Programma dei cattolici di fronte al socialismo

Programma dei cattolici di fronte al socialismo

Deliberato nell’Assemblea dell’Unione per gli Studii Sociali in Italia, tenuta in Milano nei giorni 2 e 3 gennaio 1894

Categoria: Cattolici – Democrazia Cristiana

Ciò che gli uomini più illuminati e retti previdero oggi si avvera sotto i nostri sguardi attoniti e sgomenti. Il movimento socialista si accomuna all’universale, anche a nazioni meno predisposte a tali convulsioni, come l’Italia nostra, anche a classi meno pronte ad accedervi, come le popolazioni rurali. Il socialismo agrario fra noi in questi giorni con processo precipite si aggiunse a quello che da qualche tempo fermenta nelle città e nei centri manifatturieri; e sospinge l’Italia, questo paese cattolico per eccellenza, a guardare in fronte e toccare con mano trepida quei formidabili problemi a cui si sono da lungo tempo quasi addomesticate le nazioni eterodosse.
Ma v’ha di più. Quel pseudo-dottrinarismo il quale, ridotto a sistema con tutto l’apparato del sistema moderno, pretendo a dignità di scienza e governa le moltitudini doltr’alpe, maturandosi precipitosamente, si è affermato anche fra noi; e cattedratici, dottrinari, uomini colti delle varie classi sociali non solo alle giuste recriminazioni, ma ancora alle illusioni dei volghi irrequieti e sofferenti apportano le loro colpevoli accondiscendenze e la loro azione direttiva sotto la bandiera della scienza.
Se il primo aspetto del triste fenomeno ferisce la coscienza di cattolici e patrioti, il secondo si drizza al pensiero di uomini studiosi; ed ambedue sollevano il grido che ritrarsi o il restare dall’azione nel momento di supremo pericolo per la religione e per la società è delitto e l’apportarvi i lumi della scienza cristiana è preciso dovere reclamato dalle circostanze del momento. Perciò l’Unione cattolica per gli studi sociali in Italia, la quale si tiene in intima relazione con tutte le società volte all’operosità pratica sociale in nome del cattolicesimo, avrebbe creduto di fallire gravemente al proprio ufficio se non si fosse affrettata a porgere una parola di indirizzo e di incitamento alla nuova e più vigorosa operosità, la quale voglia prendere ispirazione dalla coscienza della gravità dell’odierno momento o sopratutto dai supremi principii di scienza cristiana.
Senza di ciò gli uomini scredenti potrebbero rinfacciarci che le dottrine sociali della Chiesa, oggi così autorevolmente rinfrescate e proclamate, non hanno virtù intrinseca di applicazione ai problemi concreti che quotidianamente s’incalzano sotto i nostri occhi e le moltitudini esagitate e sofferenti potrebbero riconfermarsi nel convincimento che niun altro fuori che il socialismo prenda a cuore la causa del popolo, e che i cattolici i quali si professano discepoli di Colui che pronunciava misereor super turbam non abbiano in pronto migliori disegni e presidii per vendicarne i diritti e mitigarne i dolori.
È logico che gli uni e gli altri da un sodalizio che sorse per lo studio dei problemi sociali chiedano la risposta a questi quesiti.

I. Qual giudizio si deve recare, sotto il punto di vista cristiano, del socialismo moderno pratico e teorico nell’Italia nostra.
II. Quale programma i cattolici possono contrapporre a quello dei dottrinari socialisti.
III. Con quali presidii e criteri se ne deve propugnare la pratica attuazione.

La risposta a tali giuste ed impazienti domande può porgere un disegno di principii e di proposte concrete che giustifichino noi stessi nell’atto che giovano ad unificare il pensiero e l’azione comune.

