Neorealismo cinematografico e il dopoguerra italianao

Ripensare la nazione: il Neorealismo cinematografico e la condizione italiana nel dopoguerra

Titolo originale: Re-envisioning the Nation: Film Neorealism and the Postwar Italian Condition
Autore: Brent J. Piepergerdes

Categoria: Saggi tradotti di Cinema

Indice

Introduzione
La rinascita del realismo: influenze dell’era fascista sul neorealismo
Inquadrare la nazione: fascismo, storia e metafora
Realismo e Resistenza
Iconografie della reinvenzione
Folle
Paesaggio
Gioventù
Povertà
Reimmaginare le basi dell’unità nazionale ne La terra trema di Visconti
Conclusione
Biografia
Filmografia

Introduzione

Nella sua disamina del rapporto tra cinema e trasformazione socio-culturale in Italia, P. Adams Sitney individua due precisi periodi in cui il film ha partecipato più attivamente alla (ri)costruzione e comunicazione della nazione che cambia: dall’immediato dopoguerra alla fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Sessanta, anni segnati dal culmine del “miracolo economico” italiano (Sitney 1995, ix).
Queste “crisi vitali” nella riorganizzazione politica, sociale ed economica che di fronte alla nazione corrispondono ai due generi cinematografici che sono diventati più emblematici del cinema nazionale italiano, sia internamente che esternamente: Neorealismo, e film “Autoriali” o d'”Arte” della fine degli anni Cinquanta e Sessanta. Sebbene esiste una notevole quantità di analisi critiche sui film politicizzati della seconda “crisi vitale” e il loro rapporto con le questioni culturali trasformative (es. Bondanella 1990; Brunetta 1979; Crowdus 1983; Jameson 1992; Landy 1994, 2000; Marco 1986; Restivo 2002; Rifkin 1977; Spinazzola 1974; Sorlin 1996), l’impatto del Neorealismo è ancora prevalentemente racchiuso all’interno di un aspetto formale o di una struttura analitica estetica. L’innovatività dei film neorealisti è stata quasi esclusivamente legata alla loro novità nello stile cinematografico e nella forma narrativa, visti come simbolici della grande rottura o divisione tra cinema classico e modernista, L’immagine-movimento e L’immagine-tempo (Deleuze 1986, 1989).
Enfasi sulle tecniche del cinema neorealista, in particolare le somiglianze stilistiche riscontrabili nella propensione alle riprese in loco, l’illuminazione naturale, l’uso di non attori e le lunghe inquadrature voyeuristiche ha ampiamente offuscato i contenuti e i commenti ugualmente importanti e socialmente guidati. Allo stesso modo, l’identificazione del neorealismo come in contrasto decisivo rispetto al cinema del periodo fascista è troppo semplicistica nella sua riduzione del neorealismo a movimento reazionario. Esso occlude, ad esempio, il fatto che molti dei registi neorealisti, tra cui Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Giuseppe De Santis, Luigi Zampa, e Cesare Zavattini, iniziarono la loro carriera in epoca fascista.
Contrariamente alle considerazioni comuni sul Neorealismo come movimento stilisticamente limitato, il regista e teorico del cinema Carlo Lizzani ha insistito sul fatto che il fattore unificante più acuto in questi film è la loro “ibridazione della cultura” (in Tartagni 1989). Per Lizzani, questo include sia la tendenza a rappresentare varie classi sociali in diverse regioni (in particolare una nuova enfasi sulla classe lavoratrice e del Sud) e per illuminare lo scambio dei ruoli sociali tradizionali portato dalla guerra. Altrettanto importante è il suggerimento di Lizzani sul Neorealismo che è intrinsecamente caratterizzato da un’ibridazione di genere. Contrario al prevalere di valutazioni, nessuna singola forma narrativa unisce i film. Le opere del neorealista tendono ad essere composte da molteplici strutture narrative. Sono amalgame di vere e proprie formule di genere centrali nel cinema italiano prebellico, che vanno dal melodramma, alla commedia, all’epopea storica al documentario e alla suspense. Più che tecnica o narrativa, un’enfasi ossessiva con la re-immaginazione della nazione attraverso la rappresentazione della realtà sociale funge da elemento unificante primario. Legato da ciò che Millicent Marcus (1986) definisce come “una nuova poesia morale”, i film neorealisti, attraverso la loro drammatizzazione delle differenze culturali, regionali e di classe endemiche e problematiche tra nord e sud, città e campagna, ha presentato una potente controargomentazione populista alla visione coercitiva e omogeneizzante del nazionalismo sotto il fascismo.
Attraverso l’iniezione di realtà sociali locali e regionali nel cinema, il Neorealismo mentre smascherava le fallacie dell’unità d’Italia attribuite al Risorgimento offrendo contemporaneamente un concetto radicalmente nuovo di nazionalismo basato su coscienza di classe, eterogeneità culturale e complementarieta regionale nell’ambiente del dopoguerra caratterizzato dalla ricostruzione diffusa politica, economia e cultura della nazione.
In questo saggio cerco di presentare una contro-argomentazione riguardo al punto di vista del Film neorealista che si sviluppa “dal nulla”, che scaturisce organicamente dal vuoto culturale e dall’incertezza politica ed economica del periodo dell’immediato dopoguerra. La mia intenzione è di identificare il Neorealismo, in un senso molto Gramsciano, come rappresentante di una “trasformazione molecolare” dell’esistente Stato italiano, in netto contrasto con il progetto voluto dal fascismo di creare all’ingrosso una nuova forma di nazione. Incorporato in tale lettura c’è una necessità di posizionare i divergenti percorsi politici che informano le strategie contrastanti di costruzione del nazionalismo sulla base della forza o del consenso (Urbinati 1998, 375-6). Per prima cosa, ho identificato le influenze cinematografiche fasciste sui registi neorealisti come mezzo per evidenziare la natura trasformativa (in opposizione alla rivoluzionaria) del movimento artistico.
In secondo luogo, esamino i metodi primari attribuiti alle interpretazioni fasciste e alle rappresentazioni della nazione e del nazionalismo. Poi li confronto con l’enfasi e l’uso del realismo negli sforzi neorealisti per delineare le modalità filmiche centrali di resistenza utilizzate per contrastare i modelli fascisti. Terzo, illustrerò tramite la dissezione dei principali tropi visivi del cinema fascista come i registi neorealisti hanno cercato di cooptare e trasformare i codici semiotici predominanti del regime attraverso una lente socio-politica contraddittoria. Infine, riporto i punti sopra applicandoli in dettaglio al film La terra trema (1948) di Luchino Visconti che, a mio avviso, esiste come l’esempio neorealista più acuto e guidato politicamente di rivisitazione del nazionalismo.
La mia speranza è che questo saggio serva solo come un piccolo esempio di come i singoli film, il genere cinematografico e le relative critiche e commenti possono servire come testi primari nella costruzione delle geografie storiche del XX secolo. Nel caso dell’Italia, in cui la correlazione tra luogo e cinema nazionale è forse più concretamente definito di ogni altro, l’impatto del film come idicatore sociale e strumento pedagogico devono essere inclusi in ogni tentativo di descrivere le tensioni pervasive del dopoguerra che circondano la costruzione ideologica della nuova repubblica. L’impatto del cinema come canale comunicativo cardine è in gran parte il risultato della combinazione di molteplici caratteristiche di tutto la società italiana nell’immediato dopoguerra, tra cui: la mancanza di una letteratura nazional-popolare, bassi tassi di alfabetizzazione (soprattutto al Sud), basso orientamento all’abbonamento e alla lettura di periodici nazionali, l’assenza della televisione, alti livelli di produzione cinematografica e d’importazione, frequentazione del cinema e alti tassi di schermi teatrale per la seconda e terza visione, creazione, in particolare nel sud ad opera della sponsorizzazione della Chiesa cattolica (Bondanella 1990; Brunetta 1993; Wagstaff 1987). Insieme, questi sono gli attributi che rivelano la necessità di utilizzare i film e l’analisi del film in un’indagine incentrata sulla contestualizzazione e sulla natura delle rappresentazioni vitali per questo specifico periodo della storia italiana.

