Il Partito Nazionale di Mazzini

Il Partito Nazionale

Il Manifesto del Comitato nazionale Italiano ha prodotto già molti degli effetti che per noi si speravano. Tanto è sentito il bisogno d’una unificazione degli elementi attivi che compongono il partito popolare — tanto è già santo e universalmente riconosciuto in Italia il principio della sovranità nazionale fatto base a quel Manifesto – che – il moto novellamente iniziato incontra assenso e favore anche da molti fra gli uomini ai quali era un tempo sospetto o temuto come sorgente di guai senza prò ogni tentativo che non venisse dall’alto. Pochi gazzettieri, appartenenti a quella gente trafficatrice della parola, rara per ventura in Italia e dalla quale è bello l’essere biasimali, hanno gittato al solito la calunnia e l’oltraggio. Ma il modo con che s’accoglie all’interno l’ardito concetto del Prestito nazionale è tal voto di fiducia che può irritare, ma non contrastarsi.
E quel voto di fiducia è gioia a noi e dev’esser gioia a quanti amano davvero il paese, non perché dato a pochi uomini i quali non hanno merito da quello in fuori d’ essersi mantenuti fermi sempre in una fede e e costanti a bandirla – non perché concentra anzi tratto in mani oneste mezzi che agevoleranno il trionfo della causa nazionale – ma sopratutto perché rappresenta un progresso morale importante, perché annunzia una maggiore unità fra il pensiero e l’azione, perché accenna, come dissi, a un bisogno séntito in oggi dai più di concentrarsi ad una bandiera, d’accomunare i consigli e gli sforzi, d’ordinarsi a falange compatta. Da questo moto, indizio d’un’accordo prevalente negli animi, e simbolo della futura unità; da questo concentra mento di forze attive, sorgerà, per poco che prosegua nel suo sviluppo, la coscienza, la certezza della nostra potenza; sorgerà l’intelletto dei mezzi della vittoria; sorgerà la villoria che non è per noi sé non un problema di direzione. Le forze in Italia abbondano; e i fatti lo hanno provato. Non manca sé non di sottrarle all’isolamento, o alle influenze che le traviarono, e far sì che convergano, armonizzate, là dove è più forte l’ostacolo all’intento comune.
Al di dentro, la necessità d’ordinarsi contro un nemico ordinato, anzi non forte sé non de’ suoi ordini esterni – la necessità di prepararsi a non lasciarsi cogliere alla sprovveduta dall’occasione, bensì a coglierla rapidamente la necessità d’una ispirazione comune, d’una norma generale prestabilita. Si che nei primi e più decisivi momenti della lotta, il popolo non si disvii, non esiti incerto, non soggiaccia ai disegni eccentrici – la necessità su tutte l’altre suprema di conoscere i migliori, di sapere ove collocarli utilmente, d’impedire che l’impresa iniziata non cada in mano ad uomini mal noti, avversi, tiepidi, inetti o venduti a concetti men puri e men grandi dell’Idea nazionale:
Al di fuori, la necessità di redimer l’Italia dalle accuse volgari d’esser discorde, querula, irrequieta, incapace d’armonia di voleri e d’opere: – la necessità di rispondere con un fatto incontrovertibile ai molti stranieri che dicono: «gl’italiani desiderano, ma non vogliono; no, gl’italiani desiderano e vogliono – la necessità d’imporre una volta per sempre silenzio agli uomini che s’ostinano a a chiamarci fa la necessità d’un centro a cui possano l’azione di pochi audaci sommovitori capo gli elementi attivi dei popoli oppressi come noi siamo e desiderosi d’insorgere come noi siamo, e intendersi, in anellare il loro pensiero al pensiero italiano, e dar potenza europea al moto-nazionale: Son queste le cagioni che mossero gli uomini del Comitato nazionale ad accettare l’incarico, a stringersi in nucleo di precursori del moto popolare Italiano; queste che inducono i volenterosi in Italia ad accogliere la parola del Comitato, a stringersi in concordia d’ opere intorno ad esso.
