Protesta di Papa Pio IX al conclave del 20 giugno 1859

Protesta di Papa Pio IX al conclave del 20 giugno 1859

Categoria: Domini Pontifici

VENERABILI FRATELLI
Al vivo dolore, da cui insieme a tutti i buoni Ci sentiamo oppressi per la guerra eccitatasi fra nazioni cattoliche, altro grandissimo se ne aggiunge per la lagrimevole mutazione e disordine di cose che, per nefanda opera ed ardimento al tutto sacrilego di uomini empi, testé avvenne in alcune Provincie del Nostro Pontificio dominio. Voi ben intendete, Venerabili Fratelli, che Noi ci dogliamo con queste parole di quella scellerata congiura e ribellione di faziosi contro il sacro e legittimo principato civile Nostro e di questa Santa Sede, la quale congiura e ribellione alcuni iniquissimi uomini dimoranti nelle stesse Provincie osarono tentare, promuovere e compiere con clandestine ed inique conventicole, con mene turpissime tenute con persone di Stati limitrofi, con libelli fraudolenti e calunniosi, con armi provvedute e venute di fuori, e con moltissimi altri inganni ed arti perverse.
E non possiamo non lamentare assaissimo che questa iniqua congiura sia primieramente scoppiata nella Nostra città di Bologna la quale, colmata di beneficii dalla Nostra paterna benevolenza e liberalità, due anni or sono, quando vi soggiornammo, non aveva lasciato di mostrare e di attestare la sua venerazione verso di Noi e di questa Sede Apostolica. Infatti in Bologna il giorno 12 di questo mese, dopo che inopinatamente ne partirono le truppe Austriache, i congiurati più segnalati per audacia, senza frapporre indugio, conculcando tutti i divini ed umani diritti e rilasciato ogni freno all’iniquità, non ebbero orrore di tumultuare e di armare, raunare e guidare la guardia urbana ed altri, e recarsi al palazzo del nostro Cardinal Legato, ed ivi, tolte le armi Pontificie, innalzare e collocare in loro vece il vessillo della ribellione, con somma indegnazione e fremito degli onesti cittadini, i quali non si arrestavano punto di riprovare liberamente sì gran delitto e di applaudire a Noi ed al Nostro Pontificio Governo.
Poi dagli stessi ribelli fu intimata la partenza allo stesso Cardinale Nostro Legato, il quale, secondo il dovere del suo ufficio, non lasciava di opporsi a tanti scellerati ardimenti e di sostenere e difendere i diritti e la dignità Nostra e di questa Santa Sede.
Ed a tal segno d’iniquità ed impudenza vennero i ribelli che non temettero di mutare il Governo e chiedere la dittatura del Re di Sardegna, e per questo fine mandarono loro deputati allo stesso Re. Non potendo dunque il Nostro Legato impedire tante malvagità e più a lungo sostenerle ed esserne spettatore, pubblicò a voce ed in iscritto una solenne protesta contro quanto erasi operato da quei faziosi a danno dei diritti Nostri e di questa Santa Sede, e costretto a partire di Bologna mosse a Ferrara.
Le nefandezze di Bologna vennero cogli stessi colpevoli modi operate altresì in Ravenna, in Perugia ed altrove, con comun lutto de buoni, da uomini scellerati, nella fidanza che il loro impeto non potesse venire represso e frenato dalle Nostre Pontificie milizie, le quali, trovandosi in poco numero, non erano in grado di resistere al loro furore ed alla loro audacia. Laonde nelle anzidette città si vide per opera dei faziosi conculcata l’autorità di ogni legge divina ed umana e oppugnata la suprema civile potestà Nostra e di questa Santa Sede, inalberati i vessilli della ribellione, tolto di mezzo il legittimo Pontificio Governo, invocata la dittatura del Re di Sardegna, spinti e costretti alla partenza i Nostri Delegati dopo pubblica protesta, e commessi altri non pochi delitti di fellonia.
Niuno poi ignora a che principalmente mirino sempre codesti odiatori del civil principato della Sede Apostolica, e ciò che essi vogliono e ciò che bramano e sospirano. Per fermo tutti sanno come, per singolare consiglio della divina Provvidenza, è avvenuto che in tanta moltitudine e varietà di principi secolari anche la Romana chiesa avesse un dominio temporale a niuna altra podestà soggetto, acciocché il Romano Pontefice, Sommo Pastore di tutta la Chiesa, senza essere sottoposto a nessun Principe, potesse con pienissima libertà esercitare in tutto l’Orbe il supremo potere e la suprema autorità a lui data da Dio di pascere e reggere l’intero gregge del Signore, e insieme più facilmente propagare di giorno in giorno la divina Religione, sopperire ai varii bisogni dei fedeli, prestare aiuto ai chiedenti, e procurare tutti gli altri beni i quali secondo i tempi e le circostanze fossero da lui conosciuti conferire a maggior vantaggio di tutta la cristianità. Adunque gl’infestissimi nemici del temporale dominio della Chiesa Romana perciò si adoperano d’invadere, d’indebolire e di struggere il civil principato di lei, acquistato per divina provvidenza con ogni più giusto ed inconcusso diritto, e confermato dal continuato possesso di tanti secoli e riconosciuto e difeso dal comun consenso de popoli e dei principi, eviandio acattolici, qual sacro e inviolabile patrimonio del Principe degli Apostoli, affinché, spogliata che sia la Romana Chiesa del suo patrimonio, possano essi deprimere ed abbattere la dignità e la maestà della Sede Apostolica e del Romano Pontefice e più liberamente danneggiare e fare aspra guerra alla Santissima Religione e questa Religione medesima, se fosse possibile, atterrare del tutto.