La rinascita del realismo: influenze dell’era fascista sul neorealismo

È impossibile separare il neorealismo dal cinema durante il fascismo. La sua risposta all’ideologia e all’iconografia fasciste, in particolare alle rappresentazioni fasciste della nazione, ha portato ad un risveglio artistico e dell’immaginazione sociale del nazionalismo italiano.
Oscurato nei contorni genealogici del cinema italiano è il fatto che l’inquadratura delle rappresentazioni cinematografiche del “Reale” inerente ai film neorealisti ha precedenti individuabili nel cinema fascista degli anni ’30. Un presupposto comune è che l’elemento “Neo” legato al realismo descrive la rottura percepibile per cui gli artisti del dopoguerra hanno tentato di “creare una comunità immaginata per sostituire la comunità immaginata (ugualmente costruita dai media) del periodo fascista” (Restivo 2002, 24-25). In realtà, il termine si riferisce più al movimento generale all’interno delle arti italiane che a partire dagli anni ’30 (soprattutto con la letteratura) si diffuse ispirato dalla tradizione del verismo nella narrativa, pittura, teatro, opera e anche al cinema di fine Ottocento e inizio Novecento. Il Verismo stesso è derivato e debitore agli scritti di Giovanni Verga, uno dei più noti degli scrittori italiani moderni, le cui opere sul Mezzogiorno si sono concentrate pesantemente su rappresentazioni autentiche e non melodrammatiche dell’organizzazione e i costumi sociali meridionali italiani, l’identità regionale e il naturalismo.
Il rinnovato interesse per il verismo di Verga negli anni ’30 rifletteva un desiderio di allontanamento estetico dall’influenza diffusa, in particolare nel cinema, dello scrittore Gabriele D’Annunzio. In generale, gli scritti di D’Annunzio erano caratterizzati da temi di “razzismo, nazionalismo, colonialismo,… antidemocrazia e imperialismo” (Landy 2000, 310) e come ha commentato Jared Becker, è lui “soprattutto che orchestra il passaggio da una cultura di costruzione della nazione del diciannovesimo secolo ad a cultura del nazionalismo radicale e all’aggressione imperialista” (1994, 211).
Il dannunzianesimo è identificato più fortemente con l’illusionismo, il melodramma e la retorica nazionalista ospitata all’interno della pletora di poemi epici storici centrali per la cinematografia fascista negli anni ’20 e ’30.
Anche se il dannunzianesimo potrebbe essere stato la più grande fonte di ispirazione per il cinema fascista degli anni ’30, la rinascita del realismo attraverso la tradizione del verismo ha colpito anche i registi e i film favorevoli allo stato. Due registi in particolare sono diventati sinonimo degli sforzi dell’era fascista verso il realismo cinematografico: Mario Camerini (es. Rotaie 1929; Gli uomini che mascalzoni! 1932; Darò un milione 1935; Il signor Max 1937; Grandi magazzini 1939) e Alessandro Blasetti (es. Sole 1929; Terra madre 1930; Resurrectio 1931; La tavola dei poveri 1932; Palio 1932; 1860 1934). Entrambi gli uomini furono estremamente influenti per i cineasti neorealisti del decennio successivo attraverso il loro nuovo indirizzo centrato sulla vita urbana e rurale contemporanea e il loro trattamento spesso ambiguo delle epoche storiche e degli eventi da cui il fascismo trasse i suoi collegamenti rappresentativi con l’unità d’Italia e la sua grandezza. Prevalentemente in forma comica, i film di Camerini erano spesso incentrati su protagonisti della classe operaia delle città del nord e il loro rapporto estraneo con la alterazioni del paesaggio sociale e fisico urbano indotto dalle politiche fasciste di modernizzazione. Di conseguenza, i film di Camerini sono frequentemente associati (attraverso la loro valutazione e dissezione) con l’ideologia di stracittà (urbanismo o supercittà), un movimento diffuso nella letteratura dei primi anni ’20 che annunciava i principi fascisti del cosmopolitismo, del rinnovamento urbano e dello sviluppo dell’industria (Hay 1987; Landy 2000). L’impatto di Camerini sul Neorealismo è enfatizzato dalla visione di Lizzani del regista come “il grande confessore delle classi italiane medio-basse” (1979, 22) in un’epoca in cui l’alta e la media borghesia (in gran parte a causa del loro sostegno e della loro importanza per il nazionalismo fascista) erano la classe sociale più ampiamente rappresentata, caratterizzata dalla loro preponderanza come soggetti nel genere dei telefoni bianchi[1]I film del telefono bianco o telefoni bianchi, sono così chiamati per via della frequente inclusione di un telefono bianco nella camera da letto – erano in gran parte commedie incentrate su … Continue reading.
Al contrario, i film di Blasetti sono abitualmente identificati con l’ambito rurale e le convinzioni localiste di strapaese (ruralismo o strapaese), un movimento letterario originariamente formulato come contrapposto a stracittà che tuttavia è stato cooptato dallo stato come mezzo per rappresentare (e trasmettere) la natura vitale del lavoratore agrario per il raggiungimento dell’auspicata autosufficienza domestica. Rispetto a Camerini, l’impatto di Blasetti sul neorealismo ha poco a che fare con una nascente critica sociopolitica. Piuttosto è il suo “convincente senso di realismo”, il suo interesse per il “naturalismo regionale” e tradizione, e la sua capacità di fondere il dramma storico e documentario in modi che rimangono sensibili alle diverse connessioni con il passato basate sulla classe e la regione da cui il Neorealismo prende così pesantemente in prestito (Bondanella, 1990, 14-15).
Anche se presentati come film che portano l’impronta di stracittà e strapaese le versioni idealizzate e in definitiva irrealistiche delle complessità delle classi lavoratrici italiane, la loro esistenza ha decisamente ampliato i confini formali del cinematografo per affrontare le questioni sociali contemporanee. Attraverso la incorporazione, da loro operata, di modalità tecniche di produzione cinematografica che sarebbero diventate elementi contraddistintivi del Neorealismo, i film di Camerini e Blasetti pongono le basi per un cinema reattivo verso le rappresentazioni statali della nazione, un cinema che “scatenò i poteri del falso, dove nozioni convenzionali di verità, virtù, eroismo, bene e male, e, soprattutto, il reale e l’artificiale vengono messi in crisi, e dove la possibilità di una relazione più complessa con il mondo è possibile” (Landy 2000, 15).

