Protesta degli abitanti di Torino del 1847

Protesta degli abitanti di Torino

Per approfondire: Cronologia di Torino

Nell’anno del Signore 1847 e nel 9 di novembre alle ore 11 del mattino nello studio del signor notaio collegiato Dallosta in Torino.
Si premette che il lamentevole avvenimento del primo ottobre corrente abbia dato occasione ad una rappresentanza dei cittadini a Sua Maestà per implorare dalla sua giustizia un sovrano provvedimento.
Che una tale rappresentanza sia stata immediatamente sottoscritta da molte e molte centinaia di persone fra le più ragguardevoli della città e per la maggior parte testimoni oculari de’ fatti in essa consegnati, quale rappresentanza per atto di legalità s’inserisce a pie della presente testimonianza, Che mentre stava aperta la sottoscrizione sia venuto a pubblica notizia che il Consiglio generale di questa città commetteva a’ suoi sindaci l’incarico di portare a S. M. l’espressione del dolore provato da tutti gli ordini degli abitanti.
Che in considerazione del nobile e nazionale procedere del civico Consiglio non sembrando più necessario che i cittadini persistessero nella loro deliberazione, siasi chiusa la sottoscrizione, e siasi deliberato di deporre la stessa rappresentanza nelle mani dei prefati sindaci, acciocché o la presentassero a S. M. ove il credessero conveniente, o la ricevessero come una deliberazione del suffragio universale, da cui fosse maggiormente convalidata l’opera loro.
Che delegatisi a tal uopo li signori teologo Maurizio Marocco, dottor Giacinto Pacchiotti, Camillo Rignon ed avvocato Leandro Goffy, siansi essi recati nel giorno di ieri al palazzo civico, dove loro venne data lettura del verbale del Consiglio generale del 4 corrente, e di quello della ragioneria del 6, e per mezzo dei signori sindaci venne loro riscontrato che si fosse coi detti atti e verbali provveduto alle occorrenze per quanto fosse in loro potere, e credessero per questo motivo di non dovere più prendere ingerenza in tale pratica.
In seguito a ciò, non potendo più la rappresentanza dei cittadini avere quell’effetto per cui erasi destinata, e non avendo facoltà nessuno di essi di mutarne la destinazione per mancanza d’apposito mandato, raccoltisi alcuni soscriitori deliberarono non doversi più dare ulteriore corso alla rappresentanza, in considerazione massime della conoscenza avuta dalla esaminata delegazione dei verbali ed atti della città ed essere opportuno perché ogni soscrittore fusse certo, che nessuno avrebbe potuto far uso diverso della propria firma, di commettere alle fiamme detta originale rappresentanza.
E non potendosi, come sarebbesi desiderato, convocare a tale uopo tutti i citadini alla rappresentanza sottoscritti anche per causa del grandissimo loro numero, si pensò da alcuni dei soscrittori come sovra riunitisi di cbia mare delle singole classi dei soscrittori una parte considerevole di essi dinanzi a me pubblico notaio, acciocchè constasse per atto autentico, e per pubbliche testimoniali di tutto quanto venne in questa contingenza operato, 000 che della consunzione operata per mezzo delle fiamme della originale rappresentanza con tutte le firme appie di essa esistenti.
Per la qualcosa sonosi personalmente costituiti avanti a me regio notaio e testimoni infrascritti li signori individui al piè del presente atto sottoscritti, i quali esibirono a mettoio l’originale rappresentanza sovra enunciata, che vedesi rivestita, come avanti, di più centinaia di firme, chiedendo la medesima con tutti i figli unitisi, e contenenti le diverse firme annullarsi, previo però estratto di una copia della sola rappresentanza da autenticarsi da me notaio per rimanere inserte e far parte di queste testimoniali.
Quali richieste inseguendo, autenticata prima d’ogni cosa la copia estratta di detta rappresentanza, si è consegnata alle fiamme la rappresentanza medesima coi fogli su cui erano apposte le molte firme, mandando la copia estrattane inserirsi al presente verbale.
Di che tutto e delle dichiarazioni, operazioni ed iscrizioni come fatte concesse testimoniali, io ne bo steso quest’atto appiè di cui li signori richiedenti si sottoscrivono coi testimoni e me notaio.
Professore Giuseppe Bertoldi; avvocato Vilcenzo Bertolini; avvocato Angelo Brofferio; Domenico Carutti; avvocato Vittorio Carutti; avvocato Desideralo Chiaves; avvocato Luigi Ferrari; Alessandro Fontana; avvocato Leandro Goffy; teologo Maurizio Marocco; dottore Pacchiotti Giacinto;
Giuseppe Pomba; professore Prina Marcellino; avvocato Righetti Francesco; Angelo Tosi, pittore; L. Valerio; avvocato Vineis Nicolò; — C. Ca valli testimonio; avvocato Giuseppe Giacometti testimonio; Lorenzo Dallo sta, regio notaio collegiato.
Segue la rappresentanza:

