Comunicazioni sarde al papa sul matrimonio civile

Fogli del Ministero Sardo trasmessi dal Re al S. Padre sulla presentazione del progetto di Legge concernente al Contratto Civile di matrimonio.

I.
La santità, e l’indissolubilità dei conjugi introdotte dal Cristianesimo, e mantenute dalle discipline del la Chiesa Cattolica, sono uno dei maggiori beneficii che la nostra religione abbia recato alla generazione umana. Se in Piemonte, tutti riconoscono queste verità, vi è nondimeno antico anche fra le persone più affezionate alla religione il desiderio che le leggi si frammeltano a definire, ed i magistrati a tutelare i diritti civili che nascono dalle nozze. Questo desiderio fu mantenuto dalla memoria del Codice civile francese stato in vigore fra noi, senza che né scapitasse la riverenza dovuta alla religione: ed abrogato nel 1814. con una legge universalmente reputata improvvida, fu mantenuto dall’esempio dei paesi vicini: dell’Austria che dopo avere nel 1814. restaurato gli ordini antichi, conservava pure le giurisdizioni delle leggi, e dei magistrati civili sul matrimonio: della Francia che nel 1814. proclamava il Cattolicismo religione dello Stato: e nel 1815. per non offenderne i precetti abrogava il divorzio; ma in tutto il resto manteneva il Codice Civile del Belgio dove la rivoluzione del 1830 si faceva in gran parte per mantenere la libertà della Chiesa Cattolica, senza che la parte più gelosa dei suoi diritti si rimanesse dal l’aderire alla conservazione del Codice Civile. Né quelli fra i Cristiani sinceri, che fra noi partecipavano a desiderii questi desiderii si muovevano a diversa sentenza pel gran numero delle congiunzioni e delle d’ascite illegittime che si noverano in Francia; essi reputavano che questo fatto veramente lagrimevole non fosse: dovuto al Codice civile, ma agli influssi che aveva no fatto sorgere una generazione d’uomini non curanti delle leggi divine ed umane: che poco solleciti di ascrivere se e la prole ad una famiglia legittima non si sarebbero portati diversamente, se le leggi del la Chiesa avessero solo regolato la materia dei matrimonii. Queste opinioni universalmente diffuse fra noi sarebbero passate nel Codice Civile del 1837, se la nazione avesse avuto una diretta ingerenza sulla formazione delle leggi, e se l’assoluto potere di cui era investito il piissimo Re Carlo Alberto non lo avesse posto in grado di preporre ad ogni altro riguardo quello di mantenere in violate anche quelle parti di giurisdizione Ecclesiastica che consuetudini quasi universali avevano fatte cadere in disuso negli altri stati Cattolici. Ciò nonostante, il Codice Civile del 1837. introdusse qualche leggiera variazione anche nella materia dei matrimonii, oltreché si stabilirono, procedendosi in ciò d’accordo con la S. Sede, parecchie variazioni in ordine alla forma degli atti dello stato Civile, ed alla giurisdizione che sovra di ciò esercitavano i magistrati civili: il Codice tolse ogni effetto civile agli sponsali che non fossero fatti per pubblico istromento, ovvero per scrittura privata: illecito il matrimonio tra l’adottante e l’adottato, non lasciando luogo a legittimazione per susseguente matrimonio: la promulgazione del Codice Civile rese più universali, e più vivi i desiderii di riforma anche nella materia dei matrimonii. Si considerava come fosse quella la sola materia in cui difettassero le disposizioni della legge civile, si metteva il nostro Codice a confronto con quelli delle nazioni straniere, si notava come gli effetti non corrispondessero ai desiderii del legislatore, come la registrazione degli atti di nascita, di matrimonio, e di morte nei modi prescritti dalle Patenti del 20. Giugno 1837 riuscisse insufficiente ad ottenere tutte quelle regolarità che era pure assolutamente necessaria in cosa di tanto momento: come riuscisse impossibile assi curare le rettificazioni che venissero prescritte per sentenze dei Tribunali: come rimanesse inosservato dalle curie ecclesiastiche il prescritto del Codice Civile che alla validità degli sponsali, pone per condizione la forma di un pubblico istromento, od al meno di una privata scrittura: come una inconsiderata promessa basti perché altri sia dai Tribunali ecclesiastici condannato a contrarre delle nozze, le quali non potranno riuscire che malaugurate, ed impedito da