Pietro Acquarone

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Categoria: Saggi biografici

Pietro Acquarone, ministro della Real Casa

Il duca Piero d’Acquarone, Ministro della Real Casa di Vittorio Emanuele […] è un genovese duttile, astuto, esperto di affari e di convenzioni mondane, capace di dir poco con molte parole, e di far capire molte cose, senza compromettersi, con un’occhiata, un sorriso: abile a leggere nel silenzio del sovrano e ad interpretare i sentimenti repressi, capace anche, all’occorrenza, di forzare la mano, di assumersi la responsabilità di un atto che al re ripugnasse e che potesse poi sconfessare.
Paolo Monelli, Roma 1943, pag.111.

Il militare e nobile Pietro Acquarone (ufficialmente Mario Alfonso Giulio Gaspere Melchiorre Baldassarre Giuseppe) nacque a Genova il 9 aprile 1890 dall’avvocato Luigi Filippo e da Maria Pignatelli Montecalvo, terzo dei cinque figli della coppia.
Studiò a Genova presso gli istituti Giano Brillo e Cristoforo Colombo, poi, dopo aver abbandonato gli studi di giurisprudenza, intraprese la carriera militare nell’arma della cavalleria ove divenne nel 1911 caporale, poi sergente e nel 1912 sottotenente, fu quindi inviato come volontario nella neo-conquistata Libia ove rimase tra il 1912 e il 1913, poi tornò in Italia e quindi partecipò alla prima guerra mondiale guadagnandosi una medaglia di bronzo (Cinque Torri del Falzarego, 21 agosto 1915) e una d’argento (Monfalcone, 15 maggio 1916), oltre ad una croce di guerra (in appendice sono riportate le motivazioni delle due medaglie). Dopo la guerra divenne istruttore militare del principe ereditario Umberto, andando a vivere a Roma, grazie alla segnalazione che di lui fece il generale Diaz diede al re.
Nel 1924 abbandonò la carriera militare dopo aver raggiunto il grado di capitano, ove poi raggiunse il grado di generale di brigata di cavalleria, anche se solo molti anni dopo, il 24 maggio 1943 con anzianità dal 1° gennaio dell’anno.
Divenuto un civile si dedicò, a Verona, alla direzione della società anonima Trezza (amministratore generale) nel 1924 in seguito alla morte del fondatore Cesare Trezza. In questa città visse con la moglie Maddalena Trezza[1]Nel 1943 questa divenne dama di compagnia di Maria José (1906-2001), moglie del principe ereditario e Luogotenente Umberto di Savoia. sposata il 9 novembre 1911 (figlia appunto del titolare dell’azienda Trezza, creata durante il dominio austriaco, appaltatrice della riscossione dei dazio consumo in oltre 800 comuni, sposata lo stesso anno) dalla quale ebbe quattro figli Umberta (1920), Luigi Filippo (1922), Cesare (1925) e Maria Maddalena (1929).
A Verona Acquarone ricoprì anche, a partire dal 1928, la carica di vice presidente della Camera di commercio, trasformatasi poi sotto il regime in Consiglio provinciale dell’economia corporativa e dal 20 novembre 1929 all’8 aprile 1949 anche quella di Consigliere finanziatore della Società editrice il quotidiano “L’Arena” di Verona. Fu in questi anni, specificatamente il 1° marzo 1926, che si iscrisse al PNF.
Nominato senatore per censo il 23 gennaio 1934 – era il dodicesimo tra i maggiori contribuenti del paese[2]La sua imposta erariale per l’anno 1931 fu pari a 104.388 lire, per il 1932 di 110.166 lire e per il 1934 di 116.112 lire. – (nella camera alta fece parte della Commissione delle Forze Armate dal 17 aprile 1939 al 5 agosto 1943), si acquistò la stima di Vittorio Emanuele III per le sue qualità di finanziere e di amministratore, e fu da questo nominato alla fine del gennaio del 1938 ministro della Real Casa[3]Secondo il decreto reale 16 settembre 1940, n. 402, sulle attribuzioni dei funzionari di corte, il ministro, è “la prima grande carica di corte e capo della casa civile e a lui fanno capo la … Continue reading, succedendo al conte Alessandro Mattioli Pasqualini (1863-1943) dimessosi il 16 gennaio a causa dell’anzianità (era stato nominato il 23 novembre 1909) e nominato ministro onorario della Real Casa. Questa nuova posizione acquisita da Acquarone gli consentì di divenire progressivamente l’unico confidente del sovrano, a cui si dimostrò sempre estremamente leale, e il più intimo e ascoltato consigliere, consentendogli anche di assumere un ruolo politico molto più rilevante di quello che aveva avuto il suo predecessore nell’incarico.
In questi anni continuò ad interessarsi alle attività economiche operando una speculazione fondiaria nella zona dei Parioli a Roma, di proprietà della consorte, luogo ove si fece anche costruire una grande villa.
La sua abilità nell’amministrare i beni della Corona che lo portarono ad una revisione e riduzione del personale e le sue capacità finanziare, di cui aveva usufruito fin dagli anni venti, erano dal re apprezzate – Acquarone nel 1932 si recò anche in Svezia per valutare un investimento proposto al sovrano dal finanziere Ivar Kreuger, questo gli consentì di scoprire che quest’ultimo era prossimo al fallimento e quindi salvò il sovrano da un investimento fallimentare – a questo si deve aggiungere la sua assoluta lealtà gli guadagnarono la piena fiducia del sovrano. A riprova della stima di cui era oggetto il 19 ottobre 1942 ebbe il titolo di duca di Giove.