I. Qual giudizio si deve portare nel socialismo odierno in Italia? – Affermiamo di distinguere le cause dagli intenti finali. Pel primo rispetto esso è l’espressione di un malessere reale, diffuso, diuturno, il quale alla sua volta è l’ultimo prodotto di una serie prolongata di violazioni dell’ordine sociale cristiano fondato sulla giustizia e sulla carità. In tal caso la causa del popolo sofferente è la causa stessa dei cattolici, e le irriquietudini presenti di esso sono una prova di più della ragionevolezza delle loro antiche proteste.
I fini di questa medesima agitazione, in quanto si confondono col programma del socialismo essendo pure riprovevole, attestano tuttavia che non vi ha posto ormai che alla rivoluzione socialistica od al restauro sociale cristiano.
II. E qual programma i cattolici possono contrapporvi? – Invano una proposta di parziali lenimenti e correttivi potrebbe essere adeguata alla gravità del malanno.
Il dissesto dei volghi campagnuoli non rimane isolato, ma si connette con altrettanto manifestazioni, che affettano gli ordini e le popolazioni industriose, che corrompono e dissolvono tutti i congegni e le virtù del ceto mercantile. Ne i teorici del socialismo, alla lor volta, mettono innanzi singole modificazioni dell’assetto attuale, bensì un piano radicale e compiuto di riforme.
I cattolici veramente hanno argomento o virtù per attingere dagli eterni principii del cristianesimo, e dalle traduzioni storiche della civiltà da esso figliata, norme e pratici istituti che rispondano ai bisogni ed ai reclami del presente preparando un migliore e durevole avvenire. A tal uopo:

1. Urge proclamare che la legge del dovere cristiano deve imperare sovrana sopra tutte le classi senza distinzione; e che tal legge nei rispetti economici si traduce nella legge del lavoro, da cui non rimane assolto alcuno, se non per sostituirvi altre forme di attività più elevata e proficua all’universale. E precisa mente questa legge comune del lavoro, ossia di una attività utile e meritoria, dev’essere quella che appresti colleganza e stabilità ai rapporti fra le classi oggidì scisse e fra loro in conflitti.
2. Nella proprietà in genere, e in ispecie in quella fondiaria, al carattere essenzialmente individuale privato di essa devono aggiungersi caratteri ed ordinamenti che ne esplichino ad un tempo la funzione sociale collettiva. E così è necessario; – restaurare la coscienza del dovere etico-cristiano, per cui l’uso della proprietà privata, soddisfatti i bisogni relativi della classe possidente, deve volgersi a beneficio comune e in ispecie dei poveri e nullatenenti; – salvare le ultime reliquie e ricomporre possibilmente i patrimoni collettivi degli enti morali giuridici, delle opere pie, delle corporazioni religioso, della Chiesa, che furono ritenuti sempre quasi il tesoro riservato del popolo, cui possono aggiungersi i beni e le proprietà collettive dei comuni, delle Provincie, dello Stato, che debbono conservarsi e fruttare a beneficio pubblico o cedersi per la coltivazione ai proletari, – favorire la diffusione della piccola proprietà preservandola dai pericoli del frazionamento e degli oneri ipotecari, che precipitosamente la disperdono, e ciò mediante una modificazione del regime successorio (1) e coll’esonero di un minimum di proprietà da ogni espropriazione coattiva per crediti privati o fiscali (2); quanto alle medie e grandi proprietà far partecipare il lavoratore il più possibile alla permanenza e alla progressiva produttività del possesso fondiario, mediante la diffusione della colonia parziaria (mezzadria) o mediante il piccolo affitto a lungo termino o con diritto di indennità per le migliorie, – o finalmente mediante la enfiteusi, da introdursi nei latifondi incolti anco coattivamente per ministero di legge a titolo di pubblica utilità; – tutto ciò guarentito mediante l’esonero dalle imposte della parte di reddito strettamente necessario alla vita.
3. Nella proprietà industriale e nelle sue imprese urge ricongiungere direttamente il capitalista sovventore all’imprenditore-industriale e poi l’imprenditore agli operai. E pertanto
– trasformare il capitalista che presta all’industriale in on socio d’industria che con lui condivida tutti i rischi dell’impresa a somiglianza di una accomandita, restringendo così il gremio dei semplici capitalisti mutuanti.
– Similmente restringere la classe precaria o misera del semplice salariato; e perciò, ammesso primamente il salario giusto, cioè corrispondente al prodotto del lavoro, concedere all’operaio una parte di codesta rimunerazione, piuttosto che in forma fissa, sotto la forma di partecipazione agli utili; e ulteriormente elevare l’operaio stesso alla compartecipazione al capitale dell’impresa, mediante l’impiego dei risparmi in azioni nominative dell’impresa medesima.

