Nota ai governi di Emilia e Toscana sulla relazione francese e risposte

Nota del Conte di Cavour ai Governi della Emilia e della Toscana sulla relazione proposta della Francia

A S. E. il signor barone Ricasoli, Presidente del Governo della Toscana, Firenze; ed a S. E. il sig. cav. Farini, Governatore delle Provincie dell’Emilia, Modena.
Torino, li 29 Febbraio 1860.
ECCELLENZA,
Il barone di Talleyrand, per ordine del Governo di Francia, mi ha dato ieri lettura e copia del dispaccio che mi pregio di comunicare qui unilo alla E. V. Esso contiene l’esposizione delle idee dell’Imperatore dei Francesi intorno all’assetto da darsi alle cose dell’Italia centrale, idee che si riassumono nelle tre proposizioni seguenti; I Ducati di Parma e Modena verrebbero immediatamente riuníti al Piemonte senza interrogare nuovamente il suffragio popolare.
Le Romagne formerebbero un Vicariato posto sotto l’alta sovranità della S. Sede, e governate da S. M. che assumerebbe tosto l’amministrazione.
La Toscana poi sarebbe costituita in regno separato sotto un principe liberamente eletto dalla popolazione.
Il Governo Francese non esprime alcuna preferenza intorno alla scelta del futuro sovrapo, ma da verbali ed autentiche assicurazioni mi consta che la elezione di un Principe di Casa Savoia non incontrerebbe per parte della Francia opposizione alcuna.
Dopo aver presi gli ordini di S. M., ho risposto al barone di Talleyrand, che il Governo del Pe dal canto suo non moveva difficoltà contro il divisato assestamento, e che, trasmellendo ai Governi della Toscana e dell’Emilia le proposizioni sovraespo ste, le avrebbe confidale al senno degli uomini che reggono la cosa pubblica in quei paesi.
A questo fine io mi rivolgo all’E. V. ed io non dubito che il Governo della Toscana (della Emilia) nel prendere notizia dell’annesso documento, considererà che i consigli dati alla Toscana (Emilia) provengono dal generoso alleato a cui l’Italia è in gran parte debitrice dei nuovi destini a cui è chiamata.
Quindi è che mentre il dispaccio del Gabinetto Francese non dev’essere fatto di pubblica ragione, sarà peraltro conveniente che non si ignori dal pubblico l’origine delle proposte che le trasmetto.
lo non dissimulo tuttavia che nè ella, nè i suoi colleghi non vorranno togliere sopra di sè la responsabilità di una deliberazione terminativa senza consultare nuovamente la Nazione che, per mezzo dell’Assemblea a ciò eletta, già aveva manifestati i suoi voti.
In contemplazione di un tale evento, S. M. il Re, riconoscendo l’opportunità di un nuovo voto, lascia all’E. V. piena balia intorno al modo d’interrogare la volontà delle popolazioni, e si affida che il Governo porrà ogni cura affinchè, come pel passato, le elezioni si compiano con tutta lealtà e sincerità.
Qualunque sia per essere il risultato di questo voto, il Governo del Re lo accetta anticipatamente, non avendo esso avuto altro intento mai fuorchè quello d’assicurare la pace e l’ordinamento d’Italia, mercè del legittimo soddisfacimento dei voti dei popoli.
Gradisca i sensi dell’alta mia considerazione.
C. CAVOUR.

Risposta del Governatore dell’Emilia

A S. E. il conte Camillo Cavour,
Presidente del Consiglio dei Ministri, ecc.
Torino.
Bologna, 2 Marzo 1860.
ECCELLENZA.
Il dispaccio di V. E. del 29 febbraio richiede da me una immediata risposta, si per la sua importanza, si per le recenti disposizioni prese nell’Italia centrale, delle quali le debbo franca spiegazione.