La preparazione del 25 luglio

In tale qualità di stretto collaboratore di Vittorio Emanuele[4]Funse anche da intermediario per la ricerca di un nuovo sovrano per il Montenegro (la regina d’Italia Elena era della famiglia reale del paese) dopo il crollo della Jugoslavia in seguito … Continue reading, Acquarone svolse, negli eventi che portarono alla caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, un ruolo importante, come intermediario fra la Corona, i fascisti dissidenti, gli ambienti militari, desiderosi anch’essi di sganciarsi dal fascismo, e alcune personalità del mondo degli affari e dei gruppi politici antifascisti che avevano ormai compreso la sostanziale impossibilità di continuare la guerra.
Già il 14 marzo 1940 Acquarone aveva preso contatto col conte Galeazzo Ciano (1903-1944), per comunicargli le preoccupazioni del sovrano per la situazione e dell’affetto e della fiducia che quegli nutriva nei di lui confronti. L’evento venne così riportato nel Diario di Ciano:

Al golf mi avvicina il conte Acquarone, ministro della Real Casa . Parla apertamente della situazione in termini preoccupati, e assicura che anche il Re è al corrente del disagio che turba il Paese. A suo dire, Sua Maestà sente che da un momento all’altro potrebbe presentarsi per lui la necessità di intervenire anche per dare una piega diversa alle cose; è pronto a farlo ed anche con la più netta energia. Acquarone ripete che il Re ha verso di me “più che benevolenza, un vero e proprio affetto e molta fiducia”. Acquarone – non so se d’iniziativa personale o d’ordine – voleva portare più oltre il discorso, ma io mi sono tenuto sulle generali.[5]Ciano, Diario: 1939-1943, pag. 237.

