Cinema e Indipendenza in Africa

Cinema e Indipendenza in Africa

Titolo originale: Cinema et Independance en Afrique
Autore: Camille D’Almantrule

Categoria: Saggi tradotti di Cinema

Indice

Cinema e Indipendenza in Africa

Nel 1958, dopo quasi un secolo di colonizzazione, la Guinea fu il primo Paese Africano a raggiungere l’indipendenza. E bisognerà attendere il 1990, data dell’indipendenza del Namibia, affinché l’Africa possa finalmente essere liberata da ogni presenza coloniale[1]Decolonisation, Afrique Annuaire. Da 56 anni, il continente africano ha quindi cercato di ricostruirsi, lontano dal giogo delle potenze europee e americana. Tuttavia, l’impronta lasciata dai coloni è molto profonda, ci vuole tempo perché svanisca. Pertanto, si può sempre osservare un collegamento importante tra l’Africa e i paesi del Nord, come ad esempio nella creazione del cinema africano.
Quando si parla di cinema africano, è necessario prima di tutto cercare di definire questo termine. Qualunque film girato in Africa è africano? Qualunque film di un regista africano? Il Paese di produzione è africano? Quale posto dovrebbe essere dato ai film di immigrati? Dovremmo stabilire la differenza tra cinema magrebino e cinema subsahariano? La definizione fondamentale che sembra possibile fare è caratterizzare questo cinema come dotato di un Regista africano, magrebino compreso, ma anche di identità ed esperienza della realtà Africana. Il periodo scelto per studiare questo cinema africano è quello dell’indipendenza, dal 1958, ad oggi, perché è con la libertà che è apparso lo slancio africano autonomo per fare film. Se c’è davvero una cinematografia dell’Africa prima della decolonizzazione, è però totalmente controllata e manipolata dai coloni, tutta la produzione di film africani è stata bandita dal governo francese e servita a “rafforzare la fede nella superiorità europea”[2]ALDSTADT D., HIPPOLYTE JL, Septième Art, Thomson Heinle, Boston, 2008, p.170. Quanto ai coloni, nel caso dell’Africa, ciò riguarda la maggior parte dei paesi europei, principalmente Francia e Inghilterra.
Si sente così il tenue rapporto tra cinema e indipendenza, il primo emergente dal secondo negli anni ’60, e la marcia africana verso l’indipendenza più completa si rivela attraverso le opere filmiche prodotte da allora. Una domanda nasce allora, sulla natura e l’evoluzione dei legami tra l’arte dello schermo e gli ex paesi coloniali, vista la loro originaria influenza sulle produzioni filmiche: come si è davvero liberato dal colonialismo il cinema africano?
Si tratterà innanzitutto di osservare come il cinema africano mostra il desiderio di avere una creazione autonoma, indipendente e identitaria, allora come si scontra questa iniziativa con la presenza e l’influenza ancora importante degli ex paesi colonizzatori, in ordine mettere finalmente in discussione l’idea forse utopica di un cinema assolutamente africano.
Il cinema africano ha mostrato dagli anni ’60 un profondo desiderio di creazione autonoma, libera e identitaria. Anzi i registi di questo continente in primo luogo vedono in essa un mezzo per affermare la propria identità, per ricomporre la propria immagine contro quella creata e propagata dai coloni, per ricostruire. Esiste quindi una “coincidenza tra l’indipendenza africana e l’emergere del cinema in queste nuove nazioni”[3]PFAFF F., A l’écoute du cinéma Sénégalais, L’Harmattan, Collection Images Plurielles, Paris, 2010. Ousmane Sembène[4]Ousmane Sembène, 1923-2007, è un regista senegalese autodidatta di più di quindici film, tra 1962 e 2004. È stato il primo a far conoscere al mondo l’esistenza del cinema africano., il “padre del cinema africano” così com’è spesso chiamato, disse in una rivista nel 1974: “il nostro stato normale era obbedire. Era normale che l’europeo ci desse degli ordini ed era normale che noi gli obbedissimo”[5]SEMBENE O. in “Cinema Quebec”, vol 3, n° 9-10, agosto 1974.
C’è quindi una riflessione completamente nuova sugli africani dopo l’indipendenza, sulla loro propria condizione, che cambia radicalmente. Uno dei primi documentario senegalese Une nation est née, di Paulin Soumanou Vieyra, prodotto nel 1961, riflette il viaggio dalla colonizzazione all’indipendenza. E come suggerisce il titolo, questa è una nascita. C’è poi un interrogatorio degli africani sul passato e sul futuro dei loro paesi. Appaiono nuove possibilità e una nuova relazione che si stanno stabilendo.

