Dispaccio ai rappresentanti diplomatici del 31 luglio 1861

Dispaccio del Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli affari esteri agli Inviati italiani all’estero

Torino, 31 luglio 1861.
ILL. SIGNORE
Il Parlamento diede termine testé alla prima parte della la boriosa sua sessione, prorogando le sue tornate sino al prossimo autunno. In esso sedettero per la prima volta i rappresentanti di pressochè quasi tutte le popolazioni italiane.
Mercè le sue deliberazioni l’unità d’Italia passò dalla ragione delle idee a quella dei fatti, ed incominciò ad esplicarsi nell’ordine politico, economico ed amministrativo. È pertanto mio debito di richiamare sui lavori delle due camere l’attenzione dei Rappresentanti del Governo presso le estere Potenze, e di somministrar loro i mezzi di far conoscere all’Europa gli esordji legislativi del nuovo Regno.
E primieramente vorrà la S. V. considerare il significato delle elezioni, le quali in provincie che dianzi erano state autonomie indipendenti, ed entravano appena in una condizione affallo nuova, com’erano nuove agli ordinamenti liberi, si sono compiute colla massima regolarità e coll’ordine più perfetto.
Questo significato parrà anche più notevole se si pensa che le provincie di più recente aggregazione, come le Marche e l’Umbria, erano sotto la minaccia di aggressioni per opera delle truppe pontificie, e che queste aggressioni in fatto ebbero quivi luogo in alcune parti nel tempo appunto delle elezioni; che finalmente le Provincie Napolitane e Siciliane, oltre l’andarsoggette alla stessa minaccia, subivano tuttavia gli effetti di una potente agitazione politica, e non vedevano il loro territorio sgombro dai residui dell’abbattuta dominazione, poichè in Gaeta durava a resistere con un poderoso nerbo di forze il Re decadulo, e non anco si era tentata la espugnazione di Messina.
Non ostante queste condizioni, le provincie nuove, che oggi formano la più gran parte del Regno, mentre ancora vivevano dubbiose delle loro sorti, liberamente e regolarmente elessero Deputati, fra i quali neppur uno se ne conta che rappresenti le opinioni o gli interessi dei reggimenti caduti; e la S. V. ha potuto vedere dalle discussioni e dai voti parlamentari che la Opposizione tutta intera ha per obietto di spingere il Governo a precipitare il corso degli avvenimenti perchè l’indipendenza e l’unità d’Italia si compia, anziché di ritirarlo verso il passato.
Esempio questo forse unico nella storia, e che dimostra quanto sia universale e profondo negli animi di tutti gl’Italiani il sentimento della nazionalità; poichè in tutti gli altri paesi, dove la rivoluzione portò al trono una nuova dinastia cacciando l’antica, non riusci però a cancellarne ogni traccia nella rappresentanza nazionale; e in tutti i Parlamenti, fuorche nell’Italiano, si trovano sempre col nome di legittimisti, i fautori dei principi decaduti.
Nè vorrà la S. V. trascurare di notare come i nuovi Deputati convenuti per la prima volta dalle varie parti d’Italia, le quali per colpa dei politici ed economici ordinamenti erano sino adesso rimaste straniere fra loro ed ignoranti l’una dell’altra, si siano trovati subito d’accordo nei concetti fondamentali: e non siasi mai verificata che una insignificantissima opposizione tutte le volte che si trattasse di provvedimenti che tendessero ad affermare il diritto della Nazione, o giovassero a costituirla e a munirla ed armarla per sostenere il suo diritto. E ancora è da considerarsi che l’opposizione, per quanto è piccola, non era intesa ad impedire quei provvedimenti, ma anzi ad esagerarli sin dove la prudenza politica non permetleva sollo pena di renderli inefficaci o pericolosi.