S. R. M.

I sottoscritti sudditi tutti di V. M. e residenti nella fedelissima una città di Torino, vengono a deporre umilmente sulla soglia del regio trono la rispettosa espressione del dolore profondissimo che risentono per le sevizie commesse dagli agenti di polizia di questa capitale con inaudito abuso della pubblica forza.
Sin dal giorno 21 dello scorso mese alcuni giovani dei vari ordini della città, tutti però di onorevole condizione, si erano spontaneamente uniti sulla pubblica passeggiata dei ripari per cantare un inno a Pio IX. stampato in Torino col permesso dei censori. Pressochè in ogni sera si andò ripetendo questo innocuo trattenimento, cui frammischiavansi gli evviva ai riveriti nomi della M. V. e del sommo pontifice. Maggiore doveva essere natural mente il concorso nella sera di venerdì, non solo perché chiusi i teatri, che assorbiscono una gran parte della popolazione, già tanto scemata in questa stagione, ma ben più ancora perché ricorreva la vigilia del giorno natalizio della M. V.
Ma pare che ad alcuno premesse di turbare la gioia di un tal giorno.
Verso le ore 7 della sera la passeggiata era popolatissima. Formaronsi vari crocchi di giovani disposti a cantare e ad esultare. Furono circondati dagli uomini i più rispettabili per età, per senno, per posizione sociale. Accorrevano persona d’ogni ceto e d’ogni sesso, sacerdoti, militari, eleganti signore. Finalmente i crocchi andarono fondendosi assieme e si cominciò a cantare. Vi fu una lieve interruzione. Se ne ignorò dal maggior numero il motivo, e dopo un generale evviva al re si ricominciò l’inno. Si riseppe dappoi che l’interruzione aveva avuto luogo perché un uomo vestito da borghese e armato di un grosso bustone erasi gettato in mezzo alla folla minacciando e dicendo esser ordine della polizia che gli attruppamenti si sperdessero. Fra i pochi che l’udirono alcuni lo considerarono come un pazzo, altri come un agente dei nemici di V. M. Nissuno lo riputò rivestito di legittimo potere, e quei che lo avvicinavano coprirono bentosio la sua voce gridando gli evviva ‘ al re, al pontefice, all’Italia, che andarono successivamente alternandosi col canto. Non vi fu una voce sola che potesse parere meno ossequiosa al governo di V. M., neanco una parola offensiva verso chicchessia, salvo di due piccoli incidenti altamente disapprovati dall’universale. In un angolo di quel gran circolo fu osservato un giovane dell’apparente età di circa 16 anni che da alcuni si riconobbe per figlio di un arciere. Egli tentò di mettere su il grido di morte agli austriaci, ma non osò di affrontare gli sguardi di quelli che l’avvicinavano, e tosto disparve. In un altro angolo un individuo in cattivo arnese e di sinistra fisonomia pronunciò le parole di ab basso i gesuiti: tosto venne denunziato come una spia: tutti unanimi gridarono silenzio alle spie, e quel tristo prese la fuga.
