Protesta del 1854 del cardinale Antonelli per le norme adottate nel Regno di Sardegna

Nota Ufficiale dei 5 Aprile 1854 diretta dall’Emo Sig. Cardinal Antonelli al Sig. Conte di Pralormo con cui si protesta contro a varii atti del Governo Sardo lesivi dei diritti della Chiesa.

La S. Sede ebbe più volte ad avanzare proteste e reclami su gli aggravi arrecati alla Chiesa nei Regii Stati Sardi in onta dell’autorità, dei diritti e delle prerogative che Le competono. Fu questo il disgustoso argomento di pa recchie note ufficiali dirette in diverse occorrenze dal sottoscritto Cardinale Segretario di Stato di Sua Santità a cotesta Regia Legazione: e fu pur questo il lamentevole tema di varie pontificie rimostranze, tra le quali distinguesi l’Allocuzione Concistoriale del 1. Novembre 1850 resa di pubblica ragione, mediante la stampa. Dopo questo atto solenne della Sede Apostolica erasi fatta sorgere nell’animo del S. Padre una non dubbia speranza che i torti aggravanti la Chiesa nei predetti Regii Stati sarebbonsi riparati mediante i convenevoli accordi da istituirsi con la S. Sede. Se non che, introdottesi le analoghe trattative sul cadere del susseguente anno tra i due Pleni potenziarii a ciò destinati,si richiamò poscia dal Reale Governo Sardo il suo Negoziatore restando negletto per lo spazio di ben oltre un anno il proseguimento delle iniziate intelligenze. E frattanto ebbe la Chiesa a vedere per sua grande sventura, che lungi dal revocarsi in quel Regno gli atti ad Essa lesivi, si progredì senza ritegno alcuno ad altri tendenti di lor natura a ridurla nell’avvilimento dal florido stato che dapprima godeva in un Regno eminentemente Cattolico.
Lungo sarebbe il noverarli qui tutti circostanziatamente, ed altronde quanto ad alcuni basta la semplice loro enunciazione per poterne appieno calcolare la gravezza. Sono di questa specie i Decreti onde vennero abolite nei Regii Stati Sardi alcune benemerite Religiose corporazioni tra le quali e a ricordarsi la Compagnia di S. Paolo di molto antica istituzione che secondo l’originario suo scopo era intenta alla pratica di opere di pietà e di beneficenza, ed alla cura di promuovere e difendere la Cattolica Religione. Appartiene pure alla detta specie l’autorizzata erezione di pubblici tempj per l’esercizio del culto pro testante nelle due più cospicue città della parte continentale del Regno, a fronte dei reclami dei sacri Pastori, basati anche sul chiaro testo delle leggi fondamentali del Regno; come ancora l’abuso insinuatosi in ufficiali atti governativi di accomunare la Religione Cattolica con le confessioni eterodosse, niuna differenza mettendo tra i sa cri di Lei ministri e quei di altri culti. Mentre poi tali anomalie sono oltremodo sdicevoli in un paese ove la Religion Cattolica è solennemente riconosciuta come esclusi va Religione dello Stato, non è a dirsi qual profitto né traggono gli scaltri di lei nemici per procacciarle onta e vilipendio sempre maggiore. E non né mancano infatti nel Piemonte le prove, tra le quali la più affligente si è quel la degli eccessi in cui trascorre abitualmente con isfrenata licenza la stampa, raffinando ogni dì più certi giornali antireligiosi il maligno loro veleno negliattacchi or contro le verità e le massime della Fede Cattolica, or contro le leggi e gl’istituti della Chiesa, or contro le Autorità del sacro suo Ministero, neppur risparmiando la sacra persona dell’Augusto di lei Capo. Né può certamente mirarsi senza il più amareggiante cordoglio, come una tanto impudente sfrenatezza di quei giornali abbia tutto l’agio a poter impunemente insolentire, essendo pur palesi le riprovazioni e le condanne che per la loro parte né pronunziarono in varie occorrenze i sacri Pastori zelanti di tutelare la purità della Fede e della cristiana morale nelle popolazioni affidate al loro episcopale governo.
