Nota del cardinale prosegretario di Stato alle potenze del 1849

Nota indirizzata, in nome del sovrano pontefice, dal cardinale prosegretario di Stato, a tutte le potenze.

Sua Santità, fin dai primi giorni del suo pontificato, nulla altro ebbe di mira che di prodigare benefizii ai suoi sudditi, secondo i tempi, e provvedendo al loro maggiore interesse. Così, dopo di aver perdonato a coloro che per delitti politici erano in esilio o trovavansi in prigione, dopo di aver eretto la consulta di Stato ed istituito il consiglio dei ministri, avendo sotto l’imperiosa necessità delle circostanze accordato l’istituzione della guardia civica, una nuova legge per una onesta libertà di stampa, e finalmente uno Statuto fondamentale per gli Stati della Chiesa, Sua Santità avea ben diritto alla riconoscenza dovuta dai sudditi ad un principe, il quale non li riguardava che come figli e loro non prometteva che un regno d’amore. Ma ben diverso fu il contraccambio ricevuto da tanta bontà e da sì prodiga condiscendenza. Dopo le brevi dimostrazioni ed applausi, dimostrazioni dirette da quelli che già meditavano le più colpevoli intenzioni (e che il santo padre si sforzò di far cessare con tutti i mezzi che gli suggeriva il suo paterno cuore), ei bentosto raccolse l’amaro frutto dell’ingratitudine. Spinto dalla sfrenata violenza di una fazione ad entrare in guerra contro l’Austria, ei si trovò costretto di pronunziare un’allocuzione nel concistoro del 29 aprile dell’anno scorso, allocuzione in cui dichiarò al mondo intero che il suo dovere e la sua coscienza non gli permettevano di acconsentire a quella guerra. È allora che le trame antecedentemente preparate, scoppiarono in aperti attentati contro l’esercizio del suo pieno e libero potere, forzandolo a dividere il ministero di Stato in ecclesiastico e civile, divisione ch’ei non ha mai riconosciuto. Tuttavia, il santo padre sperava che ponendo nei diversi ministeri persone capaci ed amiche dell’ordine, le cose potessero prendere miglior piega, e ch’egli vedrebbe in parte arrestarsi i mali che già minacciavano. Ma un pugnale omicida, guidato dalla mano di un assassino, ruppe, colla morte del ministro Rossi, le aperanze che il santo padre avea concepito. Quel delitto, esaltato come un trionfo, inaugurò imprudentemente il regno della tirannide. Il Quirinale fu circondato di gente armata; tentativi d’incendio non mancarono; colpi di fucile tirati contro gli appartamenti occupati dal sovrano pontefice, ed il santo padre ebbe il dolore di vedere uno dei suoi segretarii cader vittima degli aggressori. Finalmente si volle forzare il palazzo col cannone, quand’egli ricusava di ammettere il ministero che si volea imporgli. Avendo dovuto, per una serie di spaventevoli fatti, come ognun sa, cedere alla violenza della forza, il pontefice si vide nella dura necessità di allontanarsi da Roma e dallo Stato pontificio, affine di ricuperare la libertà che gli era rapita, e della quale ei dovea godere nel pieno uso di sua suprema possanza. Per disposizione della divina Provvidenza ei si ritirò a Gaeta, e, accolto dall’ospitalità di un principe eminentemente cattolico, circondato da una gran parte del sacro collegio e dai rappresentanti di tutte le potenze colle quali è in ami chevoli relazioni, ei non tardò un istante ad alzare la voce ed a proclamare, nell’atto del 27 novembre ultimo, i motivi della momentanea sua separazione dai suoi sudditi, la nullità e l’illegalità di tutti gli atti emanati dal ministero uscito dalla violenza, ed a nominare una commissione di governo che dovea prendere la direzione degli affari pubblici durante la sua assenza dai suoi Stati. Senza avere alcun riguardo alla manifestazione delle volontà del santo padre, e giungendo con menzogneri pretesti ad ingannare sul loro valore l’inesperta moltitudine, gli autori delle sacrileghe violenze passarono a più colpevoli attentati, arrogandosi i diritti che non appartengono che al sovrano, istituendo un illegittimo fantasma di governo sotto il nome di Giunta Provvisoria e Suprema di Stato. Gli è contro questo grave e sacrilego misfatto che il santo padre ha pro testato col suo atto del 17 dicembre ultimo, in cui egli di chiara che quella Giunta di Stato non è altro che una usurpazione del sovrano potere e non può avere autorità di sorta. Sperava il santo padre che tali proteste richiamerebbero