Indirizzo della Giunta costituzionale d’Ivrea al Re Vittorio Emanuele

Indirizzo della Giunta costituzionale d’Ivrea al Re Vittorio Emanuele, e suo Proclama ai Popoli del Canavese.

Categoria: Risorgimento

13 marzo 1821.
S. R. M.
Li Popoli del Canavese, penetrati della necessità di assicurare il trono di V. M., il benessere della Vostra Dinastia, ed il loro proprio, tocchi dai mali che li Ministri contro il paterno cuore di V. M. fecero da cinque anni e più a questa parte sopportare ai vostri fedeli sudditi, proclamarono la Costituzione spagnuola, come quella che sola può nelle circostanze attuali procurare un tanto intento.
Dalla unita Proclamazione vedrà V. M. quali sensi nutrono di rispetto e di attaccamento alla di Lei inviolabile Persona ed al l’amatissimo Principe di Carignano ed alla Dinastia di Casa Savoia.
Giammai Trono sarà più sodo che quello di V. M., fondato come egli è sull’amore dei sudditi e su di una Carta costituzionale così atta a grandirlo.
L’Italia settentrionale verrà in breve ad accrescerne il lustro, ed i Canavesani, pronti a sostenerlo contro gli Austriaci e qualunque altro inimico della loro libertà, si mostreranno degni di emulare gli antichi Italiani.
Viva il Re, Viva il Principe di Carignano, Viva la Costituzione Spagnuola.

