Il socialismo riformista secondo Turati

Il Partito Socialista e l’attuale momento politico

Articolo di Filippo Turati pubblicato su “Critica Sociale” il 16 luglio 1901.

Categoria: Socialisti

Le dispute, che si fanno un po’ dappertutto, in torno all’atteggiamento del partito socialista nelle presenti vicende della politica italiana, e l’imminenza di una discussione in proposito nelle Assemblee della Federazione socialista milanese, mi consigliano di stringere in brevi appunti quelli che a me sembrano i dati essenziali della questione.
La gravità, innegabile, del momento politico; le conseguenze che da uno o da altro atteggiamento da noi preso scaturiranno, non solo per l’avvenire del partito, ma altresì – ciò che è assai più importante – per l’avvenire di tutto il movimento proletario italiano, esigono che ciascun socialista, la quale abbia voce o rappresentanza nel partito, esponga nettamente i suoi criteri, e elica, senza esitanze o mezzi termini, a quale indirizzo aderisce.
Sarà utile rifarci ai principii e chiedere ad essi il lume e la guida.

1. – I CARDINI DELLA DOTTRINA

I principii fondamentali della dottrina, onde il partito socialista s’ispira, si possono, all’ingrosso, formulare cosi:
1° In primo luogo, il partito socialista pensa che si debba agevolare la naturale evoluzione la quale porta la società a sostituire la proprietà e la gestione collettiva alla proprietà e alla gestione privata dei mezzi di produzione; e questo è il collettivismo.
2° In secondo luogo, esso pensa – conforme alla concezione del materialismo economico – che quest’opera di progressiva espropriazione e socializzazione non possa prepararsi né compiersi se non dalla classe più direttamente interessata – il proletariato – contro la resistenza più o meno viva delle altre classi sociali; e questo si risolve nel riconoscimento e nel metodo della lotta di classe.
3° In terzo luogo, è pensiero comune del partito socialista che la trasformazione sociale detta di sopra non possa farsi né per decreti dall’alto, né per impeti subitanei dal basso, ma presupponga tutta una lenta e graduale trasformazione, anzitutto dell’ossa tura industriale (e questa è in via di farsi da sé, e poco o nulla vi può l’azione individuale e dei partiti), poi, e coerentemente, una trasformazione e un eleva – mento, non meno lenti e graduali, del pensiero, delle abitudini, delle capacità delle stesse masse proletarie. Questo elevamento non avviene per rivelazione in mistica o per trasfusione precettuale; bensì coll’esercizio, che crea le forze, e colle riforme, che o rendono l’esercizio possibile, o ne fissano i risultati e le conquiste in istituti legali.

2. – L’AZIONE PRATICA. ORGANIZZAZIONE ECONOMICA E CONQUISTA DEI POTERI

Ed è questo il campo dell’azione quotidiana del partito, indicato, più o meno esattamente e completamente, dal programma minimo: il quale però, come fu abbastanza bene avvertito dal Congresso di Roma, non è qualcosa di per sé stante, avulso dalle supreme finalità del partito, ma costituisce con queste un solo programma, e sta ad esse come la via sta alla meta. E poiché la via non è piana e tutta misurabile all’occhio, ma è ingombra di ostacoli e nasce, a dir come, sotto i piedi man mano che si procede, così l’attuazione del programma minimo non segue alcun ordine cronologico prestabilito; quello, che ieri appariva come l’ostacolo maggiore, può diventare oggi innocuo e domani magari ci può venire in sussidio; qui dunque è il campo nel quale il partito socialista non può mai ricorrere a ricette preordinate, ma deve avere e conservare la testa sulle spalle, regolandosi a seconda delle mutabili contingenze di fatto.
Tuttavia, in questo mare movente dell’azione quotidiana, due punti saldi sono stati fissati come schemi, sopra i quali ogni azione del partito si svolge: da un lato, l’organizzazione economica del proletariato, ordita specialmente sulla trama della resistenza, effettiva o virtuale; dall’altro, l’azione politica e legislativa, conducente alle riforme e alla graduale conquista dei pubblici poteri; conquista che non si opera col personale insediarsi di alcuni socialisti in cariche determinate, ma colla crescente pressione degli interessi proletari sulla politica generale dello Stato. Anche questi due schemi, del resto – organizzazione economica e azione politica – non stanno disgiunti, sono anzi strettamente connessi; un’azione politica efficace non s’intende senza il sussidio di una classe proletaria saldamente organizzata e, per via dell’organizzazione, resa cosciente; né s’intende di più una poderosa organizzazione proletaria senza guarentigie politiche e senza che uno spirito di conquiste po litiche la animi e la sospinga.