Ma se per queste ed altre simili cause la Chiesa è grandemente travagliata nel Regno di Sardegna in ciò che concerne alla parte religiosa, essa incontra pur materia di altre ben gravi sofferenze per ciò che quivi accade a suo detrimento in altri rapporti. Non può non essere oggetto publicossi con intendi special menzione la legge che già diritto che le apparto di coartare alla Chiesa di libero tiene di acquistare beni temporali, dichiarandosi in quel la non potere gli Stabilimenti e corpi morali ecclesiastici o laicali fare acquisto di beni stabili, né validamente accettare donazioni tra vivi, né lascite testamentarie, ove non sieno a ciò autorizzati con regio decreto. La qual legge nella parte toccante la Chiesa altro non è in sostanza che una sovversione della essenziale sua indipendenza rimpetto allo Stato, ed una manifesta violenza alla stessa ragion naturale, che necessariamente suppone e riconosce nella Chiesa il libero diritto di acquistare, stante il: carattere di vera e perfetta società ch’Essa sortì dal Di vino suo fondatore. Ma su tal punto non occorre qui estendersi più oltre, essendosene già pienamente reclamato nella predetta Allocuzione Pontificia, onde Sua Santità nel farsi a protestare altamente contro le violazioni e le usurpazioni particolarmente contemplate in quell’atto solenne, levò altresì le sue conformi proteste contro tutte altre novità che comunque si erano fino allora intraprese o consumate nei Regii Stati Sardi contro il diritto della Chiesa o in danno della Religione. Si limita perciò presentemente il sottoscritto a fare una breve osservazione sul falso ed odioso supposto da cui venne originata la sopradetta legge, che cioè gli acquisti delle comunità e corporazioni ecclesiastiche intese sotto il titolo di mani-morte, si rendono nocivi alla società.
Per dimostrare quanto in ciò si contenga di falso, ed anzi di calunnioso, basterebbe far appello alla storia, somministrando questa ampiamente le prove dei grandi vantaggi che costantemente ritrasse la Società dai beni temporali della Chiesa e delle religiose Corporazioni, siccome quelle che non ordinarono mai sempre l’uso al giovamento sociale. E se tutti gli Stati Cattolici hanno avuto in ogni tempo effettive prove dei segnalati servigii resi ad essi nelle maggiori lor calamità dalle Corporazioni anzidette, mercé le splendide largizioni a cui queste prestaronsi mentre n’erano tuttora in grado pel conservato possesso delle loro immunità reali; il Piemonte e la Sardegna non mancano certamente di tali esempii, che continuaronsi fino ai più recenti tempi.
Ed il Reale Governo, che non può non conoscerli appieno, vedrà come possa stare in confronto di tali antecedenti una legge cotanto offensiva alla Chiesa, non solo perché tende a spogliarla d’un suo naturale diritto, ma eziandio perché con essa vengono a disconoscersi gli ampii servigii che dalla Chiesa medesima ebbe lo Stato nel rapporto di cui si tratta, qualificandosi inoltre come dannoso ciò che ad esso tornò sempre di non lieve utilità.
Passando ora ad altri punti onde diviene sempre più duro e gravoso il trattamento che risente la Chiesa nei Reali Stati di Sardegna, è forza parlare delle imposizioni a cui assoggettaronsi le proprietà e e le persone ecclesiasti che in seguito di successivi reali decreti.
Tali imposizioni si ravvisano in primo luogo nella tassa del 4. per cento imposta sul reddito netto dei Corpi morali e delle cosi dette manimorte in compenso della loro esenzione dai tributi d’insinuazione e di successione per la immobilità ed inalienabilità dei loro possessi: inoltre nella tassa mobiliare, che nel comprendere in generale tutte le abitazioni, colpisce ancor quelle delle corporazioni ecclesiastiche, eccettuate le case dei mendi canti e poche altre: finalmente nella tassa personale, a cui si vollero sottoporre insieme coi laici tutti generalmente gl’individui del ceto ecclesiastico, In proposito di siffatte imposizioni vuolsi qui opportuna mente rilevare, che quando nei trascorsi tempi trattossi di assoggettare a qualche peso i beni ecclesiastici in pro del pubblico erario, gli augusti e pii regnanti della Casa di Savoia si diedero religiosamente la doverosa cura di rivolgersi alla S. Sede: e fu in conseguenza degli intervenuti concerti, e delle calcolate esigenze de’ casi, che la stessa S. Sede non esitò a permettere che le proprietà del clero soggiacessero alle imposte medesime, onde erano gravate quelle del ceto laicale: circoscrivendo peraltro questa indulgente misura alla porzione dei beni ecclesiastici esistenti nella parte cismarina del regno, ed escludendone quella della Sardegna per la ragione di trovarsi già quivi notevolmente gravato il Clero in forza di altre contribuzioni.
