Protesta del Segretario di Stato per l’espulsione dei Gesuiti dal Regno di Sardegna

Nota dei 25 Settembre 1848 con cui l’Em. Sig. Card. segretario di Stato protestò contro alla legge pubblicata in Piemonte sulla esclusione dallo stato dei padri della Compagnia di Gesù, e delle dame del Sacro Cuore.

Nell’amarezza, in cui trovasi il S. P. per i mali, cui andarono soggette parecchie corporazioni religiose in conseguenza delle commozioni politiche avvenute ne gli ultimi tempi in più stati dell’Europa, gli sopraggiunse non ha guari altro motivo di dolore nell’apprendere un decreto emesso il 28 Agosto del corrente anno dal R. Governo di Torino, e pubblicato il di seguente nel giornale ufficiale del Regno. Si dichiara con tal decreto nell’articolo di essere definitivamente esclusa da tutto lo stato la Compagnia di Gesù e nell’articolo 7 altrettanto si stabilisce rispetto all’istituto delle Dame del S. Cuore, eccettuandosi per ora le case che queste hanno nella Savoia.
Appena si ebbe notizia di una tanto spiacevole misura decretata a carico delle Corporazioni or menzionate non poté a meno di non destarsi la dolorosa osservazione che siasi autenticato con apposita disposizione di legge un fatto che nel primo suo avvenimento sembrava doversi guardare come cagionato da un’ avversità de’ tempi e di circostanze, le quali proruppero con una forza tanto imperiosa da imporre straordinariamente al potere ed all’autorità de’ Governi.
Ma più oltre si avanzano nel succitato decreto le di sposizioni a a danno degl’Instituti medesimi, spogliandosi questi dei loro beni e delle loro proprietà che si dichiarano devolute al governo per destinarle a a stabilimenti laicali. Quanto poi al primo di tali Istituti le cose sono portate al segno che nel fissar si per gl’individui al medesimo addetti un’ annua pensione (ristretto d’attronde ai soli regnicoli) finché non verranno altrimenti provvisti, s’ingiunge loro come condizione indispensabile a poterne fruire la domanda di secolarizzazione, venendo altrimenti esclusi dalla pensione, ed assoggettati inoltre a talune sanzioni del codice penale.
Non si saprebbe invero comprendere come mai siasi potuto devenire a misure cotanto odiose ed ostili contro le due religiose corporazioni nell’estensione che respettivamente le riguarda, a fronte di quel pie no favore e di quelle solenni guarentigie, che a tutti senza veruna distinzione vengono assicurate dallo statuto e legge fondamentale del Regno che promulgossi il di Marzo del corranno. Si dichiara quivi infatti all’articolo 26 che la libertà individuale è garantita: e nell’articolo seguente si aggiunge che il domicilio è inviolabile; e finalmente si enuncia nel l’articolo 29 che Tutte le proprietà senza alcuna eccezione sono inviolabili. Colle quali disposizioni si generali e solenni non si vede onninamente come possa mai conciliarsi il decreto di sopra allegato, con cui si bandiscono dallo stato Società religiose, che vi avevano legittimo soggiorno, si tolgono ad esse i beni lor propri, e si giunge pur anche a violentare gl’individui di una tra le medesime nello stesso delicatissimo e santissimo punto dei voti da loro fatti al Signore Iddio nella Religiosa professione.
Ma più che sull’appoggio delle leggi civili del Regno intende Sua Santità di fondare sulle costanti massime della Chiesa Cattolica e della S. Sede le sue doglianze e querele intorno a tuttociò che in opposizione a tali massime venne disposto col più volte menzionato decreto. Le Corporazioni religiose facendo parte della comune famiglia ecclesiastica sono per loro natura sotto la tutela ed autorità della Chiesa e conseguentemente non possono che dalla podestà ecclesiastica, o coll’intervento di questa stabilirsi misure e leggi intorno alle medesime, principalmente in ciò che riguarda alla loro esistenza ed al regime degl’instituti, cui rispettivamente appartengono.
Né potrebbe ammettersi altra regola anche intorno alle cose di lor proprietà. Egli è infatti fuor di dubbio che i beni posseduti dagli stabilimenti ecclesiastici e religiosi entrano nella generale categoria di beni della Chiesa costituenti una vera e propria porzione del sacro suo patrimonio. In conseguenza di che siccome le proprietà della Chiesa sono per se stesse inviolabili, così lo sono del pari la proprietà degli stabili.
menti suddetti. E su tal proposito giova al sottoscritto il poter quì fare particolare appello alla molta religione e pietà dell’augusto Sovrano di V. S., il quale ben consapevole di quanto è prescritto specialmente dal S. Concilio di Trento relativamente ai beni ecclesiastici in ragione della loro inviolabilità, volle che alle prescrizioni di quel venerando Sinodo fosse uniforme la civile legislazione de’ Regii suoi stati.
Prova è di ciò il codice Albertino, ove all’art. 436 si stabilisce che i beni della Chiesa non possono esser amministrati ed alienati, se non colla forma, e colle regole che loro son proprie, ossia colle forme e regole canoniche. Quali poi s’intendano per beni della Chiesa lo determina il Codice medesimo nell’articolo 433 dove si legge che sotto nome di beni di Chiesa s’intendono quelli che appartengono a’ singoli benefizii ed altri stabilimenti Ecclesiastici. Fra i quali stabili menti è incontrastabile doversi comprendere le case religiose delle due Corporazioni mentovate di sopra.
