Messaggio di Farini alle Assemblee Costituenti dell’Emilia

Messaggio del Cav. Luigi Farini Dittatore delle Provincie Parmensi e Modenesi e Governatore generale delle Romagne, alle tre Assemblee Costituenti dell’Emilia.

19 novembre 1859.
Ai Presidenti delle Assemblee di Bologna, Modena e Parma Signori, I Governi delle Provincie libere del Centro d’Italia proposero concordemente alle Assemblee dei Rappresentanti del Popolo la Reggenza di S. A. R. il Principe Eugenio di Savoia Carignano. Le Assemblee approvarono per voti unanimi la proposta.
Ora i recenti fatti e le comuni preoccupazioni mi fanno debito di dare pubblica notizia ai Rappresentanti del Popolo di ogni mia pratica ed opinione su questo argomento.
Non ripeterò le cose dette nel Messaggio che mandai alle Assemblee di Modena e di Parma. Ma, dacché e in qualche documento diplomatico e in alcuni diarii stranieri che hanno qualità di governativi la risoluzione presa dalle Assemblee è stata giudicata poco prudente, e dacché pare ch’essa abbia rincresciuto al Governo di quella generosa Nazione alla quale siamo uniti pel vincolo di un inestimabile beneficio, non parrà cosa disdicevole che io esponga l’animo mio in brevi e sincere parole.
Io sono pur sempre convinto che le Assemblee, eleggendo un Reggente, presero una risoluzione utile alla patria, continuando sagacemente lo sviluppo logico del nostro moto nazionale, del quale nessuno pretenderà che noi vogliamo d’animo volonteroso rinunciare alla opportunità ed al frutto.
Le Assemblee, e con esse un Popolo intero, diedero l’esempio, forse unico nella storia, di saper regolare tutte le fasi di un rivolgimento popolare nei limiti e, starei per dire, nella legalità di una situazione politica assentita dal l’Europa. Impresa vana a proporsi, se si trattasse di una rivoluzione capitanata da un partito, ma che è stata possibile in una società concorde che cerca la propria salvezza con sollecitudine tanto più prudente quanto è più viva ed indissolubilmente legata per opinioni e per interessi unanimi al trionfo di una causa comune.
Noi seguitammo in fatti come costante norma dei nostri atti politici i termini della quistione italiana quali erano posti nei consigli dei Potenti, i quali hanno riconosciuto che l’Italia non avrebbe mai avuto tranquillità né l’Europa stabile riposo finch’essa rimanesse campo aperto agl’ingerimenti ed alle preponderanze straniere. Un nuovo principio politico doveva adunque essere sanzionato in favor nostro, e doveva essere ammesso anche per noi il diritto che hanno i popoli a liberamente disporre dei loro ordini interni.
Ma a questo nuovo diritto degli Italiani doveva corrispondere un nuovo dovere. L’Italia, rimasta sino allora in soggezione dello straniero, doveva nel suo rinnovamento mostrare che, al paro degli altri popoli civili, sapeva reggersi da sé, e che la sua libertà in terna le poteva essere consentita perché non ne avrebbe fatto uso contrario alla tranquillità generale ed agli ordini politici dell’Europa.
La Reggenza del Principe di Carignano fu proposta dai Governi, fu accettata dalle Assemblee perché rispondeva al doppio termine di questo problema. Ma non potrebbe dirsi che gli Italiani siano rientrati in possesso dell’Italia se, quando essi prendono una deliberazione che nella pratica conoscenza delle loro condizioni credono opportuna ad assicurarne la pace e la tranquillità, dovessero prevalere contrarii consigli.
Gli Italiani non vorranno mai spregiare i benevoli avvisi, sopratutto quando essi sono avvalorati da tanto debito di riconoscenza. Ma perché in così gravi circostanze, come sono le nostre, l’Italia possa dare tutte quelle guarentigie che l’Europa le chiede, è necessario che l’Europa le lasci in
ricambio la scelta dei mezzi.