4. Nel giro complesso e vertiginoso della vita commerciale è d’uopo premunirsi contro il monopolio del credito a profitto di pochi speculatori e colla comune servitù. E perciò urge:
– riprodurre nelle forme ammodernate la repressione legale delle usare;
– sottoporre le Borse ad una legge severa sopra le sue operazioni
– e della dispensazione del credito mediante le banche di emissione farne una funzione sociale non affidata ad una società di speculatori, bensì a un istituto autonomo con patrimonio impersonale da amministrarsi con intenti di pubblica utilità (3).

III. Con quale spirito, con quali mezzi, con quali fini ultimi propugneremo questo programma concreto?
I Cattolici lo propugnano primamente e massimamente come un’opera di giustizia e poi di carità sociale. I Cattolici si guarderanno bene dal menomare la funzione della carità nel civile consorzio, che essi soltanto conoscono quanto sia necessaria, integrante, feconda, nella vita sociale, specialmente in momenti di esasperati conflitti sociali. Ma l’ordine dei doveri, il sentimento della propria dignità educato dal Cristianesimo e vivacissimo oggidì fra i tristi esperimenti delle plebi, importano che non si dia a titolo di accondiscendente e forse calcolata liberalità ciò che è dovuto per rigorosa giustizia. Questo è un aspetto caratteristico e decisivo dell’odierno momento storico. Perciò stesso, senza esagerare le funzioni civili economiche dei poteri pubblici in condizioni normali della società, quasi socialismo di Stato, i Cattolici richiedono che l’azione delle leggi civili si dispieghi in via eccezionale e transitoria, con intensità proporzionata ai bisogni di un organismo sociale in dissolvimento ed al pericolo di una immane conflagrazione. Troppo all’odierno disordine ha da lunga mano contribuito lo stato stesso con leggi e provvedimenti o colpevolmente difettivi o consciamente pervertitori, perché da esso non debbasi reclamare una grande restitutio in integrum del diritto sociale.
Ma la guarentigia più solida del ristauro essi ripongono nella ricostituzione di Unioni professionali (o Corporazioni), nelle popolazioni civiche come nelle campagnuole, dove in distinti gremi trovino solidarietà di interessi e di affezioni i grandi ed i piccoli per tutto ciò che tocca i fini comuni del viver civile, e dove in particolare rinvengano tutela e decoro le classi lavoratrici. Unioni professionali che pertanto non hanno uno scopo economico solamente, ma mirano nel loro risultato alla composizione organica della società oggi polverizzata da un diffuso e guasto individualismo.
Che se le classi superiori dei proprietari e capitalisti ripugnino ad entrare in sodalizi misti colle classi inferiori (ciò che compone l’ideale della organizzazione dai Cattolici propugnata), in tal caso questi accettano che i lavoratori si stringano in Unioni professionali esclusivamente operaie e procedano per la via di una legale resistenza alla rivendicazione dei propri diritti, senza però di regola chiudere l’adito all’accoglienza nel loro seno delle classi, ora riluttanti ed avverse, nell’avvenire. In altre parole, sposando la causa dei lavoratori noi non perderemo mai di vista l’intera società ed il suo assetto normale.
Perocchè bisogna tener alto e fulgido innanzi a noi lo scopo supremo e finale cui miriamo, che è quello della ricostruzione del formoso e stabile edifizio dell’Ordine sociale cristiano cattolico, e di esso soltanto, coi suoi eterni principii informativi, coi suoi sublimi ideali, colle sue basi indestruttibili, coi suoi maravigliosi svolgimenti storici.
Noi non domandiamo di puntellare qualche brandello di questo assetto sociale che vacilla e crolla da ogni parte e che si allivella in un disgregamento atomistico sotto l’inonorata servitù della plutocrazia.
Nulla noi domandiamo al Socialismo dottrinale, che sotto maschera di emancipazione prepara un più crudele e universale servaggio, e respingiamo financo il nome di Socialismo cattolico che talvolta ci si attribuisce o rinfaccia, perocche il Socialismo è la negazione intrinseca del Cristianesimo; e il suo programma è l’antitesi del nostro. Il Socialismo è ateo e noi siamo religiosi; esso atterra la proprietà particolare, e noi vogliamo rinfrancarla e diffonderla; esso è distruttore, noi vogliamo ricostruire l’ordine gerarchico e per esso la libertà legittima, l’eguaglianza proporzionale, la solidarietà negli intenti finali del vivere civile.
Nulla concediamo nemmeno ad un nuovo neo-cristianesimo sociale vaporoso e ingannevole che del Cristianesimo è una sfigurazione. Noi aspiriamo a ricomporre quell’ordine sociale che sola la Chiesa cattolica può darci, e perciò chiediamo che alla Chiesa sia restituita quella libertà esteriore sociale per cui essa ritorni al governo della società e dell’incivilimento.
Che se a raggiungere questo ideale, che ha con sé le guarentigie del più splendido periodo della storia di quelli che furono detti i secoli del popolo, fusse nostro malgrado necessario schierarci col popolo soltanto, noi non esiteremo un istante fra i deboli e sofferenti da un canto e i forti e gaudenti dall’altro.
Ma non potremo mai dimenticare che il nostro intendimento finale non è la guerra, ma la pace, quella che ci deve apportare la democrazia cristiana del secolo ventesimo, in cui, sopra la larga base del popolo, tutta la gerarchia sociale nel nome di Cristo si rassicuri e nobiliti facendosi vindice e ministra della elevazione delle classi laboriose.