3. – PRESUPPOSTI E METODI DI LOTTA

Ma perché l’azione quotidiana del partito socialista possa svilupparsi su questi due schemi, e influire sulle grandi masse del proletariato moderno e, di rimbalzo, sulla legislazione dello Stato, l’esperienza insegnò essere condizione imprescindibile l’uso, da parte delle masse, dei diritti politici elementari: le libertà fondamentali (riunione, associazione, coalizione, stampa, propaganda) e il diritto di voto.
Finalmente l’esperienza storica insegnò al partito socialista che le classi possidenti sono lungo dal costituire, come qualche semplicista aveva da principio proclamato, una “unica massa reazionaria”; al contrario, pur avendo un interesse comune fondamentale, opposto o diverso da quello del proletariato, le classi possidenti si distinguono, nella vita quotidiana, per un cumolo di contrasti più o meno latenti.
Quest’insegnamento segnò una nuova fase nella tecnica del movimento socialista. Esso ebbe, per la politica proletaria, un’importanza paragonabile a quella di qualsiasi grande scoperta scientifica in altri campi del progresso umano. Essa apprese al proletariato la tattica di Orazio romano contro i Curiazi, l’arte cioè di disgiungere il nemico e incalzarne separatamente le varie frazioni; più ancora, di allearsi tal volta con una o parecchie di esse contro l’altra o le altre, per determinate conquiste o determinate difese.

4. – CARATTERI DISTINTIVI DEL SOCIALISMO

Le caratteristiche più sopra riassunte del partito socialista sono quelle che essenzialmente lo differenziano da tutti gli altri partiti.
La finalità collettivista lo distingue da tutti i partiti borghesi, nel senso più lato della parola, compresivi i cooperativisti, gli associazionisti, ecc., che immaginano la rivoluzione possibile senza l’espropriazione del capitalismo. Il materialismo economico ed il concetto della lotta di classe lo distinguono da ogni sorta di utopie filosofiche, filantropiche e sentimentali.
Il concetto positivo della gradualità e della conquista perenne da parte della massa che si eleva, e i metodi d’azione che ne sono la conseguenza, lo distinguono innanzi tutto dagli anarchici, i quali rimangono depositarli dell’utopia catastrofica e del culto per la ribellione e l’insurrezione; poi dai re pubblicani, i quali isolano uno solo e non certo il maggiore dei privilegi sociali e lo additano come il caposaldo e come il più funesto di tutti; dai corporativisti, che presumono di trovare una soluzione sociale nella semplice organizzazione operaia, non animata da spirito politico, nè preordinata a fini di trasformazione sociale; dai riformisti, opportunisti, possibilisti, ecc., pei quali le riforme sono fini a sé stesse e si ottengono direttamente, con azione isolata, e per lo più colla semplice persuasione; ecc., ecc.

5. – EVOLUZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA IN ITALIA. AFFERMAZIONE – DIFESA – CONSOLIDAMENTO – CONQUISTA

Se tale, all’ingrosso, è il quadro del movimento socialista in tutti i paesi del mondo, vediamone le fasi di sviluppo nella recente storia italiana.
1° Trascurando il periodo che potremmo chiamare della “preistoria socialista”, riflesso più che altro del movimento di oltr’alpe, il partito socialista italiano, sbocciando dal contatto dei nuovi bisogni proletari coi residui del movimento democratico che aveva spinto a soluzione il problema nazionale, do vette accentuare dapprima, per differenziarsi, i due primi punti del quadro più sopra disegnato: collettivismo e lotta di classe. Fu questo il periodo della affermazione, contrassegnato, come tutti i periodi iniziali dei partiti, da una straordinaria violenza verbale e da un semplicismo di concetti pari soltanto alla debolezza. Ben presto però la sua stessa natura portò il partito a porre in luce anche il terzo punto, onde la clamorosa separazione dagli anarchici e la accentuazione del proprio carattere evoluzionista, organizzatore e politico nel senso positivo della parola, carattere proclamato al Congresso di Genova (1892) e riaffermato a Reggio Emilia (1893).
2° All’affermazione socialista, alle prime vittorie elettorali, segui l’acuta reazione governativa, durata dalla caduta di Giolitti (1893) fino al Ministero Saracco. Sotto i colpi della persecuzione, il partito socialista dovette imparare a proprie spese la necessità imprescindibile della libertà e la tattica accorta delle alleanze. Fu questo il periodo della difesa, nel quale la funzione del partito socialista si adeguò quasi interamente, per forza di cose, a quella di un partito semplicemente democratico. L’ostruzionismo in Parlamento e le elezioni del 1900 chiusero codesto periodo.
3° Colla parentesi Saracco si apre un terzo periodo, dapprima alquanto incerto e confuso.
Ma l’inaugurarsi del nuovo regno e il maraviglioso sciopero politico di Genova gli diedero ben presto determinatezza e carattere. Alla crisi Saracco, dovuta ad un voto della Camera estremamente equivoco, le correnti del paese e l’esperienza ancor viva del recente passato persuasero al moderatore supremo delle contese parlamentari di affidare, con felice ardimento, il Governo a quel partito, che era stato nostro alleato passivo, ma decisivo, nella battaglia ostruzionista e che aveva disertato la Carnera con noi a protesta contro le frodi e le violenze di Son nino, di Pelloux e di Colombo, sorretti dalla maggioranza. La chiamata della Sinistra al potere, avvenuta a poca distanza da quei fatti, e immediata mente dopo il discorso di Giolitti rivendicante il diritto dell’associazione operaia, segnò una rivoluzione parlamentare di primaria importanza, iniziando il periodo del consolidamento della libertà e del rispetto alla legge, condizione e prodromo, come sto per dire, di un periodo di conquista pel proletariato italiano.
E dico che fu rivoluzione parlamentare di primaria importanza, superiore, per me, anche a una mutazione di “forma di Governo” nel senso ristretto che a questa frase attribuiscono i repubblicani non socialisti, perché le condizioni, che la precedettero e che l’accompagnano, differenziano profonda mente questo sperimento da quanti altri sperimenti di politica liberale si fecero prima d’ora in Italia. Nulla infatti è più puerile della evocazione – che fanno certi storici, dal viso rivolto eternamente al l’indietro, come que’ dannati di Dante – di passati sperimenti di Sinistra al potere, per trarne l’oroscopo certo di delusioni future. Perocchè giammai prima d’ora si diede in Italia uno sperimento, che fosse anche da lontano paragonabile a questo: nato cioè da effettiva pressione di forze popolari, da una vera riscossa di classe, penetrata nel Parlamento a presidio di un manipolo esiguo di lottatori, il quale poté, assistito da essa – come l’eroe dei poemi di Omero quando presidiavalo un nume – rovesciare una forza avversaria di gran lunga numericamente più poderosa; controllato da un’Estrema Sinistra cresciuta d’un buon terzo da quel ch’era or fa un anno, da un Gruppo socialista raddoppiato e provato alla lotta, da un partito socialista organizzato e da un proletariato vigile, sempre più numeroso e meglio organizzato esso pure, che da lunga vicenda di do lori ha acquistato coscienza di classe e ha imparato ad apprezzare i benefici della libertà.

