali.
§ 39. Tutti gli atti contemplati dalla Legge elettorale e da questa Istruzione ed i documenti da prodursi per la di lei esecuzione saranno esenti da bollo.


Deliberate nella seduta della Commissione per il Progetto di Legge elettorale del giorno 9 maggio 1848.
Gioachimo BASEVI – Avv. G. BORGHI
USIGLIO – Filippo DE BONI – Lorenzo CURTANI
G. SAN GERVASIO – MARTINENGO G. VILLAGANA
Ingegnere P. A. PAGNONCELLI
A. MERINI – Paolo BASSI – Giuseppe NEGRI
G. BERCHET – F. SANSEVERINO – CALUCCI
G. BECCARIA – A. Pietro ROBECCHI
Alessandro PORRO, Presidente VALENTINO, Segretario

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