La generale esultanza non ebbe nessun’altra interruzione sui ripari, ove la folla continuò a passeggiare cantando. Nacque allora il pensiero di dirigersi verso il palazzo del Nunzio apostolico. Fu un divisamento universalmente gradito nel desiderio di rendere più sensibile al sommo pontefice l’omaggio che gli si voleva tributare seguendo l’impulso dato dalla M. V. Scesosi dai ripari, alcuni toglievano la via della Madonna degli Angeli. Ma i più si avviarono per quella dei Carrozzai che tende alla via di Porta Nuova. Fu ivi che un drappello di soldati della brigata Pinerolo, comandati da semplici caporali, uscendo come da un’imboscata, prese repentinamente la folla alle spalle e inoltrossi a passo di carica colla baionetta e bassa e appuntata nella schiena di quei che camminavano innanzi. Altri percuotevano le gambe degli andanti col calcio del fucile. La folla sorpresa da questo improvviso attacco accelerava la sua marcia, e vi fu un para piglia, entrando chi poteva da ogni lato nelle porte delle case e nelle botteghe. Intanto dalla via di Porta Nuora si avanzava una folla di carabinieri e uno stormo di uomini armati di pistola che furono riconosciuti per agenti travestiti della polizia. V. M. può immaginarsi facilmente quale trambusto dovesse venir prodotto da quel doppio assalto non preceduto da nessuna specie di avviso e fattosi in mezzo a gente inerme in una moltitudine cui erano frammischiati e vecchi e donne e ragazzi.
Crescevasi il terrore col gettarsi dei carabinieri e degli arcieri sopra le persone. Afferravano preferibilmente quelli che agli abiti comparivano più colti ed educati qualificandoli di birbanti e di assassini: chi era preso villanamente per la cravatta o pel vestito: chi vedevasi la pistola appuntata sul petto: chi riceveva urti, chi colpi di sciabola, la maggior parte perdi dietro: chi fu ferito sulla fronte con calcio di pistola: chi ebbe mani od orecchie graffiate dalle baionette: chi fu gettato barbaramente in terra.
Un rispettabile padre di famiglia ricevette nel ventre un calcio di cui si temono grandemente le conseguenze, altro è minacciato di perdere un occhio. Un avvocato di questo foro che gode la giusta simpatia dei colleghi non meno che del pubblico veniva con aspra villania abbrancato come un malfattore e trascinato in prigione con orribili minaccie. Fra i casi più compassionevoli polavasi quello di parecchie signore che cadute corsero il rischio di essere calpestate. Fuvvi chi inchinatosi per soccorrere una di esse venne in questo mentre ferito gravemente nella schiena da un colpo di baionetta.
Questi misfatti sono pur previsti e puniti cogli articoli 311, 586, 589, 592 del codice penale. Ma invece di chiedere l’applicazione di queste pene dai magistrati, gli esponenti hanno creduto di doversi rivolgere alla M. V. perché qui non si tratta di semplici delitti ordinari, bensì di un vituperevole insulto fatto al pubblico intiero, ed anzi al supremo potere della Maestà Vostra, L’essersi scelto per questa deplorabile scena la vigilia del giorno natalizio di V. M. diede a questo attentato un carattere ben più grave, È ben noto quanto sia rincrescevole a taluni l’unione del re co’ suoi sudditi. Egli è sommamente giusto e conveniente che chi tenta di rompere questa unione ed all’empio scopo adopera scellerati mezzi, abbiasi la meritata pena.
Per questo motivo i sottoscritti credono di dover ricorrere umilmente alla M. V. implorando un salutare esempio affinché ognuno impari a rispettare la M. V. nella persona de’ suoi sudditi, e vengano una volta sradicate le perfide speranze de’ nemici del trono e del paese.

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