6. – INCERTEZZE E PERICOLI. I FATTI DI BERRA FERRARESE E IL CONTEGNO DEL GOVERNO

Senonché, malgrado il persistere delle forze che resero possibile e che francheggiano ancora questo sperimento, esso rimane per l’appunto uno” sperimento ‘” e ne ha tutta l’incertezza e la precarietà. La composizione della Camera, nata sotto gli auspici di un Ministero di violenta reazione (e taccio del Senato, di cui pure si palesarono anche testé le tendenze e le intenzioni), fa che le forze reazionarie, le quali erano fino a ieri, pur col presente Gabinetto, in manifesta prevalenza alla Camera, e le forze liberali) arricchite coll’ultimo voto di un malfido presidio di viltà disertanti, si tengano pressoché in equilibrio instabile a vicenda; mentre è cagione innegabile di debolezza parlamentare, per il Governo, la necessità di ‘appoggiarsi ad elementi in parte irreducibilmente eterodossi di fronte al presente assetto dello Stato. La durata perciò, non tanto del Ministero (poco importerebbe infatti delle persone), quanto dell’indirizzo liberale ch’esso rappresenta, dipende sovratutto dagli eventi; dipende dall’intervenire o no di imprevisti elementi perturbatori, che lo mandino alla malora.
E della debolezza del Governo diedero eloquente testimonianza i recenti sanguinosi fatti di Berra: non l’eccidio in sé stesso, che poteva rimanere un fatto accidentale ed isolato, per quanto doloroso, del quale sarebbe stolto far risalire la responsabilità di retta ai Ministri; ma la giustificazione che questi, prevenendo e frustrando in anticipazione ogni serio e regolare giudizio, si credettero costretti di farne specialmente in Senato, confessando cosi la propria impotenza a resistere all’urto combinato delle forze reazionarie politiche e degli interessi della casta militare. E apodittico infatti che i tre voti di maggioranza sarebbero mancati in Senato al Ministro degli Interni, quand’egli, dopo avere difeso l’organizzazione dei contadini e riversata la responsabilità morale del conflitto sulla cieca reazione padronale, avesse aggiunto la sconfessione del contegno dell’autorità militare; onde la necessità di riconvocare la Camera e di chiedere a questa ed al Senato – forse invano – l’esercizio provvisorio del bilancio, oppure – forse invano anche questo e contro ogni correttezza di politica liberale – un decreto-legge al Monarca. Di qui, evidentemente, o la crisi immediata del Gabinetto, o, nell’ipotesi migliore, un viluppo cosi intricato e poco meno che insolubile di difficoltà, nel quale l’azione del Governo sarebbe rimasta lungo tempo paralizzata.
E questa la vera quanto semplice spiegazione del contegno del Governo hl questa sciagurata faccenda, ed .è in questi termini precisi che la questione va posta, chi .non ami divagare dai fatti per abbandonarsi in balia delle facili volate retoriche e degli impulsi della cieca passione. Il Governo, di fronte all’imprevisto incidente di Berra, si trovò serrato nelle corna di un ferreo dilemma: o rinunciare alla vita, compromettere l’attuazione di tutto il programma, ivi inclusa la difesa della libertà e, del diritto proletario di coalizione, o gittare una parte del bagaglio per salvare il carico della nave minacciata. Il Governo preferì appigliarsi al secondo partito; a questo lo spingevano, oltreché l’istinto naturale di conservazione, l’ovvio riflesso che il fatto, che si trattava di giustificare, era un episodio fugace per quanto tristissimo, mentre le ragioni e l’esercizio della libertà influiscono profondamente su tutta la vita del paese.
Le parole del Giolitti per altro furono una vera e incondizionata dedizione. Esse dimostrarono che in Italia (non molto diversamente da quello che fu di mostrato in Francia col caso Dreyfus) esiste un potere” più forte, in certi casi, dei tre altri riuniti, sopra il quale il sindacato è impossibile, contro il quale la lotta dovrà essere lunga e tenace come contro l’ostacolo maggiore al consolidarsi di un regime di democrazia vera e propria. Perché, checchè ne pensi un nostro -amico ingegnoso e sottile, doveva essere chiaro per tutti che i discorsi del Giolitti e del Ponza in Senato avevano anche deciso irrevocabilmente le sorti del processo iniziato contro l’ufficiale prevaricatore.
L’insorgere perciò dell’opinione pubblica era troppo naturale, ed era naturale e doveroso che i partiti popolari si mettessero alla testa dell’agitazione di protesta. Se le ragioni parlamentari spiegavano l’atteggiamento illiberale del Ministero, un interesse ben maggiore che non fosse la difesa del Governo premeva sopra noi tutti: l’interesse che le parole pronunciate dai ministri non divenissero l’incoraggia mento e la giustificazione anticipata di altre stragi future. Soltanto, le considerazioni che accennammo di sopra dovevano avere questo effetto: di rivolgere la punta delle proteste, più ancora che non contro il Governo – più agito che agente – contro le forze congiurate che avevano premuto su esso: la reazione proprietaria e il militarismo. L’aver io cosi intonato il mio discorso nel Comizio di Milano mi valse dal foglio repubblicano locale l’accusa di essermi aggio rato nelle “tortuosità della politica parlamentare”. Certo, la retorica mitingaia, diretta a strappare l’applauso della folla anziché a constatare le ragioni dei fatti e la misura delle responsabilità, può essere, come tutte le cose false, più rettilinea e più semplice. Resta da vedere se politicamente è ugualmente onesta e proficua alla causa della libertà. Comunque, l’assieme dell’episodio di Berra è novella riprova della debolezza del Governo di fronte alle forze reazionarie; e, quel che è peggio, gli scema le difese proprio nel momento in cui ne avrebbe più urgente il bisogno.