La novità delle condizioni a cui erano venute le provincie d’Italia, la varietà e la diversità delle condizioni in cui erano vissute fin qui fecero luogo ad interpellanze ripetute e frequenti, le quali, se ad alcuno parvero soverchie, giovarono però a meglio conoscersi ed accomunarsi degli uomini fra loro e a darsi reciproca notizia dei loro paesi. Quelle poi che volgevano intorno all’indirizzo della politica diedero campo al Parlamento di affermare in modo solenne il diritto della Nazione, e al Governo del Re l’opportunità di manifestare i suoi intendimenti circa i modi di compiere l’opera a si buon punto condotta.
Ella, Signore, conosce questi intendimenti; ella sa che la mutazione di persone avvenuta nel Gabinetto per la dolorosa e deplorata perdita del conte di Cavour non ha indotto mutazione alcuna nell’indirizzo politico da lui con tanta sua gloria e tanto profitto dell’Italia iniziato e continuato. E che egli fosse vero interprete della coscienza della Nazione, e che l’opera sua fosse fondata saldamente, la morte sua stessa lo ha provato. Il Paese, il Parlamento, il Governo, mentre apprendevano come una grande sventura la perdita dell’illustre uomo di stato, sentivano il bisogno di stringersi viemmaggiormente per non disperdere le forze; e l’Italia, priva, appena nata, di uno de’ suoi più validi campioni, dava argomento della sua forte vitalità sostenendo la prova dolorosa senza prostrarsi.
E se la S. V. voglia osservare che la maggiore operosità le gislativa del Parlamento si è spiegata dopo la mancanza del l’egregio statista, e se voglia guardare all’obietto delle principali leggi votate e all’immensa maggioranza dei suffragi che le approvarono, ella comprenderà facilmente come si possa asseverare che gl’intendimenti di lui furono dal concorde volere del Parlamento e del Governo efficacemente riassunti e secondati.
In qualche momento, sin dal principio dei lavori parlamentari, poterono nascere incidenti, che sembravano scostarsi dalla pacata e ponderata discussione dei provvedimenti proposti dal governo del Re, dai bisogni e dai desiderii del paese, dalle ragioni della politica internazionale. Però in tanta e cosi rapida mutazione di cose e di destini, in tanto concorso di elementi varii a compiere la liberazione della patria; in mezzo ai timori destati dagli intrighi esterni che fomentavano e fomentano ancora in alcuna provincie le più brutali e violente passioni; in faccia alla occupazione straniera che ancora si accampa minacciosa sovra una delle più tormentate e più gloriose provincie della penisola, non dee recar meraviglia che alcuni spiriti più ardenti e meno assuefatti ai temperamenti della vita politica, propeudessero talvolta ad eccitazioni nè prudenti nè opportune.
Questi incidenti però, effetto naturale ma passeggiero di transitorie condizioni, non furono tali mai da turbare nè in seno alla Camera nè fuori la fiducia dei governati verso il Governo, nè mai si risolvettero in pericolose deliberazioni.
La prova delle cose sovra esposte sta luminosa nella serie degli atti parlamentari e nelle molte leggi votate in questo primo periodo della sessione, delle quali non sarà inutile citare le principali.
I Deputati della Nazione tennero per primo loro debito e primo loro pensiero di confermare solennemente il plebiscito delle popolazioni decretando la corona d’Italia a quel Principe augusto, la cui lealtà e il valor militare erano stata precipua cagione che le sorti della Patria Italiana venissero secondate da cosi universali simpatie, e favorite da tanta prosperità di successi. Votando all’unanimità la legge con cui Vittorio Emanuele assume il titolo glorioso di Re d’Italia, il Parlamento diede una guarentigia all’Europa monarchica, pose il Governo in grado di assumere fra le nazioni civili il posto che spetta all’Italia, notificando ai Governi esteri la formazione del nuovo Regno ed ottenendone successivamente il riconoscimento.