PROCLAMAZIONE
Abitanti del Canavese, La divina Provvidenza ha posto un limite ai mali che nell’ordine della natura travagliano l’umanità: giunti ch’essi sono al colmo devono retrocedere e far piazza al bene; sì
che con ragione si può dire che il sommo male produce il bene.
Grandi erano i mali che tormentavano i Piemontesi; e tanto più gravi ch’essi percuotevano uomini che, mercé li acquistati lumi per le trascorse vicende, non sono più né ciechi né sordi, quali l’ignoranza li teneva nelli antichi tempi.
Il Sovrano del Piemonte era cd è dotato di un eccellente cuore: non volle mai esso che il bene de’ suoi sudditi e la prosperità
della Nazione piemontese: ma la sua illimitata autorità che nelle di lui sole mani non sarebbe mai stata di danno né a questa né a quelli, era divenuta nelle mani dei Mini stri e dei cortigiani favoriti un mantello per operare ogni cosa contro il cuore e la volontà Sovrana, a puro vantaggio loro ed a detrimento tanto del decoro del Trono stesso quanto dello sgraziato Piemonte.
Le imposizioni, o sotto di uno o sotto altro nome, crebbero mai sempre a vece di diminuire, ed un giuoco si andava facendo dell’istessa parola diminuzione che al Re si faceva pronunziare. Il Piemonte, che con 24 milioni di reddito andava assai bene una volta, non faceva né onore alli incautamente creati debiti dello Stato né risparmi con 60 milioni e più che si percevono con aggravio dei contribuenti. Li Dritti Riuniti, che contanta buona volontà soppressi furono dal Re, vennero risuscitati sotto li ancor più vessatorii dritti delle gabelle: il servizio della po sta delle lettere si fece degenerare in un sistema di vessazione per ogni classe di persone . . . La risurrezione dei dritti signorili, cui solo si mutò il nome colli Editti del 1797, operò la rovina delle moltiplici Comunità e cittadini, già sovra carichi d’imposte locali e provinciali, oltre tutte le suddivisate, dirette ed indirette. Lo stabilimento così prezioso dell’insinuazione diventò pure un ramo esuberante di speculazione per le Finanze. Li conventi dei religiosi, invitati a ristabilirsi, non ottennero la dote necessaria, che venne accordata a taluno tuttochè posteriormente riunitosi, e li Capitoli cattedrali, spogliati dei redditi loro assicurati dal cessato Governo, non ottennero mai li tante volte promessi supplementi di congrua. Le leggi antiche e quelle stesse che andavano facendosi dopo il 1814 erano inosservate. Magistrati ignoranti o passionati le sconoscevano: una nuova legislazione era promessa, e mai si vide a comparire; enormi sportole aggravavano i litiganti, se riuscivano ad ottenere una oramai disperata decisione od a evitare di essere manomessi da arroganti relatori, speculanti sul commercio dei Congressi proibiti dalle RR. CC., e nanti cui lo stesso Senato senza riguardo, o per raccomandazione parziale o per fuggir fatica, soleva mandar le parti.
Gl’impieghi civili e militari erano accordati senza rispetto al merito, e si ammettevano le traverse così di scoraggianti . . . Li titoli e le decorazioni, proprie a fomentare le virtù, erano prostituite, come le pensioni di ritiro, e si ruinava quel tesoro d’onori che sostiene e promuove così economicamente il bene di uno Stato.
Un Ministro di polizia, di puro dispendio e vessazione in un piccolo Paese, concorreva a violare impudentemente le leggi che garantivano qualche poco la sicurezza, la libertà e la proprietà dei cittadini, non osservando né anco quei limiti che l’Editto di sua creazione gli prefisse: e laddove non è lecito di uccidere i facinorosi inermi finché non sono iscritti sul catalogo dei band ti, si vide assassinare per ordine di tal Ministero e di un Governatore la gioventù studiosa, raunata inerme nel suo santuario, affidata alla protezione delle Costituzioni dell’Università. Tacevano le leggi, la giustizia era bandita; il fiore dello Stato assassinato; il Re e la sua parola posti in contraddizione e ridicolo e persino nella circostanza di essere odiato il primo: rovinati i proprietarii, i negozianti;
avvilita la stessa Nobiltà . . . tutto era un cahos, un vero disordine, che ognuno sentiva ed al solo Re si lasciava ignorare.
Il Piemonte non poteva più andar oltre in tale stato. La conservazione del Trono e della Nazione piemontese esigevano una riforma politica, come rimedio a tanti mali giunti al loro colmo.
Il sommo Iddio che protegge le nazioni ed i re, illuminò finalmente l’ottimo nostro Sovrano servendosi di quei mezzi che nella sua imperscrutabile volontà avea ab eterne prefissi, e lo decise ad adottare la Costituzione spagnuola con quelle modificazioni che le Corti o Parlamenti nazionali vi apporteranno, massime a favore dei Valdesi e della successibilità di S. A. il Principe di Carignano a questo Trono: questa Costituzione è quella che fra le cognite Costituzioni è la più adattata ai lumi ed ai bisogni delle nazioni.
Bravi Canavesani! se, giusta il detto di S. Paolo, sentiste più d’una volta ad inculcarvi di obbedir al Sovrano, eziandio men giusto, qual difficoltà frapporrete ad obbedire al nostro bravo Re Vittorio Emanuele, che vi comanda cose così giuste e vantaggiose tanto per Lui stesso, il suo Trono e la sua Dinastia, che per voi tutti?
Si, la Costituzione spagnuola che vi comanda di obbedire si è quella che protegge la cattolica religione che professate; che garantisce le vostre proprietà, la vostra vita, il vostro onore; che, lasciando al Re ed alla Corte il necessario lustro ed accordando a quello l’inviolabilità di sua Persona, lo mette nell’impossibilità di fare il male e nella possibilità di fare tutto il bene de’ suoi sudditi, e toglie la volontà ed i mezzi ai Ministri ed agli impiegati di coprire la violazione delle leggi col mantello del Poter Sovrano.
Bravi Militari! Il merito e non la nascita stabiliranno il vostro avanzamento, ed un ragazzo arrogante e senza educazione e scienza militare non vi comanderà più con impudenza: li primi gradi nella carriera vostra vi sono aperti, se li meritate.
Bravi Ministri della Religione! anche per voi è aperta la carriera ai primi posti dello Stato e potete esser utili e come ministri del
culto di Cristo e come cittadini.
Non è rivoluzione, ma semplice riordinamento di un Governo l’accettazione di questa Carta costituzionale: proprietari, contadini, nobili e plebei, siate tranquilli.
Uniamoci tutti nel nostro Sovrano ed all’amatissimo Principe di Carignano. L’unione fa la forza. Facciamoci la virtù generosa di perdonare a quei personaggi che abusarono della bontà del Re dopo il suo felice ritorno in Pie monte. Ravvisiamo in essi, autori dei tanti mali nostri, li autori dell’attuale nostro tanto bene.
Non paventiamo li inimici delle Costituzioni, qualunque essi sieno: rammentiamoci sempre con Carlo Emmanuele di felice me moria che li Austriaci furono in ogni tempo gl’inimici della libertà del Piemonte e dell’Italia, e non dimentichiamo che il Popolo che combatte per la sua libertà non può soccombere contro dei militari che pugnano per la schiavitù : non lasciamo fuggire quest’occasione di riunire il Piemonte all’Italia e di esaudire i voti degli Italiani che vogliono accrescere lo scettro del nostro Re, e con tutta tranquillità e fidanza gridiamo – Viva il Re, – Viva la Costituzione spagnuola, – Guerra alli inimici della libertà civile e ben ordinata dei Popoli, – Viva Vittorio Emmanuele Re d’Italia settentrionale, – viva il Principe di Carignano, – Guerra agli Austriaci, se osano opporsi alla giustizia della nostra Causa.


Dat. Ivrea, li 13 marzo 1821.
La Giunta costituzionale Provvisoria della Provincia.

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