“[Il cinema] partecipa direttamente nel linguaggio delle persone, nei loro concetti e rappresentazioni, la loro percezione della realtà e la loro immaginazione, le loro facoltà di reazione, invenzione e adattamento, in una parola alle loro cultura”
Tahar CHERIAA, Écrans d’abondance ou cinéma de libération en Afrique?, Satpec-Tunisie, Tunis, 1978

Prima degli anni Sessanta, il cinema di riferimento era europeo o americano, esso presentava quindi sempre “gli altri”, mentre con la loro emancipazione, gli africani possono identificarsi con tutti i personaggi:

“Il cinema smette di attirarci verso i miraggi, per noi reinveste nelle nostre realtà, con la nostra grandezza e la nostra miseria, e noi ci riconciliamo con noi stessi confrontandoci con un’immagine, certamente distante, ma non sprezzanti o disprezzati da noi stessi”
Richard B. de MEDEIROS, Le rôle du cinéaste africain dans l’éveil d’une conscience de civilisation noire, Revue Présence Africaine, n° 92, Paris, 2e trimestre 1974, p.40

Si formarono gruppi di cineasti africani, già nel 1952 con il Groupe Africain de Cinema, poi nel 1981 con il Collectif de l’Oeil Vert, che cercava di creare un’identità di questo nuovo cinema.

“Intendiamo sostituire […] [i modi di agire del colonizzatore] con formule dell’uomo nero, trovate dall’uomo nero, adattate alle ambizioni, ai mezzi, alle aspirazioni dell’uomo nero. Ognuno deve ritornare alle fonti culturali e morali dell’Africa, prendere coscienza del proprio valore, riconvertirsi nei propri pensieri e nelle proprie azioni per la sopravvivenza dell’Africa.”
Richard B. de MEDEIROS, op.cit, p.91

Richard Béby de Medeiros, regista africano e professore di letteratura sottolinea l’importanza della ricostruzione identitaria, si tratta di rafforzare la propria Africa. In tal modo il cinema diventa “attore del suo tempo”[6]HAFFNER P., “Le développement urbain et le cinéma” in GARDIES A., HAFFNER P., Regards sur le cinéma negro-africain, 1987, Ocic, Collection Cinémédia, Bruxelles, 1987, p.23, “costruttore d’Africa”[7]Ibid, p.23, nonché un mezzo di rivalutazione e diffusione dell’identità africana: dopo la decolonizzazione della terra, c’è una “decolonizzazione della cultura”[8]GETINO O., SOLANAS F., “Le troisième cinéma et la décolonisation de la culture”, Tricontinental, n°3, 1969pr, un ritorno all’identità originaria. Di più con registi come Sembene, il cinema diventa anche il mezzo per risvegliare la coscienza della civiltà nera, diventa una delle soluzioni per restituire un sentimento di unità ai paesi.
Negli anni ’70 c’era un forte desiderio da parte dei registi e pensatori, ricercatori, di riunire gli africani, di risvegliare la loro coscienza collettiva. C’è un “rinascimento storico”[9]MEDEIROS R., séminaire Le rôle du cinéaste africain dans l’éveil d’une conscience de civilisation noire, Revue Présence Africaine, n°92, Paris, 2e trimestre 1974, p.39, e il cinema ne è diventato uno degli strumenti.
Per Richard de Medeiros, “le opere, una volta prodotte, qualunque siano le lingue che parleranno, diventeranno un potente lievito dell’unità del mondo nero”[10]Ibid, p.39.
Ciò porta ad una riflessione sul ruolo didattico che il cinema dovrebbe assumere:

“Per l’Africa, gli artisti cinematografici devono essere educatori, proseliti, propagandisti: non intendiamo crociati e sostenitori meschini, fanatici o cinici manipolatori. Perché l’idea da manifestare è un’idea nobile la cui evidenza si imporrà solo con il lungo, immenso e ragionato sforzo di persuasione: che l’Africa è una nazione”
Richard B. de MEDEIROS, op. citato, p.35