Feconde di politici risultati furono del pari le leggi relative all’armamento nazionale. Oltre i provvedimenti risguardanti le leve di terra e di mare, il Parlamento sanci nella legge che estende l’istituzione della guardia nazionale mobile, uno degli argomenti più efficaci alla difesa del paese e alla tutela dell’ordine interno.
Non hanno dimenticato gl’Italiani le solenni parole che ponendo il piede nella Lombardia liberala indirizzava loro il nostro augusto e generoso alleato: «Siate oggi tutti soldati per esser domani liberi cittadini di una grande nazione.» Poichè nelle armi si educano i cittadini alla lemperanza, alla disciplina, alla coscienza della propria dignità e della propria forza, a tutte le maschie ed austere virtù che sono necessarie ad esercitare ed a mantenere la libertà.
Di più, mentre le buone armi sono indispensabili a difendere i preziosi acquisti fatti dalla Nazione, d’altro canto, per la fiducia che un popolo fortemente armato inspira agli amici, per il rispetto che impone ai nemici, sono anche un mezzo potente di conseguire pacifici trionfi; o quando, nostro malgrado, fosse turbata la pace, di renderne men lunga e men grave per gli interessi generali d’Europa la non provocata interruzione.
Alla sfera politica non meno che a quella economica appartengono le leggi relative alla unificazione del debito pubblico.
Comporre ad unità le varie maniere di debiti ereditate dai piccoli Stati, nei quali la Penisola fu sinora infaustamente di visa, attrarre nell’orbita della vita nazionale gl’interessi dei creditori dello Stato e provvedere all’avvenire della nazione senza offendere i diritti individuali, tale fu la meta cui miro il Parlamento nell’adottare i provvedimenti finanziarii proposti dal Governo del Re.
Che questo scopo sia stato raggiunto lo dimostra la gara con cui i capitalisti italiani ed esteri hanno offerto al Governo I mezzi di compiere il prestito votato dalle Camere. La S. V. sa che pei 764 milioni domandati dal Governo si è presentato al concorso oltre a un miliardo, e che si attende ancora il risultato della pubblica sottoscrizione.
È questo un fatto sul quale io mi compiaccio di fermare l’attenzione dei Ministri del Re all’estero. Esso dimostra che il regno d’Italia seppe procacciarsi credito per l’avvenire rispettando con rigorosa giustizia gli obblighi contratti nel passato.
Esso è la più splendida prova che gli avvenimenti compiuti in Italia sono meglio che una rivoluzione, una ristaurazione del l’ordine regolare e normale.
Il Parlamento provvide finalmente allo sviluppo delle forze economiche del paese, accordando la sua approvazione ai disegni di leggi propostegli dal Ministero dei lavori pubblici in torno alla pronta esecuzione di una vasta rete di strade ferrate.
Promuovere in tutte le classi del popolo, mercè lo stimolo del lavoro, la ricchezza insieme e la pubblica moralità, fomentare l’accrescimento dei capitali nazionali colla potente concorrenza dei capitali esteri, scemare gli ostacoli che la distanza e la con: figurazione della Penisola oppongono al rapido affratellarsi di tutti gli abitanti di essa, tali sono i risultati che il Governo spera di ottenere fra breve dall’energico impulso dalo ai lavori pubblici.
A ben comprendere la rilevanza di questo articolo, basti il dire, che, oltre i lavori dell’arsenale della Spezia, si sono con cessi per 2,700 chilomelri di strade ferrate, alla costruzione delle quali il più breve termine assegnato è di un anno e mezzo e il più lungo di olto anni, e che l’esecuzione delle linee concesse costerà complessivamente circa i 750 milioni, dei quali oltre le garanzie paltuite, 290 milioni circa dovranno essere somministrati dal Governo.
Questa sommaria e rapida esposizione basta a far conoscere che il Parlamento nella prima parte della presente sessione provvide non solo ai più urgenti, ma altresì ai più importanti e permanenti interessi del Paese.