ogni altro matrimonio. Che queste lagnanze non fossero infondate vennero a provarlo tre fatti denunziati testé in meno che due mesi. Il primo di un Parroco di Sardegna il cui rifiuto alla celebrazione di un matrimonio lecito secondo le leggi della Chiesa fu recentemente denunziato al Ministero: il secondo di una opposizione fatta ad un matrimonio che dovea contrarsi nelle vicinanze di Torino e fondata su d’una promessa verbale, la quale dava luogo a dissidi tali che il Parroco avea ricorso al Ministero, affinché provvedesse ad evitare i disordini, e le violenze che sono tenute vive dal prolungarsi di questo giudizio: il terzo di un Ufficiale Cattolico agli stipendi degli Stati Uniti di America, il quale essendogli negata dal Parroco la celebrazione del matrimonio con una suddita del Re, si recava a celebrarlo civilmente, secondo le leggi del suo paese, al cospetto del suo Vice-console. Questi desiderii di venivano più vivi dopo la promulgazione dello Statuto, ricevevano nuovo incitamento dalla libertà del lo scrivere, e del parlare fatta diritto di tutti i Cittadini dall’art. 68. dello Statuto, secondo il quale la giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo nome dai Giudici ch’egli istituisce: articolo questo che attendendo alla naturale significazione delle parole, ed all’esempio di tutti gli altri popoli, che si reggono, e si ressero con forme di governo simili alle nostre, escludeva l’ingerenza di ogni altra giurisdizione contenziosa nei giudizii che spettano ai diritti dei Cittadini. Il Governo dal canto suo non era più nelle stesse condizioni in cui si trovava durante la Monarchia assoluta: la podestà legislativa che prima stava tutta raccolta nelle sue mani era accomunata colle due camere del Parlamento: dove essendo libera la discussione, diveniva necessita che le leggi s’informassero delle opinioni che prevaleva no universalmente e che erano espresse nei discorsi, e negli scritti. In tale condizione di cose fu promulgata la legge del 9. Aprile 1850. Qualunque giudizio voglia portarsene, che questa fosse l’espressione di un opinione universalmente invalsa, lo dimostra l’accoglienza ch’essa trovò, non pure nella Camera elettiva, ma nel Senato dove cooperarono al suo accoglimento parecchi di coloro che avevano avuto parte nell’amministrazione del Governo antico, tanto geloso custode delle prerogative ecclesiastiche: lo di mostrò la natura stessa delle obbiezioni che si muovevano dagli oppositori, le quali si riferivano non tanto al merito della legge, quanto al modo che si teneva nell’introdurla: lo dimostrò l’accoglimento che ebbe presso il pubblico: lo dimostrò quel fatto che le pubbliche significazioni volute fare contro a questo sistema, diedero – occasione a significazioni contrarie, spesso deplorate, ma non mai potute impedire dal Governo. La legge sul contratto civile di matrimonio può considerarsi come una parte dei provvedimenti che furono sanciti nel 1850. In fatti allora fu statuito che la legge da farsi regolerebbe il con tratto di matrimonio nelle sue relazioni con la legge Civile, la capacità dei contraenti, la forma e gli effetti di tale contratto. Si ravvisa dunque come la legge sarebbe stata fin d’allora sancita, se non si fosse stati ristretti dal tempo, come il principio fondamentale di cui s’informa il progetto proposto dal Governo, fosse già sancito dalla legge. Perciò tenendo conto delle condizioni del paese, della sua costituzione, delle sue leggi, delle opinioni universalmente diffuse è forza riconoscere che se nel 1850 non era facile al Governo procedere per altra via di quella che fu tenuta, oggi era impossibile venire a contrastare all’imperio della legge, negando di presentare un progetto conforme ai voti espressi nel 1850.
II.
Qualunque siano tuttavia le opinioni che prevalgono fra noi, i Ministri del Re non consentirebbero mai a fare una proposizione, quando facendola fossero con scii di contraffare ai precetti della religione. nell’atto in cui propongono che le controversie sugli effetti civili del matrimonio siano di competenza dei Tribunali, essi non intendono venir meno a quest’ossequio: non intendono impugnare il fatto della Chiesa che acquistò, e mantenne giurisdizione sulle cause ma trimoniali: non intendono impugnare il canone XII.
De Sacramento matrimonii del Concilio Tridentino.
