Temi del cinema Sudafricano

Temi del cinema Sudafricano

Titolo originale: Issues in the South African Cinema
Autore: Ntogela Masilela

Categoria: Cinema

La meraviglia iniziale che caratterizzava le
descrizioni di immagini che si muovevano su uno schermo
è stata ben presto sostituita in Sudafrica da una
negligenza comparativa da parte della stampa.
… L’interesse per i film come materiale documentario storico
è stato, con risultati molto sfortunati,
molto lieve in Sudafrica. Già nel 1919…
A causa del loro basso livello salariale, la fornitura di
cinema speciali per i non europei non pote essere
contemplata per molti anni.
Thelma Gutsche, The History and Social Significance of Motion Pictures in South Africa: 1895-1940.

Come praticamente ogni altra cosa in Sudafrica, in cui l’economia è direttamente determinante, l’evoluzione, la struttura e le complicazioni ideologiche del cinema sudafricano vanno spiegate nel contesto storico delle contraddizioni sociali che sono state il risultato della rivoluzione mineraria.
Questa rivoluzione nella storia economica sudafricana è avvenuta in seguito alla scoperta del diamante e dell’oro a Kimberley e a Johannesburg, rispettivamente negli anni Sessanta e Ottanta del XIX secolo. L’effetto del processo, industrializzazione del Paese attraverso l’industria mineraria, ha avuto conseguenze a livello nazionale e internazionale. A livello internazionale, ha facilitato una più profonda penetrazione del capitale nazionale inglese nel Paese, le cui imprese di sfruttamento continuano ancora oggi sotto la protezione dell’ideologia del Thatcherismo. In altre parole, è stato nel contesto di questa rivoluzione economica che l’imperialismo inglese, appoggiato dagli altri imperialismi europei, ha cementato la sua presa sui molti filoni di formazione culturale che stavano nascendo o erano in procinto di assumere un particolare mutamento. A livello nazionale, gli effetti di questo evento storico furono ancora più profondi: ha reso possibile l’accumulazione di capitale dal surplus estratto dal lavoro, in particolare dal lavoro nero; ha trasformato la composizione demografica del Paese, spostando qualitativamente e quantitativamente la popolazione dalle aree rurali a quelle urbane; ha modificato le coordinate culturali del Paese in modo incommensurabile, in particolare per quanto riguarda la cultura cinematografica, ha trasformato le sale da musica in sale cinematografiche, facendo così spazio alla penetrazione di questa nuova cultura.
Le prime formulazioni teoriche serie dell’ideologia e della filosofia dell’Apartheid, che ha avuto conseguenze terribili sulla cultura cinematografica sudafricana, hanno trovato espressione nelle pubblicazioni minerarie.[1]Belinda Bozzoli, The Political Nature of a Ruling Class, Routledge and Kegan Paul, London, 1981, pp.111-128.
Questa ideologia sarebbe stata trasposta a piene mani nella struttura dei film sudafricani.
Fin dalla sua nascita, il cinema sudafricano è stato ossessionato dall’ideologia dell’Apartheid, non in opposizione ad essa, ma piuttosto nel tentativo di imprimerla completamente nell’immaginario storico e nella coscienza dei neri africani, indiani e cosiddetti coloured). Il cinema sudafricano in esilio ha contestato questo tentativo di imposizione dell’egemonia culturale.
L’importanza della rivoluzione mineraria nel rendere possibile la prima penetrazione della cultura cinematografica in Sudafrica non può essere sopravvalutata. Sebbene i film fossero proiettati in modo permanente nel Paese a partire dal 1909 circa, il primo film venne proiettato a Johannesburg lunedì 11 maggio 1896.[2]Thelma Gutsche, The History and Social Significance of Motion Pictures in South Africa 1895-1940, Howard Timmins, (1946) 1972, p.95, p.13. La formazione culturale del pubblico di questi primi film era stata preparata indirettamente dall’industria mineraria.
Il pubblico era composto da due grandi gruppi: i contadini neri, che stavano per essere proletarizzati in lavoratori delle miniere, e i lavoratori agricoli bianchi, anch’essi in via di trasformazione in proletariato industriale.
Questo pubblico di riserva, che si trovava nei complessi minerari, era intrattenuto in precedenza con forme d’arte da sala musicale. La nuova forma d’arte del cinema ha distrutto e colonizzato le forme d’arte precedenti e, allo stesso modo, ha colonizzato il loro spazio culturale.