La Presidenza dell’Unione cattolica per gli studi sociali
Prof. G. TONIOLO dell’Università di Pisa.
Conte S. MEDOLAGO ALBANI di Bergamo.
Marchese LORENZO BOTTINI di Lucca.
Conte CESARE SARDI di Lucca.
Prof. L. Olivi dell’Università di Modena, segretario.

(1) Se un piccolo proprietario ha tre ettari di terreno, da dividersi alla sua morte fra sei figli, non li lascia tutti miserabili? Perché non avrà almeno la facoltà di lasciare il podere ad uno solo, a sua scelta, salvo a imporgli oneri di aver cura di avviare ad un mestiere i fratelli, mantenere le sorelle nubili, ecc.? – Ciò è introdotto per legge in molti paesi d’Europa.
(2) Nelle peggiori sventure a nessun proprietario può essere sottratta coattivamente almeno la capanna o la casa avila ove reclinare nella notte il capo, o l’orticello donde trarre il pane indispensabile a sfamare se ed i figli. È questo l’istituto dell’Homestead di cui sono fieri gli americani del Nord.
(3) La moneta e i biglietti di Banca, come strumenti universali di circolazione in. fluiscono sopra tutta la vita economica dei produttori e consumatori. Finché la Banca di emissione spetti ad una società di azionisti, cui devonsi corrispondere i dividendo, difficilmente sarà sottratta alla tentazione di condursi nelle sue operazioni da esclusivi criteri di guadagno con pericolo degli interessi della nazione. Qualora se ne faccia un Istituto di Stato, questo diverrà un organo di finanza. Di qui il concetto di un Istituto con patrimonio appartenente a nessuno, cioè all’Ente giuridico, senza scopo di lucro e da amministrarsi da liberi cittadini per pubblica utilità. Saggi di tali ordinamenti, salvo le modalità, sono offerti dagli antichi Banco-giro, del Banco di Napoli, dalla Cassa di Risparmio di Milano, come istituti autonomi per il pubblico vantaggio. Ciò è più urgente per la funzione della emissione.

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