Ma non poterono a meno di considerare come questo canone non tacci di usurpazione quella giurisdizione che i Principi ed i Magistrati avevano molte volte esercitato senza richiamo della Chiesa: non poterono a meno di considerare come l’autorità di questi ca noni sia sempre dipesa dalla loro promulgazione: come in molte parti della Cristianità, anzi in alcuné provincie di questo stesso Regno non sia riconosciuta la loro autorità: come la giurisdizione contenziosa del oro ecclesiastico sulle cause matrimoniali sia cessata in molte parti della Cattolicità, senza che esse siansi perciò separate dall’unità: come in questi rispetti un tal canone di varii da quelli che appartengono strettamente alla fede religiosa: dai quali gli individui od i popoli non possono in qualsiasi circostanza di tempo o di luogo dipartirsi in checchesia, senza cessare di appartenere alla Chiesa Cattolica. Procedendo da cosiffatte considerazioni e tenendo conto, com’era debito loro, delle condizioni dei tempi, della costituzione e delle leggi del loro paese, dell’opinione uni versale, delle disposizioni del Parlamento con cui la Corona debbe accordarsi, i Ministri di S. M. hanno opinato debito loro di proporre di attribuire ai Magistrati del Regno la cognizione delle cause concernenti ai diritti civili che procedono dal matrimonio.
I Ministri di S. M. non negano che alla Chiesa appartenga render valido il vincolo del matrimonio al cospetto della religione, e della coscienza: definire quali nozze siano lecite, od illecite tra i Cristiani. Ma riconoscendo nella Chiesa il diritto di statuire gl’impedimenti del matrimonio, non poterono essi abbandonare la sentenza che questo diritto competa altresì al Legislatore civile: sentenza che non fu condannata dal Concilio di Trento, che è confortata da leggi antichissime, promulgate senza contrasto per parte della Chiesa: che fu sempre mantenuta nelle nostre scuole, senza eccettuarne pure i Seminarii, e nella nostra magistratura, né diede luogo a richiami o a condanne per parte della Chiesa. Alieni dall’affermare che siano lecite ai Cristiani le nozze contro il divieto della Chiesa, o senza le forme che essa prescrive, dovettero pure notare che la potestà civile non può a meno di lasciare i cittadini in libertà di fare molte cose, le quali sono condannate dalla morale,, e dalla religione; che indi è inevitabile che al cospetto della legge civile e dei magistrati molte cose si tengano conformi al diritto che la religione con danna come peccaminose. Che perciò nello statuire le loro leggi i legislatori civili hanno obbligo di pro cedere da considerazioni di utilità civile e e di opportunità politica; laddove la Chiesa nel pronunciare ciò ch’è lecito ed onesto non debbe attendere che ai dettati immutabili della religione e della morale. Se nel proporre la legge sul contratto civile di matrimonio i Ministri di S. M. hanno avuto presente l’obbligo loro di provvedere alle emergenze dei tempi, essi hanno avuto presente altresì l’obbligo che incombe ad ogni legislatore di un popolo cattolico, e che trova una particolare sanzione nell’articolo 1. dello Statuto fondamentale del Regno, di tener conto della fede religiosa dei popoli, di non ammettere alcun precetto il quale faccia violenza alle coscienze cattoliche. nella discussione della legge e particolarmente nella relazione al Senato, il Ministro di giustizia dimostrò come quei riguardi siansi avuti. Si aggiungerà che due condizioni si tennero per particolarmente essenziali affinché fosse soddisfatto a quest’obbligo. Che la legge tenga per validi i matrimonii regolarmente celebrati al cospetto della Chiesa: che quando siasi celebrato un matrimonio che la Chiesa non riconosce per valido la parte che più tardi vuole uniformarsi ai suoi precetti non sia tenuta di perseverare in una convivenza condannata dalla religione. Il Ministero ebbe nell’animo di soddisfare a quelle due condizioni e crede che interpretata dai Magistrati secondo il vero spirito della legge attuale vi potrebbe soddisfare. Non dimeno nella discussione che ebbe luogo appoggiò con molta insistenza le proposizioni che erano intese a mettere in maggior luce questo pensiero. Essa non dubita punto che proposizioni così fatte verranno rinnovate, che altre né verranno proposte, allorquando la legge verrà discussa nel Senato del Regno, il quale in tutte le deliberazioni procedé sempre con tanta maturità di consigli, e con tanto zelo per gli interessi della religione, e della Chiesa.