Inquadrare la nazione: fascismo, storia e metafora

Anche se le opere di Camerini e Blasetti hanno costituito una grande e influente lente cinematografica con cui esaminare (e spesso decostruire) le dicotomie di rurale/urbano, tradizionale/moderno, locale/nazionale e nord/sud, erano lontani dal superare in numero assoluto un genere specifico che più prontamente definiva l’immaginario ideologico dell’unità d’Italia sotto il fascismo. L’epopea storica è servita come piattaforma cinematografica primaria in cui il fascismo ha cercato di costruire e di legittima una versione totalizzante della nazione. A parte i film “neri” dichiaratamente propagandisti, cinegiornali e “documentari” al centro della comunicazione di massa delle politiche di socializzazione fasciste, l’epopea storica si sviluppò come principale genere cinematografico in cui erano codificate le nozioni di virilità ed egemonia dello Stato attraverso l’equazione del fascismo con episodi storici definiti dall’italiano predominio, l’influenza internazionale e l’unità nazionale. Come Marcia Landy ha affermato, “il cinema sotto il fascismo ha saccheggiato i momenti storici precedenti: Impero Romano, Rinascimento, Risorgimento e Prima Guerra Mondiale – per creare un pastiche di elementi tratti dal folklore popolare, dalla letteratura, dall’opera e dall’attualità eventi” (2000, 52). Analogie tracciate tra il “glorioso passato” dell’Italia e lo stato fascista ha sottolineato la necessità ideologica di rappresentare il fascismo come un vero movimento nazionalizzante, quando iniziò la realizzazione della moderna unità d’Italia, ma mai compiuta, durante il Risorgimento (es. 1860 1934; Il dottor Antonio 1937; Piccolo mondo antico 1941) (Gori 1988). Spesso i trattamenti del passato più lontano hanno cercato di giustificare gli sforzi colonialisti e imperialisti fascisti attraverso la loro fusione con i trionfi militari dell’Impero Romano (es. Aurore sul mare 1934; Lo squadrone bianco 1936; Scipione l’Africano 1937; Luciano Serra pilota 1938) e l’egemonia e l’innovazione culturale attribuite al Rinascimento (es. Lorenzino de’ Medici 1935; Condottieri 1937).
Esiste un corpo sostanziale di lavori sull’utilizzo dell’allegoria storica per costruire e trasmettere il nazionalismo nel cinema fascista (es. Bosworth e Dagliani a cura di, 1999; Gori 1988; Hay 1987; Landy 1996; Lazzaro e Crum eds., 2004; Mancini 1985; Reich e Garofalo eds., 2002; Sorlin 1996). Pochi di questi studi si concentra sulle relazioni tra questa metafora storica e l’enfasi reattiva delle opere neorealistiche. Due elementi sono di particolare interesse al riguardo a seguito della loro successiva rinuncia e/o alterazione da parte di Neorealismo: la predilezione per lo spettacolo e le rappresentazioni iconografiche di paesaggi sia fisici che culturali che costituiscono la nazione. L’illuminazione dei modi in cui i film fascisti costruivano segni e simboli della nazione e inquadrano lo spazio narrativo in cui tali rappresentazioni erano ospitate è essenziale alla comprensione degli elementi e delle vie di resistenza inerenti ai film del Neorealismo. Come ha affermato Landy:

Dal momento che il neorealismo ha evitato le dimensioni monumentali ed epiche del film storico che spesso ha funzionato nell’interesse della retorica nazionalista, e poiché sembrava offrire nuove versioni della nazione, esso ha presentato nuove forme di discorso e interrogazione ai registi coinvolti nella ricostruzione postbellica, nella decolonizzazione e la riconsiderazione del subalterno. … [Era] un movimento che mirava a creare collegamenti con il Risorgimento, l’Unità d’Italia come nazione, e la rivoluzione incompiuta. Era un cinema antifascista, che esprimeva le aspirazioni della sinistra, incentrata sull’ingiustizia sociale e l’arroganza del potere, critico dei luoghi comuni e delle formule di genere e con lo spettacolo e la retorica del cinema sotto il fascismo (2000, 17, 13).

Contrariamente all’incarnazione della nazione sotto il fascismo, “l’esperienza italiana dell’immediato dopoguerra è stata quella della storia che è rimasta scritta, di significati che restavano da fissare. Per gli italiani il dopoguerra fu uno dei vari antagonismi sociali che esistevano a livello del Reale della storia” (Restivo, 2002, 10).