7. – IL PERIODO DELLA CONQUISTA

Malgrado ciò, e quale che sia il vario giudizio che altri possa recare sul contegno dei Ministri di fronte a cotesto fulmine scoppiato a ciel sereno nei campi del Ferrarese, il fatto di Berra rimane un triste episodio – niente più che un episodio – il quale, come non era facile prevederlo od antivenirlo (fatti simili, e talvolta più gravi, attristano anche i regimi politicamente più liberi, né spariranno del tutto finché duri, armato del militarismo, il dominio di classe), cosi non saprebbe produrre alcuna deviazione dure vole, sia nella rotta del Governo – le cui ragioni parlamentari e politiche rimangono inalterate – sia nell’atteggiamento dei partiti. Bensì avevano questo sperato gli scellerati reazionari italiani, pronti sempre a valersi del sangue o da essi o da altri versatosia sangue di popolani, di re, di ministri o di agenti del potere – pei loro perfidi attentati alla libertà del paese: secondati da taluni energumeni sedicenti “popolari” il cui ufficio sembra per lo più essere quello di indurre le masse a prestarsi al gioco della reazione in agguato; e i quali, con l’esagerazione dei racconti e la violenza delle parole, sembravano tradire sopra tutto il rammarico che quei poveri morti non fossero più numerosi e che il fatto di Berra non fosse stato più atroce.
Ma la insidia dei primi e la (vogliamo credere) inconscia complicità dei” secondi dovevano rom pere nel buon senso delle masse popolari; le quali all’agitazione di protesta prefissero i giusti confini che essa doveva serbare: sfogare un generoso dolore, venire in’ soccorso alle vittime, additare le cause profonde del caso sciagurato, incoraggiare i propositi di quella sempre più ampia e disciplinata organizzazione proletaria, nella quale è il vero antidoto d’ogni selvaggio conflitto e la spinta più possente al progressivo democratizzarsi dello stato; e invocando giustizia, anzi subitamente rendendola coi verdetti delle grandi assise di popolo, impedire che la preveduta impunità all’uccisore di venisse incoraggiamento a’ suoi imitatori. Questo molteplice fine è in via di essere raggiunto; e, sopra il gorgo sanguigno di Berra, sopra le povere croci benedette di pianto proletario, si eleva, oggi come ieri, in tutta la sua drammatica severità, il problema politico dell’ora presente in Italia.
Il quale, essenzialmente, consta di due termini, piegati a dilemma. Nell’uno è lo sforzo rabbioso, domato appena, non vinto, di tutto il superstite medioevo economico e morale, delle vecchie e nuove baronie, che tentò fino a ieri, e ritenta, di traversare il cammino al procedere solenne della rivoluzione. borghese: ritogliendo, con violenza e con frode, alle classi popolari quelle armi che era stato necessario promettere loro, perché aiutassero al fine dell’unità della patria, e che si sperava dovessero impugnare in eterno a esclusivo servizio dei loro sfruttatori e padroni. Nell’altro è il programma di una borghesia vera e propria, giovane, intraprendente, moderna, la quale, pur curando il proprio interesse di classe – anzi per attendervi meglio – riconosce il diritto di tutte le classi operose, della classe proletaria con esse, alla lor parte di sole. E perciò consacra il di ritto di associazione, di coalizione, di propaganda legittima, fino a ieri sancito dalla legge ma violato sempre nei fatti; non cova disegni obliqui di attentati coperti contro il diritto di voto, esplicazione concreta del diritto di cittadinanza nella nazione, e strumento, se ben manovrato, di ogni conquista maggiore; riconosce nel fatto la legittimità dello svolgersi libero e sereno della lotta di classi; non presta all’accidioso proprietario, in competizione economica coi lavoratori, il braccio del soldato per impastare il suo pane, per mietergli le messi; e si propone di temperare, con leggi di eguaglianza e di progressiva tutela, i più stridenti contrasti del presente assetto sociale.
E questo secondo è il termine nel quale – a mal grado di deviazioni e di deficienze inevitabili – si concreta l’indirizzo del Governo liberale: il quale, come ho detto di sopra, ha ancora – né può non avere – per l’origine recente, per le forze che gli insidiano il passo, – tutte le timidezze di uno speri mento. Ma se lo sperimento riesce, se varca quello che chiamai il periodo del consolidamento, disarmando le baldanze della grande proprietà e i timori delle classi mezzane, indebolendo, a mano a mano, il do minio, formidabile ancora, della spada e della stola, lasciando crearsi una coscienza nazionale più elevata, più diffusa e più vigile – è certo che ad esso seguirà, pel proletariato, il periodo della conquista: conquista oltreché di libertà più ampie e più sicure e dei conseguenti immediati benefici economici, anche di talune fra quelle riforme legislative che il programma minimo addita come più essenziali.
Anzi, poiché la libertà è pianta che dà rapidi frutti, e i periodi, distinti nella mente, si sovrappongono spesso nella realtà, ben può dirsi che questo “periodo della conquista” già s’è iniziato. Come ben disse il Bissolati nell’ultimo Comizio milanese, i 48 milioni annui di aumento di mercedi, conseguiti cogli scioperi recenti da un milione circa di contadini fra i più miseri d’Italia, sono il beneficio minore: il maggiore, il vero beneficio è nella dignità di cittadini e di uomini liberi ch’essi, e i loro compagni, sentono di aver conquistata e non si lasceranno strappare.
Lo sviluppo graduale della classe proletaria, il li vello del tenore di vita elevato, la possibilità di elevarlo sempre più nell’ambito legale, di conquistare ogni giorno, colla vita meno cieca e meno tribolata, le ragioni del vivere, infine il riaprirsi ai nati in terra italiana una patria anche dentro il confine; tutto ciò chiude l’èra delle convulsioni periodiche del nostro paese e assicura al moto proletario una ininterrotta ed accelerata ascensione.