Ora se guardiamo al cammino fin qui percorso, e se lo misuriamo alla grandezza degli avvenimenti, ci sembra poterne trarre alcuna legittima compiacenza: se guardiamo a quello che ci resla da fare, sappiamo che è scabroso, e arduo, e pieno d’insidie e di pericoli; ma non ci sentiamo sgomentati: e osiamo tuttavia ripetere con un giusto orgoglio che l’Italia è fatta. Si l’Italia è fatta, malgrado che una parte d’Italia rimanga ancora in altrui balia; perché abbiamo fede che l’Europa, quando ci vedrà ben ordinati e armati e forti, si per suaderà del nostro diritto a possedere intero il nostro territorio e vedrà una guarentigia della sua quiete e della sua pace nel favorirne la restituzione: perchè abbiamo fede che l’Europa, imparando a meglio conoscerci, si persuaderà che noi, popolo essenzialmente cattolico, meglio di ogni altro popolo comprendiamo i veri interessi della Chiesa quando le domandiamo di spogliarsi dei diritti feudali che la barbarie le diede e la civiltà non le consente, offrendole in compenso indipendenza e libertà piena ed intera nell’esercizio del suo santo ministero e la gratitudine e l’ossequio di una nazione rigenerata.
Sappiamo bene che la vecchia Europa ci guarda ancora con occhio diffidente e ci rimprovera i disordini che funestano le provincie meridionali e l’incertezza dell’interno ordinamento.
Ma l’Europa conosce le origini antiche di quei disordini, ella che nel Congresso di Parigi stigmatizzò il reggimento depravato che corrompeva ed avviliva quei popoli. Ora abbiamo fede che al sole della libertà riprenderanno vigore i loro istinti generosi, e che l’Italia trarrà i più validi aiuti di là d’onde ora le vengono i maggiori pericoli interni. Noi non vogliamo ne dissimularli nè attenuarli; ma preghiamo che si consideri alle cause remote che li produssero e agli eccitamenti prossimi, che abusando di una generosa protezione data per più nobili fini, li mantengono: preghiamo che si consideri che mai non si vide una nazione abbattere, come l’Italia, quattro reggimenti diversi e costituirsi in unità con minori disturbi in si brevissimo tempo.
Gli esempi pero di sapienza civile e di virtù dati dal Parlamenlo sono pegno della maturilå politica della nazione di cui esso è la legittima e fedele rappresentanza, e devono inspirare una giusta ed intera fiducia nell’ordinato procedere delle nazionali istituzioni.
Adesso rimane che le parti congregate in uno si conformino in corpo ben ordinato e costituito, nel quale la vita procedendo da un potente ed unico impulso, si diffonda equabile ed efficace a dare atto e vigore a tutte le membra.
A quest’opera essenziale si prepara il Governo, per invocare sopra di lei nella prossima sessione i consigli e l’autorità del Parlamento. Intanto il credito ha sommipistrato largo alimento alla vitalità necessaria; occorre ora profittarne per ravvivare le fonti della ricchezza nazionale e stabilire con equo sistema d’imposte il pareggiamento indispensabile fra le spese e le rendite dello Stato. L’Italia deve compiersi, e nessun sacrificio parrà grave agli italiani per arrivare alla meta.
Lo spettacolo della nostra unione, della meravigliosa temperanza di questo popolo sorto appena a vita propria e indipendente, deve far persuaso ogni spirito imparziale che l’Italia lasciata a se stessa, libera degli esterni pericoli che ancora la minacciano, posta in possesso di tutte le condizioni necessarie della sua esistenza, sarà come ne esprimeva la persuasione l’augusto nostro Re inaugurando il primo Parlamento Italiano, una malleveria di ordine e di pace per l’Europa, un potente fattore della civiltà universale.
Autorizzo la S. V. Ilustrissima a valersi del contesto di queslo dispaccio in quel modo che riputerà più confaciente al bene del nostro paese, e mi pregio di rinnovarle ecc.
RICASOLI.

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