Ousmane Sembene vuole anche fare film utili agli africani, utili all’Africa, film con uno scopo non commerciale o divertente ma educativo: “la mia ambizione di cineasta africano, è realizzare ‘film-libri’, ‘film scolastici’ o ‘corsi di alfabetizzazione fondamentale'”[11]SEMBENE O., op.cit. Troviamo poi elementi culturali africani come l’uso frequente nelle opere di un narratore, che rimanda alla tradizione della forza orale di questi paesi, come ad esempio nel film La Noire de… di Ousmane Sembene. Esteticamente c’è anche un ritmo e un trattamento del tempo specifico del cinema africano:

Ciò che non è solo senegalese, ma africano per me è la manipolazione del tempo, sia che si tratti della lunghezza dello scatto o della durata dell’azione. Non devi tagliare l’azione, non devi andare veloce, le cose stanno andando a loro agio. […] è molto africano ed è un aspetto che spiazza all’estero”
Lilyan KASTELOOT, intervistata da Françoise PFAFF, 15 giugno 2007, Dakar, in PFAFF Françoise, Listening to Senegalese cinema, L’Harmattan, Collection Images Plurielles, Parigi, 2010

La nuova generazione di registi quindi si orienta, installa i propri codici, rompendo con le abitudini e le concezioni dei colonizzatori, e trova un collegamento con la propria civiltà. Approfittano della loro arte per puntare il dito contro la loro situazione agli africani. Non tutti hanno lo stesso livello di istruzione o lo stesso coscienza di realizzare eventi e possibilità, è quindi il ruolo del regista piuttosto che fornire loro analisi. È in questo senso che nasce la FédérationPanafricaine des Cinéastes (FEPACI) nel 1969, inclusa la Carta dei cineasti africani, che è stata redatta nel 1975, “esprime l’idea che l’obiettivo capitale del cinema africano dovrebbe essere quello di insegnare, informare e promuovere la conoscenza dei temi e dei problemi africani”[12]ALDSTADT D., HIPPOLYTE JL., op.cit, p.171, tanto su scala continentale che mondiale. Tuttavia, questo desiderio di artisti e pensatori africani, essenziali per la creazione di una dinamica autonoma, si scontra con la presenza e l’impronta ancora significativa dei paesi dominanti.
Egli ha innanzitutto una influenza non trascurabile sullo sviluppo delle cinematografie come la Francia o gli Stati Uniti, sull’aspetto economia del cinema africano. Infatti non c’è quasi nessuna sostegno finanziario indipendente per i registi, produttori o distributori africani, il cinema resta a livello di artigianato principalmente sovvenzionato da aiuti governativi, ministeri e Agenzie francesi, organizzazioni europee, quando l’entourage del regista non è sufficiente.
Il ruolo del produttore è spesso svolto da istituzioni come l’Unione Europea, il Ministero della Cooperazione francese o altre organizzazioni con fonti di finanziamento, ma non da soggetti la cui funzione essenziale è quella di fornire questo finanziamento e sostenere la creazione di un film. Inoltre, a differenza dei film americani o europei che generalmente hanno un successo commerciale prima ancora di essere in concorso ai festival internazionali, i registi africani hanno molte più difficoltà nel garantire la distribuzione dei loro film senza riconoscimento e visibilità principalmente internazionale. Questo è il motivo per cui i festival svolgono un ruolo importante nella distribuzione dei film, perché l’accesso dei paesi africani al mercato cinematografico mondiale è un vero problema. Ci sono leggi sulle quote, derivanti dal Blum-Byrnes, che unisce gli Stati Uniti e la Francia, che lasciano una percentuale troppo piccola ai film non euramericani che entrano nelle loro sale. Questi limiti alla quota dei film stranieri in programma nei cinema francesi o nordamericani sono quasi proibitive per l’esportazione di film africani. E mentre consentono lo sfruttamento dei film africani, anche gli Stati Uniti hanno conquistato i mercati dell’Africa negli anni ’60, per poter trasmettere lì i loro film, raddoppiando o triplicando i loro ricavi netti a partire da cinque paesi: Ghana, Gambia, Sierra Leone, Liberia e Nigeria[13]GUBACK Thomas, Comunicazione al Rencontres Internationales pour un nouveau cinéma, Montréal, 2-8 gugno 1974, in CHERIAA Tahar, Op. Cit. Si scopre anche che il 50% dei profitti delle vendite dei distributori americani provengono dai paesi del Terzo Mondo: i grandi distributori francesi o americani possiedono effettivamente i distributori africani. Il COMACIO (Compagnie Africaine Cinématographique et Industrielle et Commerciale) e la SECMA (Société d’exploitation cinématographique africaine) ad esempio sono state entrambe acquistato dal gruppo francese UGC negli anni ’70[14]CHERIAA Tahar, Op.Cit, p.58. E in Africa, “è il distribuzione che domina il mercato” e “ispira le sue mode”[15]CHERIAA Tahar, Ibid, p.58:

“Le persone che fanno parte dei comitati e che decidono in merito ai budget da destinare ai film africani hanno la loro visione paternalistica dell’Africa, di un’Africa arretrata, e questo si riflette nelle sceneggiature che essi finanzano.”
Cheikh Ngaïdo Ba, intervista di Françoise PFAFF, 11 ottobre 2006, Dakar, in PFFAF Françoise, Op.Cit

Il posto e il ruolo degli stranieri supera quindi quasi quello del regista, loro sembrano essere onnipresenti nel processo creativo: produzione, distribuzione, dove hanno persino dal 50 all’80% degli impiegati tecnici francesi quando vengono forniti i finanziamenti dall’Europa[16]BARLET Olivier, Les cinémas d’Afrique des années 2000, perspectives critiques, L’Harmattan, Collection ImagesPlurielles, Paris, 2012. Se l’indipendenza finanziaria garantisse la libertà di espressione e di pensiero all’Africa, resta per il momento troppo complicata da realizzare, perché nessuna industria africana è ancora in attività. Tuttavia, Yann Raymond osserva che “l’arrivo delle nuove tecnologie a basso costo la promuovono attivamente”[17]RAYMOND Yann, “l’Afrique? Quel Cinéma!” de Guido Convents, Objectif-cinéma.com, ottobre 2003, objectif-cinema. Quindi il cinema africano ha bisogno per il momento dell’aiuto dei paesi del nord, perché senza di esso non potrebbe tentare di svilupparsi, e questo pur rischiando di rimanere totalmente e definitivamente dipendente. Un’altra influenza del Nord con la quale il cinema studiato si scontra è leggermente meno percettibile ma ugualmente potente, l’influenza culturale.
Il cinema è arrivato in Africa con il colonialismo, è un’arte nata nell’Europa, che si è diffusa a macchia d’olio negli Stati Uniti e che ha avuto il successo in occidente di cui siamo a conoscenza. Come rendere questo cinema culturalmente occidentale un’arte africana a sé stante e diversa da quella francese o americana? I registi africani riconoscono di avere come fonte di influenza e come primi ricordi cinematografici i film di Hollywood, che ad esempio hanno ispirato Moctar Ba, oroduttore e regista senegalese, a fare film[18]BA Moctar, intervista di PFAFF F. in Op. Cit. La cultura americana, veicolata dai film, è ancorata nei vari paesi africani, diviene una componente determinante e in parte irreversibile delle culture africane di oggi.
Così il modo di produzione hollywoodiano è uno dei primi modelli per gli africani: dal 1992 si chiama “Nollywood”[19]Seconda potenza cinematografica al mondo, dopo l’India e prima dell’America. il blockbuster nigeriano. Tuttavia, questa modalità di produzione a catena non sviluppa il cinema africano su una più ampia scala, c’è solo una ricerca di sfruttamento e profitto modellata sul funzionamento di Hollywood, sono film ultra-codificati che ripetono sempre lo stesso schema narrativo.
Accanto a questa macchina, i piccoli film nuovi, che potrebbero essere qualificati come artistici, intellettuali o di contestazione, non riescono a trovare finanziamento o pubblico, perché non corrispondono ai codici ancorati nei finanziatori o spettatori. C’è una sorta di “stimolazione” a livello dei temi dei film tradizionali (storie d’amore, miracoli religiosi), nonché un certo retaggio della censura coloniale. Férid Boughédir, figura importante del successo tunisino, scrisse nel 1974 che era addirittura “prematuro voler fare subito una nuova arte del cinema in Africa”[20]BOUGHEDIR F., in Séminaire sur le rôle du cinéaste africain dans l’éveil d’une conscience de la civilisation noire, Revue Présence Africaine, n°92, Paris, 2e trimestre 1974: secondo lui la generazione degli anni ’70 è ancora troppo strettamente legata al colonialismo culturalmente parlando, non può ancora fiorire nell’arte cinematografica. Inoltre, la formazione dei direttori è molto spesso realizzata all’estero, come si può allora parlare di specificità africana? Tahar Cheriaa, co-fondatore di FESPACO[21]Festival Panafricain du Cinéma de Ouagadougou, creato nel 1969, da Ousmane Sembène e Tahar Cheriaa, arriva a dire che “il cinema africano fa a meno degli africani”[22]CHERIAA Tahar, Op. Cit, p.78. Il cinema è quindi intimamente legato alla cultura occidentale, che oltretutto mantiene un potere economico significativo su tutte le creazioni africane. A lui sembra quindi utopico voler realizzare un cinema puramente africano.
Per creare un cinema prettamente africano, sembra fondamentale cambiare la mentalità, e seguire l’evoluzione delle priorità e degli ostacoli in Africa. Le condizioni di vita e sviluppo della maggior parte dei paesi africani sembrano incapaci di fare spazio al cinema per il momento. Eppure è stato dimostrato quanto il fatto che dare più spazio ai “films-livres” o “films-école” di cui parla Ousmane Sembene potrebbe essere dei salvatori, anche se questo non rappresenta l’intero paesaggio del cinema africano. Inoltre, alcuni paesi non hanno più cinema. Secondo Pietro Haffner, “Il cinema africano deve la sua sopravvivenza solo al coraggio politico o alla combattività dei suoi autori”[23]HAFFNER P., “Le développement urbain et le cinéma” in GARDIES A., HAFFNER P., Op.Cit, p. 103. La priorità non è lo sviluppo di un’arte nei paesi dell’Africa, e le stesse mentalità africane devono cambiare in relazione al cinema, al fine di supportare al meglio gli amministratori nella loro missione.