8. – LA FUNZIONE ATTUALE DEL PARTITO SOCIALISTA

Qual era, qual è dunque, di fronte a questo nuovo indirizzo, la nostra funzione di partito?
La domanda sembra ingenua ed oziosa. Non è già nelle battaglie passate la risposta inevitabile? Per che cosa si aveva combattuto?
E da quelle battaglie il partito socialista usciva munito di una forza che ne raddoppiava la responsabilità. Se i reazionari esagerano ad arte gridando i socialisti essere padroni del Governo, è certo che per la prima volta questi ultimi sentono la possibilità di esercitare un’azione positiva e decisiva, per quanto indiretta, sopra il timone dello Stato; azione commisurata al grado di coscienza diffusa dell’importanza di quegli interessi ch’essi rappresentano, e al loro proprio personale valore. Essi sono stati l’anima di quell’ostruzionismo di cui ora si raccolgono i frutti; son essi i rappresentanti più diretti e più veri delle classi lavoratrici, quelle in odio alle quali la reazione aveva fatte le sue prove, e in nome e per virtù delle quali è stata battuta.
Di fronte ai partiti più vicini, è ancora il partito socialista che costituisce la forza prevalente: nel paese sono sue le iniziative più gagliarde; è sua – dovunque esiste un proletariato vero e proprio – l’anima generosa delle masse; alla Camera, fra il Gruppo re pubblicano, diviso in sé, combattuto dai suoi stessi giornali, dibattentesi in una mal celata contraddizione fra le affermazioni teoriche e la condotta quotidiana, e il Gruppo radicale, anch’esso diviso e tentennante, privo di organizzazione di partito, povero di personali iniziative, il Gruppo socialista rappresenta la, forza che cementa, che anima e che so spinge.
E ad esso, è al partito socialista, che del – l’azione dell’Estrema e dei partiti popolari rifluisce la massima parte della responsabilità e dell’onore.
Il partito socialista non doveva dunque indugiarsi in cerca di pose eroiche per continuare in qualche modo, coreograficamente, l’atteggiamento ostruzionista, il cui fine era raggiunto; bensì, con rapide mosse, profittare del nuovo indirizzo a beneficio del proletariato.
Doveva perciò far argine, innanzitutto, intorno al Governo, per proteggerlo dagli attacchi e dalle insidie della reazione cospirante; vigilarlo perché tenesse fede al programma: sospingerlo sulla via delle riforme; e, riaffermando in ogni occasione il programma proprio, intensificare la propria azione nelle masse, azione educativa ed organizzatrice.
E in tutto ciò doveva sopratutto portare un vivo e vigile senso di misura e di temperanza. Dei due opposti uffici che ogni partito d’avvenire deve a volta a volta esercitare – di, eccitatore dei torpidi e di moderatore degli impulsivi – è chiaro che il secondo è quello che il momento più gli imponeva; mentre l’improvviso rallentarsi del giogo, che aveva compresso per tanti anni i lavoratori, avrebbe senza dubbio prodotto un risveglio di agitazioni, uno spesseggiare di scioperi impreparati, che doveva urtare tante pacifiche abitudini e spostare tutti in una volta tanti interessi. E evidente che, dove o il partito socialista, incurante di sfruttare la vittoria, avesse disarmato, quasi riposando sugli allori, il Governo, per inerzia meccanica, avrebbe piegato naturalmente verso il Centro e la Destra, divenendo a poco a poco il captivo dei suoi nemici; ma lo stesso sarebbe fa talmente avvenuto se il partito socialista, spinto da impazienze bambinesche, ubbriacato dalla vittoria, avesse, pretendendo troppo lauto bottino o anche solo levando troppe strida fatue e spavalde, sgomentato quelle forze coadiutrici, senza le quali la tendenza liberale di Governo tosto sarebbe sopraffatta.
Il contegno cauto e misurato del Gruppo e del Partito socialista, affrettando il consolidamento della libertà e del rispetto della legge, preparava meravigliosamente il compito nostro del domani; o, che è di estendere l’organizzazione del proletariato in quante è più possibile regioni d’Italia: creare, dove manca, rafforzare, dove esiste, la coscienza socialista delle masse; agevolare le riforme tributarie e militari tanto attese dal paese; preparare una seria – ed efficace legislazione protettiva del lavoro industriale ed agricolo: – tornare infine risolutamente a quel l’opera specifica di parte nostra, che dev’essere, come accennavo da principio, l’azione nostra quotidiana, e dalla quale la difesa necessaria della libertà, sotto i Governi reazionarii, ci ha per tanto tempo sviati.