Precursori, ho detto; e che altro potremmo noi essere? Séntimmo l’urgenza del lavoro e ci riunimmo a fare perch’altri non si riuniva. S’altri sorgesse a far meglio, ci avrebbe seguaci e non guidatori. sé la gioventù d’Italia ci dicesse: tacete, il nostro linguaggio collettivo tacerebbe e torneremmo individui. La nostra parola pop è sé non l’eco dei più: la nostra forza non ci viene che dal consenso dei più. E perché volemmo, a seguire, avere e dare una prova del consenso dei più, il primo nostro atto fu l’emissione dell’Imprestito nazionale. Provocammo sin dal primo giorno un giudicio del Partito sul Comitato: giudicio più libero di qualunque altro possa idearsi, dacché noi siamo esuli, senza mezzi d’atterrire o sedurre, senza elemento di dittatura o influenza, fuorché quella che scende dalla predicazione del vero. Il giudicio ci è favorevole e proseguiremo. Ma quando la grande parola del Popolo affratellato nell’azione intonerà sulle barricate l’inno dell’Italia ridesta, gli uomini del Comitato scenderanno lieti, semplici individui, nelle vaste spire del moto. Le moltitudini sceglieranno i loro capi. nell’ore storiche segnate dalla Provvidenza a crear Nazioni, solo iniziatore è Dio, solo interprete de’ suoi disegni il Popolo. Allora com’oggi, ogni uomo avrà debito sacro di dire ai suoi fratelli tutta e senza velo, come a lui sembra d’intravvederla, la verità sulle vie da tenersi per compir quei disegni. Ma il Comitato nazionale non s’assume sé non di raccogliere e ordinare gli elementi oggi dispersi e inerti del moto, di dare al Popolo coscienza delle sue forze, di prepararlo e spianargli le vie all’esercizio della sovranità che gli spetta.
Ed è lavoro essenziale. perché non fu fatto con pertinace insistenza, perirono rivoluzioni che avevano in sé tutti gli elementi della vittoria. Perirono perché il tempo necessario a guardarsi intorno, a intendersi, ad ordinarsi, fu prezioso al nemico perirono, perché il popolo inconscio di tutte le sue forze, non preparato all’esercizio della propria sovranità, cesse la propria iniziativa ad uomini che non eran di popolo, che lo temevano e non sapevano né volevano giovarsene: perirono perché l’ordina mento delle forze, non iniziato prima, fu sviato a intento diverso da quello che le rivoluzioni si prefiggevano.
È tanta a taluni nell’animo la riverenza della maestà popolare e degli istinti delle moltitudini, che sembra ad essi soverchia, inutile sé non dannosa, ogni opera di preparazione. E fu – in molti fra questi di mala fede — il linguaggio de’ moderati i quali avversavano costantemente e con pessimi modi ogni ordinamento di forze, ogni –
tentativo d’unificare gl’incerti voleri dicendo che bisognava lasciar giudice e padrone di fare il popolo; poi quando il popolo cominciò a scender sull’arena o a fare, si prevalsero del suo trovarsi non ordinato e inesperto degli uomini e delle cose per impossessarsene, avvilupparlo nelle loro reti cortigianesche, nei loro falsi concetti, e strozzarne il buon volere e l’impresa. Quei che ripetono oggi con più oneste intenzioni quella sentenza preparerebbero, senza avvedersene, all’Italia, sé prevalessero, una nuova serie di guai, una ripetizione degli errori passati, l’esclusione del popolo, ch’essi vorrebbero arbitro solo, dal maneggio della causa ch’è sua, e l’iniziativa dal l’alto, cioè dalle reggie qualunque siasi. Tanta è la potenza, tanto è il fascino ch’esercita sul popolo ogni potenza ordinata, ch’ei né segue, come promessa di salute, l’iniziativa ove non si trovi per ordinamento, e insegnamento anteriore presto a sviluppare con fiducia la propria.
L’applicazione d’un principio vero a due condizioni diverse anzi contrarie è madre d’errore. Il popolo è schiavo in oggi; diviso, ricinto da spie, solcato da caluppie, da pregiudizi, da falsi insegnamenti che pur sono i soli concessi. perché volere attribuirgli quella potenza che noi tutti rettamente attribuiamo al popolo libero?