Ridotta la legge a questi termini non rimangono di matrimonii illeciti al cospetto della Chiesa, se non quelli di coloro, che avranno la deliberata volontà di perseverare in una unione che la Chiesa condanna. Il Governo confida che cosifatti matrimonii, o non saranno o saranno rarissimi negli Stati del Re. Quando vi fossero, esso crederebbe meno opportuno frapporsi coll’autorità della legge civile per annullarli: esso crede più conveniente assicurare uno Stato legittimo alla prole: esso spera che l’influenza benefica della religione chiamerà i genitori ad invocare le benedizioni della Religione: esso mostrò questo suo desiderio non dando alcun effetto civile alle congiunzioni a cui la Chiesa non potesse dare mai il carattere di legittimo matrimonio.
I Ministri del Re hanno poi creduto che niuna delle obbiezioni che si opposero alla legge sul contratto.
civile di matrimonio, che essi credeano meno fondate potesse opporsi al progetto sullo Stato Civile. La Chiesa attribuisce né’suoi Ministri il diritto e l’obbligo di tenere i registri delle nascite dei matrimonii e delle morti, le convenzioni del 1846 tra S. M. e – la S. Sede posero le basi di alcuné regole da osservarsi in questi registri affinché facessero fede al cospetto dei Magistrati. Oggi non si vuole menomare il diritto della Chiesa, sul quale non fa alcuna usurpazione il Governo, quando dal canto suo prescrive ai proprii officiali che che tengano registro delle nascite, dei matrimonii e delle morti.
III.
Nel portare giudizio della legge sul contratto Civile di matrimonio è opportuno altresì annotare di qual: natura siano le opposizioni fatte a quel progetto. Equi non si vuole accennare a quelle che vennero da parecchi Vescovi. Essi non poteano forse peranco formarsi un’abbastanza preciso concetto dello spirito di cui s’informa il progetto, al che condurrà per avventura la pubblicazione che il Governo sta preparando dei lunghi e maturi studii che precedettero alla formazione del progetto; né per avventura sa ranno essi per continuare nelle loro opposizioni quando l’ulteriore corso delle deliberazioni del Parlamento vi avrà introdotto quei miglioramenti che lo rendano più consentaneo agli intendimenti di chi lo propose.
Ma fatta astrazione da questi Prelati non si vuol tace – re che se in Piemonte vi hanno alcuni pochi i quali traggono pretesto dalla libertà per insultare ad ogni autorità divina, ed umana, non mancano di quelli, e sono forse più numerosi i quali fanno un sacrilego abuso della religione per distruggere quel rispetto alle leggi, ed alla costituzione dello Stato, a cui sono tenuti per debito di Cristiani, e di Cittadini: che non omettono alcuna occasione per insinuare che si distruggano quelle instituzioni che il Re ha giurato di mantenere. L’audacia di quella fazione ha trovato un nuovo pretesto nella proposizione della legge sul matrimonio. La discussione e l’opposizione contro la legge era certo un diritto a cui niuno poteva né il Governo voleva contrastare. I giornali di quella fazione hanno suscitato i popoli all’agitazioni, ed al disordine: scelerate calunnie furono sparse: infami raggiri furono tentati per corrompere i Voti: le più sfacciate menzogné furono messe innanzi per carpire delle orme a petizioni che si fingevano contenere tutt’altro da ciò che vi stava scritto: un Magistrato della Suprema Corto del Regno che doveva dimettersi dall’Ufficio, quando credesse le leggi dello Stato meno consentanee alla sua coscienza, si induceva a divulgare un libro, in cui insultava alle leggi che aveva giurato di far osservare. I documenti scritti di tutti questi fatti stanno nelle mani dei ministri e quasi tutti saranno stabiliti da procedimenti giuridici. Il Governo del Re li deplora perché alterano l’ordine pubblico, e li deplora perché danno un nuovo incitamento a coloro che degli errori dei suoi difensori traggono occasione a venir meno al rispetto che debbono alla religione. Il governo del Re desidera e; spera che nessun fatto nuovo crescendo l’audacia di questa fazione, verrà ad accrescere incitamento alle passioni politiche, ed a rendere più difficile la con servazione dell’ordine. I Ministri del Re hanno coscienza di non avere adulato mai né le passioni popolari, né i nemici della Chiesa. Se essi hanno potuto errare, essi hanno pure provato in molte occasioni di voler contrastare alle passioni delle multitudini. Essi hanno provato di voler proteggere la religione, ed i suoi Ministri finché stanno fedeli alle leggi dello Stato. Essi hanno in cima dei loro pensieri la fede dei padri loro, la riverenza alla Chiesa, ed al suo Capo. Ma per debito di coscienza si conoscono obbligati ad osservare il giuramento che han no fatto di mantenere lo Statuto, e le leggi del Regno.

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