i suoi sudditi traviati al dovere di fedeltà e d’obbedienza, ma, al contrario, un nuovo e più mostruoso atto di patente fellonia e di aperta ribellione venne a mettere il colmo alla sua afflizione: e ciò fu la convocazione d’un Assemblea generale nazionale degli Stati romani, avente per iscopo di stabilire nuove forme politiche a darsi agli Stati della santa sede. Ben tosto, con un motu proprio del 1 gennaio scorso, il santo padre protestò contro quell’atto e lo condannò come un enorme e sacrilego attentato commesso a pregiudizio della sua indi pendenza e della sua sovranità, degno dei castighi contemplati dalle leggi divine ed umane, e proibì a ciascuno de’ suoi sudditi di prendervi parte, avvertendoli che chiunque osasse attentare alla sovranità temporale dei romani pontefici, incorrerebbe le censure e specialmente la scomunica maggiore, pena ch’ei dichiarò incorsa già da coloro che in un modo qualunque e sotto menzogneri pretesti aveano violato ed usurpato la sua pontificale autorità. Quando queste proteste e quelle condanne sì solenni furono conosciute dal partito anarchico, ei fece tutti gli sforzi possibili per impedirne la divulgazione: esso sottopose a pene quelli che osavano farle conoscere al popolo e che non detestavano le detestabili sue mire. Tuttavia, ad onta di sì odiosa violenza, la maggioranza de’ sudditi rimase fedele al suo sovrano, e si espose ai sacrificii ed anche al pericolo della vita, anziché mancare ai suoi doveri di suddito e di cattolico. Ognora più esasperato, vedendo i suoi disegni falliti, quello stesso partito moltiplicò in mille modi la violenza ed il terrore, senza aver riguardo, né alla dignità, né alla condizione, nè alla qualità; ma volendo compiere sino al fine l’opera di sua fellonia ricorse alle più vili e miserabili trame. Passando così di eccesso in eccesso, abusando de benefizii e delle concessioni del pontefice, e convertendo specialmente la libertà della stampa in un’ignobile licenza; dopo le più empie malversazioni destinate ad assoldare i loro complici ed a respingere gli uomini d’onore e di coscienza; dopo tanti omicidii commessi sotto il loro egida; dopo di aver sparso dappertutto la ribellione, l’immoralità, l’irreligione; dopo aver sedotto una gioventù imprudente; non rispettando nè i sacri legami, nè gli asili della pace e del ritiro, nè le scuole di pubblico insegnamento, convertendole in caserme ad uso della milizia più indisciplinata, ammasso di rifugiati e di scellerati de paesi stranieri; quei disgraziati vollero ridurre la capitale del mondo cattolico, la sede dei pontefici, a non essere che un asilo d’empietà, col distrurre, se fosse possibile, la stessa idea della sovranità di colui che la divina Provvidenza ha posto al governo della Chiesa universale, e che, per esercitare liberamente quest’autorità che gli appartiene su tutto il mondo cattolico, gode di uno stato come patrimonio della Chiesa. A fronte di tanta desolazione e di tali rovine, il santo padre non poté non affliggersi profondamente, nel tempo istesso che egli era penetrato dalle grida de’ suoi fedeli sudditi, che invocavano il suo aiuto per essere liberati dalla più atroce tirannide. Sua Santità, come ognun sa, poco tempo dopo il suo arrivo a Gaeta, alzò la voce il 4 dicembre scorso, e s’indirizzò a tutti i sovrani coi quali è in relazione, partecipando loro il suo allontanamente della sua capitale e dallo stato pontificio, le cause che l’aveano determinato, e invocò la loro protezione per la difesa dei dominii della santa sede. Egli ha la dolce soddisfazione di dichiarare d’aver ricevuto le più affettuose risposte, e che tutti i sovrani l’hanno assicurato che essi prendevano la più viva parte alle sue afflizioni ed alla penosa sua situazione, gli promettevano le più favorevoli disposizioni, e gli esprimevano in pari tempo i più profondi sentimenti di de vozione e di attaccamento. In attesa di sì felici e sì generose disposizioni, e mentre S. M. la regina di Spagna, con tanta sollecitudine, provocava un congresso delle potenze cattoliche per stabilire i mezzi più pronti a rimettere il santo padre ne’ suoi Stati e nella sua piena libertà ed indipendenza, proposizione a cui aveano ade rito le diverse potenze cattoliche, e per la quale attendevasi l’adesione delle altre, la è triste cosa il dire che gli affari dello Stato pontificio son rimasti