Anche un’ampia fetta di immigrati, in particolare gli ebrei che fuggivano dai pogrom nell’Europa orientale, che erano venuti in Sudafrica in cerca di fortuna nell’industria mineraria, costituivano un’ampia fetta di pubblico.
Nelle grandi città, era l’emergente classe media bianca a fare il tifo per il cinema, la cui ricchezza derivava in parte dallo sviluppo delle industrie manifatturiere, che avevano ricevuto un impulso dalla diversificazione del capitale minerario in espansione. In altre parole, fu l’industria mineraria a dare impulso allo sviluppo della cultura cinematografica in Sudafrica.
Certo, l’interesse che ha avuto per questa nuova forma d’arte è stato governato più da motivi di profitto che da finalità di illuminazione culturale.
Oltre a facilitare le condizioni culturali materiali che hanno reso possibile il trapianto e la crescita della cultura cinematografica e del cinema in Sudafrica, la rivoluzione mineraria fu la causa dello scoppio di una moderna guerra imperialista in Africa.
Moderna, nel senso che la guerra non era per la terra e il territorio, ma piuttosto per la natura del controllo del territorio, sulla natura del controllo dello Stato e del processo di industrializzazione. La Guerra boera del 1899-1901, tra gli interessi imperiali britannici e gli interessi nazionalistici afrikaans (boeri), ha fornito il contesto storico in cui, forse per la prima volta, sono stati realizzati film di propaganda.
Le principali case cinematografiche britanniche (British Mutoscope and Biograph Co., R. W. Paul, and the Warwick Trading Company) e varie altre società (Pathe, Gaumont, Gibbons, Edison) erano al centro di questa guerra di propaganda. Come scrive Elizabeth Grottle Strebel, storica del cinema, le compagnie cinematografiche britanniche erano semplicemente interessate a perpetuare “… i miti e i simboli dell’iconografia imperialismo britannico”.[3]Elizabeth Grottle Strebel, “Primitive Propaganda: The Boer War Films”, Sight and Sound, Winter 1976/77, vol.46 no.1, p.45.
Durante la guerra imperiale vennero realizzati due tipi di film: i documentari grezzi e i film di propaganda.
Come continua Strebel, questi film di propaganda anti-boera avevano le stesse preoccupazioni presenti alla nascita del cinema: il realismo di Lumiere e la magia di Melies.[4]ibid. Questo trapianto di cultura cinematografica come propaganda nella realizzazione dei film ha avuto una profonda conseguenza sullo sviluppo e sulla storia della cultura cinematografica in Sudafrica.
In primo luogo, questa particolare forma di trapianto imperialista della cultura cinematografica, ovvero l’uso dei film come campo di battaglia delle rappresentazioni iconografiche e degli interessi, ha avuto l’effetto fino a poco tempo fa che la produzione cinematografica in Sudafrica non è mai stata vista come un atto creativo artistico, ma piuttosto come uno strumento di propaganda contro quello che era percepito come nemico. Se nel 1900 l’iconografia cinematografica imperiale britannica considerava il popolo e la cultura Afrikaneer come l’essenza stessa della “barbarie”, dal 1910 (data della formazione politica dell’attuale Sudafrica) lo stesso popolo Afrikaneer, in difesa degli interessi dello Stato bianco, ha sviluppato una complessa iconografia cinematografica al centro della quale i neri (africani, indiani, cosiddetti coloureds) sono rappresentati come dei demoni. In altre parole, la storia dell’iconografia cinematografica sudafricana è un movimento costruito sulla menzogna e sulla falsità, non sulla rappresentazione autentica della storia. Non sorprende che la cultura cinematografica egemonica del nostro Paese, controllata dal Broederbond (un’élite politica e culturale, il cui intento è quello di perpetuare il controllo egemonico della cultura Afrikaans e il dominio del nazionalismo bianco), sia una “cultura nazionale” della mediocrità.
Nessun film di qualità eccelsa, che possa definire i modelli della nostra cultura nazionale, è emerso dall’ideologia della supremazia bianca.
È interessante e paradossale che i due più importanti lungometraggi della storia del cinema sudafricano siano stati realizzati da due registi americani.
A loro si farà riferimento tra poco, perché rappresentano i due estremi opposti della storia del cinema sudafricano.
Entrambi indicano chiaramente che la storia del nostro cinema è una faccia di Giano.