Realismo e Resistenza

Riassumendo i pensieri di Tim Cresswell (1996), Peter Jackson (1988) e Don Mitchell (2000) sulle tattiche di sovversione culturale, Pamela Shurmer-Smith ha affermato che “spesso la politica di resistenza prende la forma di spettacolo, shock o gioco irriverente come mezzo efficace per sovvertire il potere” (2002, 37). Ciascuno dei suddetti geografi ha, a suo modo, illustrato come lo spettacolo e il carnevalesco siano stati regolarmente utilizzati dai gruppi emarginati per svilire le costruzioni egemoniche della cultura, della politica e persino dello spazio pubblico. Sebbene i geografi abbiano abilmente illustrato, utilizzando esempi che vanno dal medioevo, al dadaismo, l’Europa degli anni ’60, alla musica punk, come spettacolo, carnevale, e il détournement[2]Pratiche del Movimento Situazionista Internazionale nella Francia del dopoguerra e dell’Europa settentrionale negli anni ’50 (NdT). è servito come mezzo per sovvertire il dominio, quali strade esistono per la contestazione quando lo spettacolo stesso è il meccanismo principale utilizzato per trasmettere l’egemonia culturale? In un caso del genere, Mitchell, citando Guy Debord (1994) e Michel de Certeau (1989), suggerisce che la tattica più efficace “è letteralmente rifare la situazione, trasformare le immagini, [e] contrastare lo spettacolo con spettacoli ancora più spettacolari” (2000, 165). Per quanto utile e prevalente possa essere questa strategia, è in contraddizione con i principi di Neorealismo.
La natura trasformativa dei film neorealisti risiede nell’assenza di spettacolo, artificio ed evasione. Invece, si basa su una rappresentazione più obiettiva della realtà contemporanea che scinde la storia dalla concettualizzazione dell’unità italiana, privilegiando invece gli aspetti poetici della vita quotidiana rispetto all’allusione e alla metafora. Attraverso l’enfasi e la celebrazione della specificità locale e regionale, i film neorealisti espongono i fallimenti dell’equazione del nazionalismo con il fascismo e I momenti grandiosi dell’Impero Romano, del Rinascimento e del Risorgimento. Tali ingrandimenti di episodi storici significavano cose molto diverse per la popolazione delle diverse regioni della nazione. Il Rinascimento, ed in in particolare, il Risorgimento, non erano intrinsecamente nazionali. Regioni diverse hanno sperimentato questi movimenti in modo dissimile, e quindi mantenuto, in gran parte nel caso del Sud, un sentimento ben diverso verso questi “passati gloriosi”, ovvero una sua identificazione con l’esclusione, l’alienazione e il dominio. Tali sentimenti erano rafforzati dal fatto che la base di appoggio del fascismo poggiava prevalentemente nel nord urbano. Come movimento decisamente nordico, quindi, il fascismo “si avviava a fornire stabilità all’industria settentrionale e all’agricoltura commerciale della Pianura Padana” (Agnew, 2002, 93). Questo sforzo alla fine ha aggravato il punto di vista del compito autoconsacrato del fascismo di portare a termine il “compito incompiuto” del Risorgimento come “un fallimento, in quanto gli obiettivi rivoluzionari furono traditi dalla successiva egemonia del Nord sul Sud” (Landy, 2000, 60).
Tematicamente, il fattore unificante dei capolavori del Neorealismo, tra cui Ossessione (1943) e La terra trema (1948) di Luchino Visconti, I bambini ci guardano (1944) di Vittorio De Sica, Sciuscià (1946) e Ladri di Biciclette (1948), Il Mulino del Po di Alberto Lattuada (1948) e Senza pietà (1948), Roma, città aperta (1945) di Roberto Rosellini, Paisà (1946) e Stromboli (1950), Caccia tragica di Giuseppe De Santis (1947), Riso Amaro (1949) e Non c’è pace tra gli ulivi (1950), e Vivere in pace (1947) di Luigi Zampa è una preoccupazione a rappresentare le lotte ordinarie e quotidiane della classe operaia nel clima incerto della ricostruzione postbellica. “Riducendo al minimo gli effetti di spettacolo” i film neorealisti fornivano “l’accesso diretto alle immagini per mezzo di piani sequenza e il montaggio minimo, e attraverso riprese a media distanza che potrebbe consentire allo spettatore di assimilare la relazione specifica del personaggio con l’ambiente” (Landy, 2000, 161). Attraverso la trasformazione dell’iconografia dei tropi centrali del cinema fascista, il neorealismo postulava un nuovo percorso per la nazionale italiana unità. La chiave era il consenso invece della coercizione, una collettività intesa attraverso la rappresentazione della lotta più elementare per sopravvivere, una condizione che affligge tutti gli italiani, regioni e classi, nell’ambiente della difficile situazione del dopoguerra.

Iconografie della reinvenzione

Della pienezza degli espedienti semiotici utilizzati dai propagandisti fascisti in tutti i media, quattro temi sono più rilevanti per lo scopo di questo articolo: folle, paesaggio, gioventù e povertà. Visto il focus sulle visioni del nazionalismo italiano nel cinema, questi soggetti di rappresentazione sono tutti, anche se in modi diversi, relativi ai concetti di appartenenza, identità, inclusione/esclusione e cittadinanza (in termini di legittima contribuzione e che ne definiscono le qualità). Sono anche tra i temi più diffusi nel cinema sia fascista che neorealista.
Ciò consente un contrasto e un confronto che vanno oltre le singole opere individuali, evidenziando invece, attraverso una preoccupazione per il genere cinematografico, le più problematiche questioni socio-culturali che sono di primaria importanza per lo specifico ambiente italiano del dopoguerra. Con, ad eccezione della gioventù, questi temi contengono tutti una dimensione geografica, il desiderio di controllare la rappresentazione dello spazio è coinvolto nel progetto più ampio di definire usi accettabili sia degli spazi pubblici e privati che urbani e rurali in gioco. Nei film neorealisti, le folle diventano luoghi di resistenza e localizzati fedeltà in opposizione ai simboli di occupazione e sottomissione. La conquista di la natura e lo spazio sia nazionale che internazionale viene evitato, sostituito da uno più grande enfasi sulla relazione simbiotica tra pratica culturale e ambiente. La rappresentazione idealizzata del lusso urbano e della modernizzazione fascista lo spazio cittadino viene decostruito attraverso una rappresentazione realistica della pervasività di povertà urbana. La giovinezza, nella sua forma più elementare, è il simbolo dell’involo repubblica del dopoguerra. Tuttavia, è anche un tema ricco di connotazioni concernenti l’istruzione e i welfare statali e, nel caso del neorealismo, l’innocenza perduta a favore della rielaborazione dei ruoli familiari tradizionali richiesti dalla difficile situazione del dopoguerra. Per tutti coinvolto nell’esposizione del punto di vista neorealista, era essenziale contrastare questi tropi iconografici centrali nella rappresentazione fascista della nazione. Ugualmente vitale era la necessità di porre e presentare una semiotica determinata e coesa spiegazione del nazionalismo che sarebbe in contrasto con l’ideologia alternativa costruzioni della nazione del dopoguerra che sarebbero sorte negli anni immediati dopo la seconda guerra mondiale, anni segnati da una nuova guerra politico-culturale in cui il erano in gioco i diritti di definire e controllare il percorso in avanti della nazione.