Sono cognite appieno al Reale Governo le memorie delle relative concessioni Apostoliche risultanti dai Brevi dei gloriosi Pontefici Pio VI. e Leone XII. l’uno in data del 7. Settembre 1792, l’altro in data del 14 Maggio 1828. Sembrerebbe pertanto che questi esempi del debito rispetto per le inviolabili proprietà della Chiesa avrebbero dovuto esser di norma quanto alla via da tenersi in caso di qualche successivo consimile bisogno.
Prescindendosi poi dall’investigare se, stante il titolo della suespressa imposta del 4 per cento possa questa reputarsi per avventura come inclusa nella categoria delle tasse reali e miste autorizzate coi Brevi anzidetti, è peraltro incontrastabile ch’essa risulta affatto illegittima per la incompetente estensione che le si diede quanto alla Sardegna, laddove ben conoscevasi che la S. Sede si era sempre negata alle istanze di applicazione di pesi ai beni ecclesiastici di quell’Isola. Ed è per questa medesima ragione che pecca di non minore illegittimità la tassa mo biliare.
Apparisce poi talmente abusiva la tassa personale, siccome quella che trascende la misura posta dalla S. Sede alle precorse indulgenti autorizzazioni.
Egli è conseguentemente manifesto che per non mancare al dovere di tutela, onde sono astrette verso la Chiesa ed i sacri suoi diritti, le autorità ecclesiastiche del Regno non possono indifferentemente permettere al clero di uniformarsi alle decretate imposte. Ma qui è però dove la posizione delle autorità stesse e del clero addiviene oltremodo angustiosa, mentre da una parte sentono l’obbligo che loro incombe di protestare su di esigenze contrarie all’immunità. guarentita alla Chiesa ed ai suoi Ministri dai sacri canoni, dall’altra parte però ben comprendono come in presenza delle sinistre preoccupazioni tanto pronunziate contro il ceto clericale le loro proteste correrebbero indubitatamente il rischio d’esser tolte nel senso di una animosità, e di turbolenta reazione contro le misure della superiore autorità governativa.
Vuolsi qui alludere a certe odiose disposizioni, onde si sono prese di mira le persone del Clero come se fossero ani mate da una tendenza ostile al Governo, e da una sistematica opposizione ai suoi ordinamenti, e non piuttosto impedite per coscienziose cause proprie del sacro loro carattere dall’uniformarsi talvolta ad alcune prescrizioni dell’Autorità Civile, che non sono in armonia con quelle della Chiesa.
Non è poi quì da dissimularsi, che mentre si eccede in esigenze verso del Clero oltre i termini prefissi nei Brevi Apostolici allegati di sopra, desta meraviglia ed anche sorpresa il vedere come al Clero medesimo si ricusi dal Governo l’adempimento di qualche obbligo che gli corre in correspettività delle facilitazioni usate dalla S. Sede sopra i beni clericali. Nell’estendersi infatti dal Pontefice Leone XII nel precitato suo Breve anche ai beni parrocchiali, con qualche tenue riserva, la facoltà di tassarli alla foggia dei beni laicali, ciò non avvenne altrimenti che sulla base della promessa data dal Sovra no di Sardegna di assegnare ai parrochi un aumento di congrua. Ora peraltro mediante una Circolare a questi diretta non è molto tempo, dal Ministero di Grazia e Giustizia, all’insaputa dei Vescovi, si è contradetto il ripromesso aumento di congrua, al quale si era condizionata la detta estensione: onde l’Episcopato delle pro vince di Torino, Genova e Vercelli trovossi nel caso di avanzarne reclamo.