Affinché il cinema presenti le realtà umane, le questioni sociali e culturali africane e alimentare il pensiero dei popoli africani sul proprio destino, è necessario che alcuni leader politici del nostro continente mettano fine alla loro concezione che vuole che l’arte faccia più male della realtà e che accettino che il regista come un essere moderno e non un tradizionale griot che può mangiare solo dopo aver lusingato il re.
Alkaly KABA, in Le rôle du cinéaste africain dans l’éveil d’une conscience de civilisation noire, Revue Présence Africaine, n°92, Paris, 2e trimestre 1974, p.93

Hanno bisogno di rieducare la loro visione dell’arte cinematografica. Ma gli stati che hanno i mezzi si concentrano maggiormente sulla radio o sulla televisione, che sono mass media politicamente più interessanti di un cinema che educa i critici e denuncia la disuguaglianza.
C’è anche un certo problema di connessione tra le diverse generazioni di registi: se gli anziani si battevano per fare film, questo è tutto quello che hanno lasciato. Ci sono davvero pochissime infrastruttura per gli altri per poter fare film.
Ma l’arte cinematografica e la volontà degli artisti che la concepiscono come tale rimangono presenti e si stanno compiendo degli sforzi, come l’importante Dichiarazione di Ouagadougou, redatta il 27 febbraio 2013, che invita a considerare il cinema e la creazione cinematografica a scala continentale, di tutti gli Stati africani. Egli deve quindi cambiare le mentalità africane e le loro concezioni del cinema per poterlo fare presentarli a questo cinema, che consentirebbe loro ancora una nuova evoluzione verso il di più riconoscimento di sé e verso l’indipendenza culturale. Tuttavia, l’impatto di i coloni e l’invisibile neocolonialismo che ancora si sente in Africa non può esserlo sradicato a favore di un cinema veramente africano. Sembra che la singolarità di a Il cinema africano sta in questo particolare rapporto tra una cultura e l’altra.
L’influenza dei coloni trascende il tempo e non può essere negata o cancellata. Fa ormai parte dell’identità africana. Se è essenziale che gli africani si ripensino come popolo unito e unico, non possono farlo senza guardare e riflettere sulla loro storia. È lei che fa la grandezza del loro popolo, è lei che può fare la grandezza del loro cinema.
La concezione della futura produzione dei film africani è quella di una struttura economico dello stesso genere di quella del cinema occidentale, una struttura essenzialmente commerciale. Questo rischia di creare una sovrapproduzione di film solo per cercare di stabilire un equilibrio rispetto ai film occidentali e di perdere ogni ricerca della qualità, di perdere la ricerca iniziale di un cinema di riflessione e risveglio. Il cinema può in Africa, ripensarsi, con un sistema diverso, lontano dagli errori e dai circoli viziosi del cinema europeo o americano. Férid Boughédir, ad esempio, immagina un cinema rurale e quasi gratuito, con una moltiplicazione dei punti di proiezione, grazie all’aiuto della TV se necessario, perché è molto diffusa. Sono in corso nuove forme di diffusione e sperimentazione, come la “mobicine” che da allora si è costituita in Senegal dal 2011, dove è la proiezione che arriva allo spettatore, soprattutto nelle scuole per provare ad educare i giovani.
Gli attori del cinema africano devono fare affidamento su quanto fatto per superare la situazione attuale. Dobbiamo cercare di fare meglio dei coloni.