L’ultima volta che l’E. V. mi fece l’onore di scrivermi, Ella mi annunziava le quattro proposizioni presentate dall’Inghilterra per lo assetto definitivo di questo provincie ed esprimeva in sieme la fiducia che, poste sotto il generoso patrocinio dell’lmporatore dei Francesi, potessero trionfare. Secondo queste proposte le popolazioni dell’Italia centrale senza distinzione dovevano essere chiamate a dare un nuovo voto, prima che le truppe di S. M. il Re di Sardegna potessero occuparla.
Cid posto, e d’accordo col Governo Toscano, il modo di procedere che mi parve indicato dalla situazione presente era questo; accettare qualunque forma di nuova votazione fosse proposta per ben constatare la libertà e la veracità dei sentimenti delle popolazioni: nel caso poi che questa forma non fosse determinata prima, scegliere la più larga e la più solenne, cioe il suffragio universale.
Quanto al momento di seguirlo, parvemi che fosse indicato dalla natura stessa delle cose, e cioè quando S. M. il Re convocasse il Parlamento; dovendosi decidere allora, se questi popoli vi partecipassero, e in ogni modo essendo quella occasione ad uscire da uno stato precario e pieno di pericoli. In tali giudizi mi confermava la lettura dei documenti diplomatici recente mente venuti in luce e soprattutto della nota del signor Thouvenel del 31 gennaio, nella quale la questione italiaŋa era apprezzata con tanto discernimento, con tanta giustizia.
Cosi adunque mi risolsi, e l’E. V. vedrà dal manifesto e dal decreto che le unisco, e che furono ieri pubblicati, i modi e I termini di questa nuova votazione.
Intanto mi pervenne il dispaccio, col quale l’E. V. mi comunica le idee del Governo Francese. Io non poteva non accoglierlo con quel rispetlo e quella deferenza, che si deve a chi ha tanto operato per la nostra indipendenza, nè cerlamente sarà per me che quelle idee non siano conosciute dalle popolazioni. Pero, mentre l’E. V. comprenderà che io non avrei potuto assumere la responsabilità di una terminaliva risoluzione senza consultare la volontà nazionale, vedrà ancora, che il mio decreto non è punto in contraddizione coi desideri espressi da S. M. l’Imperatore.
E primieramente, riguardo ai Ducati di Parma e Modena, la nuova votazione servirà a confermare le precedenti, sarà una nuova prova e un nuovo titolo per l’annessione immediata.
Quanto alla Toscana l’E. V. intende che io non ho il mandato di discuterne le ragioni. Potrebbe a prima vista apparire qualche differenza a rispetto delle Romagne. Ma oltrechè, dopo la costituzione del Governo dell’Emilia, sarebbe stato illegale il fare una distinzione fra esse e le altre provincie, a me sembra, che bene considerando, qui pure sostanzialmente non vi sia alcuna contraddizione. Da che il Governo Francese è disposto ad approvare la annessione e il Governo di S. M. il Re di Sardegna nelle Romagne, salvo un alto dominio della Santa Sede, il vicariato riguarda piuttosto i rapporti fra il Re e il Pontefice, anzi che i popoli.
In secondo luogo, come proporre al suffragio universale una questione cosi astratta e delicata, qual è il rapporto di che si tratta? I popoli non possono consultarsi che sopra idee semplici e chiare: e qui invece sarebbe stato necessario accompagnar la proposta di molte e complicate spiegazioni, che definissero la natura e i limiti dell’autorità, nè io stesso saprei formarmene oggi un concetto preciso.
Inoltre tutti gli atti pubblici della Corte di Roma hanno talmente distrutta ogni possibilità di questo o somigliante temperamento, che il melter fuori una tale proposta, mentre non poteva presentare alcun risultato efficace, avrebbe suscitato turbazione, nessuna cosa essendo più aliena dall’animo di queste popolazioni. Finalmente, quando prevalesse nelle Romagne il partito del regno separato, questo si presterebbe facilmente a tutte le transazioni, e a tutte le modalità, che il Governo di S. M. colla diplomazia credessero di poter adottare. L’E. V., mi per metta di ripeterlo, non può non sentire come una grave responsabilità pesi sopra di me. Le Assemblee mi diedero un mandato assoluto, dal quale non potrei allontanarmi senza mancare al dovere e all’onore. Ciò che io posso promettere si è, che sarà garantita la piena ed assoluta libertà del voto, affinchè la volontà nazionale possa esprimersi senza alcuna influenza esterna ed interna, ma secondo la coscienza di ognuno.