In secondo luogo, l’impianto della cultura cinematografica ha coinciso con la penetrazione delle compagnie cinematografiche americane e britanniche.
Le trasformazioni della nostra cultura cinematografica di cui si è parlato in precedenza, sono state operate da molte di queste società straniere. Tra la fase conclusiva della guerra boera nel 1901 e la formazione dell’Unione del Sudafrica nel 1910, molti cortometraggi e documentari vennero realizzati soprattutto da società inglesi. Forse questo è comprensibile, dal momento che il Sudafrica era ancora per molti versi una colonia britannica, anche se le provincie del Transvaal e dello Stato Libero di Orange erano già diventate repubbliche indipendenti nella seconda metà dell’Ottocento.
È in questo momento che la società cinematografica britannica, Warwick Trading Company, dominò il settore cinematografico sudafricano attraverso la produzione, distribuzione e proiezione. Ma, a quanto pare, il primo film è stato realizzato in questa data critica del 1910 dalla Springbok Production Company. Come ha indicato il nostro storico del cinema, Keyan Tomaselli, c’è una certa confusione sulle origini di questa società.[5]Keyan Tomaselli, “Capitalism and Culture in South African Cinema”, Wide Angle, vol.8 no.2, 1986(?), p.43. Il film si intitolava The Great KimberleyDiamond Robbery. Il titolo stesso indica l’importanza della rivoluzione mineraria per l’immaginario storico che si stava sviluppando nella nostra cultura cinematografica.
In effetti, l’immaginazione storica, o più correttamente il suo fallimento, fu ciò che caratterizzò il film e che definisce realmente le origini del cinema sudafricano: De Voortrekkers/Winning a Continent. Questo film del 1916 è stato prodotto da una società sudafricana, la African Film Productions Limited, sotto la direzione di I W. Schlesinger.[6]Thelma Gutsche, op. cit., p.312. La formazione di questa società cinematografica e la realizzazione del film sono state definite dalle coordinate storiche della congiuntura della Prima guerra mondiale. Durante il periodo bellico, a causa di blocchi e carenze, la fornitura di film di Hollywood al mercato mondiale fu seriamente limitata.
In Russia ciò ha reso possibili le condizioni materiali e culturali che facilitarono l’emergere del cinema di Dziga-Vertov, Pudovkin, Kuleshov e altri, per quanto si ispirassero al lavoro di Griffith.
A un livello molto più basso di ispirazione intellettuale e di ricchezza culturale, le complicazioni di questa guerra hanno interrotto le coordinate di dominio delle cinematografiche straniere in Sudafrica. Il mercato dei film era in espansione mentre l’offerta di film si contraeva. Da qui la logica storica della fondazione di società come l’African Film Productions Limited e la realizzazione di film block-buster come Winning a Continent. A differenza del contesto russo, in cui si stava costruendo il socialismo e si privilegiava il capitale intellettuale, nel nostro contesto, in cui il capitalismo si stava consolidando, è stato il mercato capitalista stesso a richiedere e applaudire l’assenza di originalità nella nostra immaginazione storica.
La povertà dell’immaginazione storica è in pieno risalto in questo film e definisce le nostre origini culturali (sudafricane sia bianche che nere) in termini cinematografici.
A causa della carenza di capitale intellettuale, che forse si protrae fino ad oggi, la produzione di De Voortrekkers/Winning a Continent ha richiesto l’importazione del regista americano Harold Shaw, che in precedenza aveva lavorato per Edison. Il film è stato oggetto di numerosi saggi.[7]L’articolo di Keyan Tomaselli citato sopra; Hannes van Zyl, ” De Voortrekkers: Some Steroetypes and Narrative Conventions”, Critical Arts, vol.1 no.1,1980; Elizabeth Grottle Strebel, … Continue reading Il film articola la complessa struttura della storia sudafricana in termini manichei, il manicheismo, così caratteristico della filosofia e dell’ideologia dell’Apartheid: la lotta senza fine tra le forze della civiltà (leggi i sudafricani bianchi) e i demoni della barbarie (i neri sudafricani). L’iconografia razzista che infanga questo film è stata modellata su Nascita di una nazione (The Birth of a Nation) di Griffith.
Mentre per i russi ciò che li affascinava di Griffith era la sua invenzione di nuova grammatica e sintassi cinematografica, per alcuni dei nostri compatrioti bianchi era la sua iconografia razzista. Questa iconografia avrebbe avvelenato l’intera cultura cinematografica del Sudafrica per circa quattro decenni, fino a quando un altro regista indipendente americano ha ribaltato i termini del suo dominio. Il film Voortrekkers riguardava molto di più la frammentazione e la distorsione dell’unità della storia sudafricana, molto più che l’ideologia imperialista britannica o l’afrikanerismo.