Il fanciullo anch’egli è individuo. E perché ad ogni ente individuo stà sacro sulla fronte un segno di libertà, voi, precorrendo tempi, v’asterrete dall’educarlo? No; voi sapete che il dritto e il dovere dell’educazione stanno appunto nella necessità di prepararlo all’esercizio ragionevole e sacro della sua libertà. Cosi d’un popolo. E questo preteso rispetto anteriore alla futura sua libertà sommerebbe a ucciderla in germe, lasciandola all’educazione delle cento influenze avverse ch’oggi ordinate, signoreggiano il campo: propter vitam, vivendi perdere causas.
L’ordinamento, l’associazione, è l’educazione del popolo. E questa educazione non può avviarsi efficacemente sé non per opera collettiva. L’individuo non può combattere la prepotenza delle condizioni attuali. La sua missione può essere, e ristrettamente, morale, non politica. Ei può indicare imperfettamente lo scopo, non insegnare i mezzi coi quali il popolo può raggiungerlo.
Gl’istinti di libertà, d’eguaglianza, di nazione, d’indipendenza fremono tre anni or decorsi l’hanno provato nel core del popolo: gli manca ancora in parte, io ripeto, la fede; gli mancava la coscienza delle sue forze: la fede, cioè l’unità tra il concetto e la pratica, l’impulso che sprona a tradurre i pensieri in azione, la religione del sagrificio: la coscienza delle sue forze, cioè la conoscenza della debolezza del nemico, quella della propria potenza, e la certezza ch’altri oppressi sorgeranno con lui e che una rivoluzione nazionale ma nazionale davvero non può ormai più rimanersi sola in Europa.
E la fede non si crea sé non colla fede, colla virtù dell’esempio: l’unità necessaria a operar grandi cose, tra il pensiero e l’azione non s’insegna sé non rivelando nel fatto visibile dell’associazione tra quei che scrivono il pensiero dell’epoca essere pensiero sociale dell’affratellamento pratico ordinato tra quei che gridano: tu séi chiamato ad essere popolo di fratelli: incarnandola in uomini. L’individuo, checché pensi, non varca la sfera del concetto filosofico: l’apostolato è nécessariamente opera collettiva. E le rivoluzioni non si fanno sé non coll’apostolato; la filosofia, il pensiero solitario, precede, prepara, non compie.
E la fiacchezza del nemico ogni qual volta s’assalga audacemente di fronte, la insuperabile forza degli elementi accolti in una nazione ogni qual volta operino concentrati, l’alleanza stretta fra gli oppressi di tutte nazioni e presta a rivelarsi ogni qual volta a un’interesse locale o dinastico verrà sostituita sulla bandiera degli insorti l’espressione d’un grande principio, come si manifestano a un popolo inceppato, vegliato, sé non col lavoro concorde di molti? La semplice diffusione d’uno scritto vietato non esige forse spese e mezzi segreti e catena d’agenti?
Le insurrezioni, noi possiamo affermarlo, non sorgono, non sorsero mai miracolosamente spontanee, prole senza madre, scompagnate dal lavoro d’ordinamento anteriore. L’ora scocca improvvisa, non preveduta, creata da un menomo fatto; ma le associazioni, i martiri talora derisi imprudenti, i tentativi biasimati sempre fino a quell’ultimo che ottiene successo, la rendono inevitabile.
Io so d’uomini, buoni, caldi d’affetto patrio e presti ad affrontare i pericoli di quell’ora suprema, ma schivi, in nome della libertà loro che temono violata nelle associazioni, da ogni lavoro ordinato. Ed era sospetto in parte fondato, quando le società procedevano segrete non solamente negli atti, ma nell’intento, e senza pubblico apostolato, senza dichiarazioni di principii, senza capi noti e mallevadori, ravvolte di formole, gerarchie complesse e misteri sovente tremendi. Ma oggi, con un’apostolato patente al quale ogni uomo può richiamarsi? sopra un terreno che lascia libero a ognuno lo studio e lo sviluppo di tutte questioni speciali? senza obblighi fuorché gli assunti volontariamente? senza vincoli fuorché di consiglio e d’aiuto fraterno? con una direzione nota, e removibile quando non piaccia alla maggioranza di quei che compongono l’ordinamento?. Ah! io ricordo a quelli tra’ miei fratelli che travedono la libertà nell’isolamento, come oggi noi tutti siamo diseredati di libertà.