Tali sono le considerazioni, che io mi credo in obbligo di sottoporre all’E. V. Ella le comunicherà, se crede, al signor barone De Talleyrand, e ad ogni modo ne farà quell’uso che stima più conveniente.
Gradisca, l’eccellenza vostra, i sensi della mia distinta considerazione.
FARINI.

Risposta del Governo della Toscana

A. S. E. il conte di Cavour
Presidente del consiglio dei Ministri ecc. Torino.
Firenze. 4 Marzo 1860.
ECCELLENZA,
Ricevo il dispaccio che l’E. V. mi ha fatto l’onore d’indirizzarmi da Torino in data del 29 prossimo perduto Febbraio, contenente l’esposizione delle idee di S. M. l’Imperatore dei Francesi intorno all’assetto da darsi alle cose dell’Italia centrale.
Tre diverse destinazioni sarebbero date, secondo il concetto del governo dell’Imperatore, alle tre parti onde si compone l’Italia centrale: l’annessione immediata dei Ducati: l’annessione mediata, come vicariato, sotto l’alta sovranità della Santa Sede, alle Romagne; alla Toscana la costituzione in regno separato sotto un principe liberamente eletto dalla popolazione.
Lasciando al Governatore delle RR. provincie dell’Emilia la cara di rispondere per ciò che riguarda quelle, io avrò l’onore di rendere conto all’E. V. dalla parte che tocca la Toscana.
Da dieci mesi, e si potrebbe dire con verità da dieci anni, questo paese, senza dimenticare le sue belle e gloriose tradizioni storiche, è stato animato da un nuovo spirito, che lo ha condotto nella volontà di unirsi nella nazione cogli stati di S. M.
L’idea della unione può dirsi invero una manifestazione contro l’Austria, ma non può dirsi un moto irreflessivo verso la Sardegna.
A questo proposito giova rettificare un pregiudizio che sembra molto diffuso in Europa, e che entra come elemento più o meno preponderante nella opinione che i diplomatici si formano dei sentimenti dei Toscani.
Un paese, dicono, ricco di tante tradizioni di civiltà, dotato di una storia nobile e bella quant’altra mai, e che è stato sempre altero delle sue tradizioni e della sua storia, non potrebbe senza rammarico lasciarsi assorbire da un altro paese, e perdere di buon animo la sua splendida personalità.
Non negheremo che questo modo di giudicare le cose nostre poteva essere esatto quando fra noi la vita politica si restringeva nel Comune, e i Comuni italiani posti in un grado di civiltà molto più elevato che quello dei popoli circonvicini, possedevano col monopolio dei commerci e colla perfezione delle industrie le sorgenti della ricchezza mondiale. Ma dal secolo XVI in poi queste condizioni furono cambiate radicalmente. Si formarono in Europa per via di successive aggregazioni Stati poderosi e omogenei, fra i quali l’Italia, perchè rimasta divisa, si trovò debole; e perduta per le nuove scoperte la privativa del commercio europeo, fu poi anche impotente a sostenere la concorrenza nelle industrie. Fin d’allora gl’Italiani ebbero ad espiare duramente la loro passata superiorità con quattro se coli di dipendenza economica e politica. Non è maraviglia se i Toscani al pari degli altri popoli d’Italia hanno cercato in questo doloroso periodo di umiliazione alcuna consolazione nelle memorie del passato, e se nella servitù presente hanno procurato alleviare col culto delle arti e delle tradizioni di una civiltà raffinata.
Ma questa civiltà medesima doveva renderli più intolleranti della servitù, più ripugnanti alla inferiorità, specialmente quando la serviti assumeva la forma più odiosa, quella proveniente dalla oppressione straniera, quando la inferiorità proveniva non da intrinseche ragioni, ma da prepotenza altrui.