“Il riferimento alla Francia non può ancora essere un riferimento estetico, non può essere un riferimento ideologico. Lei può solo essere un riferimento in termini di strumenti efficaci o inefficaci”
Etienne MINOUNGOU, in Siegfried FORSTER, “la nouvelle politique du cinéma en Afrique”, ,a href=”rfi.fr”>rfi.fr, pubblicato l’1/03/2013

L’indipendenza cinematografica non impedisce un occhio critico e l’ispirazione (inevitabile, come in tutta l’arte) da quanto già fatto. I ponti con i paesi del nord non possono essere tagliati, ma l’Africa può scegliere dove e come collocarli.
Sembra quindi che ci sia sempre un’opera di liberazione da fare nel cinema africano, per un neocolonialismo muto, invisibile, e da cui tuttavia sembra dipendere. La decolonizzazione che ora deve avvenire in Africa ha meno a che fare con il combattere che con un ritorno a se stessi, una rivalutazione della propria cultura. È rafforzare, attraverso il cinema, la fede africana nel proprio popolo, rafforzare la loro unione, al fine di liberarsi e affermarsi in modo completo, indipendente.
Se questo desiderio è essenziale per il cinema africano, si scontra purtroppo con la presenza e l’influenza molto importante in questo ambiente dei paesi dell’Europa e degli Stati Uniti, che risultano essere quelli detentori di tutto il potere. La loro grandissima influenza economica resta per il momento indispensabile per la sopravvivenza del cinema africano, che ha pochi finanziamenti, ma non dovrebbe mantenere questa importanza. L’influenza della cultura di questi paesi sulla produzione e la distribuzione del film “artistico” è ancora più complessa, cancellandone lo spirito.
Sembra quindi difficile, dato il radicamento di queste influenze, già immaginare un cinema veramente e completamente africano, in tutti gli ambiti della produzione, distribuzione, sfruttamento, proveniente dall’Africa, e nutrito dai suoi paesi. Tuttavia, tutto sembra essere in atto nella mente delle persone per muoversi verso questo ideale, dove il termine “cinema Africano” non suonerebbe come una sottoparte del cinema, ma come un cinema tutto nuovo, essendo una reinvenzione della settima arte occidentale, e non una sofferta ricerca della somiglianza a tutti i costi per scopi commerciali.

Bibliografia

ALDSTADT David, HIPPOLYTE Jean-Louis, Septième Art, Thomson Heinle, Boston, 2008
BARLET Olivier, Les cinémas d’Afrique des années 2000, perspectives critiques, L’Harmattan, Collection Images Plurielles, Paris, 2012
CHERIAA Tahar, Écrans d’abondance ou cinéma de libération en Afrique?, Satpec-Tunisie, Tunis, 1978
GARDIES A., HAFFNER P., Regards sur le cinéma negro-africain, 1987, Ocic, Collection Cinémédia, Bruxelles, 1987
GETINO O., SOLANAS F., “Le troisième cinéma et la décolonisation de la culture”, Tricontinental, n°3, 1969
GUBACK Thomas, Communication aux Rencontres Internationales pour un nouveau cinéma, Montréal, 2-8 juin 1974, in CHERIAA Tahar, Op. Cit
PFAFF Françoise, A l’écoute du cinéma Sénégalais, L’Harmattan, Collection Images Plurielles, Paris, 2010
SEMBENE Ousmane in “Cinema Quebec”, vol 3, n°9-10, agosto 1974
Colloque sur Le rôle du cinéaste africain dans l’éveil d’une conscience de civilisation noire, Revue Présence Africaine, n° 92, Paris, 2e trimestre 1974

