Il discorso di Pesaro di Mussolini

Il discorso di Pesaro di Mussolini

Ebbene, venne il mio discorso di Pesaro: il mio discorso di Pesaro che fu improvvisato, naturalmente. Bisognerà però che dica che lo avevo meditato da tre mesi e che in data 8 agosto scrissi una lettera di ben 16 pagine al ministro delle Finanze. Le mie improvvisazioni sono di questo genere! Che cosa dicevo? Che il regime fascista non ammette la sconfitta sul terreno finanziario. La può subire se domani le forze saranno inferiori alla sua volontà, ma certo non può accettarla.
E allora, dopo il mio discorso di Pesaro – che pronunciai a Pesaro semplicemente perché vi ero di passaggio nel pomeriggio, perché è una bella città che mi è simpatica, ma che potevo pronunciare anche a Sassoferrato, perché non ho mai creduto che per fare un discorso interessante ci sia bisogno di salire su una bigoncia brillante – i risolini ironici e sarcastici sono scomparsi.

I Falsi allarmi

Ma adesso, che cosa succede? Quando l’altro giorno la sterlina andò ad 85, pareva che ci fosse in vista una catastrofe nazionale: si vedevano in giro delle facce ancor più grigie, come se si trattasse di impiantare delle succursali di Raveggi. “Ma è una rovina; ma è una catastrofe nazionale”, dicevano i manipolatori dei titoli e dei cambi. Costoro io li stimo abbastanza, ma qualche volta, quando li vedo col distintivo all’occhiello, mi danno la nausea. E non è facile, dato il mio regime dietetico. Ma dove poi è questa catastrofe, signori? Ma non piangete prima del tempo! Non fasciatevi la testa prima di averla scassata! Adagio! Calma, signori disfattisti del rialzo, che prima eravate disfattisti del ribasso.

Storia della lirA

Per me la storia comincia nell’ottobre 1922. Se voi prendete il punto culminante della sterlina, allora sé, abbiamo un miglioramento di 60 punti; ma se prendete la quotazione media di 120, il miglioramento si riduce a 30 punti, e se tornate alla quotazione della marcia su Roma, il miglioramento si riduce a 15, perché all’epoca della marcia su Roma la sterlina era a 105 e 110. Ma allora, o signori, avevamo un bilancio in deficit, avevamo i debiti esteri non pagati, un Regime che cominciava e che quindi poteva anche supporsi non duraturo; avevamo una bilancia dei pagamenti passiva. Ed allora che cosa è questo miglioramento di 15 punti, oggi che abbiamo sistemalo il debito interno e il debito estero, che abbiamo il bilancio in pareggio ed in avanzo, che abbiamo contenuto la circolazione? è il premio, il modesto premio che il popolo italiano si merita dopo cinque anni in cui ha lavorato come un negro o, se volete, come un eroe e come un santo.

Quota 90

D’altra parte, si plachino queste preoccupazioni: non abbiamo conquistato nulla; abbiamo ripreso le posizioni che avevamo nel 1922. Le chiameremo “la quota 90” e su questa quota aspettiamo tutto il grosso dell’esercito. Ci staremo il tempo sufficiente e necessario perché tutte le forze dell’economia a questa quota si adeguino; le quali forze però si adeguavano rapidamente, volonterosamente, quando i cambi, scendendo in già, facevano i salti del canguro. Oggi trovano difficoltà insormontabili perché procediamo col passo del grillo verso il miglioramento. Tutto ciò è miserabile.

La riforma delle istituzioni

Abbiamo creato lo Stato corporativo. Questo Stato corporativo ci pone dinanzi il problema istituzionale del Parlamento. Che cosa succede di questa Camera? Intanto, questa Camera, che ha egregiamente, nobilmente e costantemente servito la causa del regime, durerà per tutta intera la Legislatura. Tutti coloro che volevano liquidarla e sopprimerla, quasi per punirla, saranno certamente delusi. Ma è evidente che la Camera di domani non può rassomigliare a quella d’oggi. Oggi, 26 maggio, noi seppelliamo solennemente la menzogna del suffragio universale democratico.