9. – OBIEZIONI E CONTRASTI

Dove l’opera urge, e preme la responsabilità, tacciono le vane contese. Nel Gruppo socialista la con dotta parlamentare non fu dapprima tampoco soggetto di disputa. A mala pena, per un resto di preoccupazione formale, si disputò sulla formula, nella quale la condotta del Gruppo dovesse inquadrar si. Nella Critica Sociale ebbi, già a censurare, con analisi che non poteva essere e non fu contraddetta, quell’ordine del giorno bilenco e contraddittorio, nel quale, dopo varie premesse a base di lotta di classe e di collettivismo, si parlava di un appoggio al Governo ” caso per caso “. Di quell’ordine del giorno oggi è soverchio parlare: esso fu allegramente ringoiato, per comune ed esplicito consenso, nella riunione successiva, quando si decise di votare unanimi il bilancio degli esteri: voto che non poteva essere se non di fiducia come in un meno peggio – nell’indirizzo complessivo del Gabinetto: perocchè è ben chiaro che, se v’era caso il quale, preso isolatamente, imponesse al Gruppo socialista le palle nere, era propria la politica estera del Ministro Prinetti.
E fu solo in quell’occasione che da qualche collega – per riflesso evidentemente di influenze locali – fu affacciata qualche obbiezione al “ministerialismo” del Gruppo. Ma gli stessi pochi dissidenti – non più di quattro – non trovarono il coraggio (e io schiettamente lo deploro), benché ne avessero piena balìa, di separarsi nel voto; forse temevano di esporsi all’esame antropologico offerto loro dal Ferri; tutt’al più qualcuno si affrettò a chiedere poi e a ottenere la piena approvazione degli amici a quella linea di condotta …. ch’egli aveva oppugnata!
Era naturale che qualche maggiore contrasto trovasse, negli strati meno colti del partito, un atteggiamento che, per essere doveroso e coerente, non lasciava di apparire insueto. Da molti anni le cose, assai più delle parole, avevano designato ai lavora” tori italiani, nel Governo borghese, l’aggressore sub dolo o violento dei loro diritti più sacri e più necessari; le cagioni di un mutamento di stile, risolventesi, da parte nostra, in una benevolenza vigile ed armata, non a tutti potevano esser chiare di primo acchito; né poteva a tutti esser chiaro come appunto la coerenza ai principii questo importi e in questo consista: di mutare movenze dove mutino le con crete contigenze di fatto. Era debito quindi dei pro pagandisti illustrare quelle cagioni. Non mi consta che in alcun luogo dubbi o contrasti rimanessero dopo le oneste spiegazioni.
È per altro straordinariamente curiosa – e vuol essere notata a parte – la recente decisione della Sezione socialista di Napoli. Ivi, com’è noto, il giornale La Propaganda aveva fieramente attaccato i deputati socialisti per la loro disubbedienza ai deliberati. … del Congresso di Reggio Emilia. L’assemblea della Sezione, in seguito a discorso del Ciccotti – il quale, è da sapersi, sempre fu concorde col Gruppo – pronunciava piena approvazione della condotta del Ciccotti medesimo (o il Congresso di Reggio Emilia, dove si lasciava?) e al tempo stesso piena approvazione al giornale che quella linea di condotta aveva sempre avversata. L’enigma tuttavia ci è in parte chiarito dalla Propaganda stessa dell’11 corrente; la quale, dopo aver mescolata molt’acqua nel suo vino separatista e parlato di dissensi puramente accidentali e contingenti (ahi! povero Congresso di Reggio, come malmenato!), riduce in sostanza – lo rileva anche il Ferri nell’Avanti! – i suoi motivi di doglianza alla “cerebrazione dottrinaria” di chi scrive queste linee, al peccato del Turati di avere “teorizzata” la condotta del Gruppo parlamentare. In lingua povera, e lo voglia oppure no l’autore dell’articolo della Propagarla: bisognava fare, ma non dire, non spiegare e non ragionare; non cercare l’unissono degli elettori coll’eletto; essere, come altri fa, uno in piazza ed altro a palazzo; farsi perdonare il buon senso colle parole sgangherate, e colla cattiva predica il ben razzolare. Oh! socialismo …. cattolico!
