Nota di reclamo dell’Emo sig. Cardinale pro-segretario di Stato al signor incaricato sardo presso il Sommo Pontefice sotto il 14 maggio 1850 in seguito dell’arresto di monsignor Arcivescovo di Torino.
Dovè già il sottoscritto Cardinale pro – segretario di Stato con Nota ufficiale del 9 marzo prossimo passato rappresentare a V. S. Ill.ma l’amarezza da cui era oppresso l’animo del S. PADRE, per le innovazioni promosse nel Parlamento di Torino con discapito della Chiesa e dei sacri suoi diritti, al quale nel caso concreto andava pur congiunta l’infrazione dei solenni relativi trattati. Anziché le rimostranze espresse con quella Nota in nome di SUA SANTITÀ Sortissero quell’esito che giustamente attendevasi, le cose si aggravarono al punto che, datasi la definitiva sanzione, nella parte toccante il foro ecclesiastico, al progetto di legge contro il quale eran diretti i reclami della S. Sede, il S. PADRE fu posto conseguentemente nella ben dura, ma pur imperiosa necessita di richiamare dai regi Stati sardi il suo rappresentante: dappoichè rimaste senza effetto le giuste pontificie doglianze, non potea quivi conciliarsi l’ulteriore di lui presenza con un corso di fatti, che seco traevano il vilipendio de’ sacri canoni e il niun conto delle speciali convenzioni solennemente stipulate tra la S. Sede e la Real Corte di Sardegna. Fu questa una determinazione quanto indispensabile, altrettanto penosa all’animo di SUA SANTITÀ; imperocchè sembrava, a dir vero, inattendibile il caso di veder interrotte le relazioni col Governo della S. Sede in un regno ove tanto ha fiorito la religione e lo attaccamento alla Sede Apostolica sotto gli auspicii della insigne pietà dei regnanti della eccelsa Casa di Savoia.
Mentre però da queste angosciose considerazioni era travagliato il S. PADRE, sopraggiunse a colmo del suo dolore l’annunzio di un attentato commesso contro la sacra persona dell’ottimo Arcivescovo di Torino: il quale da una incompetente autorità giudiziaria fu sottoposto ad inquisizione e successivamente col mezzo della pubblica forza arrestato e tradotto nella Fortezza di quella capitale. Un fatto di tal natura non può non cagionare la più grave sorpresa, sia che si riguardi alla incompetenza del tribunale, da cui partì una tale misura, sia che riflettasi al motivo d’onde provenne uno sfregio cotanto ingiurioso alla cospicua dignità del sacro personaggio. Qualunque infatti sieno le riforme che si credé dare alla civile legislazione nei regii Stati sardi, prevalgono però sempre alle medesime, e doveano ben rispettarsi in un regno cattolico le venerande leggi della Chiesa. E qualunque fosse il diritto che potesse competere agli Stati suddetti di costituirsi sotto nuove forme di civile amministrazione, non diminuiva però né punto né poco rimpetto a tal diritto il valore delle sanzioni canoniche, delle solenni stipulazioni preesistenti tra la S. Sede e il Piemonte, le quali in gran parte riguardano appunto alle materie prese di mira colle stabilite legislative riforme. E poiché il Governo della S. Sede si mantenne nella esatta osservanza dei convenuti patti, aveva buon diritto di attendersi altrettanto dall’altra parte, che insieme con esso vi si era formalmente obbligata.
Tanto più poi v’era motivo di ripromettersi tale reciprocità, in quanto che siffatte convenzioni si erano guarentite con espressa riserva dallo stesso Statuto fondamentale del regno.
In presenza pertanto delle ricordate leggi della Chiesa e degli esistenti speciali trattati, sarà facile alla saviezza della S. V. Ill.ma e del suo real Governo il ravvisare qual grave attentato e violazione si manifesti nell’operato del tribunale anzidetto contro la persona dell’illustre Arcivescovo.
Egli è poi ben doloroso a dirsi che l’oltraggioso trattamento, cui andò soggetto il prelato, non ebbe d’altronde origine che dall’aver egli prescritto al suo clero per norma delle coscienze quella regola da cui non poteva prescindersi in mezzo ad innovazioni lesive della ecclesiastica autorità introdotte nelle leggi civili dello Stato, malgrado i giusti reclami del Supremo Capo della Chiesa, dalle cui viste direttrici non può allontanarsi la con dotta dei sacri pastori posti dallo Spirito Santo a coadiuvarlo nell’universale governo della mistica vigna del Divino Signore.
II S. PADRE pertanto ben conscio a se stesso dei doveri che l’alto suo ministero gli impone rispetto a Dio ed alla Chiesa, ha dato speciale ed espresso ordine al sottoscritto di protestare e reclamare fortemente contro un attentato, col quale arrecandosi alla Chiesa stessa, alla S. Sede una gravissima ingiuria, si è vilipesa la sacra di lei autorità e violata ad un tempo la rispettabile dignità episcopale in persona di uno tra i più benemeriti suoi pastori. nell’atto stesso intende la SANTITÀ SUA che sieno qui rinnovate le giuste proteste e rimostranze già promosse coll’antecedente Nota del sottoscritto contro le leggi ivi enunciate, sulla cui base si è proceduto alla violazione che forma l’oggetto di quest’ulteriore disgustoso reclamo. Al medesimo poi il S. PADRE aggiunge nella sua qualità di Supremo Capo della Chiesa la domanda della immediata libera restituzione dell’imprigionato arcivescovo alla sua sede, cosicché cessi un fatto dal quale ridonda una pubblica offesa alla religione, alla Chiesa, all’episcopato; ed un grave scandalo al mondo cattolico, di cui fa parte lo Stato, ove tal fatto sventurata mente si consumò, ed a cui potrebbero derivarne lacrimevoli conseguenze.
Peraltro se duole acerbamente al S. PADRE il vedersi costretto a moltiplicare i suoi reclami sopra argomenti di siffatta specie presso un Governo nel quale per tanto tempo conservaronsi felicemente l’armonia e le ottime relazioni con la Sede Apostolica, ama tuttavia confortarsi colla speranza che la Maestà del Re, memore della splendida religione e pietà che trasse in retaggio da’ suoi augusti antenati, vorrà insieme col reale suo Ministero apprezzare appieno le sovraespresse pontificie lamentanze, e soddisfare alle giuste domande della SANTITÀ SUA, mediante quella pronta e completa riparazione che la Chiesa cattolica ha diritto di attendere da un Principe che si pregia di essere tra i più divoti di lei figli.
Portati ad effetto i comandi di SUA SANTITÀ, il sottoscritto prega la S. V. Ill.ma a compiacersi di far elevare a notizia dell’augusto di lei Sovrano la presente Nota; e frattanto coglie volentieri l’opportunità di confermarle i sensi della più distinta sua stima.
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