Appello all’Assemblea di Francia

Appello all’Assemblea di Francia del Comitato Democratico Italiano del 1850

ALL’ASSEMBLEA DI FRANCIA.
SIGNORI, Il 3 luglio 1849, dopo una resistenza di due mesi, le vostre truppe occuparono Roma. Il Governo della Repubblica fu rovesciato.
però che prima, la vostra parola suonava Entravano, dicevate allora, dopo la vittoria diversa per proteggere il Papa contro il giogo dell’intervento Austriaco. L’Austria accampa, opprime, fucila oggi nelle Legazioni: essa tiene Bologna e si afforza in Ancona.
Entravano per restituire gli Stati Romani alla pace. La pace è un riparto militare mantenuto da venticinque o trentamila baionette straniere.
Entravano per ristabilire l’ordine turbato dagli uomini che voi chiamavate fazione, per assicurare alle popolazioni romane un buon governo, una buona libertà. La promessa era scritta negli ultimi vostri dispacci, ripetuta nell’Assemblea, registrata in una lettera dittatoria, minacciosa quasi del Presidente di Francia. E né un vestigio rimane di libertà.
Roma non ha governo sé non di preti. Pio IX ha rannodato a’ suoi atti le tradizioni di Gregorio XVI.
E allora, noi vi dicevamo: Signori, v’ingannano. La fazione è Roma e tutto il suo po polo. Fazione si chiama una minoranza vogliosa d’ afferrare con raggiri o terrore il potere; e per accettarlo, i repubblicani di Roma aspettarono la pressoché unanime manifestazione del popolo legalmente convocato e rappresentato. La Repubblica proclamata da una Assemblea Costituente fu confermala dal volo spontaneo, pacifico, di tutti i Comuni dello Stato Romano. Eccovi i loro Indirizzi: verificateli. Il terrore in Roma sarebbe stato non solamente colpevole, ma impossibile. Il terrore non ha cominciamento sé non da voi. Ma voi non cangerete, usandone, il popolo, né otterrete cosa alcuna dal papa.
Or bene, signori. La fazione è da diciassette mesi vinta, imprigionala, proscritta. L’esercito s’è disciolto. La Guardia Nazionale è stata disciolta. Il riordinamento dello Stato dall’atto è compiuto. Che otteneste voi dal Popolo? che otteneste dal Papa?
Il popolo è è triste, cupo, irritato. Odia e disprezza. E a a contenerlo, v’è forza ingrossare le vostre truppe.
Il papa nulla la concesso. Gli chiedevate, son vostre parole, i principii dello Statuto, le leggi del vostro Codice Civile, una riforma giudiziaria totale, ordini di municipii e provincie fondati sulla elezione, una assemblea che deliberasse sulle finanze, una amnistia pressoché generale, una amministrazione di secolari. E nulla otteneste. Affermavate che non avrebbero luogo ricerche inquisitoriali di fatti passati; ed ei v’ha risposto, destituendo, imprigionando collettivamente. Millantavate che sotto gli occhi vostri non si compirebbero violenze contro persone; e poche settimane addietro, sotto i vostri occhi, per fatti politici anteriori, morivano per mano del carnefice sei persone.
Son questi, signori, gli effetti della spedizione di Roma; per questi voi avete speso nel l’assassinio d’un popolo amico l’oro della Francia, il sangue della Francia, l’onor della Francia.
Signori, diciassette mesi addietro voi potevate essere ingannati. Oggi, l’Europa vi dice che sola la Francia è ingannata: la Francia che vede minacciata di morte in Roma la propria potenza d’iniziativa pel bene: la Francia i cui soldati assistono coll’arme sul braccio ai sa turnali d’un potere che ha l’ore contate e prestano forza a condanne di venti anni contro giovani rei d’avere illuminato con fuochi tricolori le loro finestre.
I colori ch’or si condannano in Roma son vostri, o signori: vostra è la bandiera repubblicana inchiodata sulle galere. Un pensiero ostile alla vostra libertà pende su tutto questo vergognoso episodio. Quel pensiero spingeva l’armi vostre su Roma a prezzo d’un traffico elettorale; vibrava dall’infuori un primo colpo alle istituzioni conquistate in febbraio, stimava opportuno che s’avvezzasse il soldato di Francia a trarre, dove che fosse, sulla bandiera della repubblica; cercava una seconda Algeria; preparava attraverso Roma le minacce di Satory; preparava nella crociata contro l’italiana repubblica quella spedizione di Roma all’interno che un’ oratore osava annunziarvi, e che la vostra maggioranza, signori, immiserita, snervata dal delitto che lasciaste commettere, udiva intimarsi con indifferenza.
Membri d’un Comitato Nazionale il cui nucleo, eletto da sessanta membri di quella Assemblea che le vostre baionette dispersero, s’è ampliato per scelta di molti patrioti italiani mallevadori tutti del pensiero italiano – interpreti del volo delle popolazioni romane con dannale in oggi a tacersi – poi rinovelliamo, signori, alla Francia dinanzi a voi, la protesta di Roma contro la violazione del suo territorio, contro la distruzione della sua Legge Repubblicana, contro il soggiorno prolungato de’ vostri soldati.
Noi protestiamo in nome dell’articolo 5 del preambolo della vostra Costituzione – in nome delle vostre dichiarazioni officiali del 16, 24, 26 aprile in nome del voto solennemente proferito il 7 maggio dalla vostra Assemblea – in nome della parola scritta il 13 giugno dal signor di Corcelles in nome degli obblighi assunti”davanti a voi dal vostro Presidente di Consiglio e dai vostri ministri, nelle sedute del 13, 18 e e 19 ottobre 1849.
Noi protestiamo in nome del diritto immortale delle Nazioni in nome dell’eterna in nome di Dio che creava i popoli per la libertà e non per l’oppressione brutale.
Or voi potete, Signori, soffocare per un tempo la nostra protesta; ma confutarla non mai. Noi vi dicemmo or sono diciassette mesi: rendete al popolo romano il libero volo, e dica l’intimo suo pensiero intorno al governo restituito da voi. Noi vi ripetiamo oggi la stessa cosa. Chiamate il popolo ai voti: avremo vittoria dal voto. Richiamate le vostre milizie; e Giustizia l’avremo dall’insurrezione.
Voi sapete questo, Signori; però, nol farete.
Entraste in Roma perché non v’attentavate d’intimare all’Austria che non invadesse le Legazioni. Rimanete oggi in Roma, perché non v’attentale d’affrontare l’immenso grido di Viva la REPUBBLICA! che si leverebbe, due ore dopo la vostra partenza, a dichiarare falsa e colpevole la vostra politica.
E rimanete, Signori. Forse l’insegnamento non è compito. Forse, giova, perché il pensiero Nazionale Italiano, ch’ebbe culla in Roma e v’avrà suo Tempio, assuma più potente sviluppo, che per breve tempo ancora gli sguardi possano affissarsi nello spettacolo del Papato dominatore per forza soltanto di baionette straniere.
Ma badate, signori, che l’Europa non dica un giorno della Francia: la nazione che soffoca altrove la libertà non può meritarla per sé: badate che la storia non dica di voi:
dopo aver subito una politica di corruttela, essi inaugurarono la politica della viltà. Non ebbero né la franca brutalità del delitto né il santo coraggio del pentimento.


Londra, 11 novembre 1850.
Pel Comitato Nazionale Italiano Gius. MAZZINI.
AURELIO SAFFI.
MATTIA MONTECCHI.
A. Saliceti.
G. SIRTORI.
CESARE AGOSTINI, ségret.

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