Questa frammentazione della storia sudafricana corrispondeva alla frammentazione della nostra realtà sociale, in termini di classe e di razza.
L’ideologia dell’Apartheid imponeva l’esistenza di cinema separati e distinti per le “diverse” sfere pubbliche. È con questo obiettivo di differenziazione che un cinema che potrebbe essere meglio definito come cinema nero dell’apartheid fu fondato nel 1920 su suggerimento di un pastore americano, Ray Phillips, dell’American Board of Missions. [8]Harriet Gavshon, “Levels of Intervention in Films made for African Audiences in South Africa’, Critical Arts, vol.2 no.4, 1983, p.14. Questo cinema era originariamente rivolto alla sfera pubblica africana nelle miniere con l’intento di “sublimare le tendenze criminali”. La Camera delle Miniere e il Dipartimento Municipale degli Affari Nativi si interessarono allo sviluppo di questo cinema.
Col tempo, il governo dell’apartheid lo avrebbe finanziato ampiamente attraverso vari dipartimenti ministeriali. Questo cinema nero dell’apartheid è stato realizzato da sudafricani bianchi (registi, cameraman, montatori, ecc.) sulla base dell’ideologia dominante dell’apartheid e dato in pasto alla sfera pubblica nera.
Con il passare del tempo, ha esteso i suoi diabolici tentacoli dai complessi minerari alle aree urbane nere e ai Bantustan (“Terre d’origine”), mentre la parte produttiva è stata assolutamente controllata dai bianchi e gli enormi profitti a loro destinati, gli esecutori sono solitamente africani. Recentemente, gli africani sono entrati nella produzione. Questi film sono solitamente realizzati in lingua zulu.
L’obiettivo specifico di questo cinema nero dell’apartheid è corrompere e demonizzare l’immaginario storico e politico dei neri.
Il fattore di controllo nella sua realizzazione è l’ideologia dell’apartheid, un’ideologia che ha segnato la mediocrità e il disastro del cinema sudafricano. Keyan Tomaselli, in un eccellente articolo, ha delineato l’ideologia e la struttura del cinema nero dell’apartheid.[9]Keyan G. Tomaselli, “Class and Ideology: Reflections in South African Cinema, Critical Arts, vol.1 no.1, March 1980. La critica di Tomaselli al libro di Thelma Gutsche, un testo che ha fondato … Continue reading
Parallelamente a questa realizzazione del cinema nero dell’apartheid, il cinema in lingua afrikaans ha approfondito la sua forma strutturale. Nell’insieme, la struttura dei film di questa tradizione, come ha sostenuto in modo convincente Tomaselli, si basa sulla dialettica dell’insider contro l’outsider.[10]ibid., p.7. Egli delinea come questa struttura si sia sviluppata dalla intrattabile storia del Sudafrica: il fatto che l’industria mineraria dell’oro fosse dominata dagli interessi imperiali britannici contro gli interessi nazionali afrikaner.
Da qui, il tema della xenofobia, che avrebbe caratterizzato ampi segmenti di questo cinema.
Con il tempo, questo xenofobismo è stato proiettato contro i neri.
Nato nella sfera economica (bianchi contro bianchi), questo xenofobismo si è imposto sul piano politico (bianchi contro neri), dove è rimasto fino a oggi.
Nella sua essenza, faceva parte dello scudo ideologico degli Afrikanerdom (il nazionalismo bianco).
Esattamente trent’anni fa è stato girato segretamente in Sudafrica un film che, con il passare del tempo, ha prefigurato ciò che costituisce un autentico cinema nazionale nel nostro Paese. Come Back Africa, di un regista indipendente americano, è senza dubbio il più alto risultato della cultura cinematografica in Sudafrica.
È davvero un’occasione importante che oggi, 1° maggio 1988, il film di Rogosin faccia la sua prima apparizione pubblica di qualsiasi genere nel nostro travagliato Paese.[11]In una lettera privata del 18 aprile 1988, Lionel Rogosin indica da Londra che il film verra proiettato oggi, 1 maggio, presso l’Università di Witwatersrand, a Johannesburg e anche a Cape … Continue reading La revoca del divieto, imposto nel 1959, non può che rappresentare una grande vittoria per il popolo sudafricano.