Questo primo contatto però rimase, per allora, senza seguito. Quando poi Ciano, nel febbraio 1943, passò dal ministero degli Esteri all’ambasciata presso il Vaticano, Acquarone valutò positivamente questo cambiamento ritenendo che potesse essere vantaggioso per la fronda fascista, anche alla luce della relazione del segretario del Senato, Domenico Galante, che aveva mostrato al sovrano e nella quale si dichiarava il pessimismo del Senato rispetto agli esiti del conflitto in corso per il paese.
Oltre che con Ciano Acquarone ebbe contatti con un altro esponente della fronda fascista, Dino Grandi (1895-1988), come testimoniano dei protagonisti di quegli eventi: fu Acquarone, per esempio, che, terminata la seduta del Gran Consiglio, si recò da Grandi la mattina del 25 luglio 1943, informando subito dopo il re.
È plausibile che l’intenzione, che era poi anche quella del sovrano, di operare un distacco dal fascismo (e dall’alleata Germania nazista) cauto e graduale possa essere attribuita ad Acquarone: praticamente il piano avrebbe previsto la formazione di un “fascismo senza Mussolini”, un governo di funzionari e di militari, una resistenza il più possibile prolungata alle rivendicazioni avanzate dalle forze politiche antifasciste. Acquarone fu perciò contrario alla combinazione governativa, prospettatasi ai primi di luglio, del maresciallo Pietro Badoglio (1871-1956) – Acquarone era stato ufficiale d’ordinanza di Badoglio –, presidente del Consiglio con il socialista riformista Ivanoe Bonomi (1873-1951) vicepresidente.
Quello politico comunque non fu l’unico ambito di azione in vista della preparazione del cambiamento di regime, prese contatti anche nell’ambiente militare Acquarone ebbe, in particolare, contatti con i generali Vittorio Ambrosio (1878-1879), capo di Stato maggiore generale, Giacomo Carboni (1889-1973) comandante del corpo d’armata preposto alla difesa di Roma, Giuseppe Castellano (1893-1977), oltre che con Badoglio, col quale era da tempo in rapporti personali.
Il 26 maggio 1943 Acquarone ebbe il suo primo colloquio con Bonomi (un secondo si tenne il 14 luglio), che si presentava a nome di un gruppo di personalità politiche, soprattutto prefasciste. Acquarone fu quindi il tramite dei colloqui con il re dello stesso Bonomi; funse pure intermediario fra il sovrano e il liberale Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952).
Naturalmente tutti questi movimenti non passarono inosservati, Mussolini ne venne informato dal capo della polizia Lorenzo Chierici (1895-1943) che gli fece cenno dei complessi maneggi di Acquarone, ma il duce non volle darvi peso.
In giugno Vittorio Emanuele III, su sollecitazione di Acquarone, avrebbe incontrato Marcello Soleri (1882-1945), che a sua volta gli avrebbe chiarito la situazione sulla falsariga delle cose dette da Bonomi, con cui come visto si era incontrato in precedenza.
Una volta preparato il terreno da un punto di vista politico, si passò alla preparazione concreta, anche qui rivestì un ruolo di primo piano. Il ministro della Real Casa fin dal pomeriggio del 19 luglio aveva preso contatto con Carmine Senise (1883-1958) per preparare l’operazione incontrandolo al Quirinale, qui Senise (ex capo della polizia, di recente – dal 14 aprile 1943 – sostituito da Lorenzo Chierici, poi di nuovo al vertice dopo il 25 luglio per i 45 giorni badogliani) venne interrogato sui modi per neutralizzare una eventuale opposizione della Milizia e del partito.
In seguito a questa richiesta Senise aveva delineato verbalmente un piano di massima sostenendo la necessità di procedere all’arresto di Mussolini al Quirinale appunto per evitare reazioni violente ed escludendo la successione di un fascista al governo. La questione venne affrontata nuovamente in un incontro tra i due il 21 luglio, quando Senise acconsentì di riassumere il ruolo di capo della polizia, ma indicò nei carabinieri i soggetti più idonei per procedere all’arresto.
Poi qualche giorno prima della riunione del Gran Consiglio del fascismo Bergamini, Bonomi, Casati e Della Torretta avevano messo a punto e consegnato ad Acquarone, tramite il politico liberale Enzo Storoni (1906-1985), un promemoria per il Re, in cui si sottolineavano gli aspetti negativi che avrebbe provocato l’ipotesi di costituire un “gabinetto d’affari”, ovvero un Governo tecnico e non politico, poiché sarebbe stato visto come un nemico dai fascisti e non avrebbe avuto nessun appoggio dall’opposizione, sarebbe stato un Governo debole nel confronto con gli angloamericani e avrebbe fatto ricadere tutte le responsabilità sulla monarchia e sul Re. Erano favorevoli a una soluzione Badoglio (non appoggiata da Acquarone), con cui avevano intensi rapporti, ma auspicavano che il maresciallo presiedesse un governo politico; poi il 23 Grandi (questi aveva comunicato ad Acquarone il 22 il testo dell’o.d.g.) comunica ad Acquarone la sua intenzione di arrivare fino in fondo nella seduta del Gran Consiglio, motivo per cui il sovrano ordina ad Acquarone di rimanere nei paraggi per tutta la durata della riunione.