Il suffragio universale

Ma che cosa è questo suffragio universale? Noi l’abbiamo visto alla prova. Sopra 11 milioni di cittadini che avevano il diritto di votare, ce n’erano 6 milioni che periodicamente se ne infischiavano.
E gli altri, che valore potevano avere, quando il voto è dato al cittadino semplicemente perché ha compiuto i 21 anni, e quindi il criterio discriminativo della capacità del cittadino è legato a una questione di cronologia o di stato civile?

La nuova Camera

Ci sarà anche domani una Camera, ma questa Camera sarà eletta attraverso le organizzazioni corporative dello Stato. Molti di voi ritorneranno in questa Camera, molti di voi troveranno il seggio naturale nel Senato, alcuni nel Consiglio di Stato, alcuni nelle Prefetture, nella carriera diplomatica e consolare, dove si può servire egregiamente il Regime, qualche altro si ritirerà a vita privata.
Non si può pensare che tutti siano gerarchi. Ci vogliono anche i gregari. Del resto, la Nazione sente forse il bisogno elettorale? Lo ha dimenticato, ed è proprio necessario per noi di avere, attraverso un bollettino di voto, l’attestazione del consenso del popolo? Lasciatemi pensare che questo non è assolutamente necessario. Verso la fine di quest’anno, nell’anno prossimo, noi stabiliremo le forme con cui sarà eletta la Camera corporativa dello Stato italiano.

Lo stato unitario

Ma intanto vengo ad un punto essenziale del mio discorso: forse al più importante. Che cosa abbiamo fatto, o fascisti, in questi cinque anni? Abbiamo fatto una cosa enorme, secolare, monumentale. Quale? Abbiamo creato lo Stato unitario italiano. Pensate che dall’Impero in poi, l’Italia non fu più uno Stato unitario. Noi qui riaffermiamo solennemente la nostra dottrina concernente lo Stato; qui riaffermo non meno energicamente la mia formula del discorso alla Scala di Milano, “tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato” Non so nemmeno pensare nel secolo XX uno che possa vivere fuori dello Stato, se non allo stato di barbarie, allo stato selvaggio.
È solo lo Stato che dà l’ossatura ai popoli. Se il popolo è organizzato, il popolo è uno Stato, altrimenti è una popolazione che sarà alla mercé del primo gruppo di avventurieri interni o di qualsiasi orda di invasori che venga dall’estero. Perché, o signori, solo la Stato con la sua organizzazione giuridica, con la sua forza militare, preparata in tempo utile, può difendere la collettività nazionale se la collettività umana si è ridotta al nucleo familiare, basteranno cento normanni per conquistare la Puglia. Che cosa era lo Stato, quello Stato che abbiamo preso boccheggiante, roso dalla crisi costituzionale, avvilito dalla sua impotenza organica? Lo Stato che abbiamo conquistato all’indomani della Marcia su Roma era quello che c’è stato trasmesso dal ’60 in poi. Non era uno Stato; ma un sistema di Prefetture malamente organizzate, nel quale il prefetto non aveva che una preoccupazione, di essere un efficace galoppino elettorale.

Fascismo e democrazia

In questo Stato, fino al 1922 il proletariato – che dico?! – il popolo intero, era assente, refrattario, ostile. Oggi preannunziamo al mondo la creazione del potente Stato unitario italiano, dall’Alpi alla Sicilia, e questo Stato si esprime in una democrazia accentrata, organizzata, unitaria, nella quale democrazia il popolo circola a suo agio, perché, o signori, o voi immettete il popolo nella cittadella dello Stato, ed egli la difenderà, o sarà al di fuori, ed egli l’assalterà.
Signori! Un discorso come questo non tollera perorazioni. Solo io vi dico che, tra dieci anni, l’Italia, la nostra Italia sarà irriconoscibile a se stessa ed agli stranieri, perché noi l’avremo trasformata radicalmente nel suo volto, ma soprattutto nella sua anima!

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