Era quì per chiudere il Sottoscritto questa sua ulteriore rimostranza su i continuati mali ond’è afflitta la Chiesa nel Regno di Sardegna, quando ecco aumentarsene la disgustosa materia da un’altro spiacevole emergente, av, venuto or ora in pregiudizio della Chiesa stessa nella Capitale del Regno. Si è questo l’incompetente Decreto con cui venne ordinato il sequestro su i beni appartenenti al Seminario Arcivescovile di Torino, per toglierne l’amministrazione a quei che vi erano deputati dall’Or dinario Diocesano secondo le note prescrizioni del Sacro Concilio di Trento, e trasferirla provvisoriamente nell’Economato Regio Apostolico, come se il caso di quel Seminario potesse mai identificarsi, con quelli dei va canti beneficii ecclesiastici. Presso il qual ordine non si tardò a fare la corrispondente intimazione al Rettore ed ai Deputati del pio Stabilimento. E poiché questi nel ricusarsi, come dovevano, alla voluta consegna, erano sul punto di venirvi costretti col mezzo della forza, si ridussero perciò ad emettere la conveniente protesta, dichiarando, esser loro intendimento di soggiacere alle ripetute insistenze come chi trovasi nel caso di dover cedere alla violenza.
Qualunque sieno state le cause per le quali il Reale Governo intese procedere a siffatta misura, si ravvisa però sempre nel fondo di questa un passo lesivo delle ingerenze esclusivamente proprie dell’ordine Ecclesiastico, ed un’affronto all’autorità del Prelato Metropolitano, da cui dipende il detto Seminario e quanto ad esso appartiene. Per le quali ragioni sarebbe stato desiderabile, che chi ebbe l’incarico della relativa esecuzione si astenesse dal prestare un concorso che nella specie del caso non potea convenirgli.
Dalla moltitudine e rispettiva gravità degli argomenti toccati nel decorso di questa esposizione può ben immaginarsi qual colmo né derivi all’amarezza, che sente già da molto tempo nell’animo l’Augusto Capo della Chiesa pel lacrimevole decadimento delle cose religiose nel, Regno di Sardegna. Egli intanto congiungendo all’acerbità del suo dolore l’alacrità dello zelo, che incessantemente gl’ispirano i sacri doveri dell’Apostolico suo Ministero, ha dato espresso incarico al Sottoscritto di reclamare altamente contro le ulteriori offese e gravezze che moltiplicaronsi alla Religione e alla Chiesa nel detto Regno, dopo quelle che formarono il soggetto delle precedenti sue rimostranze contenute nell’Allocuzione di sopraenunciata. E siccome gli è noto, essere ognora in corso presso le Camere Piemontesi altri progetti di misure proprie a cagionare alla Religione ed alla Chiesa stessa nuovi disastri, così vuole che similmente contro di queste fin da ora si reclami nel Pontificio suo nome, pel caso che si proceda a mandarle in effetto.
Col mezzo pertanto della presente Nota ufficiale il Sotto scritto intende dar pieno adempimento ai manifestati voleri di Sua Santità. Egli poi perciò che riguarda le succennate imposizioni nella parte relativa al Clero, dee pur quì dichiarare, che qualora si voglia tenerle ferme, malgrado la dimostratane rispettiva illegittimità, andrà questo ad essere uno dei casi nei quali il Clero trovasi astretto a subire una vera violenza per fatto del Potere laicale.
In fine il Sottoscritto prega Vostra Eccellenza di voler ele vare a notizia del Suo Real Governo le quì esposte querele, affinché si voglia riconoscerne la ragionevolezza, e venga dato il conveniente riparo ai torti finor apportati alla Chiesa nei Reali Dominii Sardi, con rimuoversi altresì le cause donde sarebbero per derivarle danni ulteriori.
Nell’atto stesso il Sottoscritto si pregia di confermare alla Eccellenza Vostra i sensi della sua distinta considerazione.

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