Il 25 luglio e la caduta del regime fascista

La sera del 25 luglio 1943 Acquarone fu tra i protagonisti dell’arresto di Mussolini, quando questi uscì dal colloquio con il re a villa Savoia.
Al riguardo dell’arresto si deve prendere anche in considerazione quanto venne reso noto all’Alta Corte da Acquarone, che presentò la lettera del questore di Roma, Enrico Morazzini nella quale si legge “Il 25 luglio… ad un convegno segreto… ebbi l’ordine dal ministro Acquarone di recarmi a Villa Savoia per farvi accedere un certo numero di carabinieri…”, ordine poi bloccato per volontà della regina Elena che non voleva che l’arresto avvenisse nell’ambito della propria casa e quindi si dispose “che l’arresto si sarebbe dovuto verificare altrove e in altro momento”[6]Fascicolo del Senato di P. Acquarone.. In seguito ad un nuovo colloquio il questore e Acquarone questi “si assunse personalmente la responsabilità del comando precedentemente dato, ordinando di arrestare Mussolini immediatamente dopo il colloquio con il sovrano”.
Costituitosi il governo Badoglio (Acquarone stesso alle 7 andò da Ambrosio e poi con questi porto a Badoglio il decreto di nomina) secondo la formula, da lui patrocinata, di “governo d’affari” (un governo non politico che vedeva la partecipazione sia di militari che di tecnici), Acquarone continuò a svolgere una attività di grande rilievo, tanto da essere considerato da più parti l'”eminenza grigia del Ministero e l’interprete del pensiero del Re”[7]Bonomi, Diario di un anno, p. 61. (come lo definisce Bonomi). Acquarone svolse in quel periodo anche opera di mediazione fra il re e la principessa di Piemonte, Maria José, sospettata dal sovrano di svolgere una politica personale per aver preso contatto, in luglio, con il dittatore portoghese António de Oliveira Salazar, come confidò ad Acquarone il 5 agosto, per chiedergli di svolgere un ruolo di mediazione tra Italia e Gran Bretagna[8]Bertoldi, Badoglio, pag. 184..
Dopo l’annuncio dell’armistizio con gli Anglo-Americani annunciato prima dalla Reuter, avvenuto l’8 settembre 1943, Acquarone prese parte al Consiglio della Corona svoltosi al Quirinale per decidere il da farsi, ove venne organizzato il trasferimento al sud.
Lui, che non era stato estraneo alla sua preparazione, seguì il re e Badoglio prima a Pescara, poi a Brindisi (in seguito alla costituzione della RSI i suoi beni a Verona[9]Possedeva ville anche a Muselle di San Martino Buon Albergo (Verona), Gardone, San Candido, Giove e Sanremo., in novembre, vennero sequestrati dal nuovo governo fascista mentre la sua casa a Roma venne saccheggiata dai nazisti guidati da Kappler[10]Bertoldi, Badoglio, pag. 223.) e poi i mobili venduti, assieme a quelli della villa di Badoglio, operazione che vide coinvolto il capo della polizia repubblichina Tullio Tamburini) pur non appoggiando l’abbandono della capitale.
Qui continuò a tenere i contatti fra la Corona e i principali uomini politici liberali e antifascisti (B. Croce, E. De Nicola, G. Porzio, G. Rodinò, C. Sforza – si recò il 24 ottobre a Bari per incontrarlo e discutere la possibilità di un suo ingresso nel governo – ed altri, come testimoniato anche nelle lettere che questi scrissero in appoggio di Aquarone quando venne messo sotto inchiesta dalla Alta Corte di giustizia[11]Fascicolo del Senato di P. Acquarone.) e ad esercitare ampio influsso sul sovrano e le sue decisioni, tanto da contrapporsi, in qualche circostanza, allo stesso Badoglio.
Ciò avvenne, in particolare, di fronte al problema della dichiarazione di guerra alla Germania: Acquarone era contrario, almeno come misura immediata; e questa posizione fu anche adottata da Vittorio Emanuele. Per superare l’impasse e giungere alla dichiarazione del 13 ottobre, Badoglio “dovette approfittare di un’assenza del duca Acquarone, non sempre suo [del re] saggio consigliere”. Così, Acquarone fu anche molto ostile verso il corpo di volontari (i “Gruppi Combattenti Italia”) che, su iniziativa di B. Croce e sotto il comando del generale G. Pavone, si tentò di costituire a Napoli nell’ottobre.
Contrario all’abdicazione di Vittorio Emanuele, Acquarone perse importanza politica dopo che il vecchio sovrano finì con l’accettare la soluzione della luogotenenza da affidare al figlio Umberto, i cui rapporti con Acquarone non sembra fossero sempre stati eccellenti.
Il 12 aprile 1944 il re Vittorio Emanuele III lasciò così i suoi poteri, dopo l’intervento del generale Alleato Frank Mason MacFarlane (1889-1953) che lo incontrò a Villa Episcopio, venne formalmente istituita la luogotenenza. Il proclama venne trasmesso via radio da Bari e Napoli alle ore 13, in seguito al “compromesso di Sorrento”. Il testo del proclama, redatto da Acquarone nella notte, è il seguente: “Ho deciso di ritirarmi dalla vita pubblica nominando Luogotenente Generale del Regno mio figlio, Principe di Piemonte. Tale nomina diventerà effettiva, mediante il passaggio materiale dei poteri, lo stesso giorno in cui le truppe alleate entreranno a Roma”.