Ciò rende questo film un grande documento culturale! Ma prima di tutto, chi è Lionel Rogosin? Il primo film di Rogosin nel 1955, “On the Bowery”, sul quartiere degradato di New York, era un film che faceva parte dell’emergente New American Cinema di Jonas Mekas, John Cassavettes, Maya Deren, Hollis Frampton, e il consolidamento del Free Cinema britannico di John Schlesinger, Lindsay Anderson, Karel Reisz.
È sufficiente Basil Wright che elogia in modo superlativo il film di Rogosin alla sua prima apparizione, paragonandolo addirittura a Dovzhenko e Dostoevskij, per capire che occasione epocale fu la sua apparizione.[12]Basil Wright, “On the Bowery”, Sight and Sound, vol.26 no.2, Autumn 1956, p.98. La sua poetica commistione di documentario e finzione era il culmine di una tradizione creata da Flaherty, oltre che l’inizio di una tradizione lirica che avrebbe trovato la sua massima espressione in Alvarez.
Lewis Nkosi, che scrisse la sceneggiatura di Come Back Africa con Lionel Rogosin e Bloke Modisane, e che ha recitato nel film, era ben consapevole dell’importanza storica del film nel momento stesso della sua realizzazione. Nell’articolo immediatamente successivo all’apparizione internazionale del film, lo ha elogiato in questi termini: “Il film non è grande sotto nessun punto di vista. Ci sono troppe debolezze tecniche nello sviluppo della storia. Tuttavia, con tutti questi difetti, la storia emerge come un documento potente di verità sociale come nessun altro produttore ha svelato in questo Paese”.[13]Lewis Nkosi, “Come Back Africa”, Fighting Talk, febbraio 1960, senza numero di pagina. Questa fonte mi è stata data, cosa per la quale sono grato, dal prof Jacques Alvarez-Pereyre in una … Continue reading Questo giudizio, espresso da uno dei più importanti critici letterari africani, ha resistito alla prova del tempo. Uno degli aspetti che fanno di Come Back Africa uno dei documenti più importanti della nostra storia culturale è che è l’ultima istantanea intellettuale di una brillante generazione letteraria prima della sua distruzione nel Massacro di Sharpeville del 1960: nel film incontriamo Bloke Modisane, Lewis Nkosi, Can Themba, Miriam Makeba e altri.
Letteralmente, le suggestioni storiche sul Sudafrica presenti in questo film sono indescrivibili. Sul piano linguistico, come su quello della proiezione storica della realtà, il film mostra le sue certezze e sicurezze.
Sul piano linguistico, il film impiega tre lingue sudafricane che sono al centro della nostra esperienza storica e culturale: lo zulu è parlato dai lavoratori del miniera, l’afrikaans è parlato dai poliziotti che arrestano gli africani e l’inglese che è parlato dagli intellettuali africani in uno shebeen e dagli uomini d’affari. In altre parole, il film proietta la lingua zulu come lingua della solidarietà di classe, la lingua afrikaans come la lingua della coercizione e della repressione e l’inglese come lingua del commercio e dello scambio intellettuale.
Anche se in un certo senso queste denominazioni sono semplicistiche, esse catturano astrattamente un elemento di verità storica. Iconograficamente, il film si apre con le scene silenziate dei complessi minerari nei quali i minatori si stanno radunando. Si tratta indubbiamente di una geniale intuizione da parte di Lionel Rogosin, perché, come il presente saggio ha cercato di indicare, la rivoluzione mineraria è stata al centro dell’esperienza storica sudafricana. In altre parole, il film si apre trattando della questione del lavoro e del capitale. È la dialettica tra i due che determina lo schema strutturale del film.
Sempre sul piano iconografico, Come Back Africa è uno dei pochissimi film che, all’epoca della sua produzione, rappresenta un’immagine degli africani positiva dall’inizio alla fine: non una romanticizzazione o distorsione dell’immaginario nero, ma una concretizzazione delle sue forme culturali. Dalla prima apparizione di Zacharia, il protagonista principale, in mezzo a un gruppo di operai, fino ai momenti conclusivi del film, quando piange disperato battendo il tavolo per la morte della moglie, percepiamo che il film sta cercando di trasmettere il senso e la struttura della storia sudafricana.
