Progetto di legge per la soppressione degli Ordini monastici

Progetto di legge ministeriale sulla soppressione degli Ordini monastici presentato alla Camera dei Deputati il giorno 28 novembre 1854

VITTORIO EMANUELE II. ecc. ecc.

Art. 1. Eccettuate le Suore di Carità e di S. Giuseppe, non che quelle comunità degli Ordini monastici e delle corporazioni regolari e secolari d’ambo i sessi, che sono precipuamente destinate od all’educazione, od all’istruzione pubblica, od alla predicazione ed assistenza degli infermi, e che saranno come tali nominativamente designate in apposito elenco da pubblicarsi con decreto Reale contemporaneamente alla presente legge, tutte le altre comunità e gli stabilimenti di qualsiasi genere dei detti Ordini e delle dette corporazioni esistenti nello Stato sono soppressi, e non potranno essere ricostituiti salvo in forza di legge.

Art. 2. Il numero dei membri appartenenti alle comunità conservate potrà essere determinato con decreto Reale, in modo che non si abbia ad eccedere quello che venisse stabilito. Potranno pure con decreto Reale stabilirsi le norme e le condizioni che dovranno essere osservate dalle dette comunità per la loro conservazione nei Regii Stati.

Art. 3. Dal giorno della promulgazione della presente legge, le disposizioni contenute nell’articolo 744 del Codice civile non saranno ulteriormente applicabili ai membri delle comunità e stabilimenti soppressi in forza del articolo 1. Essi membri si troveranno senz’altro nella condizione contemplata dal successivo articolo 745 dello stesso Codice, salvi i diritti che si fossero legittimamente acquistati dai terzi.

Art. 4. Sono parimente soppressi i Capitoli delle Chiese collegiate, i quali non abbiano annesso alcun servizio, che debba compiersi personalmente da chi né sia provvisto.
Potranno tuttavia, con Regio decreto da pubblicarsi pure contemporaneamente alla presente legge, essere conservati alcuni Capitoli delle chiese collegiate insigni stabiliti nelle città principali del Regno.
Sarà provveduto con decreto Reale per la fissazione d’una conveniente abitazione, e di un assegnamento di congrua, ove né sia il caso, a favore del provvisto; non che per la nomina del beneficiario.

Art. 6. Tutti indistintamente i beni, i diritti e le azioni spettanti alle comunità e stabilimenti soppressi in virtù delle precedenti disposizioni, e salve solo le modificazioni infra espresse, sono posti sotto l’amministrazione del demanio dello Stato, il quale procederà alla loro occupazione e descrizione in conformità delle istruzioni, che verranno date, di concerto, dai ministri delle finanze, e degli affari ecclesiastici. Il reddito di essi beni, unitamente alla somma, che si percepirà dalla quota di concorso infra imposta, dovrà versarsi in una cassa particolare, e sarà esclusiva mente erogato nei seguenti usi ecclesiastici, cioè:
1. Nel pagamento delle pensioni, che verranno come in appresso assegnate ai membri delle comunità e degli stabilimenti soppressi;
2. Nella corresponsione di più bisognosi dello Stato.
Un congruo supplimento ai parrochi.
Questa corresponsione dovrà essere regolata in modo, da assicurare a tutti i parrochi una congrua dell’annua rendita di lire 1,000, concedendo il relativo supplimento da prima a quelli che né godono sin ora sul bilancio dello Stato, e quindi agli altri.
3. Nella soddisfazione della somma, che sarà necessaria per il Clero dell’Isola di Sardegna in dipendenza dell’abolizione delle decime.

Art. 7. Dovranno però regolarmente venire soddisfatti i servizi religiosi ed i pesi tutti legittimamente imposti sopra i detti beni.
E quanto alle chiese delle comunità e degli stabilimenti soppressi, sarà provveduto alla loro officiatura a seconda delle circostanze e dei bisogni delle popolazioni.

Art. 8. I membri dei capitoli delle chiese collegiate, non che i provvisti dei beneficii soppressi godranno, durante la loro vita, del reddito di essi beneficii in quell’annua somma, che sarà stabilita dietro il risultato dell’ultimo quinquennio, detratto, ben inteso, il montare dei pesi, di cui nell’articolo precedente, e soddisfatta la quota di concorso, di cui infra.

Art. 9. Trattandosi di canonicati e di beneficii di patronato laicale, la proprietà dei beni, che né costituiscono la dote, spetterà per metà al patrono o patroni, cui apparterrebbe l’esercizio del dritto di patronato al momento della pubblicazione di questa legge, è l’altra metà sarà erogata négli usi indicati nell’art. 6, e soggetta quindi alle disposizioni in esso articolo stabilite.
Qualora il patronato attivo fosse distinto dal passivo, la metà di proprietà sopra assegnata al patrono dovrà ripartirsi in parti uguali tra l’attivo ed il passivo.

Art. 10. Le monache e religiose professe, non che i monaci o religiosi, i quali sieno insigniti del sacerdozio, o abbiano conseguito alcuni degli ordini maggiori, appartenendo alle comunità ed agli stabilimenti soppressi in forza dell’art. 1, godranno dal giorno della loro uscita dal chiostro della seguente annua vitalizia pensione, cioè:
Di L. 800 se hanno compiuta l’età di anni 70
Di L. 700 se hanno compiuta l’età di anni 60
Di L. 500 se hanno compiuta l’età di anni 40
Di L. 400 se hanno compiuta l’età d’anni 30
Di L. 240 quando abbiano un’età minore degli anni 30.