Folle

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Figura 1. Scipione l’Africano (1937).
Come l’incarnazione simbolica delle masse, la rappresentazione divergente della folla nei film neorealisti è indicativa del desiderio di responsabilizzare gli emarginati sotto il fascismo attraverso la rappresentazione di una volontà collettiva. Come ha indicato Lizzani, le folle nei film fascisti esistono in gran parte “come un’amalgama passiva: una massa indistinta, ordinata, militarizzata… un colorato, rumoroso e plaudente coro che fa da sfondo a un personaggio o all’altro.
In altre parole, la folla è folkloristica, la collettività populista e rurale corrisponde al populismo fascista” (in Tartagni, 1989). Riassunto da scene in Scipione l’Africano, la folla è priva di ogni individualità o affetto, immaginato invece come sottomessa e ciecamente favorevole alla retorica patriottica vomitata avanti da un leader carismatico. Al contrario, le rappresentazioni neorealistiche delle folle sono caratterizzate da attività, sia in termini di rappresentazione della dialettica interna alla folla stessa che come luoghi di ribellione e di resistenza all’autorità. Nel climax della sequenza di Roma, città aperta, il personaggio di Pina tenta ardentemente di radunare la folla che si è radunata mentre i tedeschi radunano gli uomini del vicinato.
Quando il suo amante, Francesco, viene portato via, Pina costringe la folla ad affrontare fisicamente gli ufficiali delle SS. Liberandosi da un ufficiale, Pina corre verso il camion dove Francesco è trattenuto, solo per essere uccisa a colpi di arma da fuoco. Invece del consolidare il compiacimento e la paura della folla che testimonia, la scena di Rossellini suggerisce che la resistenza, anche se porta alla morte, è una necessità di libertà, e la passività non sarà più tollerata.
La ribellione è anche un principio centrale delle scene di massa ne Il Mulino del Po; tuttavia, gli effetti della resistenza sono decisamente più ottimistici che a Roma, città aperta. Il film di Lattuada è incentrato sui braccianti che lavorano i campi di grano della Valle del Po in condizioni miserevoli per una bassa paga. Quando la loro insoddisfazione culmina con il rifiuto di lavorare, i proprietari terrieri chiamano i militari costringerli a tornare nei campi. Piuttosto che sottomettersi, i lavoratori (prevalentemente donne) occupano i campi. Mentre i soldati si preparano a sparare su di loro, la folla rimane unita, gridando “alzati con il sindacato!”, costringendo infine i militari a lasciarle fare piuttosto che diventare agenti di omicidi di massa. In questo caso, Lattuada trasmette come lo spirito collettivo e la volontà della folla abbia la capacità di apportare dei mutamenti.
Oltre a fungere da veicolo per l’opposizione all’autorità, i cineasti neorealisti vedono anche le folle come strumenti di unità localizzata. Questo è particolarmente evidente nella scena in Ladri di biciclette in cui il personaggio centrale di Antonio Ricci affronta il ladro che gli ha rubato la bicicletta. Segue Antonio il ladro nel suo quartiere e cerca di costringerlo a restituire la sua vitale proprietà. Durante il processo, una folla si riunisce a sostegno del ladro. Per la folla, è irrilevante se il ragazzo è colpevole o meno del reato. Ciò che solo importa è la protezione di uno di loro dalla persecuzione ricevuta da un estraneo.

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Figura 2. Ladri di biciclette (1948).

Paesaggio

Nell’ambito della volontà di equiparare la nazione a episodi storici della cultura e del dominio politico, le raffigurazioni fasciste del paesaggio italiano spesso glorificano aspetti maestosi e monumentali della città. La verticalità insita nelle immagini dell’architettura urbana, delle antiche rovine e dei monumenti statali sono simboliche della stratificazione sociale gerarchica fascista. Lo spazio pubblico è chiuso, igienizzato; è organizzato intorno ad artificio e icone, preannunciando i progetti di architettura moderna e di ridisegno intrapresi durante il Ventennio. Le considerazioni riguardo al paesaggio rurale ne sottolineava il pittoresco, suggerendo un’armonia essenzializzata tra i contadini agrari e la terra. Al contrario, i trattamenti neorealisti del paesaggio riflettono una linearità orizzontale piuttosto che verticale. Dalle raffigurazioni delle lunghe sponde del fiume Po e della sua valle a Riso Amaro, Paisà e Il Mulino del Po agli ambienti espansivi e desolati dell’Italia meridionale e delle isole in Stromboli e La terra trema, il pittoresco è evitato a favore di altri trattamenti realistici degli spazi interni e dei paesaggi fisici naturalistici. Lo spazio diventa aperto, attivo e affettivo.

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Figura 3. Ladri di biciclette (1948)
Sebbene molti film si siano concentrati su rappresentazioni realistiche della vita rurale (particolarmente legato al Mezzogiorno), l’ambientazione predominante delle opere neorealistiche è ciò che Lizzani chiama “la grande periferia urbana” (in Tartagni, 1989). Questa periferia incarna il luogo vissuto delle classi lavoratrici emarginate, caratterizzate dalla mancanza di monumenti, artifici e simboli fisici legati alle interpretazioni fasciste della città. Nella sua delucidazione, esso rappresenta sia i popoli che i luoghi esclusi dal fascismo, offrendo una nuova sede di associazione collettiva basata meno su simboli di ascesa e virilità statale che sulle condizioni sociali di povertà, disoccupazione, disgregazione familiare, e l’incertezza del futuro endemico delle aree urbane periferiche in tutto il penisola. Ladri di biciclette rappresenta l’esempio più convincente al riguardo. Impostato a Roma, il film segue il protagonista Antonio e suo figlio Bruno nel loro attraversare la città da un quartiere all’altro alla ricerca della bicicletta di Antonio rubata. Durante la loro ricerca, Roma viene resa priva della sua grandezza simbolica.
Non c’è Colosseo, Vaticano, Fontana di Trevi, Foro Romano, o monumenti, strade ed edifici dell’E.U.R. di Mussolini.[3]L’Esposizione Universale Roma è un grande complesso urbano iniziato nel 1935 da Mussolini. Si tratta di un modello di architettura fascista originariamente realizzato per l’Esposizione … Continue reading Al loro posto De Sica presenta gli spazi ordinari vissuti della città. Quartieri popolari, i mercati ambulanti, gli uffici di disoccupazione e le fermate dei tram diventano fondali centrali. Nello spogliare Roma di tutte le cose romane, il ritratto di De Sica della città consente agli abitanti della classe operaia delle città di tutto il paese, di Milano, Napoli o Palermo, la capacità di immedesimarsi nella difficile situazione della famiglia Ricci.

Gioventù

Come preoccupazione primaria degli ideologi e dei pianificatori fascisti, la rappresentazione dei giovani ha costituito un ruolo centrale nei film apertamente propagandistici degli anni ’30. Il documentari e cinegiornali prodotti da LUCE (L’Unione Cinematografica Educativa), l’ente statale preposto alla produzione del cinema filofascista, “ha messo in evidenza il rapporto della gioventù con l’istruzione, l’esercito e lo sport” (Landy 2000, 237), in sostanza utilizzando i bambini come metafora della qualità ringiovanente del movimento fascista. Numerosi documentari hanno sostenuto le loro politiche di socializzazione specifiche per i bambini, compresa la vitalità dei gruppi giovanili, il patriottismo adolescenziale e la riduzione della delinquenza giovanile attraverso la definizione dei bambini per età e sesso. Come ha notato Elaine Mancini, questi i documentari “furono progettati per infondere lo spirito fascista, per insegnare ideali e per imporre la disciplina” (1985, 155). Il film di Blasetti, Vecchia guardia (1934) incarna tali glorificazioni. La storia ruota attorno a un ragazzo di nome Mario il cui la morte per mano dei socialisti lo rende un eroico martire della causa fascista.
Altri film, tra cui Camicia nera (1933), annunciano il cruciale coinvolgimento di bambini negli squadristi, le “bande di predoni aderenti in camicia nera a Fascismo” che “terrorizzava il popolo” (Landy 2000, 240). Un tema di fondo è che i bambini esistono come una specie di tabula rasa, ed è irreggimentato e indottrinando attraverso il ridisegno fascista del sistema educativo e il rafforzamento della famiglia tradizionale che il potenziale di recidiva giovanile è schiacciato.
Al contrario, le raffigurazioni neorealistiche collocano i bambini al di fuori del formale sistema educativo, coinvolto nelle lotte quotidiane e del mondo reale per sopravvivere nell’ambiente del dopoguerra. I bambini vengono spogliati della loro innocenza, a sinistra al riparo dalla disgregazione della famiglia tradizionale, spesso orfana come conseguenza della guerra, e costretti a cavarsela da soli. La rassicurazione del riparo della vita domestica è svanito poiché i ragazzi sono spinti ad assumere il ruolo di fornitori e le ragazze il ruolo di badante.