Il film cerca anche di attirare l’attenzione sulla tensione tra città (urbana) e campagna (rurale), essendo quest’ultima il presunto centro del tradizionalismo e la seconda il luogo del cosmopolitismo. Nella famosa scena dello shebeen, se Zacharia è la forza del tradizionalismo, Lewis Nkosi, che interpreta se stesso, è il polo del cosmopolitismo.
Can Themba nel film è la rappresentazione dell’anarchismo; senza dubbio Miriam Makeba è l’usignolo dell’angelismo. Il film è un ricco tableau di rappresentazioni, di contrasti storici e iconografici.
Il vero significato di Come Back Africa è che da quando è stato realizzato trent’anni fa, e dalla sua prima apparizione sugli schermi pubblici oggi in patria, pone una domanda fondamentale: quale dovrebbe essere la natura e la struttura di un autentico cinema nazionale sudafricano? Questa domanda, al momento è al di là della nostra comprensione immediata, perché non possediamo strumenti intellettuali adeguati per dipanare le sue ingestibili complessità. Con il passare del tempo, questa domanda diventerà una delle questioni cruciali della nostra storia culturale.
Nel frattempo, nell’ultimo decennio, in Sudafrica è fiorita una cultura cinematografica indipendente.
Il suo punto di forza è l’assoluta ostilità alla politica culturale dell’apartheid.
Con la messa al bando di Come Back Africa a partire da oggi, questa cultura cinematografica e video indipendente emergente troverà la sua storia culturale che si rispecchia in questo film. In un’altra occasione sarà necessario riflettere su questo appuntamento storico. A giudicare dalla qualità dei film e dei video proiettati ad Amsterdam in un festival di due settimane, “Culture in Another South Africa”, dall’8 al 21 dicembre 1987, tra qualche anno, un film indipendente sulla cultura in Sudafrica sarà riconosciuto a livello mondiale. Indubbiamente, ci si aspetta di più dai registi indipendenti del dopo Ngakane, come Barry Feinberg, Harriet Gavshon e altri.

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References

References
1 Belinda Bozzoli, The Political Nature of a Ruling Class, Routledge and Kegan Paul, London, 1981, pp.111-128.
2 Thelma Gutsche, The History and Social Significance of Motion Pictures in South Africa 1895-1940, Howard Timmins, (1946) 1972, p.95, p.13.
3 Elizabeth Grottle Strebel, “Primitive Propaganda: The Boer War Films”, Sight and Sound, Winter 1976/77, vol.46 no.1, p.45.
4 ibid.
5 Keyan Tomaselli, “Capitalism and Culture in South African Cinema”, Wide Angle, vol.8 no.2, 1986(?), p.43.
6 Thelma Gutsche, op. cit., p.312.
7 L’articolo di Keyan Tomaselli citato sopra; Hannes van Zyl, ” De Voortrekkers: Some Steroetypes and Narrative Conventions”, Critical Arts, vol.1 no.1,1980; Elizabeth Grottle Strebel, “The Voortrekkers: A Cinematographic Reflection of Afrikaner Nationalism”, Film and History, vol.9 no.2, 1979.
8 Harriet Gavshon, “Levels of Intervention in Films made for African Audiences in South Africa’, Critical Arts, vol.2 no.4, 1983, p.14.
9 Keyan G. Tomaselli, “Class and Ideology: Reflections in South African Cinema, Critical Arts, vol.1 no.1, March 1980. La critica di Tomaselli al libro di Thelma Gutsche, un testo che ha fondato gli studi cinematografici in Sud Africa e che questo saggio cerca di onorare, è infondata. Noi, che la seguiamo, si appoggiano a lei.
10 ibid., p.7.
11 In una lettera privata del 18 aprile 1988, Lionel Rogosin indica da Londra che il film verra proiettato oggi, 1 maggio, presso l’Università di Witwatersrand, a Johannesburg e anche a Cape Town. Michel Lazarus di Osprey Films a Cape Town, in una lettera privata dell’11 marzo 1988, allude a questa data citata da Rogosino. Per oltre un anno Michel Lazarus ha lottato con la censura per revocare il divieto di Come Back Africa.
12 Basil Wright, “On the Bowery”, Sight and Sound, vol.26 no.2, Autumn 1956, p.98.
13 Lewis Nkosi, “Come Back Africa”, Fighting Talk, febbraio 1960, senza numero di pagina. Questa fonte mi è stata data, cosa per la quale sono grato, dal prof Jacques Alvarez-Pereyre in una lettera inviata da Grenoble.

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