in preda ad un incendio de vastatore ed abbandonati ad un partito sovversivo d’ogni istituzione sociale, e che, sotto speciosi pretesti di nazionalità e d’indipendenza, non trascurò cosa alcuna per raggiungere il colmo dell’iniquità. Il sedicente fondamentale decreto, emanato il 9 di questo mese dall’Assemblea costituente romana, è un atto che dimostra, il più nero tradimento e la più abbominevole empietà. Esso dichiara in particolar modo il papato decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato romano, proclama una Repubblica, ed un altro decreto ordina la distruzione delle insegne del santo padre. Sua Santità, vedendo così oltraggiata la sua dignità di pontefice e di sovrano, ha protestato in faccia a tutte le potenze, a tutte le nazioni ed a tutti ed a ciascun cattolico del mondo intiero, contro tale eccesso di irreligione, contro un delitto sì violento di spogliazione de’ suoi imprescrittibili e sacri diritti. Se quest’attentato non viene susseguito da una pronta riparazione, il soccorso non giungerebbe che quando gli Stati della Chiesa, oggidì in preda dei loro più accaniti nemici, sarebbero come pletamente ridotti in cenere. Perciò il santo padre, avendo esaurito tutti i mezzi che erano in suo potere, spinto dal dovere che gli incombe, in faccia a tutto il mondo cattolico, di conservare in tutta la sua integrità il patrimonio della Chiesa e la sovranità che vi è annessa come indispensabile per mantenere la sua piena li bertà ed indipendenza come capo di questa Chiesa; penetrato d’altra parte dai gemiti degli uomini dabbene che altamente reclamano aiuto e soccorso, e che non possono più lunga mente sopportare un giogo di ferro ed una mano tirannica, il santo padre sì volge nuovamente verso quelle stesse po tenze, e specialmente verso quelle che sono cattoliche, e che, con sì gran generosità di cuore ed in modo non equivoco, hanno manifestato la loro ferma volontà di difendere la sua causa, tenendo per certo ch’esse vorranno concorrere con la più viva sollecitudine, per mezzo del loro intervento morale, a ristabilirlo nella sua sede e nella capitale di quei dominii che gli sono stati costituiti per mantenere la sua piena li bertà ed indipendenza, e che d’altronde sono guarentiti da tutti i trattati che formano la base del diritto pubblico eu ropeo. E poichè l’Austria, la Francia, la Spagna ed il regno delle due Sicilie, trovansi per la loro posizione geografica in situa zione di poter prontamente concorrere colle loro armi a ri stabilire, nei dominii della santa sede, l’ordine travolto da un’orda di settarii, il santo padre, affidandosi all’interesse re ligioso di queste potenze, figlie della Chiesa, chiede con piena certezza il loro intervento armato per liberare specialmente lo Stato della santa sede, dalla fazione de miserabili che vi esercitano con ogni sorta di delitti il più atroce dispotismo. In tal modo soltanto potrà l’ordine venir ristaurato negli Stati della Chiesa, ed il santo padre ristabilito nel libero eser cizio di sua suprema autorità, come imperiosamente esigono il suo augusto carattere, gli interessi della Chiesa universale e la pace dei popoli. Gli è in tal guisa ch’egli potrà conservare quel patrimonio ch’egli ha ricevuto, in occasione del suo innalzamento al pontificato, per trasmetterlo nella sua inte grità ai suoi successori. La sua causa è la causa dell’ordine del cattolicismo. Il santo padre ha perciò la fiducia che tutte le potenze colle quali è in amichevoli relazioni, e che, nelle diverse fasi della situazione alla quale fu ridotto da un partito di faziosi, gli hanno manifestato il loro più vivo interesse, presteranno il loro appoggio morale all’intervento armato che la gravità delle circostanze l’obbliga ad invocare. Le quattro potenze sovran nominate non esiteranno un momento a prestargli la coope razione ch’ei richiede da esse, rendendo così un immenso ser vigio all’ordine pubblico ed alla religione. Il sottoscritto, cardinale prosegretario di Stato di S. S., re clama da Vostra Eccellenza ch’ella abbia la compiacenza di portare il più presto possibile la presente nota a comoscenza del suo governo, e colla fiducia del benevolo accoglimento che il medesimo attende, ha l’onore di esprimervi i suoi senti menti di distinta considerazione.
firmato: Cardinale ANTONELLI.

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