A questo scopo per verità mirarono sempre e tuttavia mirano gl’iniqui macchinamenti e tentativi e frodi di quegli uomini i quali cercano di abbattere il dominio temporale della Romana Chiesa, come una lunga e tristissima esperienza a tutti ampiamente fa manifesto.
Per la qual cosa, essendo Noi obbligati per debito del Nostro Apostolico Ministero e per solenne giuramento a provvedere con somma vigilanza al l’incolumità della Religione e a di fendere i diritti e i possedimenti della Romana Chiesa nella loro totale integrità e inviolabilità, non che a soste
nere e conservare la libertà di questa Santa Sede, la quale libertà è senza niun dubbio connessa colla utilità di tutta la Chiesa Cattolica; e per conseguenza essendo Noi tenuti a difendere il principato dalla divina Provvidenza concesso ai Romani Pontefici pel libero esercizio della ecclesiastica primazia su tutto l’orbe, e dovendo noi trasmetterlo intiero e inviolato ai nostri successori; per ciò Noi non possiamo non condannare sommamente e detestare gli empii e nefandi sforzi ed attentati dei sudditi ribelli, e loro fortemente resistere.
Pertanto, dopo avere con Nota di reclamo del Nostro Cardinal segretario di Stato mandata a tutti gli Ambasciatori, Ministri e Incaricati d’affari delle Corti estere, accreditati presso di Noi e di questa Santa Sede, riprovato e detestato le violenze di cotesti ribelli, ora alla presenza di questo vostro ragguardevolissimo consesso, o Venerabili Fratelli, alzando la Nostra voce, con la maggior forza che possiamo dell’animo Nostro protestiamo contro tutto ciò che gli anzidetti ribelli hanno osato di fare nei predetti luoghi, e colla Nostra suprema autorità condanniamo, riproviamo, cassiamo e aboliamo tutti e singoli gli atti si in Bologna, si in Ravenna, si in Perugia e sii qualunque altro luogo e sotto qualsivoglia titolo fatti da essi ribelli contro il sacro e legittimo principato Nostro e di questa Santa Sede, e dichiariamo e decretiamo che tali atti sono nulli del tutto, illegittimi e sacrileghi.
Dippiù ricordiamo a tutti la scomunica maggiore e le altre pene e censure ecclesiastiche fulminate dai Sacri Canoni, dalle Costituzioni apostoliche e dai decreti dei Concilii generali, specialmente del Tridentino (Sess. 22, Cap. XI de Reform.), da incorrersi senza bisogno di altra dichiarazione da coloro che in qualsivoglia modo ardiscono di scuotere il potere temporale del Romano Pontefice, e quindi dichiariamo esservi di già miseramente incorsi tutti coloro i quali a Bologna, Ravenna, Perugia e altrove osarono coll’opera, col consiglio, coll’assenso e per qualunque siasi altro modo di violare, perturbare ed usurpare la civile potestà e giurisdizione Nostra e di questa Santa Sede e il patrimonio di san Pietro.
Intanto, mentre spinti dal debito del Nostro officio siamo costretti, non senza grave dolore dell’animo, a dichiarare e promulgare tali cose, commiserando alla lagrimevole cecità di tanti figliuoli, Noi non desistiamo di dimandare umilmente e istantemente dal clementissimo Padre di misericordia che colla sua onnipotente virtù affretti quel giorno così desiderato, nel quale possiamo nuovamente accogliere con gioia fra le paterne braccia questi figliuoli Nostri ravveduti e ritornati al proprio loro dovere, e vedere reintegrato in tutti i Nostri Pontifici Stati l’ordine e la tranquillità, allontanatane ogni perturbazione. Sostenuti da tal fiducia in Dio, siamo eziandio confortati dalla speranza che i Principi d’Europa, siccome per lo addìetro, cosi ora altresì pongano di comune accordo e sollecitudine ogni loro opera nel difendere e conservare intero questo principato temporale Nostro e della Santa Sede, importando sommamente a ciascuno di loro che il Romano Pontefice goda pienissima libertà affinché si possa debitamente soddisfare alla tranquillità di coscienza dei cattolici che dimorano nei loro Stati. La quale speranza per certo da ciò ancora viene accresciuta che gli eserciti francesi esistenti ora in Italia, secondo le dichiarazioni del carissimo Nostro in Cristo Figlio, l’Imperatore de Francesi, non solo non faranno cosa alcuna contro il potere temporale Nostro e di questa Santa Sede, ma anzi lo difenderanno e conserveranno.

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