Sitografia

La décolonisation“, Afrique Annuaire, pas de date de publication visible
FOREST Claude, “Le cinéma en Afrique: l’impossible industrie“, Mise au point, 4 | 2012, pubblicato online il 18/04/2012.
FORSTER Siegfried, “la nouvelle politique du cinéma en Afrique”, rfi.fr, pubblicato l’1/03/2013.
LEQUERET Elisabeth, “Distribution du cinéma africain: pourquoi il faut se battre”, rfi.fr, pubblicato il 11/02/2003, rfi.fr
RAYMOND Yann, “l’Afrique? Quel Cinéma!” de Guido Convents”, Objectif-cinéma.com, ottobre 2003,

Filmografia

SCHNEIDER Franck, SEZIRAHIGA Jadot, Cinémas d’Afrique, les pionniers, (2010), documentario, France, La Huit (Paris) et Kus (Dakar), 24min
SEMBENE Ousmane, La Noire de… (1966), lungometraggio, France, BN, 65min
VIEYRA Paulin, SARR Mamadou, Afrique sur Seine (1955), cortometraggio, France, Groupe Africain de cinéma, BN, 16min
VIEYRA Paulin, Une nation est née (1961), documentario, Sénégal, Ministère de l’Information du Sénégal, BN

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References

References
1 Decolonisation, Afrique Annuaire
2 ALDSTADT D., HIPPOLYTE JL, Septième Art, Thomson Heinle, Boston, 2008, p.170
3 PFAFF F., A l’écoute du cinéma Sénégalais, L’Harmattan, Collection Images Plurielles, Paris, 2010
4 Ousmane Sembène, 1923-2007, è un regista senegalese autodidatta di più di quindici film, tra 1962 e 2004. È stato il primo a far conoscere al mondo l’esistenza del cinema africano.
5 SEMBENE O. in “Cinema Quebec”, vol 3, n° 9-10, agosto 1974
6 HAFFNER P., “Le développement urbain et le cinéma” in GARDIES A., HAFFNER P., Regards sur le cinéma negro-africain, 1987, Ocic, Collection Cinémédia, Bruxelles, 1987, p.23
7 Ibid, p.23
8 GETINO O., SOLANAS F., “Le troisième cinéma et la décolonisation de la culture”, Tricontinental, n°3, 1969pr
9 MEDEIROS R., séminaire Le rôle du cinéaste africain dans l’éveil d’une conscience de civilisation noire, Revue Présence Africaine, n°92, Paris, 2e trimestre 1974, p.39
10 Ibid, p.39
11 SEMBENE O., op.cit
12 ALDSTADT D., HIPPOLYTE JL., op.cit, p.171
13 GUBACK Thomas, Comunicazione al Rencontres Internationales pour un nouveau cinéma, Montréal, 2-8 gugno 1974, in CHERIAA Tahar, Op. Cit
14 CHERIAA Tahar, Op.Cit, p.58
15 CHERIAA Tahar, Ibid, p.58
16 BARLET Olivier, Les cinémas d’Afrique des années 2000, perspectives critiques, L’Harmattan, Collection ImagesPlurielles, Paris, 2012
17 RAYMOND Yann, “l’Afrique? Quel Cinéma!” de Guido Convents, Objectif-cinéma.com, ottobre 2003, objectif-cinema
18 BA Moctar, intervista di PFAFF F. in Op. Cit
19 Seconda potenza cinematografica al mondo, dopo l’India e prima dell’America.
20 BOUGHEDIR F., in Séminaire sur le rôle du cinéaste africain dans l’éveil d’une conscience de la civilisation noire, Revue Présence Africaine, n°92, Paris, 2e trimestre 1974
21 Festival Panafricain du Cinéma de Ouagadougou, creato nel 1969, da Ousmane Sembène e Tahar Cheriaa
22 CHERIAA Tahar, Op. Cit, p.78
23 HAFFNER P., “Le développement urbain et le cinéma” in GARDIES A., HAFFNER P., Op.Cit, p. 103

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