Se vivevano ancora spiriti municipali in Toscana, l’opera de’ secoli, l’oppressione austriaca e il malgoverno dei principi li ha mortificati e distrutti.
Allora agli spiriti municipali si è sostituita la più larga e più feconda idea nazionale; e la Toscana in ragione appunto della sua progredita civiltà doveva caldamente abbracciarla e coltivarla. Questo che si chiama nei Toscani amore della propria autonomia, è amore di quelle istituzioni che formano la meraviglia dell’Europa, che la Toscana ha posseduto e fatto frutti.
ficare, non perchè Stato sovrano e indipendente, ma quantunque Stato piccolo e dipendente.
La Toscana ripugnerebbe certamente a lasciarsi assorbire da un paese straniero eterogeneo, che la volesse uguagliare a sè in una condizione di relativa barbarie; ma più la si reputaavanzata nella civiltà, e tenera di questo suo privilegio, e più le si deve supporre l’intelligenza delle condizioni alte a custodire e far valere questa sua dote.
Ora la Toscana al pari degli altri Stati d’Italia ha dovuto fare la dolorosa esperienza della poca sicurezza e della sterilità delle buone instituzioni nei piccoli Stati; ha veduto nella sua piccolezza una minaccia perpetua alla sua civiltà; e quello che dicesi amore della propria autonomia è divenuto in fatto desiderio d’ingrandirsi e di fortificarsi per propria tutela.
In questo stato di cose, ove poteva la Toscana cercare gli elementi di ordine e di forza consentanei ai suoi bisogni ed alla sua indole?
Essa, nel pieno esercizio e nella larga applicazione dei principii dell’89, dei quali sarà gloria imperitura del primo Napoleone aver diffuso i semi per tutta Europa, e del suo magnanimo successore aver favorito e protetto dovunque la germo gliazione e il frutto, si trovava chiusa nella stessa terra coll’Austria nemica di ogni progresso morale e civile nei popoli da lei compressi; col Governo della Curia Romana; col Governo di Napoli, che l’Europa civile ha solennemente stigmatizzato come la negazione della civiltà.
L’amore delle sue nobili tradizioni si univa qui coll’istinto della propria conservazione a far cercare alla Toscana l’appoggio di una forza omogenea: questa forza le era data dal suo con giungersi col Regno Sardo, entrato risolutamente e lealmente nella via della nazionalità e della libertà, onde le era garantita la conservazione delle sue tradizioni, la loro esplicazione e la loro applicazione alla vita civile e politica.
Nell’unione colla Sardegna trovava la Toscana le condizioni d’ordine e di forza che guarentiscono la prosperità interna, il rispetto dell’esterno, assicurando la stabilità delle istituzioni, l’indipendenza della nazione: nella soggezione mediata o immediata dall’Austria riconosceva la Toscana la negazione di queste vitali condizioni dell’essere di un popolo. Ecco in qual modo l’idea dell’unione riusciva ad essere una manifestazione contro l’Austria, mentre era un moto ragionalo verso la Sardegna.
Il Governo che nasceva in Toscana dopo il 27 di aprile aveva pertanto dalla pubblica opinione un mandato delerminato e speciale: liberare il paese dalla soggezione austriaca mediante la guerra; cercare guarentigie alla sicurezza avvenire mediante la unione col Regno Sardo.
Le soscrizioni dei cittadini, i voti dei municipii, quelli più solenni e meno contestabili dell’Assemblea dei rappresentanti, l’attitudine non equivoca della popolazione, tutto è venuto a confermare, se bisogno ve ne fosse, nella sua precisa e indeclinabile determinazione il mandato del Governo.
Ora, per quanto grande sia la deferenza che il Governo della Toscana professa e sente di dover professare per debito di gratitudine verso il governo dell’Imperatore dei Francesi e verso il Governo di S. M. il Re, tuttavia egli confida che l’uno e l’altro facilmente comprenderanno non essere nei suoi poteri accettare per la Toscana un assetto differente da quello evidentemente voluto dalla popolazione e deliberato dall’assemblea.