L’abbandono della carica di ministro e la morte

Nel maggio 1944 Acquarone lasciò la carica effettiva di ministro della Real Casa (con Regio Decreto del 4 giugno vennero accettate le dimissioni e lui nominato ministro onorario della Real Casa) ruolo nel quale venne sostituito da Falcone Lucifero (1898-1997), avendo il luogotenente proceduto a una nuova nomina. Rimase accanto a Vittorio Emanuele fino alla sua abdicazione (9 maggio 1946), forse fu lui stesso tra il 21 e il 22 aprile a comunicare al Luogotenente l’intensione del sovrano di abdicare. Si ritirò quindi definitivamente dalla vita pubblica, e tornò alla direzione effettiva della società Trezza.
Non fu compreso fra i senatori dichiarati decaduti dall’Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo (ACGSF), con ordinanza del 29 marzo 1946, dopo essere stato sottoposto a giudizio dalla stessa con l’accusa di aver “contribuito al mantenimento del fascismo”.
Dopo l’accusa comunque lui presentò un suo memoriale nel quale ricostruisce, a posteriori, ciò che lo portò a organizzare il cambiamento nel governo, scrisse:

Con l’aggravarsi della situazione militare e l’acuirsi del generale malessere, mi convinsi della necessità di un deciso e pronto intervento della Corona per far cessare il deplorato stato di cose; sicché, onorato della particolare benevolenza del Sovrano; potei rendermi più efficacemente interprete presso di Lui delle manifestazioni di sdegno e delle angosciose preoccupazioni che mi venivano espresse da autorevoli esponenti delle correnti di opposizione assumendomi per un imperioso moto della mia coscienza di italiano, un ruolo non consentito dai limiti della mia carica.
Mi adoperai, inoltre, affinché … giungessero al Sovrano le voci di queste correnti; e talvolta fui io stesso ad esortare autorevoli personaggi a parlare a S. M. con la massima franchezza. Questa mia azione continuò a svolgersi per molti mesi, tenacemente … Il 25 luglio non fu che il coronamento di tutta un’opera quotidiana di informazione e di persuasione da me svolta presso il Sovrano…[12]Fascicolo del Senato di P. Acquarone.

Si ritirò poi e morì a San Remo il 13 febbraio 1948.