In complesso: calza sempre l’osservazione dello Jaurès a proposito dei deputati socialisti francesi: i quali, tutti quanti, sostengono il Gabinetto Waldeck Rousseau; soltanto – scrive lo Jaurès – gli uni lo sostengono senza ingiuriarlo, gli altri…. caricandolo di contumelie. Questione di buon gusto – e anche un po’ di rispetto verso sé medesimi.
Obiezioni ed attacchi più violenti ci vennero in vece – e persistono – da fuori i confini del partito;- ci vennero, e per ottima cagione, dai giornali del capestro, rabbiosi di non vederci secondare i loro perfidi giochi; ci vennero da quei gruppetti di re pubblicani dissidenti (dissidenti dallo stesso Gruppo repubblicano della Camera), il cui sforzo assiduo di autodemolizione e di impotente schizzamento di veleno sopra il vicinato è uno dei più bizzarri spetta – coli dell’ora che volge; e i quali allibiscono in vedere al partito socialista spianarsi larga avanti la via delle opere feconde, e raccorciarsi il terreno alla loro allegra “pregiudiziale”.
Questi attacchi – gli uni e gli altri del pari – debbono valere per noi un incoraggiamento.
Ma, fra le masse proletarie, dove la questione di libertà è questione di dignità, di pane, di vita e i vantaggi sostanziali si preferiscono ai bei gesti e alle allegre volate degli irresponsabili (rubo la qualifica all’Avanti!) bevitori di frasi, ivi la tattica del partito socialista – strettamente conforme alla dottrina e al loro proprio interesse – difficilmente può trovare resistenze tenaci. “Andate a dirle queste storie ai contadini dell’Emilia e del Mantovano, e vedrete l’accoglienza che vi faranno!” rimbeccava, con fiero sarcasmo, il Bissolati, nell’ultimo Comizio milanese, a tal uno di questi alcoolisti della retorica.
Che se, tuttavia, qualche corrente ostile non è vinta ancora, conviene pur tener conto dell’attrito che incontra ogni nuovo atteggiamento nell’accidia intellettuale del maggior numero.
Ai nuovi del partito parrà forse che le linee essenziali del movimento socialista, quali io mi ingegnai di tracciare in principio di questo scritto, siano coeve all’origine stessa del partito. E invece, di quanti contrasti non furono il prodotto! Quando la Kuliscioff, io, pochi altri, cominciammo la propaganda per infondere al partito il carattere politico che assunse al Congresso di Genova, quante resistenze non – opposero i compagni corporativisti e semianarchici del Partito Operaio, allora quasi il solo partito socialista militante in Italia! E che bella raccolta facemmo di improperii, di accuse di eresia e di tradimento! Oggi passerebbe per pazzo da manicomio chi esumasse una sola di quelle obiezioni.
E l’alleanza dei partiti popolari non fu altro e più recente oggetto di dispute acri e interminabili in seno al partito? Ma la forza delle cose è più forte degli apriorismi e degli anatemi; e la filosofia del l’uomo di parte – per chi non preferisca appiattirsi dinanzi ai misoneismi e ai pregiudizi della folla – è facile, e non consiste se non in questo: contentarsi d’aver torto oggi…. per aver ragione domani.