Come seguitare i consigli d’ordine e di prudenza se altri e più imperiosi consigli vengono a vietare o a indugiare un provvedimento pel quale noi intendemmo avvalorare il principio di autorità, unirci più strettamente agli ordini monarchico-costituzionali, ed assumere le obbligazioni di uno Stato regolare?
Molti animi generosi e insofferenti d’indugio cominciano a credere che noi ci travagliamo in opera di vana moderazione, la quale non possa avere altro risultamento che quello di spossare le vive forze dell’entusiasmo; pare ad altri che, durando le incertezze, sia giunto il momento di ricorrere a quei mezzi che in un solenne Manifesto furono dichiarati legittimi quando si tratta della indipendenza nazionale.
Quando i Governi proposero la Reggenza alle Assemblee, sebbene non avessero accordi prestabiliti col Governo Sardo, essi avevano la certezza morale che i voti dei Rappresentanti del Popolo sarebbero stati esauditi. Ce n’era garante la lealtà del Re, il quale aveva accolto i voti di sudditanza; del Re, pel quale non v’ha pensiero o pericolo che possa superare la religione della data parola. Ce n’erano garanti la sagacia del suo Governo e di tutto il Popolo subalpino, i quali sentono e sanno che, se il Governo del Re cessasse di essere a capo del moto nazionale, questo non s’arresterebbe ma, perduto il simbolo della concordia e la legge moderatrice, sarebbe condotto ad estremo pericolo dalle stesse sue forze. La coscienza del vero ci induceva come onesti uomini e schietti governanti a dire all’Europa: noi non ci illudiamo sui pericoli d’una indefinita aspettazione, noi vogliamo tutte le garanzie, vogliamo acquistare tutte le forze di quel più regolare Governo che a noi nelle presenti condizioni sia dato costituire.
In questo modo, o Signori, erano preventivamente disarmate le calunnie che si preparavano da chi conta sul tempo che fredda gli entusiasmi e genera i sospetti.
Di chi sarebbe la colpa se i mali preveduti si avverassero? – Mia, no – Sul terreno dell’onestà, solo su questo terreno, sento di non avere superiori. Pongo la mano sulla coscienza, nella quale ad ogni istante rientro con religiosa trepidazione dacché mi fu affidata la sorte e l’onore de’ miei concittadini: la coscienza mi dice che ho fatto ciò che doveva.
Per buona ventura i nostri voti, se non nella forma desiderata, sono esauditi nella sostanza. Un illustre Uomo è stato designato dal Principe Reggente per accentrare la direzione politica e militare di queste Provincie.
La causa dell’unificazione ha compiuto un progresso, e noi ci presentiamo più compatti e solidali dinanzi alle terminative risoluzioni dell’Europa.
Quanto al nostro programma politico in questa nuova fase che si apre, io non ho bisogno di dirvi, o Signori, che nulla può esservi di mutato.
Noi dobbiamo continuare ad armare con sollecitudine somma, perché non provvede all’onore chi non provvede alle armi, e ci calunnia chi non ci crede parati anche agli estremi ci menti. Dobbiamo mantenere intero il diritto delle popolazioni, praticando in ogni parte della amministrazione il principio dell’unificazione ed effettuando largamente tutte le riforme civili. Né ho bisogno, credo, di dirvi, o Signori, che sino a che io abbia podestà e responsabilità di Governante farò ogni opera per mantenere la concordia dei partiti nazionali, i quali tutti con pari diritto ed onore con corrono al vantaggio della patria.
Tutti capiranno come negli atti che prepararono la Reggenza fu seguita quella stessa politica per la quale fu preparato il nuovo ordinamento delle forze italiane: politica che, se da un lato è pegno d’ordine all’Europa, dall’altro assicura agli spiriti più ardenti che la Causa nazionale non sarà immiserita da meschini concetti.


Bologna, 19 novembre 1859.
FARINI

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