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Figura 4. Sciuscià (1946).
Sciuscià (1946) offre un esempio particolarmente acuto. Ambientato a Roma subito dopo la guerra, il film segue le prove e le tribolazioni di due giovani ragazzi, Pasquale e Giuseppe, che vivono per strada, e si guadagnano un’esistenza misera facendo brillare le scarpe e ricattando i soldati americani. I ragazzi finiscono in una scuola riformatorio, dove una serie di eventi porta allo scioglimento della loro solidarietà. La perdita dell’innocenza trova eco anche nella seconda vignetta di Paisà (1946), in cui un giovane ragazzo di nome Pasquale “acquista i diritti” dai suoi compagni membri della banda di strada a rubare gli effetti personali di un soldato americano di nome Joe. All’inizio Pasquale si avvicina a Joe come una mano che chiede aiuto, ma quando Joe sviene ubriaco, il ragazzo gli ruba i suoi stivali. Diversi giorni dopo, Joe raggiunge Pasquale e costringe il ragazzo a portarlo a casa sua per recuperare gli stivali. Come Pasquale lo conduce alle grotte di Mergellina fuori Napoli dove lui e centinaia di altri, costretti a viverci dalla guerra, vivono nello squallore, Joe scopre che i genitori del ragazzo sono stati uccisi. Rendendosi conto della difficile situazione del ragazzo, Joe lascia gli stivali come atto di carità solidale. Capisce che la sua intenzione di far punire il ragazzo ora non ha senso poiché Pasquale non esiste più nel mondo dell’infanzia.
La situazione dei ragazzi costretti ad assumere il ruolo di uomini è ribadita dal rapporto tra Bruno e il padre in Ladri di biciclette (1948). Scarsità di l’impiego nella città del dopoguerra ha obbligato Bruno a lavorare come distributore di benzina e accompagnatore per integrare il reddito familiare. Un tale capovolgimento di ruoli tra padre e figlio si sviluppa come tema ricorrente. La mattina dopo il furto della sua bicicletta, Antonio si vergogna troppo per dirlo a Bruno. Più tardi, quando Antonio affronta il ladro e successivamente viene avvicinato dalla folla, le azioni di Bruno proteggono suo padre dall’intervento della polizia. Nella penultima scena, dopo che lui viene sorpreso a rubare la bicicletta di un’altra persona, un Antonio disperato e umiliato cerca il perdono di Bruno. Bruno è costretto a resistere, consolando il suo sconvolto padre prendendogli la mano mentre i due si incamminano verso la telecamera e un incerto futuro.

Povertà

Considerando che il trattamento dei giovani riflette la realtà del cambiamento sociale resa necessaria dall’incertezza dell’immediato dopoguerra, è l’iniezione della povertà e dei suoi elementi distruttivi e paralizzanti associati che forniscono il più grande simbolo unificante per i film neorealisti. L’enfasi serve due scopi vitali. In primo luogo, agisce come risposta alle valorizzazioni fasciste della vita urbana e rurale.
Non sorprende che le immagini di miseria e difficoltà economiche siano quasi del tutto assenti dalle raffigurazioni fasciste della società. La vita di città, come trasmessa dal cinema dei telefoni bianchi e da stracittà prevalenti negli anni ’30, era un cinema con film che trattano di lusso, cosmopolitismo e tempo libero. Allo stesso modo, il paese è stato prevalentemente inquadrato come una vita semplice e soddisfacente fornita dalla generosità della terra. Simile a realistiche rappresentazione di paesaggi, il cinema neorealista sottolinea invece la difficile situazione economica in questi contesti e in questo modo rappresenta i gruppi della società italiana esclusi dalle interpretazioni fasciste della nazione. Le immagini delle classi lavoratrici oppresse sia in città (es. Paisà, Roma, città aperta e Ladri di biciclette) che nel paese (es. Stromboli, Riso Amaro e Ossessione) contrastano l’idealizzazione dei principi di modernizzazione fascista e di progresso economico.
La presentazione della povertà e della disoccupazione che ha caratterizzato l’ambiente italiano del dopoguerra funziona anche come un grande equalizzatore sociale nel suo suggerimento che si confrontano tutti i cittadini, indipendentemente dalla classe, dalla regione e dall’ubicazione urbana e rurale dalla stessa lotta per sopravvivere. I miti dell’arretratezza culturale ed economica, della stagnazione storicamente legata al Mezzogiorno si trasformano in questioni nazionali.
In tale visione il Mezzogiorno si rinnova come fulcro dell’unità d’Italia perché i meridionali potrebbero offrire tattiche di sopravvivenza a un nord sviluppato e industrializzato in cui la diffusa situazione economica e la disoccupazione erano in gran parte nuove fenomeni. Piuttosto che il linguaggio o una relazione condivisa con la storia, la base primaria dell’Unità d’Italia viene trasferita al compito collettivo di ricostruire sia il paesaggi fisici e sociali dopo la guerra. La natura endemica della povertà e l’indigenza cancella la lista, abbattendo sociale e regionale stratificazioni e promuovendo concetti di unità nazionale drasticamente nuovi che lo consentano il mantenimento dell’eterogeneità culturale.