Governo e popolo in Toscana dalle replicate assicurazioni contenute negli atti ufficiali e diplomatici del Governo francese, hanno dovuto trar la certezza che rimaneva loro libertà pienissima di disporre di sè e che i loro liberi voti sarebbero guarentiti contro ogni intervento straniero.
L’ultima comunicazione dell’E. V. mi trasmetteva le quattro proposizioni dell’Inghilterra per l’assetto definitivo dell’Italia centrale, e faceva sperare che mercè del generoso patrocinio dell’Imperatore dei Francesi, sortirebbero buon esito.
Secondo quelle proposizioni, e presi gli opportuni concerti col Governo delle RR. provincie dell’Emilia, venni nella determinazione di accettare qualunque forma venisse consigliata di nuova votazione col fine di constatare la indole e la veracità dei sentimenti di queste popolazioni. Quando questa forma non fosse prima determinata, stabilii d’accordo col Governatore Farini che avremmo scelta la più larga e la più solenne, quella cioè del suffragio universale.
Fra le altre considerazioni che ci determinavano a questa scelta, non ultima, nè meno influente nell’animo nostro era la considerazione che il suffragio universale doveva essere meglio accetto al governo imperiale, siccome quello che è la base delle instituzioni, e il fondamento della legittimità dell’attuale Impero francese.
Il tempo dell’applicazione poi ci parve opportunamente indicato dal momento che S. M. il Re convocasse il Parlamento nazionale.
V. E. non ignora che fino dal gennaio ultimo caduto, i Governi dell’Emilia e della Toscana, promulgato lo staluto e la legge elettorale del regno sardo, prescrissero quindi le operazioni preliminari delle elezioni, determinati ad ordinarne il compimento quando S. M. le inlimasse negli Stati ereditari ed annessi.
Cosi facendo, tutto ci confermava nell’opinione di essere nel nostro diritto, poichè avevano ordinatamente proceduto, da canto nostro seguendo la volontà dei popoli da noi amministrati, negli atti di annessione, senza che l’Europa si risolvesse a stringersi in quel congresso, dove si avevano da discutere le nostre sorti. Era tempo di uscire da una incertezza e da un provvisorio pieno d’insidie e di pericoli: il linguaggio della politica imperiale, e principalmente della nota del signor Thouvenel, in data del 31 gennaio, ci confermava in tali giudizi.
Ci parve opportuno pertanto di determinare con un’ultima e risolutiva prova se questi popoli avessero da concorrere alle elezioni del parlamento nazionale; e prescrivemmo col decreto del primo marzo, di cui ebbi l’onore di inviar copia all’E. V., i modi e i termini di una nuova votazione per suffragio universale e scrutinio segreto.
Posteriormente a questi fatti mi pervenivano le comunicazioni dell’E. V. colla esposizione delle idee francesi sulla questione dell’Italia centrale. Considero come debito della lealtà del Governo il divulgare quelle idee fra i Toscani; e son pago che l’interrogarli che noi facciamo per mezzo del suffragio universale non contraddica al desiderio dell’Imperatore, verso del quale i titoli della gratitudine di questa come delle altre popolazioni d’Italia sono molti e grandissimi.
Mentre però mi giova ripetere che il Governo Toscano non poteva assumere sopra di sè, dirimpetto al mandato assoluto dell’Assemblea, la responsabilità di una risoluzione terminativa, posso guarentire all’E. V. che sarà mantenuta la piena e assoluta libertà del voto, affinché dall’urna del suffragio universale pura schietta esca la manifestazione della volontà nazionale.
Potrà l’E. V. se lo crede opportuno, comunicare queste considerazioni al barone di Talleyrand, e farne quell’uso che riputerà migliore.
Gradisca, Eccellenza, le assicurazioni della mia distintissima considerazione,
B. Ricasoli.

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