Art. 11. I servienti d’ambo i sessi e d’ogni età, i quali abbiano emessi voti semplici, e prestino servizio da dieci anni prima della promulgazione di questa legge, avranno diritto ad un’annua vitalizia pensione di L. 300, se hanno compiuta l’età di anni 40; di L. 240, se sono di un’età minore.

Art. 12. La pensione conceduta in virtù di questa legge cesserà ogni qualvolta il provvisto rientri in uno stabilimento religioso o monastico, sia nello Stato, sia all’estero, come pure sempreché sia dal Governo, o altri menti provveduto di uno stabile o corrispondente mezzo di sussistenza.

Art. 13. Non potranno godere di detta pensione:
1. I membri delle comunità e degli stabilimenti soppressi, i quali ritenessero la cura d’anime, di cui nell’art. 5;
2. Coloro che appartengono a congregazioni secolari, ed altre non colpite dalla disposizione dell’art. 714 del Codice civile, salvo non abbiano mezzi proprii di sussistenza corrispondenti alla pensione che potrebbe loro spettare;
3. Gli stranieri, ai quali potrà essere corrisposta sopra la domanda una indennità di L. 300 per ripatriare, oltre la restituzione delle somme, che si fossero per avventura da essi pagate per il loro ingresso nell’ordine religioso o monastico;
4. Quelli che al tempo della presentazione di questa legge al Parlamento non abbiano già emessi i voti e compiuta la professione religiosa.

Art. 14. I monaci o religiosi, e le monache o religiose, che abbiano pagata una determinata somma per il loro ingresso nell’Ordine monastico, o regolare, saranno in diritto di chiederne la restituzione, e tale somma sarà loro pagata col prodotto della cassa contemplata nell’art. 6. In tal caso non godranno della pensione loro conceduta da questa legge.

Art. 15. Per meglio e più efficacemente provvedere agli usi ecclesiastici indicati nell’art. 6, è imposta sugli enti e corpi morali in appresso designati, una quota di annuo concorso, la quale è stabilita nei modi e nelle proporzioni seguenti:
Abbazie, beneficii canonicali e semplici, fabbricerie, sacristie, opere di esercizi spirituali e santuarii; sopra il reddito di qualunque natura, o provenienza eccedente le L. 1m in ragione del 5 per cento sino alle L. 5m, in ragione del 12 per cento dalle L. 5m sino alle L. 10m, finalmente in ragione del 20 per cento sopra ogni reddito maggiore.
(b) Beneficii parrocchiali, nella stessa e medesima proporzione, par tendo però soltanto dal reddito eccedente le L. 2m.
(c) Seminarii e convitti ecclesiastici sopra il reddito eccedente le L. 10m sino alle L. 15m in ragione del 5 per cento; dalle L. 45m sino alle L. 25m in ragione del 10 per cento; e finalmente in ragione del 45 per cento per ogni reddito maggiore.
(d) Arcivescovadi e Vescovadi in ragione del terzo del reddito sopra la somma eccedente le L. 18m quanto ai primi, e le L. 12m rispetto agli altri.

Art. 16. La quota di concorso sopra imposta sarà rispettivamente fissata sulle basi della consegna prescritta dalla legge 23 maggio 1851, e vi saranno applicabili le norme di riscossione stabilite colla legge medesima.

Art. 17. Il Governo è autorizzato a destinare per uso di pubblici servizii, e ad alienare alle provincie e municipii, non che ai privati, i beni, diritti od azioni, di cui nell’art. 6.

Art. 18. Il valore degli immobili e dei mobili, che saranno destinati a pubblico servizio, dovrà essere determinato da apposite perizie néi modi che verranno stabiliti da un regolamento da approvarsi con decreto reale.
Per la somma corrispondente al valore, così accertato, dei detti stabili e mobili, il Ministro delle finanze emetterà a favore della cassa stabilita coll’art. 6, cedole a carico dello Stato portanti annualità perpetue alla ragione del 4 per cento.

Art. 19. L’alienazione dei predetti stabili e mobili, se sarà fatta a favore delle provincie e dei municipii, potrà aver luogo per trattativa privata dietro perizia per l’accertamento del loro valore da eseguirsi nella conformità che sarà pure prescritta nel regolamento, di cui nell’articolo precedente.
Sul valore dei beni in questa guisa stabilito, le provincie ed i manicipii, che né faranno l’acquisto, corrisponderanno alla detta cassa l’interesse in ragione del 4 per cento: più l’1 per cento per fondo disdebitazione.
Mediante questo pagamento saranno liberati nel periodo d’anni 42.

Art. 20. Se l’alienazione avrà luogo in favore dei privati, dovrà farsi ai pubblici incanti, salvo se si tratti di stabili o mobili, il cui valore non ecceda le L. 1,000; i quali potranno anche alienarsi a trattative private.
Dopo la diserzione di due incanti, il Ministro potrà ordinare la vendita anche degli altri a trattative private.
Il prezzo, che si ricaverà da queste alienazioni, sarà versato nella cassa dello Stato, e formerà un’apposita categoria del bilancio attivo. In corrispondenza però il Ministro delle finanze emetterà a favore della cassa, di cui all’art. 6, cedole a carico dello Stato, conformi a quelle, di cui all’art. 18, e portanti la stessa rendita.

Art. 21. I Ministri degli affari ecclesiastici e delle finanze renderanno annualmente conto al Parlamento della cassa stabilita all’art. 6.

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