Reimmaginare le basi dell’unità nazionale ne La terra trema di Visconti

In termini di forma, tecnica e contenuto, La terra trema è il più saliente sforzo del cinema neorealista nel postulare un nuovo percorso verso l’unità d’Italia. Un consumo l’enfasi sul realismo è inerente alla costruzione dell’immagine e della narrativa di Visconti e nella scelta del soggetto. I critici concordano sul fatto che “si adatta a molti delle tradizionali definizioni del neorealismo italiano migliori di qualsiasi altra opera del periodo” (Bondanella 1990, 68). Girato interamente in esterni nel borgo marinaro di Aci Trezza, in Sicilia, il film non impiegava studio o set sonori. L’unico utilizzo dell’illuminazione artificiale si verificava durante le scene notturne in mare. Non ci sono attori professionisti: i personaggi del film sono tutti membri della comunità locale. Anziché di post-sincronizzazione o doppiaggio del suono, Visconti ha scelto di catturare suoni autentici e voci della città. In tal modo, “ha preso una posizione culturale rivoluzionaria, rifiutando l’italiano standard (così come la cultura ufficiale che simboleggiava) per il dialetto delle persone semplici che filmava, credendo che l’espressione autentica de le emozioni delle persone potevano essere raggiunte solo usando la loro stessa lingua” (Bondanella 1990, 68). Dal momento che il siciliano era in gran parte incomprensibile alla terraferma pubblico, Visconti ha aggiunto la voce fuori campo e i sottotitoli in italiano standard (toscano). La sua costruzione di immagini attraverso riprese lunghe, singole, lente, grandangolari e fotogrammi stazionari con profondità di campo estrema riflettono gli aspetti formalisti attribuito al film documentario. Grande attenzione è riservata anche alla presentazione di interni realistici e di vita familiare. Stilisticamente, La terra trema impiega le convenzioni cinematografiche attribuite al neorealismo più di qualsiasi altro film. Tematicamente, Visconti incorporava un’attenzione al verismo senza eguali rispetto a qualsiasi altra opera neorealista. Il film stesso è tratto dal romanzo di Verga I Malavoglia (La casa del nespolo, 1881), una storia che segue una famiglia di siciliani pescatori (I Malavoglia) e le loro aspirazioni a una vita migliore al seguito della liberazione garibaldina della Sicilia. L’adattamento di Visconti ha due scopi. Da un lato, funge da piattaforma per la discussione della “questione meridionale”, istigando una rinnovata riflessione su come il Sud “è stato portato ad emblematizzare il problema della formazione dello Stato dal 1859” (Forgacs, 1987, 27). Dall’altro, esso coglie la possibilità, grazie ad Antonio Gramsci, di un’alleanza nazionale-popolare tra i contadini del sud e gli operai dell’industria del nord. Questa speranza è evidenziata dal fatto che il finanziamento iniziale per il film è stato fornito dalla Partito Comunista Italiano (PCI) e che La terra trema era originariamente concepito come parte di una trilogia che documentava pescatori, minatori e contadini del sud (da cui il sottotitolo, Episodio del mare).
Il sostegno al film da parte del Pci è indicativo della politica più ampia e dell’ethos alla base del cinema neorealista. Gli anni tra la fine della guerra (1945) e l’emanazione della nuova Costituzione italiana (1948) sono stati contrassegnati da grandi sconvolgimenti politici e antagonismi come partiti multipli, compreso il PCI, il Partito Socialista Italiano (PSI), il Partito Democratico del Lavoro (PDL), Partito d’Azione (Pd’A) e la Democrazia Cristiana (DC) che erano stati banditi sotto il fascismo hanno cercato di riorganizzare, riallineare e concretizzare il proprio sostegno ai progetti nazionalisti. I risultati delle elezioni generali del 1946 ridussero il numero dei partiti con qualsiasi possibilità realistica di stabilire il predominio parlamentare su tre: la Dc, che ha ottenuto il 35% dei voti, il Psi (20%) e il Pci (19%).
In questo stesso anno, i risultati del Referendum sulla Monarchia illustrano in nitido dettaglio le differenze politiche della popolazione a scala regionale. Mentre le regioni settentrionali votarono per abolire la monarchia e cacciare il re d’Italia nel complesso, la stragrande maggioranza dei meridionali ha votato per la conservazione. Mentre la DC di centrodestra ha mantenuto il suo più forte sostegno al nord, in particolare nel nord-est (la zona bianca), il PCI collocava la maggior parte del suo appoggio nella zona centrale (la zona rossa) (Agnew, 2002). Di conseguenza, il sud, compresa la Sicilia e la Sardegna e le regioni nord-occidentali concentrate attorno al “triangolo industriale” hanno dimostrato essere le aree di maggiore concorrenza tra le due parti.
In gran parte a causa di Gramsci, uno dei fondatori del partito quando si separò il PSI nei primi anni ’20, il PCI promosse pesantemente la formazione di un’alleanza tra operai dell’industria del nord e contadini del sud. Anche se la festa aveva sempre fatto appello alla coscienza della classe operaia, la particolarità del dopoguerra l’ambiente ha offerto l’opportunità di espandere la sua base di supporto oltre il proletariato. Dato il grado di livellamento delle divisioni gerarchiche di classe apportate dalla devastazione del tempo di guerra, il PCI ha cercato di delineare la possibilità di un ampia collettività populista attraverso la presentazione, usando più media, della pervasività del conflitto socio-economico esistente nel dopoguerra. Di conseguenza, il partito ha espresso sostegno a molti dei registi e dei film neorealisti di questo periodo per le loro modalità di presentazione realistiche e all’enfasi generale sugli elementi unificanti inerenti alla lotta per la sopravvivenza. A questo proposito, La terra trema ha rappresentato un veicolo impeccabile con cui promuovere una nuova forma di alleanza nazionale.

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L’adattamento di Visconti Figura 5. La terra trema (1948).
centri sulla famiglia Valastro, un clan di più generazioni di pescatori e delle loro mogli, sorelle e figlie che vivono insieme nella loro modesta casa al mare. Il personaggio centrale è uno dei figli chiamato ‘Ntoni, che più di chiunque altro, aspira a rendere la famiglia libera dal suo lungo sfruttamento da parte dei grossisti locali. Perché i grossisti possiedono le barche e mantengono contratti di esclusiva con i mercati cittadini, loro controllano i prezzi. Mentre la rabbia di ‘Ntoni verso questa sottomissione ribolle, nasce l’intenzione di ipotecare la casa di famiglia per acquistare la propria barca. Questo piano è accettato con resistenza, in particolare dalla generazione più anziana della famiglia. In una scena cruciale, il nonno di Ntoni ripete un detto comune tra i poveri siciliani che “tu può imparare a convivere con l’ingiustizia”. La risposta di Ntoni, che “i vecchi proverbi non funzionano più”, riflette la nozione di fondo di Visconti sulla necessità di liberarsi dal passato per reinventare le relazioni sociali.
Dopo che la famiglia ha acconsentito e la barca è stata acquistata, ‘Ntoni si culla nella potenziale realizzazione delle sue intenzioni borghesi, ostentando la sua nuova posizione di libertà economica con grande dispiacere dei suoi vicini. Il suo sogno, tuttavia, termina bruscamente quando il clan è costretto a pescare in caso di maltempo per poter pagare il mutuo. La barca viene distrutta dalla tempesta, costringendo ‘Ntoni e i suoi fratelli a cercare lavoro sulle barche degli altri. I loro vicini, tuttavia, li allontanano in conseguenza del loro presunto tradimento dei loro compagni pescatori e la minaccia di licenziamento dei grossisti che i Valastro hanno disprezzato.
Senza occupazione, la banca alla fine si prende la casa e i Valastro

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Figura 6. La terra trema (1948).
sono costretti a spostarsi. Raccontando la scena in cui lui incontra una giovane ragazza che ripara la sua vecchia barca, Visconti illustra come ‘Ntoni finalmente “si rende conto del suo errore fatale nel fondare le sue speranze sulla famiglia tradizionale piuttosto che su un nuovo senso di coscienza di classe e unità” (Forgacs 1987, 27). In una scena cruciale che segue, la consapevolezza di ‘Ntoni della sua difficile situazione personale e familiare viene trasferita alla nazione nel suo complesso. Inquadrato in primo piano, ‘Ntoni si rivolge alla telecamera (e di conseguenza al pubblico) direttamente, affermando: “Dobbiamo imparare a difenderci gli uni dagli altri, a restare insieme. Allora possiamo andare avanti….” In un atto di martirio sacrificale, ‘Ntoni torna quindi all’ufficio dei grossisti che, in via di concessione lui riottiene il suo vecchio lavoro su una delle loro barche, umiliandolo ancora di più davanti al suo colleghi. Dietro il capo dei grossisti, Raimondo, di cui ride incessantemente ‘Ntoni, vediamo i resti sbiaditi dello slogan fascista “Andare decisamente verso il popolo” dipinto sulla parete. Mentre l’immagine è abituata ad associare i grossisti corrotti e antipatici