Come poi le disposizioni del Codice testé allegato così il fatto stesso della prelodata M. S. dimostra in quale riguardo siasi avuta dalla medesima la massi ma canonica della inviolabilità de’ beni ecclesiastici.
2. Un argomento recentissimo si ha di ciò, siccome è ben noto alla S. V., dal ricorso, ch’Egli ebbe alla S. Sede in occasione di una misura ipotecaria che in questi ultimi tempi ravvisavasi opportuna dalla M. S. sopra i beni del S. M. O. di S. Maurizio e Lazzaro – ad alleviamento di pubblici bisogni dello Stato.
Né invero, come in altri religiosi rapporti, così in quello, di cui si tratta, esser poteano diversi i principii ed i sentimenti in un Sovrano erede della splendida religione de’ suoi eccelsi Antenati, i quali nelle varie occorrenze che si presentavano di qualche disposizione sopra i beni ecclesiastici, ebbero il costume di rivolgersi alla S. Sede per essere autorizzati.
Del che fanno fede diverse lettere Apostoliche emanate, previi i concerti colla R. Corte, o ad istanza di questa, tra le quali merita special menzione il Breve Pontificio del 14 Maggio 1828.
Da tali esempii, che dimostrano con quanta riserva abbia proceduto nei passati tempi ed anche recentissimamente la Regia corte di Sardegna rispetto alla proprietà della Chiesa e degli stabilimenti Ecclesiastici è cosa ben difficile ad intendersi come siasi deviato ad un tratto col decreto concernente le Corpo razioni anzidette.
Ella è poi di maggior meraviglia la parte di quell’atto la quale riguarda alla pensione pei religiosi, la cui Compagnia si volle esclusa da tutto lo stato. La pena del bando e dello spoglio inflitta a que religiosi non appoggiandosi a veruna loro reità, ed essendosi altronde decretata senza concorso o consentimento qualunque della competente autorità, di quella cioè del la Chiesa, non rende i religiosi medesimi decaduti da’ quei naturali diritti, ond’erano in possesso circa i proprii loro beni. Ciò posto come poteva avvenire che in un rapporto di assoluta giustizia niuna ragione si avesse di una gran parte della Compagnia, cioè della classe degli esteri; e che mentre ai soli regnicoli stabilivasi un’ annua pensione, si facesse poi questo dipendere da una condizione durissima ed incompatibile per ogni titolo, dalla domanda cioè di secolarizzazione da esibirsi nel termine di pochi giorni, assoggettandosi per fino a rigori penali coloro che sì ricusassero di adempirla? E qui non si può a meno di richiamare la particolare attenzione del Reale Governo sull’indole di siffatta condizione, colla quale violentandosi la coscienza dei religiosi in un obietto sì sacrosanto, qual è quello della lor vocazione spi rituale, si ledono i principii di nostra santa religione, e si sconvolge 1 ordine naturale delle cose con ingerirsi la potestà laicale in materia in tutto propria dell’autorità ecclesiastica.
Deplorabili avvenimenti son questi, di cui il S. P. ama rifondere la vera causa nelle perversità de’ tempi, non mai nella disposizione degli animi di coloro, ch’ebbero parte nella formazione dello spesso ricordato decreto. Che anzi ritiene la Santità Sua che non sarebbesi mai potuto far luogo ad una legge di tal tempra, qualora dalle autorità, da cui essa provenne, si fossero presentite le gravi osservazioni, che la medesima sarebbe stata per suscitare dal canto special mente dell’Augusto Capo della Chiesa, al quale incombe per uffizio dell’Apostolico suo ministero la tutela e il sostegno di quelle inviolabilità, di cui go dono le corporazioni religiose tanto rispetto alle persone che le compongono’, quanto circa le rispettive proprietà, e molto più nei rapporti della sacra loro professione.
Intanto è per adempiere appunto a quelle parti che altamente reclama il succennato gravissimo ufficio, che Sua Santità ha dato espresso incarico al sottoscritto Cardinal Segretario di Stato di avanzare nel pontificio suo nome ed in quello della Chiesa le dovute pro teste e rimostranze contro il decreto suddetto. Tali proteste e rimostranze, che il sottoscritto prega l’E.V. di elevare a notizia del piissimo di Lei Sovrano non potranno dalla M.S. non essere apprezzate al giusto valore. Mentre poi Sua Santità in vista degl’importanti titoli, sui quali si fondano i suoi reclami, si con fida che l’eccelso Principe ed il suo R. Governo non tarderanno a darsi la cura delle convenienti provvidenze in riparazione a quel decreto, ritiene che sarà per metter su ciò un interesse maggiore, in quanto che trattasi di riparare ad un atto, il quale troppo si palesa inconciliabile con quella religione che sempre contradistinse particolarmente la M. S. non me no che gli Augusti Regnanti della casa di Savoia suoi: predecessori, e l’illustre nazione loro soggetta.

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