Rifiuto di concedere riforme a Lucca

Proclama del duca di Lucca padre contro le riforme domandate dal popolo del 21 luglio 1847

NOI DON CARLO LODOVICO
DI BORBONE
INFANTE DI SPAGNA, EC, EC.
DUCA DI LUCCA
AL NOSTRI AMATISSIMI SUDDITI
Dappoichè la Divina Provvidenza volle or son trent’anni che la Nostra Famiglia, destinata a’ suoi Aviti Dominii, venisse temporariamente sì, ma colla pienezza dei diritti Monarchici al Governo di questo Stato, il Nostro cuore poté sempre rallegrarsi ed andar superbo che il Nostro piccol paese fosse modello a tutta Italia, di amore al suo Padre Sovrano, di obbedienza filiale a Lui ed alle Leggi e di pace profonda.
Non sono che poche settimane, per così dire, che il rimbombo di ciò che accade in altri Stati d’Italia ba talmente commosso l’animo e le voglie di una scarsa porzione dei Nostri Sudditi, i quali vogliono far credere che il loro parzial voto sia il voto generale, che se si volesse abbadare alle frasi ampollose di qualche letterato o alle millanterie di qualche giovane tuttor caldo del vapore delle scuole, sembrerebbe che fosse insorta in un subito una folla di bisogni nuovi, di nuove istituzioni, di nuovi patti fra sovrano e sud dito, in questo breve spazio di tempo, cosicché le cure Nostre e del Nostro governo verso i sudditi Nostri fin qui fossero obbliate ed oramai di venate inutili ed inapplicabili. Per voler cose nuore fa d’uopo cambiar nome alle antiche, talchè la sovranità è tirannia, il comando arbitrio, la repressione violenza, il rispetto servilità, l’obbedienza timore. Si vuol progresso, ma in sostanza questo in altro non consiste nella manie loro, che in rigettare ogni autorità o farla piegare come una fragil canna ad ogni sognata loro essenza, apparendola se cede, disapprovandola se resiste.
Tale stato di effervescenza ha prodotto le biasimevoli scene, che hanno avuto luogo nelle sere dei 4 e 18 di questo mese. Nella prima delle quali l’abuso commesso dalla forza, quanto al modo, è stato dalla nostra giusti zia sottoposto a processo, come pure lo è stato l’insulto alla forza commesso senza motivo nella seconda. Ma le cose non possono progredire così. Sono in Noi le qualità di sovrano e padre, né tollerar possiamo che alcuno dei Nostri Sudditi si arroghi il diritto, che a Noi soli compete, di custodire cioè la pubblica tranquillità. Questo è Nostro dovere, e lo eseguiremo coi mezzi che sono propri di un sovrano e che emanano dalla nostra autorità, non riconoscendo Noi nel Nostro stato altra autorità che la Nostra.
La Guardia Urbana, che ha meritato sempre i nostri elogi per i servigi renduti a Noi ed alla patria, i quali furono si leali, che taluno che volle vedere nella sua instituzione un fine assai diverso, l’abbandonò, seguiterà nei principii da essa adottati fino dal cominciamento.
Il rispettabile Corpo dei RR. Carabinieri che ha sempre meritato la Nostra confidenza, salvo le mancanze di alcuni individui, non imputabili al Corpo stesso, saprà mantenersela conservando con la sua condotta quella forza morale tanto a lui necessaria nel suo importante e delicato servizio, ed a questo fine rivolgeremo le Nostre cure onde venga rispettato.
La truppa di linea mantenendosi a Noi fedele, disprezzerà chi vuol trarla in inganno stendendo a lei la mano quasi per farle dimenticare che l’ubbidienza al giusto comando del sovrano per la quiete pubblica non esclude l’amore fraterno.
Dichiariamo perciò illegale la formazione della così detta Guardia Cittadina, la quale non otterrà mai la Nostra approvazione, e tutti quegli impiegati che ne facessero parte, ove provato fosse, verranno rimossi dalle loro funzioni.
Ritorni pertanto ogni cittadino alle usate sue occupazioni, ed a godere di quella pace e tranquillità che tanto ci sta a cuore di mantenere, e pensi che il sovrano e padre suo veglia efficacemente per lui, come pure a pro muovere quelle riforme che veramente sono utili al benessere del suo po polo, non già quei cambiamenti che mai si potranno fra noi realizzare, e contrari alle basi di una piccola sì, ma assoluta monarchia, della quale siamo il capo, e i di cui diritti, come abbiamo ricevuto illesi dai Nostri maggiori, così intendiamo di trasmettere, quanto è a Noi, intatti ed illesi ai Nostri posteri,


Data alla Pieve di Santo Stefano, li 21 luglio 1847.
CARLO LODOVICO.
G. B. Mansi.

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