Figura 7

Figura 7. La terra trema (1948).

al regime fascista, la condizione sbiadita dello slogan suggerisce anche che, nel tempo, gli effetti dell’era fascista scomparirà, consentendo a un senso più giusto ed equo della nazione di prenderne il posto. Nella scena finale, la telecamera si concentra su ‘Ntoni tornato al suo posto precedente sulla barca dei grossisti. Piuttosto che rassegnazione o sconfitta, la sua espressione facciale e il canottaggio intenso indicano una rabbia ribollente. In mezzo alla travolgente tragedia del film, lo spettatore è portato a credere che ‘Ntoni non ha finito di combattere, e quello dei sogni di un mondo migliore, di una nazione più egualitaria, si trovano appena oltre l’orizzonte in avvicinamento.

Conclusione

Il genere cinematografico neorealista si è sviluppato in un periodo di radicale apertura politica e incertezza sociale, un tempo precedente al consolidamento del potere da parte dei Democristiani alle elezioni nazionali del 1948 in cui l’appello per la base umanistica all’unità nazionale restava una possibilità. Portando fino alle elezioni parlamentari, diversi partiti della sinistra, tra cui Pci, Psi, Partito Cristiano Sociale (PCS), Partito Democratico del Lavoro (PDL) e Partito d’azione sardo uniti in un compromesso storico, gettando via le differenze ideologiche (e regionali) per sfidare meglio la DC. Con la sua sconfitta, però, il Fronte Democratico Popolare (FDP) si è dissolto con la stessa rapidità con cui si era formato. Il periodo riassunto e caratterizzato da una organizzazione e orientamento politico su scala nazionale dopo la guerra si trasformò subito in un “regime regionalizzante” che durò fino al i primi anni ’60 in cui i partiti politici dominanti concentrarono le loro energie nel consolidamento dei loro tradizionali centri geografici di supporto (Agnew, 2002).
La popolarità in declino dei film neorealisti nei tardi anni ’40 è in parte attribuibile alla natura dell’evasione inerente al mezzo cinematografico.
Il pubblico si è stancato di confrontarsi con le immagini e le questioni relative alle loro lotte del dopoguerra, favorendo invece gli spettacoli e i melodrammi americani che inondando i teatri come conseguenza del coinvolgimento degli Stati Uniti nella ricostruzione italiana. Il disgusto politico per le proiezioni neorealistiche della nazione aggravato il declino. L’associazione del neorealismo con il PCI e la sinistra divenne un bersaglio della Democrazia Cristiana che ebbe un sostegno sostanziale (e di conseguenza la pressione da) degli Stati Uniti a causa della battaglia globale contro comunismo. La Legge Andreotti del 1949 minacciava un grado di censura (e la negazione dei diritti di distribuzione) ai registi che presentavano condizioni “sfavorevoli” della vita italiana offrendo sussidi finanziari a coloro che sostenevano la qualità integrative e positive della Democrazia Cristiana. Il Neorealismo in gran parte si è evoluto nei film spensierati e pieni di stelle del neorealismo “rosa” all’inizio degli anni ’50, tentativi decisamente più ottimistici che annunciavano il miglioramento delle condizioni sociali legate alle fasi iniziali del “miracolo economico.” Anche il calo di popolarità dei progetti neorealisti è stato un sintomo di un idealismo irraggiungibile che sottolinea gran parte della motivazione politica alla base del film. Attraverso la presentazione realistica senza compromessi delle comuni esperienze di povertà del dopoguerra, disoccupazione e famiglie fratturate, il cinema neorealista nel suo insieme proiettava una convinzione nell’inevitabilità dell’auspicata alleanza nazionale-popolare libera da antagonismi di classe, etnici e regionali. Ironia della sorte, la frequente percezione da parte del pubblico di un pessimismo narrativo in numerosi dei film neorealisti occludeva l’ottimismo ideologico e l’idealismo politico. La semplice presentazione di “verità sociali” unificanti sullo schermo non necessariamente le rendeva reali tra la popolazione.
A loro merito, i film neorealisti come La terra trema hanno restituito la “questione meridionale” al centro del dibattito sul nazionalismo italiano.
Mentre il Sud era stato visto fin dal Risorgimento come l’ostacolo più grande al cammino verso l’unità d’Italia, almeno le rappresentazioni neorealistiche del Mezzogiorno hanno tentato di annullare le caratterizzazioni di vecchia data della regione come arretrata, socialmente disintegrata, arcaica e straniera. Evidenziando le somiglianze nell’etica del lavoro, pratica morale e organizzazione sociale che erano la base culturale delle regioni, il neorealismo ha cercato di riposizionare il sud fuori da una relazione di dipendenza dalla cultura settentrionale, dall’industria e dagli aiuti governativi in una di reciproco beneficio. Pur essendo incastonato in un periodo specifico della storia italiana del dopoguerra, il film neorealista ha dimostrato di avere una preziosa influenza sui successivi registi italiani e internazionali intenti a sfidare I modelli egemonici di società, luogo, e identità. Dalla Nouvelle Vague francese, all’indagine di Pier Paolo Pasolini sull’effetto omogeneizzante della modernizzazione e del consumismo in Italia (Comizi d’amore, 1964) a progetti di documentari di attivisti del mondo in via di sviluppo, le tecniche cinematografiche attribuite al neorealismo continuano ad essere utilizzate per le loro contestazioni delle modalità di presentazione. Nel regno della rappresentazione, il realismo è diventato un elemento saliente del meccanismo di interrogazione socio-culturale. Qui è dove l’eredità del Neorealismo brilla più luminosa.

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Vivere in pace. 1947. Dir. Luigi Zampa. Lux Film.

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References

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1 I film del telefono bianco o telefoni bianchi, sono così chiamati per via della frequente inclusione di un telefono bianco nella camera da letto – erano in gran parte commedie incentrate su “le debolezze della vita della classe superiore” (Landy 2000, 8) tendenti a enfatizzare la gerarchia di classe, il lusso e il conservatorismo.
2 Pratiche del Movimento Situazionista Internazionale nella Francia del dopoguerra e dell’Europa settentrionale negli anni ’50 (NdT).
3 L’Esposizione Universale Roma è un grande complesso urbano iniziato nel 1935 da Mussolini. Si tratta di un modello di architettura fascista originariamente realizzato per l’Esposizione Universale del 1942. Il massimo simbolo è il Palazzo della Civiltà Italiana, meglio conosciuto come il “Colosseo Cubico”.

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