10. – CONCLUSIONE

Le cose dette mi autorizzano a concludere che non esiste oggi – per l’eccellente motivo che non ha ragione di esistere – un dissidio d’indirizzo nel partito socialista italiano. Il “ministerialismo socialista” nel senso in cui lo si potrebbe combattere, è un fantasma senza corpo; quel che esiste davvero è l’effetto indeprecabile della natura del partito, è il portato della situazione.
Or che cosa, ribolle dunque in taluni nostri Circoli e di che cosa si appresta, a discutere la Federazione milanese?
Ciò che assume in taluni nostri Circoli l’apparenza di un dissidio, ciò che divide e paralizza, non da oggi, la Federazione milanese, non è una questione del partito socialista; è invece lo strascico – travestito ed ammodernato: – del vecchio spirito anarcoide, che l’educazione socialista delle masse non è ancora riuscita del tutto, né dapertutto, a domare.
Non si tratta di possibili scismi: si tratta di epurarci e di disciplinarci.
Il Congresso di Genova aveva – formalmente – bandita la separazione degli anarchici dai socialisti. Ma, in un paese come l’Italia, dove il livello della coltura è cosi basso, cosi diffuso il malcontento, e quindi la proliferazione anarcoide cosi rigogliosa ed incessante, è impossibile ad un partito come il nostro, a un partito di diseredati, col reclutamento largo di maniche ch’esso non poté non adottare, salvarsi dall’infiltrazione. La persecuzione stessa, che colpisce specialmente gli anarchici dichiarati ed aperti, ne caccia molti, come a rifugio, sotto le nostre bandiere.
Si aggiunga l’invasione crescente – passività inevitabile di un partito che rapidamente ingrossa e che comincia ad offrire soddisfazioni di vanità, cariche, medagliette, stipendi – di quegli elementi spostati della magra borghesia, i quali nel partito, nel quale è pletora di gregarii e carestia di ufficiali, scorgono la possibilità di una qualsiasi carriera. È spiegabile che parecchi di costoro pensino di guadagnarsi più presto le spalline, carezzando e lusingando – anziché contrastarla e correggerla – la materia impulsiva e rozzamente ribelle che si trovan d’attorno.
Chi ha osservato, in Milano, la caterva di pettegolezzi, di rivalità, di complotti, di scandali, che ha turbato e isterilito in questi ultimi tempi l’attività della nostra Federazione socialista, dirà se questa diagnosi non s’accosti al vero. Mutava, tratto tratto, il titolo sul cartellone; ma la compagnia e lo spettacolo erano sempre gli stessi!
Né si pensi che il parlare di spirito anarcoide sia comodo spediente di polemica spicciativa.
L’anarchismo, assai più che un sistema, è una tendenza passionale, suscettiva perciò di una graduazione in finita e accomodabile alle più svariate cornici: cosi, oltre il ravascioliano e il poliziesco, v’è un anarchismo collettivista (una specie di socialismo con arresto di sviluppo e …. senza il senso comune), ve n’è uno individualista, vi è quello che si giova dell’organizzazione operaia (le Camere di lavoro, dove il cuculo anarchico depone le sue uova, ne sanno già qualche cosa!), v’è perfino un anarchismo che oggi fa pace colle urne. A farlo apposta, proprio di questi giorni, si annuncia la formazione in Italia. di un partito “libertario socialista parlamentare”. E volesse il cielo che attecchisse e crescesse in buona salute!
Ma a tutte queste varietà un carattere è comune: è il disdegno delle riforme; la mancanza del senso della gradualità evolutiva; il semplicismo infantile dei concetti; l’ossessione catastrofica; il culto, confessato o no, della violenza redentrice. Ieri era l’intransigenza ultra; oggi è la campagna antiministerialista che presenta questi contrassegni. Essa infatti presuppone due cose: l’insofferenza dei miglioramenti ottenuti, perché ne lasciano altri a desiderare; il pensiero che qualunque Governo supergiù si equi valga e, torni pure la reazione, poco – ne debba importare al proletariato. Or questo è appunto ragionare sulla traccia anarchista: dal male anzi nasce il meglio. Ma quando un socialista pone siffatte premesse, è l’anarchico poi – ed è giusto – che ne tira le conseguenze.
Ed avviene allora, ad esempio, che il Comizio di Napoli a protesta contro i fatti di Berra, indetto dai socialisti e dai repubblicani, voti le conclusioni dei camerati anarchisti. Sono le vendette della logica. Non è lecito, covando uova d’anitra, lagnarsi poi che i pulcini, sbucati dal guscio, corrano a diguazzar nello stagno.
Il partito socialista, che da un pezzo relegò la rivolta fra i mezzi antirivoluzionarii, non può e non deve trescare con ragionamenti e con metodi il cui logico sbocco è nella rivolta soltanto.
Ma se la mescolanza di una vena di ribellione impulsiva e di demagogismo nel partito socialista era poco meno che innocua finché la compressione governativa la teneva in freno e al partito non restava d’altronde quasi altra funzione che la perpetua protesta: oggi, che il lavoro del partito socialista vuol esser positivo ed organico, e gli conviene manovrare accortamente per tesoreggiare tutte le forze e tutte le debolezze colle quali è a contatto, quella mescolanza diventa un pericolo, che vuol esser segnalato e combattuto senza quartiere.
Il momento politico, già l’ho detto, è estremamente delicato. La libertà, questa grande redentrice, è, nel suo primo sperimento, avviluppata da pericoli: periculosa libertas. Che questa prova riesca a bene, dipenderà in buona parte dalla nostra misura e dalla nostra accortezza. Gli avversari ci attendono al varco, pieni di speranza maligna.
Tocca a noi disilluderli; tocca a noi sbarazzare il partito dalle correnti impulsive che qua e là lo pervadono ancora; denudare e snidare gli elementi parassitici, che, con astuto mimetismo, si nascondono dentro i meandri dell’organismo socialista, e, per impazienza spavalda, arrischiano, per le fatue apparenze della libertà, di comprometterne la preziosa sostanza. Per gli sbandieramenti pagliacci e senza conclusione, per il canto sbarazzino degli inni proibiti, per la retorica alcoolizzata, per i tafferugli cretini colla polizia, ci sono gli anarchici e bastano. Il partito socialista dev’essere esclusivamente. il partito socialista. L’assenteismo dei compagni serii e coscienti dalle nostre assemblee, i loro complici silenzii nei Comizii dove si gioca la serietà del partito, sono, in quest’ora, una colpa.
A questo patto il partito socialista italiano aggiungerà altre pagine gloriose a quelle che esso ha già scritte nella breve sua storia. Fuori di questa via, vi è il tradimento del proletariato che aspetta – e vi è la nostra bancarotta.

FILIPPO TURATI

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