Son’essi, possono essi mai essere liberi soli? liberi nell’esiglio forzato, liberi nella schiavitù delle polizie, dell’alto clero, dei birri, delle spie che né seguono i passi?
liberi nell’altrui schiavitù? La povera nostra patria tormentata da Austriaci, Francesi, papa e governi incapaci o tirannici, non merita il primo loro pensiero? E possono essi calcolare, analizzare filosoficamente i privilegi della loro libertà individuale, men tre in Sicilia, in Napoli, in Roma, le prigioni son piene dei loro fratelli, mentre esazioni inaudite impoveriscono a prò dell’Austria la Lombardia, mentre vivono in Italia principi i quali ad avvilire la nazione nei loro sudditi tolgono a imprestito il bastone croato? Oggi per gli Italiani non esiste che una sola virtù, il sagrificio di sé stessi alla patria. Fatti uomini e cittadini, discuteremo di libertà individuale. E impareremo anche allora non essere, senz’associazione, sviluppo possibile di libertà.
I giovani d’Italia cominciano a intendere queste cose; quindi il favore all’Imprestito e la moltitudine d’elementi che accorrono a ordinarsi sotto l’ispirazione del Comitato nazionale.
Ordinamento nazionale ed imprestito son’ oggi due fatti più che iniziati. Bisogna compirli e rapidamente. Il non fare avrebbe potuto interpretarsi come diffidenza degli uomini dai quali esciva la chiamata: il fare a mezzo tornerebbe in discredito del Partito.
Il fatto d’un’Imprestito nazionale promosso da pochi esuli e coperto in Italia sotto gli occhi d’Argo delle polizie, è fatto troppo importante nelle conseguenze materiali e morali perché iniziato una volta non debba condursi in brevissimo tempo a termine.
Le conseguenze materiali sono patenti ad ognuno. Ma l’insegnamento dato a tutti dalla democrazia italiana del come l’attività collettiva possa equilibrare la potenza dei pochi capitalisti del dispotismo – il credito della nostra rivoluzione fondato – la prova irrecusabile data a governi e popoli del nostro numero, della nostra devozione alla causa, della fermissima risoluzione in che siam venuti di vincere – hanno pure importanza vitale. L’Imprestito costituirà una pagina storica del Partito nazionale Italiano, E mentre l’Imprestito prepara la cassa, l’ordinamento prepari l’esercito, la chiesa militante della nazione. Di provincia in provincia, di luogo in luogo, d’uomo in uomo, si costituiscano relazioni, si diffonda la parola di fratellanza e di fede, si stringano gli anelli d’una catena che annodi tutti i credenti nella Patria Italiana. L’apostolato s’è finora concentrato soverchiamente belle città; è d’uopo si spanda di comune in comune. In ogni comunque piccola località vive, ignoto forse, e quindi inerte, qualche italiano che adora nel segreto la bandiera della nazione: bisogna raggiungerlo, confortarlo al sagrificio, affratellarlo nel pensiero comune: bisogna risalire da lui ad altri, chiedere all’uno ch’ei si prepari all’azione, all’altro un mezzo di comunicazione, al terzo la diffusione di liberi scritti, al quarto statistiche d’uomini e d’elementi che possano un giorno giovare al paese, al quinto il consiglio sui primi atti da compiersi, sui primi mali da ripararsi nel di del risorgere; a tutti l’obolo per la Patria: bisogna che le donne alle quali è santo il nome d’Italia si facciano ispiratrici del lavoro: bisogna che i giovani lo eseguiscano, i canuti lo benedicano. Lavoro di tutti: divisione di lavori: ispirazione comune: non pensiero che non sia di patria:
non idea che non tenti ridursi ad atto d’amore fraterno: dimenticanza dell’io: così si vince, così si fonda nazione. Faccia ogni uomo il debito suo. Noi siam padroni dei nostri fati.
Gius. MAZZINI.

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