Riordinamento dell’Acquedotto di Genova

Riordinamento del servizio, e norme relative alle conservazione dell’Acquedotto di Genova

Per approfondire: Cronologia di Genova Dalle origini ai giorni nostri

26 agosto 1814.
PADRI DEL COMUNE PER LA SERENISSIMA REPUBBLICA DI GENOVA
Presi in considerazione gli abusi che si commettono in pregiudizio dell’Acquedotto, i danni che ne risente la pubblica Amministrazione, le lagnanze delle persone private, che riclamano il diritto di godere nella sua totalità la quantità d’acqua loro accordata;
Visti i Decreti e Regolamenti emanati in diversi tempi per raffrenare e punire tali disordini;
Considerando che la conservazione di quest’edifizio, tanto onorevole e necessario alla città, ne richiede la più rigorosa osservanza, e che a togliere ogni scusa o pretesto solito a desumersi da pretesa ignoranza dei Regolamenti può convenire di nuova mente ristamparli e pubblicarli;

Annunziamo e deliberiamo:
1. È proibito a chiunque il deviar l’acqua dal suo corso, o col frapporre ostacoli o coll’aprire i spandenti o col far de’ nuovi buchi alla cassa dell’acquedotto o col formare dei così detti rebuchi, fessure od altra sorte di frode per servirsi di quell’acqua, che non gli spetta, a proprio comodo e in danno del pubblico; siccome è proibito il lavar panni o altra cosa di qualsiasi specie nel pubblico acquedotto, gettar nell’acqua immondezze o altro corpo estraneo qualunque, sotto pena di scuti dieci per ogni contravvenzione, per Proclama dei 10 luglio 1544 e Grida degli 8 marzo 1700.
2. È proibito il variar la grandezza o la posizione dei bronzini, oltre quelle stabilite e prescritte dai Regolamenti e dalla misura autentica, sotto pena di lire 50 per ogni contravvenzione, a meno che non se ne ottenga espressa permissione dal Magistrato.
3. È espressamente proibito il tenere o appoggiare sopra l’acquedotto muricciuoli, muraglie, vasi, orticelli od altro impedimento di qualsivoglia sorte, che possa gravare con peso o ingombrare il suddetto acquedotto, sotto pena egualmente di lire 50 per Grida del 4 maggio 1750.
4. È proibito di gettar nella cassa del pubblico acquedotto legni od altro per condurli a seconda dell’acqua decorrente in essa cassa, come osano fare tanti che trafficano legnami all’ingiù del Bisagno per risparmio di fatica e spesa ed a grave pregiudizio dell’alveo stesso, e ciò sotto pena di lire 50 per ogni denuncia e della confisca del legname, perGrida de 20 maggio 1728.
5 È pure espressamente proibito il piantaralberi di qualunque specie e quantità in qualsisia luogo vicino all’acquedotto alla di stanza di palmi dieci, e per le piante di fico, gelsi e viti alla distanza fino in palmi quindeci a giudizio del Magistrato, sotto la stessa pena di lire 50, per Legge del 1732, 13 agosto.
6. Il passaggio del pubblico acquedotto deve essere libero ai ministri ed inservienti del Magistrato per l’oggetto delle ordinarie visite, e quindi non è permesso di alzare muri sul detto acquedotto che impediscano detto libero passaggio, ed in genere non è permesso di far travaglio di sorte alcuna sopra o vicino l’acquedotto senza espresso decreto del Magistrato, e sempre con l’assistenza di uno dei ministri, per Legge del 1481; ed è particolarmente proibito far cave di pietre e sogrottare il terreno, ossia fare sfonderati vicino al detto acquedotto o altro lavoro capace a danneggiare la solidità dello stesso.
7. Ogni qualvolta si trova rotto ed aperto l’alveo del pubblico acquedotto nella parte superiore ove è coperto, e così rotte o rimosse le lastre che lo coprono, o in altra maniera qualunque dannificata la cassa dell’acquedotto, tanto dentro che fuori città, i padroni delle ville per le quali passa detto acquedotto, ed in città i proprietarii de’ bronzini più prossimi alle ritrovate fratture ed aperture sono tenuti non solo a ristorare a proprie spese e rimettere ciò che fosse stato devastato o rimosso, ma incorrono ancora nella penale di lire 50 per ogni denuncia, per Legge del 1562, 19 agosto.
8. Per impedire quanto è possibile le contravvenzioni a quanto sopra, è stabilito che niuno possa avere accesso sul pubblico acquedotto, in quelle parti ove è chiuso dentro città, senza il consenso del Magistrato o del Deputato a questa parte, e che le chiavi delle porte che vi conducono debbano restare in Camera del Magistrato o presso di chi esso stima.
Oltre le pene enunziate nei precedenti articoli ed altre di sua attribuzione, si riserva il Magistrato di tradurre innanzi ai Tribunali competenti coloro fra i contravventori che potessero incorrere in pene maggiori.
Avverta dunque ognuno di non trasgredire gli Ordini e Regolamenti rimessi alla pubblica luce nel presente Proclama, e rendasi sollecito chiunque vi fosse tenuto al riparo delle contravvenzioni che avesse cagionato, poiché altrimenti il Magistrato procederà senza ritardo all’esercizio di quei mezzi e all’applicazione di quelle pene che gli competono.


Dato dalla Camera nostra, questo giorno 26 agosto 1814.
PESSAGNO, Priore
B. Gazzo, Cancelliere

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