Onorificenze

Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia, 10 novembre 1919
Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia, 7 febbraio 1926
Grande ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia, 19 maggio 1932
Gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia, 19 gennaio 1939
Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, 22 gennaio 1925
Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, 15 gennaio 1934
Cavaliere del sovrano militare Ordine di Malta
Cavaliere dell’Ordine della Legion d’onore (Francia)
Medaglia d’Argento, motivazione: “tenente reggimento cavalleggeri.
Comandante di una sezione mitragliatrici, trovandosi quasi completamente accerchiato dal nemico, tenne la posizione per circa un’ora e mezza.
Strettosi l’accerchiamento, riuscì ad aprirsi un varco, facendo fuoco con un’arma tenuta a braccia.
Messa in salvo l’altra arma, che più non funzionava, fece personalmente con quella rimasta, un’altra raffica di fuoco, riuscendo poi a metterla in salvo e a ritirarsi sulla linea immediatamente retrostante.
Monfalcone, 15 maggio 1916”
Medaglia di Bronzo, motivazione: “tenente reggimento cavalleggeri.
Colpito in pieno uno dei suoi pezzi e travolto egli stesso sotto le macerie, dava prova di calma serena, rianimando i dipendenti e provvedendo alla ripresa del fuoco. In altra circostanza, si distinse riunendo militari che si erano momentaneamente dispersi dopo un attacco.
Falzarego, Cinque Torri, 21 agosto-2 settembre 1915.”

Opere a stampa

Una pagina di storia: ricordo di Piero d’Acquarone (a cura di Giovanni Porzio e Filippo Ungaro), Verona, Valdonega, 1971

Bibliografia

http://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-acquarone_(Dizionario_Biografico)/
Archivi Degli Organi di Governo e Amministrativi dello Stato Real Casa (1829-1951)
Real Casa, Ministero della Real casa
Scheda del Senatore P. Acquarone
Fascicolo del Senato di P. Acquarone
Il colpo di stato del 25 luglio 1943 di Sergio Lepri
La fuga del re. 9-10 settembre 1943 di Sergio Lepri
Bertoldi Silvio, Badoglio, Milano, Rizzoli, 1982
Bertoldi Silvio, Vittorio Emanuele III Un re tra le due guerre e il fascismo, Torino, UTET, 2002
Bonomi Ivanoe, Diario di un anno: 2 Giugno 1943-10 Giugno 1944, Milano, Garzanti, 1947
Ciano Galeazzo, Diario: 1939-1943, Milano, Rizzoli, 1969
Le Moal Frédéric, Vittorio Emanuele III, Gorizia, LEG Edizioni, 2016
Pacelli Mario, Giovannetti Giorgio, Il colle più alto. Ministero della Real casa, Segretariato generale, Presidenti della Repubblica, Torino, Giappichelli Editore, 2017
Tartaglia Giancarlo, Il giornale è il mio amore. Alberto Bergamini inventore del giornalismo moderno, Roma, Edizioni Allaround, 2018

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References

References
1 Nel 1943 questa divenne dama di compagnia di Maria José (1906-2001), moglie del principe ereditario e Luogotenente Umberto di Savoia.
2 La sua imposta erariale per l’anno 1931 fu pari a 104.388 lire, per il 1932 di 110.166 lire e per il 1934 di 116.112 lire.
3 Secondo il decreto reale 16 settembre 1940, n. 402, sulle attribuzioni dei funzionari di corte, il ministro, è “la prima grande carica di corte e capo della casa civile e a lui fanno capo la reale corte, la corte di S.M. la regina e le case e le corti dei RR. principi e principesse… da lui dipendono tutto il personale della Real casa e tutti i servizi della Real casa, salvo quanto sia attribuito ad altri funzionari di corte”, a questo si deve collegare che la casa civile del sovrano era stata separata dalla Corte del re con il decreto reale n. del 10 marzo 1939.
4 Funse anche da intermediario per la ricerca di un nuovo sovrano per il Montenegro (la regina d’Italia Elena era della famiglia reale del paese) dopo il crollo della Jugoslavia in seguito all’offensiva tedesca, in questo ambito Acquarone contatto il principe Roman, figlio di Milica, ma questi declinò la proposta.
5 Ciano, Diario: 1939-1943, pag. 237.
6, 11, 12 Fascicolo del Senato di P. Acquarone.
7 Bonomi, Diario di un anno, p. 61.
8 Bertoldi, Badoglio, pag. 184.
9 Possedeva ville anche a Muselle di San Martino Buon Albergo (Verona), Gardone, San Candido, Giove e Sanremo.
10 Bertoldi, Badoglio, pag. 223.

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